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Introduzione
La maternità è una fase molto speciale nella vita di ogni donna, che assume
connotazioni sia positive, sia negative: sono tanti i cambiamenti a cui si va incontro, a
partire da quelli fisici che sono quelli più osservabili, fino ad arrivare a quelli interiori
più difficili da esplorare. Tutti i cambiamenti permettono alla donna di scoprirsi non
solo più come tale, ma anche come madre, in grado di accettare un “altro da sé” che
inizialmente viene solo immaginato, successivamente percepito tramite i movimenti
fetali ed infine accolto tra le proprie braccia al momento della nascita.
Le esperienze vissute dalla donna, anche se spesso, possono compromettere la
sua identità individuale, le consentono di crescere, maturare e di ristrutturare la propria
individualità.
La donna attua una riorganizzazione della realtà esterna e della realtà interna
(Stern, D., 1985). Infatti, per il suo bambino prepara un luogo accogliente, come la
cameretta, ma anche uno spazio nella propria mente che possa accoglierlo come idea.
L’obiettivo di questo Elaborato finale, principalmente è quello di comprendere
quel complesso rapporto che si instaura tra le rappresentazioni materne che possono
essere analizzate durante la gravidanza, le interazioni precoci tra madre e bambino e lo
stile di attaccamento che il bambino acquisisce intorno al primo anno di vita.
Verranno quindi esplorate le rappresentazioni mentali che la donna possiede
durante la gravidanza, nei confronti del figlio che aspetta, di se stessa come madre e
come donna, ma anche nei confronti della gravidanza stessa.
Inoltre, verrà presa in considerazione la relazione di attaccamento tra madre e
bambino che si sviluppa dopo la nascita, analizzando le varie caratteristiche e
presentando le diverse modalità con la quale può essere osservata.
Mediante una rassegna della letteratura scientifica verrà messo in luce che la
gravidanza non è sempre una fase positiva e serena della vita di una donna, a volte, essa
a causa di diversi fattori si presenta come una gravidanza “a rischio”.
Nel presente Lavoro, verrà esaminata in particolare la maternità “a rischio
depressivo”, analizzando le sue caratteristiche e come è possibile intervenire per
prevenirla o per contenere i suoi effetti problematici, sullo sviluppo infantile e sulla
relazione di attaccamento tra madre e bambino.
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Il presente Elaborato è strutturato in tre capitoli.
Nel primo capitolo, focalizzerò la mia attenzione sulla relazione madre-bambino,
ossia sull’importanza del legame di attaccamento.
Inizialmente, presenterò Bowlby e vedremo tramite quale percorso si è costituita
la Teoria dell’attaccamento e come in questi ultimi venti anni essa si è trasformata,
infatti, il suo oggetto di interesse e di studio con il tempo è cambiato: dall’analisi dei
comportamenti e dei segnali che contribuiscono a strutturare, nella relazione che il
bambino intrattiene con le figure adulte più significative, a partire dai genitori, i suoi
legami o pattern di attaccamento, si è arrivati a mostrare più interesse per i modelli
rappresentazionali circa le proprie relazioni di attaccamento che il bambino costruisce
nel primo anno di vita.
Come vedremo, questo cambiamento ebbe luogo quando Bowlby, nel 1969,
introdusse il concetto di “modello operativo interno di attaccamento” (internal working
model), concetto che nel presente Elaborato verrà approfondito.
Successivamente, vedremo i vari autori che, dopo il suo contributo, hanno
perfezionato lo studio di questo legame e sviluppato le sue ipotesi, essi come l’autore
eseguirono le loro ricerche, basandosi sulla convinzione che già dai primi mesi di vita il
bambino costruisce dei modelli mentali delle figure di attaccamento, in primo luogo
della madre. In particolare, approfondiremo i contributi di Mary Ainsworth e
collaboratori (Ainsworth, M. D. S., Blehar, M., Waters, E., Wall, S., 1978), che tramite
la Strange Situation, individuarono le diverse tipologie dei pattern di attaccamento
sicuro e insicuro e gli studi di Mary Main (1989), che tramite l’Adult Attachment
Interview, ci consente di indagare i modelli operativi interni nei soggetti adulti. Il
contributo di Mary Main è di notevole importanza, perché grazie alle sue ricerche e alla
sua intervista, è diventato possibile indagare le relazioni tra i modelli di attaccamento
dei genitori (in particolare della madre), valutati in gravidanza o subito dopo la nascita
del figlio e il tipo di legame di attaccamento che il bambino mostra al primo anno di
vita.
