Introduzione
“Mi trovo in un tumulto di creature, ciascuna
delle quali esige, senza ottenerla, l'inesistenza
di tutte le altre (...)”
(P. Valery)
L'intento originario del presente lavoro era elaborare una riflessione che mettesse a fuoco
la differenza tra un percorso museale tradizionale e un percorso museale interattivo. Ha
invece preso corpo un percorso diverso: l'analisi di un nuovo tipo di esposizione lontana
dai tradizionali canoni di esperienza museale, ovvero un museo virtuale, nel caso specifico
l'Adobe Museum of Digitale Media (AMDM), nuovo progetto della casa produttrice di
programmi e software di visualizzazione e produzione digitale Adobe System; ciò che lo
contraddistingue, rendendolo unico e innovativo, è il suo spazio dedicato ad opere d'arte
realizzate attraverso l'utilizzo dei media digitali e visitabile online.
La nostra indagine si dedicherà ad analizzare il museo virtuale di Adobe per descriverne la
natura, le caratteristiche, le possibilità, gli sviluppi, le implicazioni comunicative,
formative ed educative. Essendo un museo costruito interamente in una sfera virtuale, e
quindi non nel mondo reputato “reale”, sarà necessario nella prima parte di questo lavoro
approfondire il concetto di “virtuale”.
Oggi con lo sviluppo sempre più accelerato delle tecnologie informatiche e delle
opportunità offerte soprattutto dalla navigazione in rete, in Internet, si pensa ad una
divisione netta tra questa sfera, detta “mondo” o “società” virtuale e il mondo
cosiddetto “reale”, associato immediatamente e quasi inconsciamente all'insieme delle
cose materiali, tangibili, fisiche. In altre parole: il falso contro l'autentico.
Come è noto, computer, cellulari, tablet, smartphone, consolle per videogiochi, sono
ormai concepiti sul concetto di ipermedialità, dedicati e progettati a favore «di uno
spazio di comunicazione navigabile e trasparente incentrato sui flussi
d'informazione»
1
; sono divenuti dei tecnocosmi trasportabili ovunque, senza base
1 P. Lévi, Il virtuale, traduzione dal francese di Maria Colò e Maddalena Di Sopra, Milano, Raffaello Cortina Editore,
1997, p. 140.
5
fissa; per dirla alla Lévi: un cyberspazio.
Creare, comunicare, vedere, scrivere, pubblicare, ascoltare musica all'interno del Web
ricorrendo all'utilizzo di software o applicazioni specifiche sono in genere considerate
dal senso comune attività distaccate da quelle che svolgiamo nella realtà, come ad
esempio toccare un libro, annusare un fiore, assaporare una caramella.
Si parla frequentemente di Second Life, videoplaces, videogiochi, di vita parallela o
addirittura di vita alternativa all'interno di un mondo virtuale lontano dalle nostre
percezioni “reali”, come ad esempio le azioni che svolgiamo in un social forum all'interno
della rete.
Ma la dimensione virtuale che acquisiscono le nostre azioni in questa sfera è in completa
opposizione alla dimensione detta “reale”? O è possibile considerare il virtuale come un
ampliamento delle possibilità offerte dal reale? O forse come dimensione soggettiva e
interiore?
A fronte della maggiore importanza che sta acquisendo l'ambito del virtuale nella vita di
ognuno di noi, è necessario rivedere concettualmente il rapporto che sussiste tra “reale” e
“virtuale” in vista non delle sole vicende teoriche, ma anche delle applicazioni pratiche.
Il “virtuale” è concepito come una novità alienante; a ben vedere è stato presente nel corso
della storia dell'uomo e nell'evoluzione della sua Conoscenza. Non è un mondo falso: esso
permette di costruire mondi comuni e un senso comune attraverso i media disponibili in
quella precisa parte di storia (soprattutto al giorno d'oggi con i nuovi media).
Per comprendere cosa sia veramente il “virtuale” sarà necessario ripercorre la storia
etimologica della parola, considerare alcuni esempi di costruzioni mentali nel corso
dell'evoluzione umana, capire cosa lo distingue dal “reale” o meglio, come vedremo,
dall'attualizzazione, perché nella nostra ipotesi non sarà possibile definirlo come antitesi di
“materiale”. Tutto questo a partire da una trattazione generale dell'esperienza interna del
virtuale, senza entrare nelle specifiche distinzioni tra esperienza soggettiva e strutturazione
di ambienti virtuali (ad esempio i MUD
2
).
