15
Introduzione
Il Piano degli insediamenti produttivi (P.I.P.) è lo
strumento urbanistico attuativo per eccellenza volto alla
regolazione delle attività economiche presenti sul territo-
rio comunale. Esso consente infatti il “razionale sviluppo
urbanistico del territorio comunale mediante la localizza-
zione di aree idonee ad ospitare impianti artigianali, indu-
striali, commerciali o turistici”
1
ossia ciò che contribuisce
all’espansione della produttività. È dunque uno strumento
che favorisce la realizzazione e l’affermazione del princi-
pio di iniziativa economica privata così come enunciato
dall’art. 41 della Costituzione. Al fine di comprendere i
meccanismi che sottendono al funzionamento del Piano si
è deciso di andare oltre il mero studio della dottrina e del-
la giurisprudenza proponendo dunque il caso studio del
comune di Teggiano. Il P.I.P. è inquadrabile nel più ampio
ambito della pianificazione territoriale che è senza dubbio
uno degli aspetti più interessanti ed attuali del nostro “si-
stema paese”. A contrapporsi però all’attualità della sud-
detta pianificazione vi è una legislazione obsoleta, rappre-
sentata dalla Legge urbanistica n. 1150 del 1942 succ.
mod. e int., che sembra non essere più in grado di rispon-
dere ai repentini cambiamenti che hanno caratterizzato il
nostro territorio. Questo scenario ha spinto il legislatore
nazionale ad avviare un percorso di rinnovamento della
materia approvando alla Camera dei Deputati il progetto
1
Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 23 marzo 1987, n. 168, in Rivista
giuridica dell’edilizia, 1987, I, pag. 416.
16
di riforma della normativa vigente che porta il titolo di
Principi fondamentali del governo del territorio. Il testo
appena menzionato è purtroppo tutt’oggi fermo all’analisi
del Senato e questo fa pensare che i tempi saranno ancora
molto lunghi prima di avere un nuovo istituto che detti dei
principi veri e propri per la complessa pianificazione terri-
toriale. In attesa di questo tanto atteso cambiamento, nel
corso degli anni, vi sono state una serie di riforme che
senza dubbio hanno funto da input alla riforma in corso.
Esse sono il Testo Unico degli Enti Locali n. 267 del
2000; il Nuovo Testo Unico dell’edilizia (D.P.R. 6 giugno
2001 n. 380); la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
che innova il TITOLO V della Parte Seconda della Costi-
tuzione e che va a sostituire all’art. 117 il nomen “urbani-
stica” con “governo del territorio, disponendo che questa
materia diventasse di legislazione concorrente tra Stato e
Regioni. È palese che tutte queste innovazioni hanno spo-
stato sempre più il baricentro della pianificazione territo-
riale dallo Stato alla Regione e agli Enti Locali attuando in
pieno il principio di sussidiarietà. Complice del concretiz-
zarsi di quest’ultimo è stato anche il progressivo trasferi-
mento delle funzioni amministrative posto in essere dalle
numerose leggi susseguitesi nel tempo. Ritornando alla
realizzazione della suddetta pianificazione, l’attuale Legge
urbanistica n. 1150 del 1942 succ. mod. e int., definisce
uno schema del tipo “top-down” (che si spera venga supe-
rato con l’approvazione della riforma a favore di una pia-
nificazione “bottom-up”) denominato pianificazione a
“cascata”. Essa prevede in ordine gerarchico il Piano terri-
toriale di coordinamento, il Piano territoriale di coordina-
17
mento provinciale e in ultimo il Piano Regolatore Genera-
le che i realtà costituiscono i provvedimenti della pianifi-
cazione territoriale. Tale schema, attualmente, sembra es-
sere oggetto di superamento da parte delle Leggi regiona-
li, che in attesa dell’entrata in vigore del progetto di ri-
forma di cui sopra, hanno già avviato tale processo in fun-
zione della potestà legislativa di cui dispongono. Quanto
detto sinora in riferimento al trasferimento delle funzioni
amministrative e della gerarchia dei livelli di pianificazio-
ne, viene analizzato alla luce del rapporto che i due aspetti
hanno con le attività economiche. Tale rapporto non e-
merge chiaramente dalle attuali leggi, ma è delineato in
vari modi più o meno marcati. Al fine di fornire uno
schema ben definito si definisce il percorso che ha portato
ad una maggiore autonomia degli Enti locali tenendo con-
to del trasferimento delle funzioni amministrative in mate-
ria urbanistica (o meglio governo del territorio) rapportate
alla regolazione delle attività economiche. In secundis i
tre piani di cui sopra vengono presi in esame in funzione
