4
INTRODUZIONE.
Uno Stato, una Nazione, un Popolo, spesso si identificano in un simbolo e un simbolo può
esercitare un potere enorme: quello di forgiare l’identità di chi se ne appropria.
Per 123 anni la Polonia ed i Polacchi hanno dovuto cercare la propria identità nazionale, la
propria storia, in simboli del passato. Se ancora oggi la musica a tratti struggente, musica di
dolore e di dignità, di Fryderyk Chopin è illustrazione del carattere di un intero popolo, per
molti anni i patrioti polacchi hanno tratto la loro forza ed il loro orgoglio dal ricordo
dell’ultima grande opera nazionale precedente alla rovina del 1795: la Costituzione del 3
Maggio 1791.
La scelta di scrivere la mia tesi di laurea su questo spinoso e poco studiato (almeno in Italia)
argomento è stata dettata in primo luogo dalla curiosità che ho provato a lezione, quando
affrontammo l’argomento della cancellazione della Polonia-Lituania dalla carta geografica
d’Europa sul quale, ammetto, ero sufficientemente ignorante.
Nello scrivere questo elaborato ho dovuto in primo luogo confrontarmi con il testo originale
polacco del 1791, non esistendo una versione tradotta in lingua italiana moderna abbastanza
fedele all’originale. La versione italiana pubblicata a Napoli agli albori del secolo successivo
presenta omissioni notevoli, ed alcuni “arrangiamenti” legati al contesto che avrebbero viziato
l’analisi storica: si veda ad esempio la modifica dell’incipit. In assoluta modestia mi sono
permesso di riportare e poi tradurre in italiano alcuni brani dall’originale polacco,
utilizzandoli come base per il mio lavoro.
Durante la ricerca bibliografica sono rimasto colpito da un’osservazione dello storico Norman
Davies: egli sostiene che la Costituzione del 3 Maggio abbia costituito, per la Polonia, più un
cambiamento di tipo evolutivo che rivoluzionario in senso stretto. Questa affermazione era in
netto contrasto con alcuni testi in cui mi ero imbattuto, che parlavano di “Rivoluzione Polacca
del 1791”. E’ da questo contrasto, e dalla dicotomia evoluzione-rivoluzione, che sono partito
ed ho cercato di esporre le caratteristiche del testo oggetto della tesi.
La tesi si apre con una ampia introduzione storica, nella quale ho cercato di descrivere le
vicende che portarono gradualmente al formarsi dell’insieme di leggi vigenti nella primavera
del 1791: la cosiddetta “vecchia costituzione”. Il processo fu lungo e disomogeneo, trattandosi
nella maggior parte dei casi di soluzioni di compromesso fra il sovrano e la classe nobiliare in
seguito a conflitti interni. Il periodo preso in esame si conclude con quella mattina del 3
5
Maggio 1791, e non si discutono – se non per necessarie integrazioni – le vicende successive
che portarono allo smembramento della Confederazione Polacco-Lituana: ho voluto esporre
brevemente l’evoluzione del pensiero politico sottostante la stesura della Costituzione, la
nascita delle idee, la loro consacrazione scritta senza giudicare quanto detto alla luce degli
avvenimenti successivi.
Proprio alla filosofia politica dell’epoca è dedicato interamente il terzo capitolo, per il quale è
stato necessario operare una cernita fra gli autori che in quegli anni hanno arricchito la
letteratura polacca di settore. Sono stati scelti quattro autori polacchi, di cui tre direttamente
coinvolti nell’elaborazione del progetto di Costituzione, ed uno, Pawlikowski, inserito come
esempio della nascente sinistra giacobina. Seguono due importanti autori stranieri, Rousseau e
Mably che negli anni Settanta del XVIII secolo lasciarono un contributo di valore nel dibattito
sul futuro della Repubblica delle Due Nazioni.
Il lavoro si chiude, in seguito all’analisi commentata del testo nel capitolo quattro, con una
serie di riflessioni in merito alle disposizioni della nuova Costituzione ed all’interpretazione
che di quel 3 Maggio è possibile fornire oggi, alla luce di una letteratura che in Polonia è stata
sempre consistente ma che negli ultimi venti anni ha goduto di una buona espansione anche
nel mondo anglosassone per merito, va sottolineato, delle celebrazioni del bicentenario che si
sono tenute nel 1991.
