2
Nel 1776, A. Smith, introdusse, con la sua opera maggiore 3, il concetto di Capitale
Umano, proponendo l'analogia fra gli uomini e le macchine.
Nel 1848, J.S. Mill, in polemica con A. Smith, negò la possibilità di aggregare il valore
degli uomini e quello dei mezzi materiali, perché trattasi di grandezze fra loro non comparabili, in
quanto il valore dei mezzi materiali è determinato dalla loro utilità, dalla loro attitudine a soddisfare
i bisogni degli uomini, mentre è con riferimento agli uomini che esiste la ricchezza nazionale,
poiché composta dai mezzi materiali 4.
Nel 1853, W. Farr, basandosi su una tavola di sopravvivenza, stimò i redditi futuri netti
di un uomo medio; metodo poi ripreso da I. Fisher più tardi.
Pochi anni dopo se ne occupò, con successo, anche E. Engel, il quale determinò il
valore dell'uomo basandosi sul costo di produzione, ossia sul costo di mantenimento dell'uomo,
dalla nascita sino alla morte.
Nel 1890, A. Marshall 5, con i suoi Principi di Economia, rifiutò di considerare le
capacità produttive del lavoratore come capitale in senso proprio.
Scriveva infatti A. Marshall: «... Il lavoratore vende il suo lavoro, ma la sua persona
rimane sempre proprietà di se stesso; ...» 6.
Tuttavia, in un altro passo, A. Marshall sembrava riconoscere, l'analogia proposta già
prima di lui da A. Smith: «... i salari e altri guadagni del lavoro hanno molto in comune con
3 SMITH A., Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, UTET, TO, 1973, p.
100.
4 MASTRODONATO A., I capitali umani, Cedam, Padova, 1991, pp. 21-22.
5 MARSHALL A., Principi di economia, UTET, TO, 1972.
6 ibidem, p. 745.
3
l'interesse sul capitale. Vi è infatti una corrispondenza generale fra le cause che regolano i
prezzi di offerta del capitale materiale e di quello personale; i moventi che inducono un
uomo ad accumulare capitale personale nell'educazione di suo figlio sono simili a quelli che
presiedono alla sua accumulazione materiale per suo figlio ...» 7.
Ed ancora, in un altro passo A. Marshall scriveva: «... il valore economico di un solo
grande genio industriale, è sufficiente a compensare le spese sostenute per l'intera città,
poiché una sola idea nuova, accresce la capacità produttiva di un'intera nazione» 8.
Il problema, nei termini qui esposti, non sembra aver interessato né K. Marx, né D.
Ricardo, anche se, a dir la verità, K. Marx 9, nella sua opera "Il capitale", affermava che:«... la
ricchezza ...., appare come un'immensa raccolta di merci ...», siano essi materiali che
immateriali, naturali o artificiali.
Irving Fisher nella sua opera 10 del 1906, ebbe modo di definire il capitale come ogni
bene che produca un flusso di servizi nel tempo: terra, macchine, edifici, materie prime, risorse
naturali e umane.
In particolare, offrì una spiegazione della natura del capitale e del reddito, associando al
primo, il concetto di fondo, stock di ricchezza esistente in un determinato momento ed al
secondo, il concetto di flusso di servizio che scaturisce dal capitale.
7 MARSHALL A., Principi di economia, UTET, TO, 1972, p. 862.
8 ibidem, p. 332.
9 MARX K., Il Capitale, N.C.I., Roma, 1970, p. 55.
10 FISHER I., La natura del capitale e del reddito, U.T.E., TO, 1922, pp. 44 e ss.
4
Questa sistemazione concettuale, già elaborata a suo tempo dal Walras, il quale aveva
accantonato la classica tripartizione dei fattori produttivi (terra, capitale, lavoro) per ammettere
una pluralità di mezzi di produzione e servizi produttivi, offrì una nozione di capitale che potremmo
definire "qualitativa", tale da poter consentire di includervi anche il fattore lavoro inteso come
fondo di potenzialità produttive 11.