A proposito di quanto riportato sopra, l’ultimo argomento trattato in questo
primo capitolo, farà riferimento alla trasmissione intergenerazionale dei modelli di
attaccamento dai genitori al figlio (Main, M., Kaplan, K., Cassidy, J., 1985; Fonagy, P.,
Moran, G., Steele, H., Steele, M., 1992).
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Nel secondo capitolo, presenterò una rassegna teorica degli studi e delle ricerche
svolti in merito alla gravidanza e alla maternità.
Inizierò, presentando l’importanza del “desiderio di maternità”, vedremo come
esso si costituisce già a partire dall’infanzia di ogni donna (Freud, S., 1915), come è
legato alle esperienze vissute con i propri genitori e come influenza l’andamento della
gravidanza e i sentimenti verso il feto, ossia, verso il bambino immaginario e verso il
bambino reale (Lebovici, S., 1983), dopo la nascita.
In seguito, analizzerò le fasi che costituiscono il processo di gravidanza,
cercando di capire l’importanza che ogni fase possiede, infatti, durante tutta la
gestazione, la donna affronta una serie di compiti adattativi (Bibring, G. L., 1959, 1961)
e il modo in cui essi verranno fronteggiati, influenzerà sia l’identità individuale della
donna, sia il rapporto che si instaurerà tra Ella e il proprio figlio.
Ancora, scopriremo quali cambiamenti fisiologici e psicologici caratterizzano la
gravidanza e le diverse modalità con le quali la donna li affronta, vedremo come le
modificazioni corporee che gradualmente si presentano nell’arco dei nove mesi,
comportano per la sua vita e personalità dei mutamenti profondi: la futura madre va
incontro ad un disequilibrio nella propria individualità che poi dovrà essere seguito da
una riorganizzazione (Bibring, G. L., 1959). Altro aspetto che presenterò, sarà quello
legato al parto, momento conclusivo della gravidanza, cercherò di capire quale
significato esso assume per la donna e quali possono essere i suoi vissuti durante il
periodo post-partum.
Successivamente, analizzerò le rappresentazioni mentali materne che si
costituiscono durante la maternità, vedremo proprio che i vari cambiamenti, che si
verificano durante la gestazione, comportano sostanziali modificazioni nel mondo
rappresentazionale della donna, tutto ciò si ripercuoterà nel rapporto tra madre e
bambino.
Ancora, presenterò i diversi stili materni che la donna può acquisire nel corso
della gravidanza nei confronti di suo figlio e vedremo come numerose ricerche,
(Raphael-Leff, J., 1983) studiando le relazioni precoci madre-bambino, hanno cercato di
individuare una continuità tra lo stile materno adottato in gravidanza e il tipo di cura
fornito al bambino dopo la nascita.
Inoltre, considerando gli sviluppi più attuali degli studi in questo ambito,
presenterò gli aspetti teorici e applicativi, dell’analisi delle rappresentazioni paterne
durante e dopo la gravidanza, mostrando l’utilità di un altro indispensabile strumento:
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l’IRPAG, intervista per le rappresentazioni paterne durante la gravidanza (Ammaniti,
M., Odorisio, F., Tambelli, R., 2006)
Infine, prenderò in considerazione alcuni strumenti utilizzati nella ricerca e nel
lavoro clinico, che consentono di esplorare le rappresentazioni mentali genitoriali prima
e dopo la nascita del bambino, come: l’IRMAG e l’IRMAN (Ammaniti, M., Candelori,
C., Pola, M., Tambelli, R., 1995) e la Working Model of the Child Interview (Zeanah,
C. H., 1992; Zeanah, C. H., Benoit, D., 1995; Zeanah, C. H., Larrieu, J. A., Heller, S. S.,
Valliere, J., 2000).
