V
Introduzione
La disciplina delle mansioni del lavoratore privato subordinato si presenta, ai giorni
nostri, come una tra le più delicate e discusse del diritto del lavoro.
Al suo centro, le mansioni, disegnano la principale obbligazione del lavoratore,
fungendo da riferimento per la determinazione del corretto scambio tra prestazione
lavorativa e retribuzione, nonché dell’inquadramento del soggetto stesso.
Esse sono l’insieme dei compiti e delle attività che un individuo, nella posizione di
lavoratore subordinato, si obbliga a corrispondere alla controparte datoriale e che
devono altresì essergli assegnate per contratto.
Il rapporto di lavoro vede, dopotutto, l’applicazione del principio della contrattualità
delle mansioni, motivo per cui il lavoratore, nel pieno rispetto degli obblighi di
diligenza (art. 2104 Cod. Civ.) e fedeltà (art. 2105 Cod. Civ.), è tenuto a svolgere il solo
modello di prestazione convenuto.
Con l’evoluzione dei sistemi produttivi in termini di articolazione e complessità, ed a
maggior ragione oggi, in un clima mondiale di condivisa incertezza e difficoltà nelle
attività produttive, le mansioni sono invero oggetto di continui mutamenti.
Queste variazioni avvengono normalmente all’interno di quella che è la prestazione
convenuta, attraverso ordini continui o direttive programmatiche frutto del legittimo
potere direttivo del datore.
Ma, allo stesso modo, possono realizzarsi al di fuori di questi confini con una mobilità
cosiddetta interna che, nel consentire la razionalizzazione dell’uso della forza lavoro, è
sempre più strumento di efficienza per le imprese.
Non appare così inverosimile, allora, il pensiero di quella parte di dottrina secondo la
quale l’apporto del prestatore di lavoro, non si esaurisce nella mera esecuzione dei
compiti per cui è stato assunto, perché interessa una più generica e rilevante messa a
disposizione all’azienda, della propria capacità professionale.
In questa ottica si comprende la rinnovata attenzione che, il legislatore del 1970, ha
voluto riporre nella riscrittura della disciplina delle mansioni (nell’art. 2103 Cod. Civ.),
per conferire una valida ed integra tutela al bene della professionalità.
VI
La criticità della materia affrontata attiene, in ogni caso, ad una dimensione più ampia
del solo contratto di lavoro e deriva dalla sua collocazione in un piano ove convergono,
di fatto, i molteplici e contrapposti interessi presenti nelle organizzazioni del lavoro.
I più rilevanti che emergeranno nel presente lavoro sono: l’interesse dell’impresa a
vedere soddisfatte appieno le proprie esigenze organizzative - produttive, e quello del
lavoratore ad essere adibito ad una posizione lavorativa coerente con il proprio
patrimonio professionale (oltre al riconoscimento di un trattamento proporzionato al
ruolo che questi ricopre).
Senza dimenticare che con l’assunzione del lavoratore, l’impresa non viene ad
acquisire soltanto il diritto a ricevere una prestazione lavorativa (o come da
precedente considerazione, una determinata capacità professionale) ma vede, altresì,
inserirsi nel proprio tessuto organizzativo un soggetto detentore di propri diritti (alla
salute, alla dignità, all’occupazione) garantitegli dall’ordinamento.
Così nel tentativo di condurre un’analisi critica di quella che, a rapide pennellate, si
potrebbe definire come la problematica delle mansioni del lavoratore (con i suoi tratti
lungamente dibattuti e sovrapposti tra giurisprudenza e dottrina), si intende offrire alla
materia un’apertura la più ampia possibile.
Nel primo capitolo, si affronta pertanto il tema dell’inquadramento del personale
subordinato e la definizione dei principali termini che sono alla base delle vicende del
lavoratore: le mansioni, la qualifica e la categoria.
Nel prosieguo, ampio spazio è dedicato all’illustrazione all’art. 2103 Cod. Civ.,. quale
norma di riferimento per l’intera disciplina delle mansioni (nel lavoro privato) e la
difesa del patrimonio professionale in senso statico e dinamico.