Nelle appendici, infine, si trovano delle informazioni che ritengo utili ed importanti quanto
quelle contenute nella trattazione vera e propria, ma che per motivi di linearità espositiva ho
trovato difficile inserire nella narrazione oppure in seguito nell’analisi del testo.
L’appendice 4 contiene una carta geografica dove è rappresentata la Confederazione nei suoi
confini del 1791, senza quel caotico ammasso di linee tratteggiate che solitamente caratterizza
le mappe della Polonia nelle quali si vorrebbe esporre in un unico quadro grafico più momenti
storici.
Nell’appendice 5 si riporta invece in versione integrale polacca il testo costituzionale, di
modo che i conoscitori della lingua polacca abbiano possibilità di attuare un raffronto diretto
con il testo ed i non conoscitori provino, spero, un minimo interesse o curiosità per questa
bellissima lingua europea.
—
6
1. CONTESTO STORICO, POLITICO, ECONOMICO AL MOMENTO DELL’ELEZIONE
DI STANISLAO II AUGUSTO.
1.1. Evoluzione dello Stato polacco dal XIV al XVIII secolo.
La Serenissima Res Publica Poloniae
1
, così indicata sulle mappe europee del XVII e XVIII
secolo, era uno Stato multinazionale dalla vastissima estensione territoriale: 282.000
chilometri quadrati* di superficie, più vasta – all’apice della sua estensione - del Regno di
Francia e del Regno di Spagna. La Repubblica comprendeva l’antico Regno di Polonia
(“Terre della Corona”, o semplicemente “Corona”) ed il Granducato di Lituania, oltre a non
insignificanti territori periferici semi-autonomi e dotati di statuti propri fra i quali è da
ricordare il Ducato di Curlandia, che dotò nominalmente la Confederazione delle sue uniche
colonie in Africa – Gambia e Tobago.
L’unione fra Regno di Polonia e Granducato di Lituania era scaturita dal matrimonio fra
Jadwiga, secondogenita di Luigi d’Angiò (già re di d’Ungheria e poi di Polonia dal 1370 al
1382) che era rimasto senza eredi maschi, ed il granduca di Lituania Jogaila (poi Ladislao) nel
1386. Per poter lasciare in eredità la corona ad una femmina, pratica contraria alle leggi
dinastiche del tempo, Luigi era stato precedentemente costretto a venire a patti con la nobiltà
polacca nel 1374 concedendo i cosiddetti “privilegi di Koszyce”
2
, che consistevano di fatto
nell’assenso nobiliare alla violazione della legge salica in cambio di un’esenzione tributaria a
favore dei firmatari. Jadwiga venne incoronata come król
3
, con il titolo al maschile, volendo
sottolineare la sua effettiva dignità di sovrana regnante e non di consorte. La maggior parte
degli storici concorda nel vedere in questo compromesso un precedente fondamentale nelle
relazioni fra il Re e la szlachta, la nobiltà polacca, improntate poi sino alla dissoluzione dello
Stato nel 1793 ad una progressiva restrizione dei poteri regi in rapporto a quelli dei principali
magnati
4
. Con l’ascesa al trono della dinastia lituana degli Jagelloni nasceva uno Stato
estrememanete esteso, comprendente le odierne Polonia, Lituania, Bielorussia e parte
dell’Ucraina ma dal potere regio centrale già in parte limitato dai privilegi e dalle esenzioni
1
Durante l’intera trattazione non si preferirà mai una denominazione dello stato polacco-lituano ad un’altra,
non esistendone di fatto una ufficiale. Siano quindi sinonimi: “Repubblica delle Due Nazioni”, “Res Publica
Polacco-Lituana”, “Polonia-Lituania”, “Confederazione polacco-lituana”, ed a volte semplicemente “Polonia”,
“Repubblica”, “Rzeczpospolita” in linea con la tradizione degli studi sull’argomento. Quando possibile si
cercherà comunque di ricordare la dualità polacco-lituana.