Nel terzo e ultimo capitolo, approfondirò le caratteristiche della maternità “a
rischio depressivo”. Vedremo che la genitorialità, intesa come processo, non sempre
viene affrontata e gestita facilmente dai futuri genitori e in particolare dalla neomamma,
a volte, come nel caso in cui la madre sviluppa una depressione post-partum, essa
diviene molto difficile, pensiamo che ogni donna che si prepara a diventare mamma
deve affrontare una serie di compiti adattativi (Bibring, G. L., 1959, 1961) e
immaginiamo che nel caso in cui la donna è affetta da depressione post-partum, questi
compiti non solo diventano più complessi, ma anche più numerosi.
Analizzando le varie caratteristiche della depressione post-partum, il tipo di
comportamento, il tipo di accudimento e il tipo di rappresentazioni materne nei
confronti di sE stesse e del bambino, che le donne depresse possiedono, scopriremo che
essa può provocare esiti negativi sullo sviluppo infantile, incrementando l’incidenza
dell’instaurazione di legami di attaccamento insicuri tra bambino e caregiver (madre).
Nonostante ciò, mostrerò che esistono diverse possibilità di intervenire in queste
situazioni, fornendo la giusta prevenzione e l’adeguato supporto alle madri in difficoltà
e ai loro bambini, non solo dopo la nascita, ma già a partire dalla gravidanza, sulla base
dell’analisi delle rappresentazioni mentali materne.
In particolare, presenterò alcuni programmi di intervento denominati interventi
“Home Visiting”, utili per supportare e favorire la genitorialità e un rapporto positivo
tra genitori e figli.
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Capitolo 1
Il legame di attaccamento
Premessa
In linea con l’obiettivo primario di questo Elaborato, ossia quello di
comprendere il rapporto che intercorre tra le rappresentazioni materne in gravidanza, le
prime interazioni tra madre e bambino e la relazione di attaccamento che si sviluppa
dopo la nascita, la cornice di riferimento teorica sarà costituita principalmente dalla
Teoria dell’attaccamento (Bowlby, J., 1969).
Ricordiamo che diversi autori (Condon, J. T., Dunn, D. J., 1988; Fonagy, P.,
1992; Grace, J. T., 1989; Raphael-Leff, J., 1991) si sono chiesti più specificamente
come il periodo della gravidanza, possa rappresentare una fase iniziale dello sviluppo
primario dell’infanzia che contribuisce alla creazione del rapporto di attaccamento tra
madre e bambino.
L’attaccamento prenatale positivo, caratterizzato da un intenso legame tra la
madre e il bambino, si ritrova nella maggior parte delle donne in gravidanza, tuttavia,
vedremo che in alcuni casi la situazione si rivela più critica (Condon, J. T., Dunn, D. J.,
1988).
La qualità dell’attaccamento del bambino può essere prevista, a partire dallo
stato mentale della madre in gravidanza, perché la capacità di immaginare il feto e di
riflettere sui futuri rapporti fornisce indicazioni predittive della sensibilità dei genitori
nel fornire al bambino un ambiente psicologico adeguato. È come se le rappresentazioni
avessero una funzione organizzativa importante, perché attraverso esse si ordinano in
maniera coerente, significati, sensazioni, affetti ed esperienze.
Affrontando lo studio della Teoria dell’attaccamento, inizierò presentando il
padre di questa teoria: Bowlby.
Egli entrò durante gli anni ‘30 nella società psicoanalitica, in un momento
critico, nel quale essa era suddivisa in due fazioni, in una c’era M. Klein e i suoi seguaci
e nell’altra A. Freud.
Le sue numerose opere, tra le quali ricordiamo, “Attaccamento e perdita”
(Bowlby, J., 1969, 1973, 1980), “Costruzione e rottura dei legami affettivi” (Bowlby, J.,
1979) e “Una base sicura” (Bowlby, J., 1988), non furono accettate calorosamente, né
dalla psicologia, né dalla psicoanalisi, infatti, a partire dal 1951, anno in cui Bowlby
pubblicò Maternal Care and Mental Health, fino al 1977, in cui il British Journal of
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Psychiatry (Bowlby, J., 1977) pubblicò “Costruzione e rottura dei legami affettivi”,
saranno pochissimi gli articoli che gli verranno dedicati.
La ricerca psicologica non aveva colto l’importanza delle scoperte di Bowlby, a
differenza delle riviste legate al mondo medico e alla psicologia clinica, tra le quali la
British Medical Journal (Bowlby, J., 1950) e la British Journal of Psychiatry, che invece
ne compresero il grande valore a livello applicativo.