A partire dal confronto con la originaria formulazione del testo normativo, si ritiene qui
interessante valutare l’effettiva permeabilità dell’attuale disposto, al potere datoriale
dello Jus Variandi.
Segue l’esposizione delle possibili mansioni cui può essere legittimamente adibito il
lavoratore (le mansioni equivalenti e superiori), al fine di comprendere come, nello
specifico, il legislatore abbia inteso regolare la mobilità interna nelle due direzioni:
orizzontale e verticale.
VII
Conclude l’elaborato, infine, l’approfondimento della controversa pratica del
demansionamento dove, con uno sguardo d’insieme alle ipotesi legali ed all’approccio
di dottrina e giurisprudenza, si intendono cogliere le ragioni del crescente numero di
Corti che accolgono la possibilità di demansionare il lavoratore quale extrema ratio.
“ … il diritto alla conservazione delle mansioni
di assunzione, o delle mansioni effettivamente
esercitate […] altro non è che il diritto
a non fare ciò a cui non si è obbligati.”
(G. Giugni, Mansioni e qualifica in ED vol. XXV, 1975)
Mansioni, qualifiche e categorie
2
Capitolo primo
Mansioni, qualifiche e categorie
SOMMARIO: 1.1. Il sistema d’inquadramento. 1.2. I criteri d’inquadramento. 1.3. La categoria.
1.3.1. La natura storica delle categorie. 1.3.2. La nozione di categoria. 1.3.3. Il quadro normativo di
riferimento. 1.3.4. Il contenuto legale delle categorie. 1.4. Uno sguardo sulle categorie legali.
1.4.1. L’operaio e l’impiegato. 1.4.2. La nuova figura del quadro. 1.4.3. La categoria del dirigente.
1.5. Mansioni e qualifica. 1.5.1. Le mansioni del lavoratore. 1.5.2. La concezione della qualifica.
1.5.3. L’attività lavorativa dedotta in contratto. 1.6. La parità di trattamento nell’inquadramento.
1.1 - Il sistema d’inquadramento
Il sistema d’inquadramento è lo specifico procedimento logico - concettuale che
differenzia i lavoratori subordinati, per agevolare l’applicazione delle loro comuni
discipline normative e retributive.
La classificazione degli attori nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, avviene
attraverso l’intreccio di espressioni quali: la categoria, la qualifica e le mansioni.
Tali definizioni (spesso oggetto di confusionarie quanto alternate letture) risultano
fondamentali non solo in un’ottica di differenziazione delle ‘tipologie di lavoratori’
bensì, come si avrà modo di vedere, anche in quella attinente la delimitazione della
loro intera prestazione lavorativa
1
.
Il tema affrontato appare infatti come un “territorio del diritto del lavoro in continuo
movimento *…+ dato dal fatto che in esso sono destinate costantemente a riflettersi
*…+ le trasformazioni del contesto aziendale *…+ e le tensioni che si manifestano sul
mercato del lavoro, interno ed esterno all’azienda”
2
.
Questi mutamenti, registrati nei diversi patti collettivi, hanno negli anni creato
conseguenze nel vasto ambito della classificazione attraverso passaggi più o meno forti
(lo strappo dell’inquadramento unico) o diretti (la marcia dei ‘quarantamila’).
Cosicché quella che era stata concepita come una base oggettiva, sulla quale
1
Ed in questo senso, si spiega l’ampio spazio che i termini troveranno nel presente elaborato.
2
F. Liso, F. Carinci, M. Dell'Olio, Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industrial-l’inquadramento
dei lavoratori, Utet, 1987, p. 53.
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differenziare i trattamenti dei diversi lavoratori subordinati, si è in parte fatta carico
delle mutate necessità delle imprese.
Tra esse, acquista particolare rilevanza la crescente domanda di professionalità e
versatilità per far fronte alle contingenze esterne, ovvero per vincere le sfide di un
mercato in continua trasformazione da una dimensione locale ad una mondiale.