Sarà condotta un'analisi non tecnico-informatica o estetica del virtuale, né ontologica, ma
pragmatica ed esperienziale/comunicativa, che non considererà approfonditamente i mondi
dei videogiochi, delle simulazioni, delle videoambientazioni o della augmented reality, ma
prenderà invece in considerazione il “mondo invisibile” di Internet (di per sé già luogo,
come argomenteremo) e la sua sfera interattiva, il Web, all'interno della quale nascono
2 MUD, acronimo di Multi User Dungeon, è un'espressione che identifica una precisa categoria di giochi testuali di
ruolo presenti nella rete, in cui gli utenti possono interagire con il mondo virtuale e gli altri giocatori, inviando i
comandi attraverso la tastiera.
6
comunità, reti relazionali, rapporti sociali, idee, progetti culturali, civili, politici, sociali, e
nel nostro caso architettoniche: vere e proprie edificazioni organiche. Un mondo che
rappresenta il risultato delle precedenti rivoluzioni avvenute nel campo della conoscenza e
della tecnologia, al quale ne seguiranno altre.
Oggi siamo arrivati alla nascita di un vero e proprio mondo virtuale visualizzabile, non più
quello dei soli videogiochi o videoambientazioni, ma un mondo in cui avvengono
quotidianamente le nostre attività conoscitive, sociali, culturali e lavorative; una
dimensione della quale, nel secondo capitolo, saranno approfondite lo sviluppo e le origini,
per comprenderne meglio lo stato attuale e le prospettive future. Una breve storia del Web,
insomma, per definire il suo stato attuale e l'evoluzione del Web 2.0 in vista delle
aspettative future, il Web 3.0 o Web Semantico, con le implicazioni che ha comportato la
comparsa di questo “ampliamento della realtà” offerto dalla rete a livello antropologico,
della comunicazione e della formazione.
In questo orizzonte si apre un mondo di possibilità non solo per quanto concerne lo
sviluppo delle tecnologie e dell'informazione, ma anche nel campo culturale e formativo.
Per capire meglio a livello pratico il valore culturale che può assumere questa sfera, sarà
importante considerare all'interno del terzo capitolo, un caso particolare, un esempio di
struttura presente sia nel mondo “reale” sia nel mondo “virtuale” e che si prefigge le stesse
finalità in entrambi i casi: un museo. Nel nostro caso l'Adobe Museum of Digital Media.
Per comprendere da quali esigenze nasca un progetto del genere e quale sia l'idea fondante
che sta alla base della progettazione architettonica di questo museo (virtuale e online),
verrà riportata alla fine del terzo capitolo l'intervista gentilmente concessa da chi questo
museo lo ha progettato e realizzato: l'architetto Filippo Innocenti, Professore di Tecnologie
dell'Architettura al Politecnico di Milano, che lavora a Roma e a Londra come associate
presso il Zaha Hadid Architects e fa parte di un gruppo di ricerca chiamato Spin+.
Fino ad oggi abbiamo visto in rete musei virtuali o gallerie d'arte virtuali, che ricoprono la
funzione di supportare musei già esistenti o di ricostruire particolari opere o siti andati
persi, e che quindi riproducono opere già prodotte. Il museo analizzato nel nostro lavoro
sarà sì virtuale, ma completamente diverso rispetto a questi: non ha la funzione di
supportare un museo presente nel mondo reale e fisico, bensì un luogo presente solo in
rete, potenzialmente realizzabile ed edificabile in futuro nel mondo fisico così come le sue
opere, elaborate direttamente attraverso i digital media.
Ci chiederemo se, ad una costruzione del genere, possono essere attribuiti gli aggettivi
“fittizia”, “falsa”, “illusoria”. Dovremmo parlare di strutture “reali”, programmate nel
7
mondo “virtuale”, o viceversa? Dovremmo considerare il mondo virtuale come
un'alternativa al mondo reale e alle nostre esperienze sensoriali, che va a sminuire
l'incontro fisico a favore di una vita priva di ostacoli fisici, una vita parallela, una Second
life vissuta attraverso il proprio avatar, il proprio alter ego in rete? Un sé falsato in un
ambiente fittizio, come si sente spesso ripetere dai giornalisti, in televisione o in qualsiasi
altro mezzo divulgativo?