2
Cfr. Filippini, Caterina, Polonia, Bologna, Il Mulino, 2010, e Wawrzyniak, Jan, La Polonia e le sue Costituzioni
dal 1791 ad oggi, Rimini, Centro Italiano per lo sviluppo della Ricerca, Maggioli Editore, 1992.
3
“Re”.
4
Cfr. Halecki, Oskar, Storia della Polonia, Londra, J.M.Dent and Sons Ltd, 1955 (trad. italiana Roma, Edizioni
Hosianum, 1966, pp.97-107).
7
dei nobili locali. Nel 1454 la szlachta ottenne un ulteriore successo nell’emancipazione
rispetto al potere centrale, con la concessione della cosiddetta “Carta di Chojnice-Nieszawa”
che obbligava il re a sottostare al consenso delle assemblee nobiliari locali (Sejmiki) non più
solamente nell’imposizione di nuovi tributi, ma anche per la chiamata alle armi dei coscritti.
Nel 1493 si riunì per la prima volta il Sejm generale formato da una Camera dei Nunzi, in cui
sedevano i rappresentanti eletti dalle assemblee nobiliari locali, ed un Senato composto da
membri del clero e della nobiltà che il sovrano nominava a vita; nel 1505 si stabilì, con l’atto
regio del Nihil Novi, che il monarca non avrebbe potuto approvare alcuna legge senza il
consenso della Camera dei Nunzi e del Senato. Già agli albori del XVI secolo la Polonia-
Lituania si caratterizzava dunque come una monarchia parlamentare, con un sovrano che
gradualmente perdeva di incisività nella gestione della cosa pubblica in favore della classe
nobiliare assisa nel Sejm. L’unione personale fra Regno di Polonia e Granducato di Lituania
fu trasformata in unione dinastica nel 1569, pochi anni prima della morte dell’ultimo sovrano
jagellonico Zygmunt II August; è importante sottolineare come tale dinastia non avesse
mantenuto il trono per via ereditaria ma soltanto per concessione della nobiltà che di volta in
volta aveva accettato la trasmissione padre-figlio della corona per poter mantenere i propri
privilegi, in buona parte legati proprio all’unione con la Lituania
5
. Morto Zygmunt II August
senza eredi maschi, si svolse la prima elezione “esplicita” del sovrano da parte dei nobili, che
incoronarono Re di Polonia e Granduca di Lituania Henri de Valois; la scelta di un re
straniero era l’unica soluzione per un corpo nobiliare articolato in fazioni tanto contrapposte
da non poter sopportare di vedere uno dei propri rivali sul trono. Il principio dell’elettività del
sovrano rimarrà immutato fino alla Costituzione del 3 Maggio 1791, e sarà (su questo quasi
tutti gli storici concordano) uno dei principali motivi della perenne instabilità della Polonia in
un’epoca in cui nel resto d’Europa si andavano affermando poteri sempre più centralizzati
nella figura del monarca assoluto, vincitore nella lotta per l’egemonia contro la nobiltà
feudataria. Con il principio di elettività del sovrano si andò affermando anche quello della
separazione fra la persona del Re e la posizione da lui occupata nel sistema statale, la Corona
o suprema magistratura dello Stato. Di fatto il Re di Polonia e Granduca di Lituania non era
altri che un eletto, cui la nobiltà (successivamente detta Nazione) polacca aveva accordato il
privilegio di presiedere alla più alta carica statale; una concezione diametralmente opposta a
quella di sovranità regia per diritto divino che andava radicandosi in molti stati Stati
dell’Europa occidentale. Tale concezione fu resa giuridicamente esplicita e vincolante proprio
al momento dell’elezione di Henri de Valois, cui i nobili imposero la sottoscrizione degli
5
Cfr. AAVV, The Polish-Lithuanian Monarchy in European Context, c.1500-1795, a cura di Richard Butterwick,
New York, Palgrave, 2001, pp.82-92.