Il sistema d’inquadramento è divenuto, così, non solo protagonista di quella che è la
enunciazione delle diverse ‘tipologie di lavoratori’ rinvenibili nelle realtà aziendali, ma
anche compartecipe della struttura fondamentale delle loro prestazioni
3
.
Si osserva infatti, che sempre più spesso nei contratti individuali sono individuate le
mansioni mediante la sola indicazione della qualifica convenuta ed, in alcuni nuovi
sistemi chiamati a fasce larghe (‘broadbanding’), sono considerati pienamente esigibili
dal lavoratore non solo i compiti richiesti per contratto, ma anche tutti quelli inerenti
l’ampia area professionale, in cui questi è inserito.
Attraverso un giudizio di equivalenza (convenzionale
4
), che mostra quanto l’operazione
d’inquadramento sia andata oltre la suddivisione degli individui che prestano lavoro
subordinato, potendo appunto incidere sulla cosiddetta area del debito lavorativo
5
.
La classificazione dei lavoratori è dovuta così evolvere verso profili più attivi ed, allo
stesso tempo, neutrali nei confronti delle vicende dei prestatori di lavoro.
Nell’attuale assetto è quindi difficile rinvenire la stessa rigida e gerarchica concezione
della società, che ne ha accompagnato la sua prima ideazione quale insieme di status
innati ed immutabili, oggigiorno non più compatibili con il sistema produttivo.
L’operazione d’inquadramento nel prendere atto di tali mutamenti, ha da un lato,
cercato di fornire valide risposte agli interessi della collettività (ovvero le imprese ed i
lavoratori) e dall’altro, a non porsi come ostacolo al suo naturale sviluppo.
Rilevando oggi come semplice punto di incontro tra le prestazioni lavorative e le
relative discipline normativo - economiche collegate, al cui interno “il procedimento
logico - giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore
3
Come sottolinea U. Gargiulo in L’equivalenza delle mansioni nel contratto di lavoro, Rubbettino, 2008.
4
Il quale, dunque, non può escludere la concreta verifica del giudice affinché si accerti quantomeno il
mantenimento della professionalità acquisita.
5
E conseguentemente anche delle sue vicende interne, come la rilevante modificazione delle mansioni.
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4
subordinato deve *…+ seguire tre fasi: l'accertamento in fatto delle attività lavorative in
concreto svolte, l'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto
collettivo di categoria [ovvero regolamento del personale a esso equiparabile
6
] ed
infine il raffronto dei risultati delle due indagini”
7
.
1.2 - I criteri d’inquadramento
La scelta dei criteri di inquadramento, ricopre un ruolo fondamentale per il
funzionamento del sistema stesso.
Essi sono le singole regole (di varia natura legale, contrattuale o regolamentare), che
guidano la classificazione dei lavoratori subordinati nelle diverse categorie.
Si rende necessario fissare correttamente la loro definizione, al fine di non confondere
il minor ordine di grandezza che li contraddistingue, con quello più ampio del
procedimento classificatorio.
Al cui interno invero possono coesistere benissimo più regole le quali, anche in antitesi
tra loro, orientano la vicenda dell’inquadramento del personale subordinato.
Una interessante suddivisione dei presenti criteri è ad opera di Pietro Ichino
8
il quale,
occupandosi della materia, ne ha concepito uno schema composto da quattro classi:
Nella prima, la più grande, vengono collocati i criteri che attribuiscono rilievo al
contenuto della prestazione in oggetto oppure al ruolo ‘effettivamente assegnato’,
all’interno della particolare azienda.
Così, prendendo in riferimento le mansioni, possono coesistere (come d’altronde
avviene nei contratti collettivi in Italia) sia criteri che si limitano ad indicare i
requisiti generici per l’appartenenza ad una categoria piuttosto che ad un’altra
(rientranti normalmente sotto le ‘declaratorie’), sia quelli che, in termini più
diretti, offrono in via esemplificativa elenchi di figure professionali o qualifiche per
poi stabilirne, di volta in volta, le relative categorie da abbinare.