«La virtualità non ha assolutamente niente a che fare con quello che se ne sente
dire alla televisione. Non è affatto vero che si tratta di un mondo falso e
immaginario. Anzi, la virtualizzazione è la dinamica stessa del mondo comune, è
ciò in virtù del quale noi condividiamo una realtà»
3
.
3 Ivi p. 37.
8
1. Reale e virtuale
“Vedrai quanto è profonda la tana del bianconiglio”
(Matrix)
“Smettiamo di demonizzare il virtuale
(trattandolo come il contrario del reale!)”
( Lévi)
1.1 Definizione di virtuale e stati dell'essere.
Cosa è virtuale? Quando consideriamo la parola “virtuale” si è soliti pensare a tutto ciò che
è prodotto da una macchina artificiale, da un computer: a mondi 3D e 4D, ai videogiochi;
in realtà è un termine che ha origini antiche. Infatti, la parola virtuale nasce dal latino vis,
da cui deriva il termine latino medievale virtus, “forza”, “potenza”, e da esso virtualis, nel
senso di possibile, che conserva “vigore” nelle sue radici (da non confondere con
“possibilità” ed “eventualità”); esso corrisponde alla potenza attiva, in grado di passare
all'atto.
"Virtuale" sembrerebbe quindi la traduzione del termine greco dunaton, “potenza”, ciò che
Aristotele definiva in senso logico come “ciò che non è né necessario né impossibile”
4
, e in
senso ontologico come “ciò che è in potenza” (ad esempio la semiretta nella retta). Per
spiegare meglio che cosa sia la potenza, Aristotele la mette a confronto con l'atto (l'esistere
della cosa) «l'atto sta alla potenza come chi costruisce sta a chi può costruire, chi è desto a
chi dorme, chi vede a chi ha gli occhi chiusi ma ha la vista»
5
.
Nella filosofia scolastica, virtuale è ciò che esiste in potenza e non in atto. Nella Summa
Theologiae di Tommaso d'Aquino, il virtuale è delineato come qualcosa a cui non manca
nulla per essere, ma che non si mostra con tutte le caratteristiche di altre modalità
dell'essere. Il virtuale, tende ad attualizzarsi, senza essere passato ad uno stato concreto o
formale; è “trasformazione da una modalità dell'essere a un'altra”, come evidenzia
4 Aristotele, Analitici Primi, A 13,32 a 18-20.
5 Aristotele, Metafisica IX 6, 1048 a 27 ss.
9
l'esempio che il filosofo francese Pierre Lèvi riporta nel suo saggio Il virtuale: «L'albero è
virtualmente presente nel seme»
6
, pertanto il seme rappresenta l'albero in potenza.
Per secoli il virtuale è rimasto legato a questa sua natura marginale, secondaria, differente
di grado rispetto al cosidetto reale. Solo con Bergson, e in modo più approfondito con la
rilettura successiva che Gilles Deleuze compie nel saggio Il bergsonismo, il concetto di
virtuale assume una forma più moderna e si libera finalmente di quell’alone di passività e
d’inferiorità rispetto alla nozione di reale.
Per comprendere meglio lo stato di potenza è necessario introdurre brevemente una
distinzione tra quattro modalità dell'essere messa in luce da Deleuze in Differenza e
Ripetizione. Le modalità dell'essere, contemporaneamente presenti, sono: virtuale/attuale e
possibile/reale. Il virtuale, per Deleuze, si distingue dal possibile: il possibile è il contrario
del reale e gli si oppone, il virtuale si oppone all'attuale. La formula migliore che definisce
gli stati di virtualità per Deleuze è quella di Marcel Proust:
«Reale senza essere attuale, ideale senza essere astratto»
7
.