Bowlby, a sua volta, non riusciva a trovare nella psicoanalisi, la base scientifica
per il suo pensiero, così quando negli anni ‘50 scoprì l’etologia, nacque la Teoria
dell’attaccamento.
Bowlby, con questa sua nuova teoria, avrebbe voluto riconciliare le fazioni in
lotta nella società psicoanalitica, ma non riuscì a farlo, perché molti analisti videro la
sua teoria come una minaccia. Così, egli gradualmente si allontanò dalla società e la
Teoria dell’attaccamento divenne una disciplina a sé, legata alla psicoanalisi, alla teoria
sistemica e alla psicologia cognitiva e che a sua volta diede tantissimi contributi.
Successivamente, la Teoria dell’attaccamento venne sviluppata dai
postbowlbiani, tra i quali troviamo Mary Ainsworth (1978), Mary Main (1985),
Bretherton (1987), Sroufe (1988), Parkes (1991) e Hinde (1976), che ne fecero una delle
strutture principali di riferimento per la psicologia dello sviluppo. Oggi, infatti, nessuna
disciplina può permettersi di ignorare la Teoria dell’attaccamento (Bowlby, J., 1969),
essa è un punto di riferimento non solo per la psicoanalisi, ma anche per le teorie
cliniche e per le scienze cognitive.
1.1. Bowlby e la teoria dell’attaccamento
L’interesse iniziale di Bowlby era rivolto all’osservazione di tutti quei bambini
che vivevano la separazione dalla figura materna e la privazione delle sue cure e che di
fronte a queste esperienze, provavano intenso dolore.
L’autore era convinto e aveva dimostrato che la separazione produceva effetti
dannosi a lungo termine sul bambino, tanto gravi da poter condurre alla nevrosi, alla
delinquenza e alla malattia mentale.
Una volta ottenute queste informazioni, Bowlby voleva capire quale tipo di
legame si rompesse, a causa della separazione, tra il bambino e la madre. Per scoprire la
natura di questo legame, egli si appoggiò inizialmente alla psicoanalisi, che gli offriva la
Teoria Pulsionale di S. Freud (1914) e la Teoria delle Relazioni Oggettuali di Melanie
Klein (1932).
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Ricordiamo brevemente le teorie dei due autori, S. Freud (1914) affermava che il
legame tra madre e bambino è la libido, il neonato è investito dal narcisismo primario e
vive una tensione molto forte, legata al bisogno di nutrimento, che è espressione della
sua sessualità infantile.
Ad offrirsi come veicolo per scaricare questa tensione è la madre, ma quando lei
è assente, nel bambino cresce la tensione che provoca l’angoscia, secondo S. Freud, il
bambino ama la mamma, perché da lei riceve il nutrimento, ma secondo Bowlby, queste
sono relazioni di “tipo madia”, basate soltanto sul soddisfacimento pulsionale.
Successivamente, S. Freud, in “Inibizione Sintomo e Angoscia” (1925), afferma
che l’angoscia si sperimenta ogni volta che si vive una separazione reale o immaginaria
da qualcuno che amiamo, ma la base del legame rimane comunque la soddisfazione di
un bisogno fisiologico.
Invece, Klein (1932) afferma che, tra madre e bambino, esistono dei legami
fisiologici e psicologici, il seno che nutre è buono, il seno assente è cattivo.
Seppure Bowlby, per più di trent’anni, svolse attività istituzionale, clinica e di
ricerca all’interno della Società Psicoanalitica, non riuscì comunque ad appoggiarsi alla
psicoanalisi per la sua teoria, perché ne S. Freud ne Klein riuscirono a vedere
l’attaccamento come un legame psicologico.
Solamente l’incontro con l’etologia negli anni ‘50 e l’influenza degli studi di
Lorenz (1949) e di Harlow e Zimmermann (1959), offriranno a Bowlby, la base
scientifica per la sua teoria.