6
Dalla sentenza della Cass. 12/5/2006 n. 11037.
7
Tra le prime la Cass. 10 aprile 1999 n. 3528.
8
P. Ichino in Il lavoro subordinato: definizione e inquadramento. Artt. 2094-2095 in Il Codice civile -
Commentario Schlesinger, Giuffré, 1992.
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5
All’interno di questa prima classe, viene operata un’altra ripartizione in tre
sottoclassi a seconda che queste regole prendano in esame:
- le mansioni svolte attualmente e in passato
9
;
- le sole mansioni svolte nel presente;
- le mansioni che il lavoratore potrebbe svolgere, in un’ottica potenziale.
Dove lo scarto tra la prima e seconda sottoclasse è utile per differenziare, in
termini di trattamento, due lavoratori che svolgono al presente uguali mansioni ma
provengono da passati lavorativi diversi; mentre la peculiarità della terza (di
recente affermazione) risiede nell’attenzione che questa ripone nelle potenzialità
d’apprendimento e versatilità del soggetto.
E’ interessante notare come emerga in questo punto, seppur in chiave leggermente
differente perché limitata al solo inquadramento, il tema della professionalità: di
centrale importanza nei giudizi d’equivalenza tipici della mobilità interna.
Si vuole infatti sottolineare come le prime due sottoclassi possono esser fatte
ricondurre ad una sua concezione di tipo ‘statico’, fondata sul bagaglio di
esperienze e competenze attualmente detenute, la quale per molti anni (e ad oggi)
ha trovato il favore di una consolidata giurisprudenza.
Mentre, nella terza sottoclasse, vi si può leggere il riferimento ad una ‘dinamica’,
improntata non alla rigida tutela dell’ammontare di professionalità già acquisito,
bensì ad un suo possibile perfezionamento e sviluppo in futuro.
Occorre altresì ricordare che nel parametro quantitativo delle mansioni, non è
comunque rinvenibile l’unica trave portante di questa prima classe.
Oltre al ‘cosa’, viene considerato il ‘come’, ben agganciandosi al primo comma
dell’art 36 cost.
10
che collega la retribuzione sia alla quantità, sia a alla qualità della
prestazione.
La considerazione del ‘come’ avviene attraverso la valutazione di alcuni elementi
9
Così come da correzione di U. Gargiulo in L’equivalenza delle mansioni nel contratto di lavoro,
Rubbettino, 2008, p. 54 dove l’autore ritiene che “un criterio d’inquadramento*…+ potrebbe risultare in
contrasto con il principio di “effettività” contenuto nell’art. 2103 Cod. Civ., qualora desse rilievo soltanto
alle mansioni svolte in passato” ed in tale ottica ritiene ragionevolmente di sostituire la disgiuntiva ‘o’
con la congiunzione ‘e’ “.
10
Art 36 Cost.: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.
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riguardanti il modo di svolgere gli incarichi (l’estensione temporale, la disponibilità
agli spostamenti, la posizione gerarchica nell’organizzazione, la responsabilità, i
poteri di rappresentanza, il contatto con il pubblico), permettendo così di
assegnare categorie diverse anche a lavoratori che svolgono analoghi compiti.
Nella seconda classe si trovano le regole che rimandano alla capacità professionale
del lavoratore, indipendentemente dal preciso contenuto della sua prestazione.
Ciò impone di considerare, quindi, il titolo di studio, il diploma, la formazione
acquisita o ancora l’abilitazione all’esercizio di determinate professioni (con
l’iscrizione a ordini o albi) e le precedenti esperienze lavorative.
Il tutto nell’ottica di qualificazione dello ‘status professionale’ del lavoratore, o più
comunemente della ‘qualifica soggettiva’, alla quale raramente viene attribuito
valore esclusivo nell’opera d’inquadramento dell’individuo.
Ad eccezione di quei casi in cui, per l’accesso ad una particolare professione, si
richieda il possesso di una determinata qualifica sottoforma di requisito (per
esempio l’essere iscritti ad un apposito albo).
