5
Prefazione
“La donna lavoratrice è stata un prodotto dell’industrializzazione perché durante questa
trasformazione essa è diventata un problema per la società”. Joan W. Scott, La donna
lavoratrice nel XIX secolo.
In Italia, le prime leggi a tutela della maternità in materia di lavoro vennero emanate
nel XIX secolo, in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Agli inizi del Novecento venne
approvata la legge n. 242, nota come “legge Carcano”, che prevedeva per le madri
lavoratrici un congedo obbligatorio non retribuito nelle quattro settimane successive al
parto. Nello stesso periodo venne istituita una cassa di maternità che prevedeva
l’erogazione di un sussidio alle lavoratrici in congedo.
In seguito il regime fascista rallentò lo sviluppo normativo a favore del lavoro femminile e,
poiché mirava alla crescita dei tassi di natalità, le donne vennero incoraggiate a rimanere
a casa per dedicarsi alla cura della famiglia. Con la caduta del fascismo, i padri costituenti
si trovarono di fronte all’esigenza di colmare il vuoto legislativo. Di conseguenza nella
Costituzione vennero sanciti alcuni principi molto importanti in tema di maternità.
In particolare l’articolo 37 introduceva il principio secondo cui lo svolgimento della
funzione familiare deve essere pienamente consentito alla donna che lavora, così come la
possibilità di svolgere un’attività lavorativa extradomestica non deve essere compromessa
dall’adempimento delle funzioni familiari.
La maternità, a cui originariamente si rivolge la tutela costituzionale, è intesa sotto il profilo
che interessa lo stretto rapporto biologico tra madre e figlio e volta a tutelare la salute e
l’integrità fisica della madre e del bambino, nato o nascituro, nell’ambito del rapporto di
lavoro.
6
Tale prospettiva è stata progressivamente superata dalla successiva legislazione e
dagli interventi del giudice costituzionale
1
.
A partire dagli anni settanta del secolo scorso si è assistito ad un’evoluzione del concetto
stesso di maternità: dalla considerazione della stessa quale mero dato biologico a “luogo
delle relazioni affettive da tutelare in nome dell’interesse superiore dell’equilibrio psico-
fisico del bambino”
2
.
In particolare, l’articolo 6 della Legge n. 903 del 1977, attribuendo alle lavoratrici che
abbiano adottato bambini o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo la facoltà di
avvalersi dell’istituto del congedo di maternità e del relativo trattamento economico,
chiarisce come la protezione della maternità prescinda dall’evento fisiologico del parto, per
rivolgersi alla tutela dei rapporti affettivi indispensabili per lo sviluppo del bambino, tanto
nella famiglia naturale quanto in quella adottiva.
La medesima finalità è stata perseguita tramite il progressivo ampliamento del periodo di
astensione obbligatoria post-partum.
1
Per una panoramica sulla legislazione si segnala la Legge 26 aprile 1950, n. 860, “Tutela fisica ed
economica delle lavoratrici madri”, la Legge 30 dicembre 1971, n. 1204 “Tutela delle lavoratrici madri” e il
seguente regolamento attuativo Decreto del presidente della Repubblica n. 1026 del 1976, la Legge 9
dicembre 1977, n. 903 “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”. Sulla giurisprudenza
costituzionale si segnalano: Corte Costituzionale n. 1 del 1987, che ha riconosciuto anche al padre il diritto
all’astensione dal lavoro e ai riposi giornalieri, ove l’assistenza della madre al minore sia divenuta
impossibile per decesso o grave infermità; Corte Costituzionale n. 332 del 1988 che ha riconosciuto alle
lavoratrici il diritto all’astensione facoltativa per il primo anno dall’ingresso del bambino in famiglia, nell’ipotesi
di affidamento provvisorio, e il diritto al congedo di maternità nei primi tre mesi successivi all’ingresso del
bambino in famiglia, in caso di affidamento preadottivo; Corte Costituzionale n. 341 del 1991 che ha
riconosciuto al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice, il diritto al congedo di maternità in caso
di affidamento provvisorio; Corte Costituzionale n. 179 del 1993 che ha esteso al padre lavoratore, in
alternativa alla lavoratrice madre consenziente, il diritto ai riposi giornalieri per l’assistenza al figlio nel primo
anno di vita; Corte Costituzionale n. 104 del 2003 che ha riconosciuto il diritto ai riposi giornalieri, in caso di
adozione o affidamento, entro il primo anno dall’ingresso del minore in famiglia, anziché entro il primo anno
di vita del bambino; Corte Costituzionale n. 385 del 2005 che ha riconosciuto anche al padre libero
professionista, affidatario in preadozione di un minore, il diritto di percepire in alternativa alla madre
l’indennità di maternità).