Il possibile non ha realtà (anche se può avere un’attualità), inversamente il virtuale non è
attuale, ma in quanto tale possiede una realtà. Il possibile equivale a ciò che è interamente
costituito, ma che ancora resta nel limbo. Si realizzerà senza cambiare nulla della sua
determinazione di partenza e della sua natura: è un reale latente. E' esattamente come il
reale, gli manca solo l'esistenza. La realizzazione del possibile non si può considerare
creazione, in quanto questa comporta anche la produzione innovativa di una forma o di
un'idea.
La differenza tra possibile e reale è puramente logica. Il virtuale, invece, non si oppone al
reale ma all'attuale, a ciò che è risolto. Contrariamente al possibile, statico e già costituito,
il virtuale è costantemente problematico, è il nodo di tendenze e di forze che accompagna
una situazione, un evento, un oggetto e che per trasformarsi chiede di essere attualizzato
attraverso l'attualizzazione, la soluzione del problema: creazione e invenzione di una forma
a partire da una configurazione dinamica di forze e di finalità (l'interazione tra l'uomo e i
sistemi informatici fa capo alla dialettica tra virtuale e attuale).
«Il problema del seme, per esempio, è di fare crescere l'albero. Il seme “è”
6 P. Lévi, op. cit. p. 5.
7 M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, vol. VI, traduzione dal francese di G. Raboni, Milano, A. Mondadori,
1995, p. 84.
10
questo problema, anche se non si esaurisce in esso. Questo non significa che il
seme “conosca” esattamente quale sarà la forma dell'albero che in seguito
stenderà il proprio fogliame sopra di lui. A partire dai vincoli che gli sono propri,
dovrà inventarlo, coprodurlo insieme alle circostanze in cui s'imbatterà»
8
.
Quindi:
«Da un lato l'entità ha in sé e produce le proprie virtualità: un evento, per
esempio riorganizza una problematica anteriore, ed è suscettibile di ricevere
delle interpretazioni diverse. Dall'altro, il virtuale costituisce l'entità: le virtualità
inerenti a un essere, la sua problematica, il nodo di tensioni, di vincoli e di
progetti che lo animano, gli interrogativi che lo muovono sono una parte
essenziale della sua determinazione»
9
.
1.2 Virtualizzazione e ominazione.
Il virtuale va inteso come stato dell'essere, che per compiersi deve passare attraverso un
processo dinamico, più o meno come avviene in fisica per il passaggio di stato di un
elemento: questo processo può essere definito virtualizzazione, descritto da Lévi come
evento dinamico:
«[...] è il movimento contrario dell'attualizzazione. Consiste nel passaggio
dall'attuale a virtuale, cioè nell'elevare a potenza l'entità considerata. La
virtualizzazione non è una derealizzazione (la trasformazione di una realtà in un
insieme di possibili), ma un cambiamento di identità, uno spostamento del centro
di gravità ontologico dell'oggetto in questione: anziché definirsi
fondamentalmente attraverso la sua attualità (una “soluzione”), l'entità trova ora
la propria consistenza essenziale in un campo problematico»
10
.
Virtualizzare una qualsiasi entità quindi significa evidenziare una problematica generale
8 P. Lévi, op. cit. p. 6.
9 Ivi p. 6.
10 Ivi pp. 7-8.
11
alla quale essa si rapporta, « nel far evolvere l'entità in direzione di questa domanda ». Per
esemplificare possiamo considerare il caso riportato da Lèvi: la virtualizzazione di
un'impresa.
«Un'impresa virtuale si avvale del lavoro a distanza, rispetto all'impresa
tradizionale, in cui i dipendenti sono riuniti in uffici. In più la presenza fisica dei
lavoratori nello stesso edificio è sostituita dalla partecipazione ad una rete di
comunicazione elettronica e con l'impiego di risorse informatiche che facilitano
la collaborazione. Quindi in base alla definizione data, la virtualizzazione
dell'impresa consiste nel fare delle coordinate spaziotemporali del lavoro un
problema continuamente riproposto, e non definitivamente risolto, al contrario
dell'attualizzazione che procede dal problema alla soluzione, così facendo la
virtualizzazione fluidifica le differenza istituite, aumenta i gradi di libertà, fa del
vuoto che scava un elemento motore. Se la virtualizzazione fosse solo il
passaggio da una realtà a un insieme di possibili, sarebbe derealizzante. Ma essa
implica altrettanta irreversibilità nei suoi effetti, indeterminazione nel suo
processo e inventiva nel suo sforzo, quanto l'attualizzazione. La virtualizzazione
è uno dei vettori più importanti della creazione di realtà»
11
.