In quello che è stato definito il più diffuso testo di economia del mondo, P. Samuelson 12
nel 1948, usò soltanto una volta l'espressione capitale umano e dedicò poche pagine sparse al
problema dell'istruzione e dello sviluppo qualitativo delle risorse umane.
Scriveva ad esempio P. Samuelson: «L'istruzione è uno degli investimenti più
redditizi. Il capitale umano offre un utile altrettanto grande o più grande del capitale sotto
forma di strumenti e costruzioni» 13.
Nel 1953, la J. Robinson 14 scriveva: «... Dal punto di vista dell'individuo, un
investimento adatto a far acquistare una capacità di guadagno, col pagare la
preparazione, può rappresentare l'alternativa al mantenimento di una proprietà redditizia,
ma ne differisce ... per il fatto che tale capacità non può essere né venduta né comperata ...
cosicché il valore capitale attuale della futura capacità personale di guadagnare ha un
significato metaforico piuttosto che reale ...».
11 VIGANO' A., Gli investimenti d'impresa in risorse umane, Giuffrè, MI, 1976, pp. 1-5.
12 SAMUELSON P.A., Economics, an introductory analysis, Mc Graw Hill, 1964, p. 120, o
versione italiana edita da UTET, TO, 1969.
13 ibidem, p. 120.
14 ROBINSON J., L'accumulazione di capitale, Ed. Com., MI, 1961, pp. 26-27.
5
In Italia diversi autori si sono occupati dell'argomento: G. Ferrari, P. Luzzato-Fegiz, G.
Fuà, A. Giannone, M. Talamo, G. Mortara, ed in particolare C. Gini, il quale ha avuto modo di
rilevare, nella sua opera Ricchezza e reddito 15, l'evoluzione dei rapporti tra il capitale e il lavoro,
anticipando per taluni aspetti J.K. Galbraith.
In particolare, secondo Gini, nel tempo, buona parte dell'utilità dei beni è captata
dall'uomo, mentre buona parte dell'utilità diffusa dall'uomo, viene captata dai beni materiali, con
un'evoluzione tale da far prevalere la seconda sulla prima, cioè tale da passare da un regime di
materializzazione dei capitali umani, ad un regime di personalizzazione dei capitali materiali.
Sul finire degli anni '50, se ne occupò M. Friedman 16, per il quale la ricchezza globale
comprende tutte le fonti di reddito o di servizi destinati al consumo; una di queste fonti è proprio
la capacità produttiva degli esseri umani.
Nel dicembre del 1960, T.W. Schultz, allora presidente della American Economic
Association, rilevò come «molti paradossi e molti interrogativi relativi alla nostra economia
possono essere risolti qualora si tenga conto dell'investimento in capitale umano» 17.
Nel 1964 H. Johnson introdusse il concetto di capitale umano nell'analisi dei problemi
dello sviluppo; M. Blaug lo applicò alle scelte in materia di istruzione.
Molto importanti possono ritenersi le teorie di J.K. Galbraith, il quale nella sua opera 18
del 1967 ebbe modo di evidenziare quanto il passaggio di potere dalla terra al capitale, e dal
15 GINI C., Ricchezza e reddito, Utet, TO, 1959, cap. XV e XXVIII.
16 ZANDA G., La valutazione del capitale umano dell'impresa, Cedam, Padova, 1992, pp. 228-
229.
17 SCIFO G., Il capitale umano dell'impresa, ISEDI, MI, 1974, pp. 1-2.
18 GALBRAITH J.K., Il nuovo stato industriale, Einaudi, TO, 1968.
6
capitale alla tecnostruttura, rivela sempre più l'importanza dell'istruzione e delle competenze
professionali come investimenti necessari a potenziare l'economia di una nazione.
Il Kendrick 19, sempre negli anni '60, evidenziò come la spiegazione dei fenomeni
"miracolosi" di crescita inattesa verificatasi in vari paesi, come il Giappone, potrebbe risiedere
proprio nelle capacità delle risorse umane.