2
L. Cassetti, sub. Art. 31, nel Commentario della Costituzione a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, I,
Utet, Torino, 2006, p. 641 ss.
7
Se infatti la Legge n. 1789 del 2 luglio 1929 prevedeva un solo mese di congedo dopo il
parto, la successiva Legge n. 860 del 1950 lo estendeva a otto settimane, mentre il
vigente Testo unico in materia di sostegno alla maternità e alla paternità protrae il periodo
di interdizione dal lavoro, di regola, fino a tre mesi dopo il parto.
Contemporaneamente si è assistito alla progressiva parificazione della situazione
giuridica del padre nella condivisione dei diritti e doveri che derivano dalla maternità.
Gli interventi della giurisprudenza costituzionale, in seguito codificati dal legislatore
nazionale, hanno progressivamente provveduto a riconoscere al padre i medesimi diritti e
oneri connessi alla maternità. Un’importante innovazione della disciplina si è avuta con la
Legge 8 marzo 2000 n. 53, la quale ha dato attuazione alla Direttiva CEE n. 34 del 1996.
La suddetta Legge si è proposta il fine di sostenere le responsabilità genitoriali,
promuovere le pari opportunità e la condivisione delle responsabilità tra donne e uomini.
La nuova normativa ha introdotto il principio del riconoscimento per entrambi i genitori, in
maniera autonoma e disgiunta, del diritto alla cura della famiglia. In particolare la
normativa attuale contempla, accanto ad ipotesi in cui il diritto del padre è “derivato” da
quello della madre, come nel caso di astensione obbligatoria, altre fattispecie ove il diritto
del padre è “originario”, ovvero svincolato dall’impossibilità per la madre di esercitare il
medesimo diritto.
In particolare, l’innovativo strumento del congedo parentale consente ad entrambi i
genitori, e fino al compimento dell’ottavo anno di età del minore, di godere di periodi di
astensione facoltativa, continuativi o frazionati. La grande novità è che la sospensione del
rapporto di lavoro è diventato un diritto sessualmente neutro, non necessariamente
collegato all’essere madre, bensì nell’avere figli, naturali o adottivi, dei genitori lavoratori
3
.
La suddetta neutralità del congedo parentale svela l’ambizioso obiettivo di riequilibrare le
responsabilità familiari tra i due genitori e di ridistribuire i ruoli nella sfera lavorativa
4
.
Tale progressiva modificazione del sistema normativo, il cui impulso determinante è
derivato dalla normativa comunitaria, pone il fondamento per una attuazione della tutela
della maternità che volge verso la genitorialità
5
.
3
R. Del Punta, La nuova disciplina dei congedi parentali familiari e formativi, in Rivista italiana di diritto del
lavoro, 2000, p. 162.
4
L. Calafà, La prestazione di lavoro tra assenze e (dis)equilibri familiari, in Lavoro e diritto, 2001, p. 149.
5
L. Cassetti, op. cit., p. 648.,
9
Capitolo 1
Storia della legislazione italiana a protezione del lavoro
femminile
1.1 Le origini della tutela
Storicamente l’esigenza di tutelare la lavoratrice si è posta innanzitutto in relazione
al suo stato di gravidanza e al successivo puerperio.