8
Articuli Henriciani: si stabiliva che era abolita la trasmissione ereditaria della corona e che il
re avrebbe ricevuto la stessa in seguito a libere elezioni viritim; si stabiliva poi che il monarca
aveva l’obbligo di convocare il Sejm almeno ogni due anni per sedute di sei settimane, e che
la nobiltà si riservava il diritto di rescindere i propri legami di lealtà verso la persona del
sovrano in caso di inadempienza alle proprie funzioni da parte dello stesso
6
. Oltre a queste
forti limitazioni del potere del sovrano, si ricordava che il re era comunque sempre tenuto al
rispetto dei Pacta Conventa, ovvero al rispetto di tutti gli accordi precedentemente stipulati
con la nobiltà. Di fatto, il sovrano al momento dell’elezione si trovava ad assumere l’incarico
conferitogli previa giuramento di rispetto di quelle che potremmo chiamare leggi, come un
qualunque funzionario. Queste regole rimarranno in vigore per più di due secoli, trasformando
di fatto la Rzeczpospolita Obojga Narodów Polskiego i Litewskiego
7
in una repubblica
nobiliare con a capo dello Stato un re, eletto dal parlamento.
1.2. La “vecchia costituzione”, analisi delle istituzioni statali precedenti al 1791.
Il sistema istituzionale polacco antecedente la Costituzione del 3 Maggio, a volte indicato con
l’espressione “vecchia Costituzione” e fondato proprio sugli Articuli Henriciani, era così
strutturato: la gestione dello Stato era affidata al Sejm, dieta generale dello Stato, che si
riuniva, come già detto, ogni due anni per sei settimane solitamente nel mese di ottobre a
seguito di un “universale”, cioè per decreto del Sovrano; l’assemblea si riuniva regolarmente
due volte a Varsavia e la terza a Grodno, in Lituania; in essa si riunivano i tre Stati
componenti la Repubblica: il Re, i Senatori ed i Nunzi. Questa semplificazione potrebbe
tuttavia risultare fuorviante in quanto negli affari di governo il sovrano, sebbene non fosse
affiancato da un vero e proprio gabinetto, collaborava con quattro ministri di sua nomina
(Gran Cancelliere, Gran Tesoriere, Gran Generale e Gran Maresciallo) che non disponevano
tuttavia di ministeri in senso moderno.
Il Re deteneva il ruolo di rappresentanza dello Stato, i titoli di giudice supremo (solo in teoria)
e di suprema magistratura dello Stato, e per status di sovrano prendeva parte all’esercizio del
potere legislativo. Il sovrano non aveva facoltà di dichiarare guerra né di stipulare trattati di
pace, nonostante la gestione degli affari esteri fosse teoricamente di sua competenza; non
aveva facoltà di comando dell’esercito della Corona; al momento dell’incoronazione doveva,
come già visto, prestare giuramento sui propri Pacta Conventa e sugli Articuli Henriciani. Il
6
Cfr. Gieysztor, Aleksander, Storia della Polonia, Varsavia, Państwowe Wydawnictwo Naukowe, 1979 (trad.
italiana Milano, Fabbri-Bompiani, 1983) e Samsonowicz, Henryk, Historia Polski do roku 1795, Varsavia,
Państwowe Zakłady Wydawnictw Szkolnych, 1973.
7
“Repubblica delle due Nazioni, polacca e lituana”.
9
Re era sottoponibile a giudizio e la sua persona non godeva dell’inviolabilità, contrariamente
a quanto stabilito in altre monarchie europee della stessa epoca. Era teoricamente eleggibile
ogni polacco appartenente alla szlachta anche se di origini non polacche. Alla morte di un
sovrano la reggenza passava al Vescovo di Gnieżno - Primate di Polonia - cui stava convocare
il Sejm elekcyjny
8
che, composto con le stesse modalità del Sejm generale (Sejm zwyczajny),
eleggeva il nuovo sovrano scegliendolo da una lista di candidati precedentemente compilata.