Ricordiamo brevemente gli studi degli autori, Lorenz (1949) osservò come,
alcune oche appena nate seguivano la loro madre e mostravano segnali di angoscia,
quando venivano separate da lei, indipendentemente dal fatto che essa gli desse cibo
oppure no; invece, Harlow e Zimmermann (1959) dimostrarono che quando i piccoli di
scimmia Rhesus venivano posti all’interno di una gabbia, con due manichini a forma di
scimmia adulta, una costruita con il fil di ferro e dotata di biberon, l’altra costruita con il
legno e ricoperta da una morbida stoffa, ma non fornita di un biberon, essi preferivano
stare aggrappati al manichino in stoffa e ricercavano la sua vicinanza, anche quando
venivano spaventati da alcuni stimoli rumorosi.
Secondo la Teoria dell’attaccamento (Bowlby, J., 1969, 1988) la propensione a
stringere relazioni emotive intime, sia nell’infanzia, sia nell’età adulta, è una
componente fondamentale della natura umana, infatti, Bowlby (1973) considera
l’attaccamento come un “Sistema motivazionale primario”, che ha come scopo
principale, quello di tipo biologico: legato alla protezione dai predatori che
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minacciavano la vita dell’uomo primitivo. Oggi, sicuramente, questo tipo di pericolo
non esiste più, ma esistono ugualmente tanti altri pericoli, dai quali il bambino deve
essere difeso.
Il legame di attaccamento si sviluppa tramite la predisposizione all’interazione
sociale e alla creazione di un rapporto stabile e duraturo presenti fin dalla nascita, queste
predisposizioni sono inscritte nel patrimonio genetico dell’individuo e con la crescita si
organizzano in sistemi comportamentali complessi. Quindi, se l’obiettivo esterno del
sistema di attaccamento è quello di garantire la vicinanza con il caregiver, quello interno
è quello di motivare il bambino alla ricerca di una sicurezza interna (Ainsworth, M. D.
S., Blehar, M., Waters, E., Wall, S., 1978).
La Teoria dell’attaccamento è definita come una “teoria spaziale”, perché il
bambino che vive il legame di attaccamento con la madre, quando è vicino a lei, sta
bene, mentre quando è lontano sta male, si sente triste e solo, infatti, questo legame è
mediato da gesti come il tenere, l’ascoltare e il guardare.
Prima di specificare quelle che sono le caratteristiche del legame di
attaccamento, dobbiamo chiarire il significato delle diverse definizioni che si utilizzano
riferendosi alla Teoria dell’attaccamento (Bowlby, J., 1969):
attaccamento: si riferisce allo stato e all’attualità degli attaccamenti, che un
individuo possiede;
comportamento di attaccamento: comprende tutte le azioni, che un soggetto
compie per avere vicino la persona che ama, ricordiamo che ogni comportamento di
attaccamento è innescato da una separazione reale o minacciata. Fin dalla nascita, sono
presenti diversi comportamenti, quelli di segnale: come il pianto, il sorriso, i vocalizzi e
i richiami, che permettono al bambino di comunicare alla madre i suoi bisogni e che
hanno l’effetto di avvicinarla a lui. Inoltre, si possono osservare alcuni comportamenti
di avvicinamento come la suzione non alimentare, l’aggrapparsi, il seguire, il
camminare, che seppure entro certi limiti, consentono al bambino di mantenere la
vicinanza con la madre;
sistema dei comportamenti di attaccamento: una sorta di modello del mondo, in
cui vengono rappresentati il sé, gli altri significativi e le loro relazioni (Bowlby, J.,
1973).
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Invece, per quanto riguarda le varie caratteristiche del legame di attaccamento,
tre sono quelle più importanti:
1) la ricerca di vicinanza: essa si attua verso la figura di attaccamento, con la quale
si ha il legame, i bambini piccoli seguono sempre la loro mamma. La distanza ottimale,
nella quale il bambino si sente a suo agio, dipende dalla sua età ma anche dal suo stato
di salute. L’attaccamento viene definito “monotropico” (Bowlby, J., 1988), poichè si
instaura con una sola persona, però, è utile precisare, che quando questa persona,
preferita tra tutte le altre, è assente, il bambino si rivolge ad un'altra persona con la
quale si sente al sicuro, è come se esistesse una sorta di gerarchia di persone alle quali
riferirsi;
2) effetto base sicura: questo termine è stato utilizzato per la prima volta da Mary
Ainsworth (1982), che lo utilizzò per spiegare che il bambino vede nella figura di
attaccamento una persona alla quale si può far riferimento nel momento del bisogno e
che consente di esplorare l’ambiente esterno con serenità. Ricordiamo che
l’attaccamento esercita una potentissima forza sul bambino, anche quando tra lui e la
madre è presente una distanza fisica (Anderson, J. W., 1972);
3) protesta per la separazione: Bowlby osservò che quando il bambino viene
separato dai genitori, come risposta primaria a questo, si ha una protesta, caratterizzata
da urla, morsi, calci e pugni, tesa a riavere la figura di attaccamento vicina a sé e a
punirla, affinchè Ella non si allontani più.