Fino al termine del XIX secolo una tenue forma di tutela veniva garantita solo alle
lavoratrici iscritte alla Società di mutuo soccorso
6
; in particolare venivano elargiti sussidi di
baliatico e puerperio con modalità diverse per ogni ente
7
. A seguito di un’insistente
richiesta da parte delle donne a causa della mancanza di un’adeguata protezione
legislativa, tali istituzioni private crearono al proprio interno un’apposita Cassa di
assistenza per la maternità. La prima cassa di mutua assistenza per la maternità fu
fondata a Torino nel 1898, poi seguirono quelle di Bologna nel 1899, di Firenze e Roma
nel 1904, di Milano nel 1905 e di Brescia e Bergamo nel 1906
8
. Alle partorienti veniva
assicurata un’indennità che consentisse loro di assentarsi dal lavoro per un periodo di
circa tre settimane, in cambio del versamento di un contributo mensile.
Tuttavia, un intervento normativo da parte del legislatore risultava del tutto
necessario, in quanto, a causa del carattere facoltativo e della scarsità dei mezzi
finanziari, l’attività delle Casse di mutua assistenza risultava del tutto insufficiente.
6
Ad eccezione di alcuni sporadici interventi legati a un contesto benefico, come la “scuola materna” della
Marchesa di Barolo fondata nel 1829, o filantropico, come le liberalità concesse da qualche imprenditore alle
proprie dipendenti incinte (dizionario biografico Treccani).
L. G. Fabbri, Solidarismo in Italia fra XIX e XX secolo, Giappichelli, Torino, 1996.
7
R. Alio, Le origini della società di mutuo soccorso in Italia, in V. Zamagni, a cura di, Povertà e innovazioni
istituzionali in Italia, Il Mulino, Bologna, 2000.
8
V. Strinati in Origini e istituzione della cassa di maternità (1875 - 1910), periodico studi storici, 2004, volume
45, fascicolo 2; L. Savelli e A. Martinelli, Il lavoro femminile lo sviluppo economico in Italia, edizioni Firenze,
Pisa, 2009, p. 83.
10
La prima normativa sociale
9
, inizialmente rivolta alle donne e ai fanciulli, finì per dettare
alcuni principi solo per l’impiego di quest’ultimi in quanto, per non ledere gli interessi degli
imprenditori, le limitazioni allo sfruttamento delle donne furono progressivamente
stralciate
10
.
Le inchieste sul lavoro femminile di fine Ottocento fecero emergere i seguenti
fenomeni: la posticipazione del menarca fra le sarte torinesi, i disturbi mestruali delle
mondine, le malattie dell’utero provocate dall’uso prolungato della macchina da cucire, gli
aborti e i parti prematuri a cui erano soggette le operaie costrette a lavorare in piedi, le
difficoltà delle operaie di fabbrica ad allattare regolarmente i figli, l’elevata mortalità
infantile tipica delle zone industriali
11
, ecc.
Tuttavia, nonostante le preoccupazioni per i rischi del lavoro di mercato e per la famiglia
ormai divenuta infeconda, soltanto nel 1902, a seguito di un lungo iter parlamentare, che
ne attenuò l’impatto innovativo, venne promulgata la Legge n. 242 del 19 giugno 1902 sul
lavoro delle donne e dei fanciulli nell’industria, nota come legge Carcano dal nome del
Ministro che l’aveva presentata.
Sostanzialmente la legge Carcano limitava a dodici ore la giornata lavorativa di donne e
bambini e prevedeva un mese di sospensione per le puerpere, ma si applicava solo
all’industria, all’edilizia e alle miniere; ammetteva inoltre moltissime deroghe e
contemplava multe bassissime, oltre ad escludere dalla tutela le lavoratrici domestiche e a
domicilio
12
.
9
Legge dell’11 febbraio 1886, n. 3657.