Il re eletto tuttavia non entrava ancora nel pieno delle sue funzioni: doveva infatti trascorrere
un periodo di valutazione durante il quale la nobiltà si riservava la possibilità di non
confermare il sovrano in caso di manifesta incompetenza o inadempienza. Una volta trascorso
il periodo di valutazione, veniva convocato il Sejm koronacyjny
9
che confermava la
precedente scelta; a questo punto il Primate di Polonia incoronava il nuovo sovrano nella
cattedrale di San Giovanni a Varsavia e, proprio al momento dell’incoronazione, il re giurava
fedeltà ai Pacta
10
. Il periodo di valutazione fra elezione e incoronazione per Stanisław August
Poniatowski durò poco più di due mesi
11
.
Il Senato era la camera alta della Repubblica ed era composto dai ministri
12
, dai vescovi, dai
palatini e dai principali castellani per un totale (secondo le osservazioni di Forst-Battaglia
13
)
di 153 senatori. Ministri, palatini (detti anche voivodi) e castellani erano nominati a vita dal
sovrano; tale nomina era revocabile solo per disdetta.
La Camera dei Nunzi era composta dai nobili eletti dai Sejmiki locali per un totale variabile,
sempre secondo Forst-Battaglia, fra i 220 e 236 deputati. Tutte le deliberazioni richiedevano il
voto all’unanimità. Ad ogni convocazione del Sejm, i Sejmiki eleggevano i loro rappresentanti
da mandare a Varsavia o alternativamente a Grodno con mandato per quella sola assemblea;
erano eleggibili alla Camera tutti i polacchi appartenenti alla szlachta non senatori e dotati di
pieni diritti, cioè né sospesi né minorati. Ogni nunzio riceveva dalla propria assemblea
d’elezione una “istruzione” da rispettare al Sejm generale, era cioè vincolato nelle votazioni al
rispetto delle opinioni precedentemente espresse dall’assemblea locale in merito a tutte le
questioni affrontate. Il vincolo di mandato imperativo non sarebbe stato il peggiore dei mali
8
“Sejm di elezione”.
9
“Sejm d’incoronazione”.
10
Cfr. Gieysztor, Aleksander, op.cit. e per approfondimento Bałuk, T. Sir Robert Filmer’s Description of the
Polish Constitutional System in the Seventeenth Century, in “The Slavonic and East European Review”, vol.62,
n.2, aprile 1984. Modern Humanities Research Association.
11
AAVV, Chronologia Polska, a cura di Bronisław Włodarski, Varsavia, Instytut Historii Polskiej Akademii Nauk,
Państwowe Wydawnictwo Naukowe, 1957.
12
Il numero dei ministri era variabile, solitamente se ne contavano 10 fra i quali i quattro principali sopra citati.
Vedi Forst-Battaglia, Otto, Poniatowski, l’ultimo Re di Polonia, (trad. italiana Milano, Edizioni Corbaccio, 1930).
13
Ivi.
10
del parlamentarismo polacco se non fosse stato affiancato dalla pratica del liberum veto: ogni
nunzio aveva la possibilità, o meglio il diritto, di pronunciare il proprio parere contrario sulle
questioni dibattute eliminando così ogni possibilità di votazione unanime; l’assemblea a quel
punto dichiarava chiusi i lavori e si ritirava, annullando anche tutte le deliberazioni precedenti
alla votazione nella quale era stato espresso il veto. Di fatto ogni nunzio era in grado di
ostacolare, in base alle “istruzioni” del suo Sejmik d’elezione, i lavori assembleari. Per secoli i
nobili polacchi si ostinarono nel vedere in questa pratica un esempio illuminante del concetto
di libertà, poiché che ogni Nunzio poteva ribellarsi all’autorità schiacciante della maggioranza
e far valere la propria singola posizione vanificando tutto il precedente lavoro dell’assemblea.