Il legame di attaccamento è molto resistente, al punto tale da mantenersi anche
di fronte a maltrattamenti nei confronti del bambino, questa scoperta deriva dagli studi
di Harlow e collaboratori (Harlow, H., Zimmerman, R. R., 1959) sulle scimmie Rhesus,
che si aggrappavano alla madre fantoccio, anche quando venivano punite (Rutter, M.,
1980).
Il sistema di attaccamento nel bambino si sviluppa in maniera graduale, dopo sei
mesi di vita, si possono osservare nel bimbo le tre caratteristiche fondamentali del
legame di attaccamento appena descritte.
Altro concetto fondamentale presente nella Teoria dell’attaccamento, è quello di
“Modello Operativo Interno” (Bowlby, J., 1969): esso è stato utilizzato facendo
riferimento a Kenneth Craik (1943), il quale affermava che gli organismi sono capaci di
costruire un modello su piccola scala della realtà esterna e delle azioni che in esso si
possono attuare, e che tale capacità permette a questi organismi di adattarsi ai
cambiamenti dell’ambiente, ampliando il loro repertorio comportamentale. Bowlby
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(1969) utilizza il concetto di MOI, per riferirsi ai vari modelli di se stesso e degli altri,
che il bambino costruisce durante lo sviluppo, in base all’esperienza vissuta.
Questo stesso concetto è utilizzato con diversi nomi anche da altri autori, ad
esempio, Stern (1985) parla di “rappresentazioni delle interazioni generalizzate” (RIG),
esse sono molto simili ai Modelli Operativi Interni. Infatti, come Bowlby (1969), anche
Stern afferma che il bambino costruisce fin dai primi mesi di vita degli “schemi di
essere con” l’altro, questi sono multipli, attingono a diverse fonti (percettive, senso-
motorie, affettive) e consistono nella rappresentazione prototipica degli eventi
interazionali vissuti con le figure genitoriali, costituendo la base per le rappresentazioni
generalizzate delle interazioni tra sé e gli altri significativi. L’unica differenza tra le RIG
(Stern, D., 1985) e i MOI (Bowlby, J., 1969), è che le prime sono considerate come la
schematizzazione di ogni tipo di interazione che il bambino intrattiene nella sua infanzia
e non solo di quelle rilevanti per il legame di attaccamento. Infine, Horowitz (1987)
parla di “modelli di relazioni di ruoli” e “schemi sé-altro”, intendendo diverse sequenze
di aspettative e la figura dinamica del sé nella relazione con gli altri.
Secondo Bowlby (1969), un bambino con attaccamento sicuro, costruirà un MOI
relativo alla persona che si prende cura di lui, amorosa, sensibile ed affidabile e relativo
a se stesso come meritevole di amore; invece, un bambino con attaccamento insicuro
avrà un MOI, caratterizzato dalla visione dell’ambiente come pericoloso e del proprio
Sé come non meritevole di amore. Solitamente, i MOI sono stabili e duraturi ed
influenzano tutte le future esperienze del bambino. Inoltre, Bowlby (1973) parla di
modelli operativi interni difettosi, per indicare differenti pattern di attaccamento
nevrotico: nell’attaccamento ansioso, il Modello Operativo Interno si baserà non su
un’accurata rappresentazione di sé e degli altri, ma “sull’essere altezza di”, nel quale
bisogna adattarsi continuamente all’agente delle cure materne.
Il bambino utilizzerà due strategie, l’evitamento o l’adesione, che conducono ad
un attaccamento evitante o ambivalente. Nell’attaccamento evitante, il bambino
minimizza i suoi bisogni perché ha paura di essere rifiutato. Invece, il pattern di
attaccamento associato ad una patologia grave è quello “insicuro disorganizzato”, ma
fortunatamente è meno comune dei primi due.