10
M. V. Ballestrero, Dalla tutela alla parità, Il Mulino, Bologna, 1979, p. 17.
11
L. Savelli e A. Martinelli, Il lavoro femminile lo sviluppo economico in Italia, edizioni Firenze, Pisa 2009, p.
83; Bravo, M. Pelaja, A. Pescarolo, L. scaraffia, Storia sociale delle donne nell’Italia contemporanea,
Laterza, Bari, 2001.
12
Rivista bimestrale di politica-socio-sanitaria fondata da L. Gambassini Giunta Regionale Toscana, anno
XXIII - gennaio-febbraio 2002 http://www.salute.toscana.it/saluter/docs/2002/art130.pdf#page=21;
M. Persiani, Trattato di diritto del lavoro, Volume 1, Cedam, Padova, 2012, pp. 5 ss.
11
In particolare, secondo l’articolo 6 della suddetta legge “le puerpere non possono essere
impiegate al lavoro se non trascorso un mese da quello del parto o in via eccezionale
dopo almeno tre settimane, quando risulti dall’Ufficiale sanitario del proprio Comune di
dimora abituale che le condizioni di salute permettono loro di compiere senza pregiudizio il
lavoro nel quale intendono occuparsi”.
Nei confronti della lavoratrice madre veniva quindi introdotta un’astensione obbligatoria
post partum, mentre non era ancora previsto alcun congedo ante partum né alcuna forma
di indennità.
Inoltre, dato che dalla tutela accordata alle operaie dalla Legge Carcano erano esclusi il
settore agricolo, il lavoro a domicilio, il lavoro domestico e quello familiare, il legislatore
incoraggiava l’occupazione marginale delle donne in quanto libera da vincoli legali
13
.
La normativa venne ampliata con la Legge n. 818 del 10 novembre 1907, che
costituiva il Testo unico sul lavoro di donne e bambini nell’industria, obbligando l’impresa a
consentire l’allattamento dei neonati sia nei locali appositamente predisposti dell’azienda,
sia mediante permessi di uscita durante l’orario di lavoro
14
.
Tale intervento fu puntualizzato nel regolamento per l’applicazione del Testo unico,
approvato con il Regio decreto n. 442 del 14 giugno 1909, che autorizzava pause di un’ora
per allevare il neonato, nel caso fosse necessario uscire dalla fabbrica, o di mezz’ora nel
caso esistessero apposite camere all’interno della stessa. Venne, inoltre, deciso che ogni
lavoratrice madre, intenzionata a riprendere il lavoro dopo il parto, dovesse presentare un
certificato medico da cui risultasse che era trascorso oltre un mese dall’evento.
Nel medesimo periodo, il Ministero per Agricoltura Industria e Commercio aveva
presentato in parlamento un progetto teso a garantire alle puerpere un sussidio per
compensare il danno economico risentito durante il periodo di astensione forzata
15
.
13
Rivista bimestrale di politica-socio-sanitaria fondata da L. Gambassini Giunta Regionale Toscana, anno
XXIII - gennaio-febbraio 2002 http://www.salute.toscana.it/saluter/docs/2002/art130.pdf#page=21.
14
R.
Cavallo, Lavoro delle donne, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1985, p. 557.
15
A. Cherubini, Storia della previdenza sociale in Italia (1860-1969), Editori Riuniti, Roma, 1977, p. 167.
12
Tale progetto fu temporaneamente accantonato per ragioni di natura politica ed
economica e ripreso qualche anno più tardi con la Legge n. 520 del 17 luglio 1910 che
istituiva la Cassa nazionale di maternità
16
, come una sezione autonoma della Cassa
nazionale di previdenza, per le operaie contemplate nel Testo unico del 1907, lasciando
ancora senza alcuna protezione le lavoratrici a domicilio.