Questa złota wolność, “libertà dorata” come i nobili la definivano, era il simbolo paradossale
del sistema politico e istituzionale della Repubblica: i nobili, storici paladini nella battaglia
contro il re tiranno, potevano far valere le loro opinioni con la massima libertà ed ostacolare i
piani assolutistici del sovrano e della corte. Se questa visione che la szlachta aveva di sé
poteva aver avuto un qualche fondamento ai tempi della dinastia dei Piast, già risultava meno
realistica durante il periodo degli Jagełłoni ed ancor meno alla metà del XVIII secolo, dopo
due secoli di elezione parlamentare del sovrano. D’altro canto le mire assolutistiche dei re
polacchi non esistevano soltanto nelle fantasie della classe nobiliare: non era insensato per il
sovrano aspirare ad un rafforzamento del proprio potere esecutivo e ad un maggiore
accentramento amministrativo in uno Stato che era più vasto della Francia ma controllato da
“liberi” signori feudali storicamente avversi alla corona
14
. Come sarebbe stato possibile
riformare la Rzeczpospolita nei settori che più le facevano difetto, l’immobilismo politico, la
gestione dell’esercito e la stabilità istituzionale se non tramite radicali cambiamenti imposti
dall’alto? Non era possibile avviare forzatamente uno sviluppo industriale e manifatturiero in
uno Stato dove non esisteva neanche una Tesoreria centrale unica, ma due indipendenti per la
Corona e per il Granducato.
Il controllo nobiliare nelle province (che comprendeva il diritto di vita e di morte dei
contadini) garantiva una sorta di continuità amministrativa: nel periodo che intercorreva fra la
morte di un sovrano e l’incoronazione del successivo le poche leggi che il Sejm era riuscito ad
approvare a sovrano regnante venivano automaticamente sospese, lasciando ai nobili locali
tutta la discrezione se rispettarle o meno. Il Regno di Polonia ed il Granducato di Lituania,
sebbene formalmente uniti nell’istituzione della Corona, rimanevano autonomi per quanto
riguarda la gestione degli affari economici e dell’esercito: le due entità infatti mantennero
14
Per un approfondimento sul rapporto fra il sovrano e la nobiltà, cfr. AAVV, The Polish-Lithuanian Monarchy in
European Context, c.1500-1795, a cura di Richard Butterwick, New York, Palgrave, 2001, pp.132-149.
11
ognuno la propria Tesoreria ed i propri Hetman
15
, i capi delle forze armate
16
. Il potere, nel
periodo che intercorreva fra una convocazione del Sejm ed un’altra, era in mano alla nobiltà
locale che amministrava le sue terre come fossero del tutto indipendenti da Varsavia. Per
mantenere il proprio status e le proprie prerogative i nobili non esitavano, in occasione di
gravi tumulti o malumori sociali, a richiamare il principio della złota wolność e ad unirsi in
Confederazione contro il sovrano, giustificando la loro lotta con gli antichi ed ormai vacui
princìpi della suprema aurea libertas della Nazione per contrastare le mire assolutistiche
tipiche di ogni regnante.
La possibilità di unirsi in Confederazione rappresenta l’ultimo tassello per capire la debolezza
diplomatica e militare della Rzeczpospolita al momento dell’ascesa alla suprema magistratura
di Stanislao II Augusto nel 1764. La “vecchia Costituzione” prevedeva, infatti, la possibilità
di ribellarsi all’autorità regia organizzando una sorta di Sejm alternativo a quello statale
(konfederacja) nel quale dibattere proposte e riforme per poi passare, come spesso è accaduto,
alla lotta armata. Nell’assemblea confederata si votava a maggioranza, dando quindi più
slancio all’attività legislativa poiché si evitava il liberum veto.
1.3. Economia
17
.
La Repubblica, nella seconda metà del XVIII secolo, traeva gran parte delle proprie entrate
dalla produzione e dal commercio di derrate alimentari provenienti dal settore primario. Le
merci venivano scambiate via terra con i paesi limitrofi e via mare tramite lo strategico porto
di Danzica sul Mar Baltico, cui molti prodotti giungevano dall’entroterra attraverso
l’importante arteria commerciale della Vistola. La produzione manifatturiera era limitata a
pochi oggetti decorativi destinati ad una clientela nobiliare o comunque agiata. Non vi erano,
salvo rari ed isolati casi, produzioni industriali in senso moderno. La popolazione cittadina
non aveva ancora sviluppato lo spirito imprenditoriale che già contraddistingueva i borghesi
britannici, francesi ed olandesi; la gestione degli affari nelle città – o meglio, poco al di fuori
di esse – era di fatto in mano alle comunità ebraiche che non godevano comunque di alcun
diritto politico, pur rappresentando il dieci per cento della popolazione nazionale. Nelle parole
dello storico Jerzy Łukowski, “the Polish bourgeoisie was a pathetically frail creature […]
The wealthiest ‘bourgeois’ outside Warsaw were Jews, who scarcely registered in the
spectrum of political rights before the Diet’s closing months. Poland scarcely had a
15
Tradotto in italiano con “Etmano” o “Atamano”, grado militare più alto nella Repubblica.