Nella successiva classe vi sono poi “i criteri non attinenti né alle mansioni né alla
capacità soggettiva del lavoratore”
11
.
Per l’inquadramento del soggetto si fa qui riferimento all’anzianità di servizio
(come indice di maggiore professionalità), alla particolare dimensione o posizione
geografica dell’unità produttiva in cui avviene la prestazione (le quali potrebbero
incidere sulle responsabilità ad essa connesse) e ancora in base a parametri come
lo stato di bisogno o il carico di famiglia.
Inoltre, andrebbero fatte rientrare in questa classe le caratteristiche personali
come il sesso, l’età, la razza, nazionalità od appartenenza etnica, che giustamente il
nostro ordinamento ha reso irrilevanti ai fini dell’inquadramento.
La quarta, ed ultima, classe racchiude infine i criteri d’inquadramento che invece
ripartiscono i prestatori di lavoro in categorie cosiddette ‘non comunicanti’.
Queste regole servono ad operare una differenziazione dei lavoratori in gruppi
12
11
P. Ichino, Il contratto di lavoro, Giuffrè, 2000, p.534.
12
Perché magari contraddistinti da peculiarità lavorative, sindacati o contratti collettivi che differiscono
sostanzialmente.
Mansioni, qualifiche e categorie
7
che tra loro non sono comparabili e, per questo, vanno tenuti distinti già in via
preliminare.
E’ proprio all’interno di quest’ultima classe, proposta da P. Ichino, che risulta
appropriato ricondurre il contenuto dell’art. 2095 Cod. Civ.
13
, con la relativa
ripartizione dei lavoratori subordinati in operai, impiegati, quadri e dirigenti.
Categorie, dunque, che non debbono rientrare in valutazioni di tipo gerarchico, perché
rese a priori incomparabili, data la finalità che è da riconoscersi oggi all’inquadramento
cioè la trattazione differenziata delle diverse tipologie di lavoratori.
1.3 - La categoria
1.3.1 - La natura storica delle categorie
La nozione di categoria risale a prima del regime corporativo.
Essa può essere definita come una suddivisione operata a monte dell’organizzazione
sociale che, almeno inizialmente, le ha attribuito i connotati di corpo autonomo e
preesistente, sottostante al diritto pubblico ed indipendente dall’azione dei sindacati.
Una entità riassuntiva di quella che è la posizione sostanziale del prestatore di lavoro.
Si deve notare che, per un lungo periodo, essa ha saputo imporsi come precetto
immodificabile
14
: in difesa del relativo diritto dell’operaio, impiegato o dirigente
15
(il
quadro è stato introdotto solo successivamente) al proprio specifico status acquisito
nel generico ambiente sociale, ancor prima di quello prettamente lavorativo.
Una rigida concezione della categoria, che è evidente esser stata di fatto favorita
dall’immutabilità dei complessi produttivi dell’epoca, nonché dall’agevole possibilità di
dividere in modo netto i prestatori di lavoro tra: soggetti preposti al lavoro
13
Art 2095 Cod. Civ.: “I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e
operai. Le leggi speciali (e le norme corporative) , in relazione a ciascun ramo di produzione e alla
particolare struttura dell'impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie”.
14
Secondo alcuni autori, tale concezione della categoria è rimasta intatta sino ai giorni nostri per mezzo
dell’art. 2095 Cod. Civ., nella parte in cui opera una rigida suddivisione dei prestatori subordinati in
“dirigenti, quadri, impiegati e operai”
. Ad esempio L. Mengoni: “Questa concezione ontologica della
categorie professionali, profondamente radicata nella nostra cultura tradizionale *…+ è sottesa all’art
2095” in Osservazioni e proposte sull’art 2095 Cod. Civ. in Riv. trim. di proc. civ., 1985, p. 462.
15
Nella Relazione del Guardasigilli al Codice Civile, 4 Aprile 1942, n. 79-bis, p. 189, si può leggere che
queste “forme fondamentali *…+ con ogni verosimiglianza non potranno mai essere superate”.