*****
Nella teoria socio-economica, non si può tuttavia non evidenziare un certo ritardo,
ovvero una certa riluttanza e preoccupazione nell'accogliere il concetto di Capitale Umano tra i
suoi strumenti analitici.
Un motivo 20 può forse ritrovarsi nella concetto di istruzione quale fenomeno di élite, e
in quanto tale riservata solo a parte della società.
In passato, dato lo sviluppo limitato delle forze produttive, vere e proprie possibilità di
lavoro che non fossero manuali, non esistevano.
Ciò impediva alla mente umana di captare il legame funzionale tra istruzione, formazione
e produzione.
L'istruzione era vista così come un consumo, un fenomeno di alta classe sociale, che
pertanto si caratterizzava per la sua "inutilità".
19 ZANDA G., La valutazione del capitale umano dell'impresa, Cedam, Padova, 1992, p. 228.
20 SCIFO G., Il capitale umano dell'impresa, Isedi, MI, 1974, p. 26.
7
Un altro motivo, strettamente legato al primo, si può individuare nell'abbondanza della
forza lavoro, intesa come forza delle braccia, dei muscoli; condizione indispensabile per
alimentare ed espandere i processi produttivi.
Un altro motivo ancora, si può forse ravvisare, nell'ostilità della classe dominante
(capitalisti), di riconoscere il ruolo determinante del Capitale Umano in una società che trova nel
capitale fisico e nel principio dell'eguaglianza, i suoi momenti caratterizzanti.
Ma forse il motivo più importante si deve ricercare nel fatto che il valore dell'uomo sia
stato concepito come valore della persona in se stessa, come per altri beni 21.
Tuttavia negli ultimi anni il concetto di Capitale Umano, è stato ripreso da vari
economisti, consapevoli che lo sviluppo del capitale ha svolto un ruolo di scarso rilievo nel quadro
dello sviluppo del reddito nei vari paesi occidentali: «il misconoscimento non annulla la realtà,
ma impedisce che da essa si traggano tutti i vantaggi che in genere la conoscenza offre,
anche se può procurare qualche cruccio elaborativo o un supplemento di attenzione che è
sempre psicologicamente costoso» 22.
Di recente, il problema della quantificazione del Capitale Umano, ha interessato molte
discipline, quali l'economia politica neoclassica moderna, l'economia d'azienda e la psicologia del
personale.
Con l'economia politica neoclassica moderna, gli studi sono pervenuti alla elaborazione
di un modello teorico di riferimento per la misurazione della produttività, propedeutico alla
21 Ciò sarebbe possibile solo se le persone si acquistassero come fossero cose, il che è
ovviamente assurdo, sia sotto il profilo giuridico, che sotto il profilo morale.
22 SCIFO G., Gli investimenti in capitale umano, in Sviluppo e Organizzazione, lug.-ago. 1974.
8
assunzione delle decisioni aziendali; di carattere intuitivo, non risulta però molto rilevante in alcuna
possibile applicazione.
Gli studi economico-aziendali, pervengono invece alla elaborazione di contributi
significativi alla teoria della valutazione del Capitale Umano aziendale, attraverso considerazioni di
natura contabile, utili alla funzione informativa sia interna che esterna dell'azienda.
Infine gli studi della psicologia del personale, forniscono validi contributi alla percezione
individuale delle differenze produttive tra gli uomini, nonché alla misurazione dell'efficienza
dell'attività del personale; le applicazioni possono andare dalla selezione alla assunzione, dal
turnover all'addestramento, dalla mobilità alla valutazione del personale.
Sicuramente i singoli contributi sono da considerarsi fruttuosi in quanto concorrono a
chiarire aspetti diversi dello stesso problema; tuttavia i risultati di queste ricerche risentono
variamente delle impostazioni assunte, proprio perché le metodologie adottate, risultano
condizionate da approcci di tipo frammentario, e quindi conseguentemente figurano scarsamente
integrati, e ciò anche a causa del tipo di approccio degli studi, che fanno riferimento a schemi
differenti, propri delle singole discipline o talora mutuati da altre scienze, senza che ne sia talvolta
vagliata la validità in vista di scopi di ricerca invece ben definiti.