16
Cfr. Appendice 2.
17
Si fa riferimento a Gieysztor, Aleksander, op.cit. e Bogucka, Maria, Baltic commerce and urban Society, 1500-
1700. Gdańsk/Danzig and its Polish Context, Ashgate Variorum UK-USA, 2003.
12
bourgeoisie worth the name – and, as some Polish critics complained, too many of its leading
lights were happy to be bought off with ennoblement”
18
. Si trattava dunque, rispetto alle
profonde mutazioni interne alle economie di altri paesi europei di quegli anni, di un sistema a
base agricola profondamente arretrato ed in ritardo strutturale nei settori che sarebbero
risultati trainanti in una moderna economia industriale. Le entrate dello Stato erano minate da
una lunga serie di esenzioni fiscali e privilegi particolari concessi nei secoli alla nobiltà ed al
clero. Considerando l’assenza di ministeri in senso moderno, è facile immaginare come gli
investimenti statali fossero gestito in modo approssimativo o comunque non pianificato.
1.4. Le forze armate.
La Confederazione Polacco-Lituana, rispetto ad un territorio di 282.000 chilometri quadrati,
era relativamente poco popolata: il numero di abitanti totale (esclusa la Curlandia) diminuì da
dodici a sette milioni e mezzo di unità con la prima spartizione del 1772, fino ad arrivare ad
un totale di nove milioni nel 1791
19
; l’esercito della corona annoverava circa 12.000
20
uomini,
una forza irrisoria se confrontata con gli eserciti dei confinanti Impero Russo, Regno di
Prussia, Impero Asburgico.
Una rivolta nobiliare armata avrebbe avuto facilmente ragione di queste esigue forze armate,
visto che il reclutamento della cavalleria (corpo di dimensioni sproporzionate, eccessive,
rispetto alla fanteria per un esercito moderno) dipendeva dai feudatari locali ai quali
competeva anche l’educazione militare e la preparazione effettiva dei cadetti. Ancoràti alla
tradizione degli Ussari alati ed alla leggenda della battaglia di Vienna del settembre 1683
nella quale il re polacco Jan Sobieski alla guida della cavalleria polacca sconfisse i Turchi
evitando la presa della città da parte dei musulmani, i nobili della szlachta avevano
perseverato in un tipo di istruzione militare e di formazione tecnica dei combattenti quanto
mai retrograda rispetto alle dirompenti innovazioni tattiche e tecniche messe in campo dagli
eserciti dei paesi confinanti: l’esercito della Corona poteva dirsi, oltre che in sovrannumero di
cavalieri, quasi del tutto sfornito di artiglieria e ignorante in tattiche militari moderne.
L’esenzione di molti nobili e della Chiesa da buona parte delle imposte e la pratica
parlamentare del liberum veto avevano nel tempo vanificato ogni tentativo incisivo di riforma
tributaria e mantenuto necessariamente bassi gli investimenti statali nel settore della difesa, un
18
Nella recensione di Constitution and Reform in the Eighteenth Century Poland: The Constitution of 3 May
1791 di Samuel Fiszman, in “The American Historical Review”, vol.104, n.1, febbraio 1989, p.272.
19
Gieysztor, Aleksander, Storia della Polonia, Varsavia, Państwowe Wydawnictwo Naukowe, 1979 (trad.
italiana Milano, Fabbri-Bompiani, 1983, p.253).
20
Davies, Norman, God’s Playground - A History of Poland, Bognor Regis, Columbia University Press 1982,
p.513.