La virtualizzazione ha accompagnato il processo di evoluzione culturale dell'uomo, la
cosiddetta ominazione. Con la nascita del linguaggio e con l'arricchimento di esso, l'uomo
ha assistito ad una rivoluzione più culturale che biologica, conseguente all'aumento delle
possibilità di simulare, di immaginare e far immaginare cose, nuovi spazi.
Le tavolette di argilla
12
, primi frammenti di scrittura, ne sono un esempio. Col passaggio
dal Paleolitico al Neolitico, esse servirono all'uomo per progettare assetti futuri di
irrigazione, letteralmente ex novo; erano immagini che riproducevano progetti
ingegneristici mai visti fino a quel momento, immagini di concetti, virtualmente costruiti
nella mente, ideogrammi di fenomeni possibili e non realizzati (pensiero formale); la stessa
figura di Elena, in Euripide, per la quale si scatenerà la guerra di Troia, presente nella
mente degli uomini, altro non è che un'immagine vuota, viva di vita virtuale (Elena non si
recherà mai fisicamente a Troia): Elena che va a Troia è reale (per il senso comune) nella
11 Ivi p. 9.
12 Esempio a cui il filosofo ceco V . Flusser ricorre molto spesso all'interno dei suoi saggi, raccolti nell'opera La cultura
dei media, a c. di Andrea Borsari, traduzione dal tedesco di Tomaso Cavallo, Roma, Paravia B. Mondadori Editori,
2004.
12
mente degli uomini, ma in verità il fatto che lei si sia recata a Troia esiste solo in potenza,
non si è compiuto.
La mnemotecnica, alla quale si ricorreva nell'antichità, nel medioevo e nel rinascimento,
consisteva nel ricordare temi e concetti inserendoli all'interno di spazi e situazioni
mentalmente costruiti, virtuali, in cui il soggetto si muoveva. E così la costruzione di
architetture, ambienti e contesti sociali virtuali progettati con l'utilizzo di tecnologie per
scopi molteplici, sono concepiti allo stesso modo degli esempi riportarti sopra.
La mente dell'uomo spazia nei suoi meandri, costruendo attraverso architetture mentali,
una dimensione soggettiva che si rende oggettiva, ad esempio, attraverso i romanzi o con la
costruzione di ambienti virtuali, che oggi trovano la loro realizzazione primaria in
luoghi/non luoghi come i computer, la rete, il cyberspazio. Un processo alquanto diverso
dall'immaginazione pura, in quanto essa non porta in sé la potenza dell'essere.
Si costruiscono realtà che si esternano sì a partire dalla dimensione soggettiva, ma che
mantengono allo stesso tempo la dimensione virtuale e concettuale del progetto originario.
«Gli esseri umani hanno sempre utilizzato il virtuale come forma di conoscenza
del reale. La letteratura mi permette di conoscere esperienze e mondi cui in gran
parte non potrò accedere di persona […]. La stessa letteratura non realistica […]
è un modo per esplorare mondi possibili […] Ma prima ancora della letteratura è
la stessa fantasia infantile ad ampliare la gamma delle esperienze [utili per il
futuro]»
13
.
Utilizzando un termine caro a Deleuze e criticamente ridiscusso da Lévi, la
virtualizzazione è un processo di deterritorializzazione
14
, e in questa chiave non va intesa
come un processo di astrazione; è piuttosto una liberazione dal semplicemente attuale,
salvezza, consapevolezza e capacità di capire che la vita è un sogno, e che i sogni sono
sogni, come accade al protagonista del racconto Le rovine circolari di Borges, che desidera
creare un uomo con lo strumento del sogno e solo nell'ultima, liberatoria scena scopre di
essere a sua volta il parto del sogno di qualcun altro.
13 A. Grotti, ComunIcare. Prendersi cura nel tempo della rivoluzione digitale, Roma, Editrice A VE, 2011, p. 64.
14 Termine che Lévi utilizza molto spesso nei suoi testi, ripreso da G. Deleuze, in particolare dall'opera Millepiani:
capitalismo e schizofrenia, 1980.
13