9
1.2. Nella teoria dell'economia politica e del lavoro, e dell'economia d'azienda
Nel quadro della teoria dell'economia politica e del lavoro, la Firm specific human
capital theory (fshc theory), ha fornito un contributo molto importante intorno al concetto di
Capitale Umano.
Affondando le sue radici nella teoria neoclassica ovvero marginalista, la Fshc theory
sostiene che l'imprenditore, in un mercato di libera concorrenza, nel tentativo di massimizzare il
profitto, remunera i fattori della produzione in base alla loro produttività marginale.
Fra questi fattori, anche quello umano sarebbe remunerato in base alla produttività
marginale dei lavoratori stessi, tale che, nel lungo periodo, sarebbe riscontrabile un'uguaglianza fra
il valore attuale delle entrate originate dai risultati marginali prodotti dal fattore umano ed il valore
delle uscite, generate sempre dal fattore umano, come ad esempio i costi per salari e stipendi e
per la formazione.
Autorevoli esponenti di questa teoria sono Dittman, Juris e Revsine 23, i quali
riproducono questi concetti, anche se con qualche adattamento.
In particolare, secondo gli autori la produttività marginale del lavoratore è uguale alla
somma dei salari e stipendi, con i costi per la formazione specifica e generale.
Analiticamente:
23 DITTMAN, JURIS e REVSINE, Unrecorded human assets: a survey of accounting firms in
training programs, in The accounting review, ott. 1980: "Gli autori distinguono il capitale umano
dalle attività umane. Il capitale umano concernerebbe il valore economico dell'individuo; le attività
umane riguarderebbero ad attività dovute all'individuo, non riportate in bilancio. L'esistenza del
primo, secondo gli autori, non implicherebbe l'esistenza del secondo, e viceversa";
Vedi anche G. Zanda, La valutazione del capitale umano dell'impresa, Cedam, Padova, 1992,
pp. 233 e ss.
10
0 t
t 1
n t
0 t
t 1
n tMRP MRP (1 i) W G S W (1 i)+∑ + = + + +∑ += − = −
dove:
0MRP ⇒ profitto marginale durante il periodo di formazione;
tMRP ⇒ profitto marginale successivo al periodo di formazione;
G
⇒ spese per la formazione generale;
S
⇒ spese per la formazione specifica;
0W ⇒ stipendio corrisposto durante la formazione;
tW ⇒ stipendio corrisposto successivamente al periodo di formazione;
−
+
t
1 i( ) ⇒ fattore di attualizzazione.
La formazione generale viene distinta da quella specifica:
- quella generale, fa riferimento a tutte quelle conoscenze ed esperienze acquisite dal lavoratore,
riconducibili comunque ai compiti peculiari della sua attività tipica, ma che non comportano
impegni economici da parte dell'azienda;
- quella specifica, fa riferimento a tutte quelle conoscenze ed esperienze acquisite grazie ad
impegni economici dell'azienda.
Secondo gli autori, solo nel caso in cui sia ravvisabile il secondo tipo di formazione, è
possibile la rappresentazione contabile delle risorse umane, e quindi l'identificazione di un Capitale
Umano.
Infatti la formazione generale incrementa la produttività del lavoratore in misura uguale
per qualsiasi azienda, a differenza di quella specifica che invece permette di incrementare la
produttività del lavoratore in misura diversa fra le diverse aziende.
11
Ciò significa che, è sempre il lavoratore a sostenere i costi per la formazione generale,
quindi il suo stipendio, inizialmente 24, sarà inferiore alla sua produttività marginale.