In seguito all’emanazione del Regio decreto n. 1382 del 26 dicembre 1911 come
regolamento d’esecuzione, dal 6 aprile 1912 fu elargito un sussidio in misura fissa
indipendente dal salario e dall’età delle lavoratrici; tale diritto spettava anche in caso di
aborto dopo il terzo mese di gravidanza, mentre ne veniva escluso chi non rispettava il
periodo di astensione obbligatoria.
Immediatamente si verificò un netto squilibrio tra entrate e uscite dovuto al sistema di
finanziamento previsto
17
e la Cassa nazionale di previdenza dovette intervenire a più
riprese per colmare il deficit.
Per risolvere questa situazione, la disciplina venne modificata attraverso il Decreto legge
luogotenenziale n. 322 del 17 febbraio 1917 ed il rispettivo regolamento (Decreto legge
luogotenenziale n. 1071 del 21 giugno 1917), che stabilirono l’unificazione del contributo a
prescindere dalla fascia d’età delle lavoratrici ed un aumento della contribuzione a carico
dello Stato e del datore di lavoro.
Nel decennio successivo, prima del periodo fascista, il sistema di protezione così delineato
subì solo lievi integrazioni. In particolare, il regolamento per l’attuazione del Testo unico
sul lavoro di donne e fanciulli Decreto legge luogotenenziale n. 1136 del 1916 stabilì
regole più precise sulle camere di allattamento; la circolare n. 409819 del 1917 del
Ministero della guerra dettò norme più rigorose sugli adempimenti burocratici in materia;
l’articolo 8 del Decreto legge luogotenenziale n. 112 del 1919 sul contratto di impiego nel
settore privato, stabilì il diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo di tre
mesi in caso di malattia dovuta al parto di un’impiegata; infine, il Regio decreto legge n.
543 del 1920 deliberò un incremento del sussidio di puerperio.
16
P. Lambertucci, Diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2010, p. 585.
17
La contribuzione era dimezzata in caso di operaia sotto i vent’anni, equipartita tra la lavoratrice e
imprenditore, con un quarto della spesa a carico dello Stato.
13
1.2 La tutela della maternità nel settore agricolo
Per quanto riguarda la tutela della maternità nel settore agricolo, questa rimase per
molto tempo priva di qualsiasi tipo di protezione
18
, nonostante la natalità fosse molto più
elevata nelle campagne che nelle città.
Il Regio decreto legge n. 1502 del 7 agosto 1936, prendendo spunto dalla normativa
riguardante le mondine, approntò una normativa separata da quella generale definita con
la Legge n. 1347 del 1934. Come già previsto nel Regio decreto n. 636 del 1907 per le
risaiole, venne estesa a tutte le lavoratrici l’astensione obbligatoria per il mese
antecedente e successivo alla data del parto
19
.
A differenza della normativa generale, questa non prevedeva il divieto di licenziamento
durante la gestazione e la contribuzione era inferiore a quella richiesta negli altri settori
d’attività ed era per i 2/7 a carico della lavoratrice e per i rimanenti 5/7 a spese del datore
di lavoro
20
. Di conseguenza l’indennità era di un ammontare inferiore e ulteriormente
ridotta in caso di aborto; inoltre, nel caso in cui non fosse rispettata la necessaria
interdizione dal lavoro, la lavoratrice incorreva in una riduzione dell’assegno e il datore di
lavoro veniva punito con un’ammenda.
Infine, era prevista l’assistenza igienica e sanitaria in coordinamento con l’Opera nazionale
per la maternità e l’infanzia
21
.
Con l’approvazione della legge n. 860 del 1950 la disciplina venne unificata per
l’intera categoria del rapporto di lavoro subordinato e minime differenze rimasero solo per i
requisiti contributivi o per le retribuzioni medie di riferimento.
18
Ad eccezione dei provvedimenti speciali per la risicoltura del periodo liberale.
19
L. Savelli e A. Martinelli, op. cit., p. 83.
20
Proprietario del fondo o affittuario o enfiteuta o mezzadro.
21
L. Savelli e A. Martinelli, ibidem.