Analiticamente:
0 0W MRP G= −
di conseguenza, tenendo conto dell'equazione più sopra formulata:
t
t
n t
t
t
n tMRP i S W i
=
−
=
−∑ + = + ∑ +
1 1
1 1( ) ( )
cioè:
S MRP i W it
t
n t
t
t
n t= ∑ + −∑ +
=
−
=
−
1 1
1 1( ) ( )
il che equivale a dire che, il valore degli investimenti in formazione specifica sono uguali
alla differenza fra la produttività marginale futura attesa dei lavoratori e i costi per salari e stipendi
futuri che si dovranno sostenere.
Qualora "S" fosse contabilmente capitalizzata, potrebbe rappresentare il valore delle
attività umane: il Capitale Umano.
Tuttavia, come si può vedere dall'equazione, "S" può risultare anche uguale a zero:
secondo gli autori ciò dimostrerebbe che non sempre è giustificabile la rappresentazione contabile
delle risorse umane.
Lo sarebbe solo quando fosse ravvisabile:
- la presenza di formazione specifica;
- una limitazione alla mobilità del personale.
*****
24 Cioè il periodo di tempo necessario per poter recuperare i costi per la formazione generale.
Tempo che gli autori fanno coincidere con il periodo di formazione.
12
Altri contributi sono venuti dal campo degli studi economico-aziendali, anche a seguito
di sollecitazioni che pervengono dagli ambienti operativi, sviluppando, negli ultimi anni, un filone di
studio attinente alla "contabilità delle risorse umane", meglio conosciuto come Human Resource
Accounting, che ha messo a punto attendibili metodologie di valutazione delle risorse umane.
Questi studi, si sviluppano lungo quel vasto movimento della dottrina nord-americana
che mette in discussione la capacità delle rilevazioni tradizionali di soddisfare le esigenze
conoscitive-operative dei loro utilizzatori.
Tuttavia, lo Human Resource Accounting, non formula delle tecniche di inserimento
delle persone nel bilancio, bensì strumenti manageriali a supporto della gestione strategica delle
risorse umane.
Scopo infatti dello Human Resource Accounting, è quello di contribuire a migliorare la
qualità delle decisioni sia interne che esterne dell'azienda.
Secondo Flamholtz 25, lo Human Resource Accounting, elabora delle tecniche di
rilevazione contabile dei servizi potenzialmente ottenibili dalle risorse umane.
Questo concetto potrebbe implicare il calcolo di determinati costi, come quelli sostenuti
dall'azienda per la ricerca, assunzione, addestramento e sviluppo delle risorse umane (Costi
storici), oppure come quelli che l'azienda dovrebbe sostenere se dovesse sostituire le proprie
risorse umane con delle altre esterne, aventi lo stesso grado di conoscenze, capacità ed attitudini
di quelle attualmente operanti (Costi di rimpiazzo).
25 BIANCHI C., Il controllo dei costi di gestione e sviluppo delle risorse umane ed informatiche,
Giuffrè, MI, 1990, pp. 122 e ss.
13
Ma questo concetto, infine, potrebbe anche implicare il calcolo del Valore economico di
una persona o di un gruppo operante nell'azienda.
Rimane comunque scontato che, oggetto della valutazione e della rappresentazione
contabile non è l'uomo in quanto tale, bensì le prestazioni che può fornire all'azienda.
Solo quest'ultime possono essere considerate di natura patrimoniale, nel senso che sono
suscettibili di valutazione e rappresentazione contabile.
Del resto, lo Human Resource Accounting, è stato anche definito come «il processo
di identificazione e misurazione dei dati riguardanti le risorse umane e la comunicazione di
tali informazioni alle parti interessate» 26.
Ed è su questo piano che noi condurremo la nostra dissertazione, tentando non solo di
esporre quanto la dottrina, sia italiana che estera, ha sviluppato nell'ottica dello Human Resource
Accounting in tema di metodologie di valutazione e di rappresentazione contabile delle risorse
umane, ma di tentare di proporne delle nuove, sia per la valutazione che per la rappresentazione
contabile del Capitale Umano detenuto dalle risorse umane aziendali.
26 AMERICAN ACCOUNTING ASSOCIATION, Human resource accounting, in The
accounting review, 1973, p. 169.