non solo della legge statale, ma anche della legge regiona-
le 22 dicembre 2004, n. 16 che disciplina il governo del
territorio della regione Campania. Questo approccio ad
uno studio comparato tra quanto viene disposto dalla legi-
slazione nazionale e da quella regionale è necessario af-
finchè possa essere compreso a fondo come da un lato, a
livello territoriale, venga recepito dalla Regione e dagli
Enti locali il dettato nazionale e dall’altro, di come la Re-
gione Campania voglia adottare dei principi di governo
del territorio propri in attesa della riforma. Anche in que-
sto caso si cerca di evidenziare ove possibile la relazione
18
intercorrente tra i Piani e le attività economiche, tenendo
ovviamente conto anche delle diverse leggi regionali. Ci
sofferma in modo particolare sul Piano Territoriale di co-
ordinamento provinciale (in particolare quello di Salerno)
e sul Piano Regolatore Generale del Comune (definito
P.U.C. dalla L.R. campana), nello specifico sui Piani at-
tuativi. Il primo in quanto la Provincia ha un ruolo di cer-
niera tra la Regione e il Comune, il secondo dato che il
Comune viene indicato dall’art. 13 del Testo Unico n. 267
del 2000 come il principale ed essenziale artefice del go-
verno del territorio. Riguardo all’interesse rivolto ai Piani
attuativi ciò è giustificato proprio dall’appartenenza, come
già detto, del P.I.P. a quest’ultimi. Coerentemente al me-
todo deduttivo che, da quanto si evince, caratterizza
l’intero lavoro l’analisi del Piano avviene come uno stru-
mento particolare dell’intera pianificazione del territorio.
Si parte dai suoi antecedenti per giungere ad uno studio
completo dell’art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865
(c.d. legge sulla casa) che descrive il procedimento di
formazione del P.I.P. e che viene completato dagli studi
della dottrina e dalle diverse pronunce della giurispruden-
za. Completata questa fase si passa all’ultimo step del
percorso ossia allo studio del P.I.P. del Comune di Teg-
giano che si caratterizza per un modello procedimentale in
alcuni punti diverso da quello indicato dalla L. n. 865/71 e
ciò è dovuto alla sua individuazione di comune colpito dal
sisma del 23 novembre 1980. A tal proposito ci si riferisce
alla legge n. 219/81 e al decreto legislativo n. 76/90.
Quanto detto viene utilizzato col fine di ricostruire la sto-
ria del P.I.P. del comune utilizzando il procedimento qua-
19
le strumento essenziale a tale scopo. Dallo studio condotto
in merito, emerge che il comune ha avuto due P.I.P., il
primo mai attuato, il secondo che è quello attualmente in
uso. L’obiettivo è dunque quello di un confronto tra due
strumenti approvati in contesti socio – economico diversi,
ma non solo, si vuole porre in evidenza la centralità del
Comune nella pianificazione del territorio dimostrando il
diretto nesso di quest’ultima con la regolazione e lo svi-
luppo economico delle attività economiche.
Antonio Fasano
21
CAPITOLO I
Dall’urbanistica al governo del territorio
1. Genesi ed evoluzione della strumentazione
urbanistica
L’urbanistica, secondo l’autorevole opinione di
Mazzarelli, “nasce come una disciplina che legge il terri-
torio per modificarne la fruizione”
2
. La suddetta è una
branca del diritto amministrativo caratterizzata da un co-
pioso apparato normativo originatosi nel tempo e che tro-
va la massima espressione nella Legge urbanistica genera-
le 17 agosto 1942, n. 1150 succ. mod. e int. che vige anco-
ra per l’attuale quadro generale della legislazione urbani-
stica statale. L’aspetto che, in questa sede, maggiormente
interessa considerare è che la strumentazione urbanistica
si è evoluta di pari passo con l’evolversi dei fenomeni so-
cio-economici (evoluzione che ha però subito una battuta
d’arresto nel 1942).
2
Cfr. V. Mazzarelli, voce “Urbanistica e pianificazione territoriale”, in
S. Cassese, Trattato di diritto Amministrativo, Giuffrè editore, Mila-
no, 2003.
22
1.1. Dall’urbanistica pre-romana alla legislazio-
ne urbanistica unitaria
L’importanza dell’urbanistica nelle attività sociali
ed economiche viene percepita nel periodo rinascimentale,
epoca in cui la città è vista come centro vitale della cultu-
ra, del commercio, dell’arte, dell’artigianato
3
. È evidente
che ciò non era accaduto nelle civiltà pre-romane e roma-
ne, dato che qui l’urbanistica era limitata esclusivamente
al controllo delle porte della città, delle fortificazioni mili-
tari, delle strutture dedicate al culto, degli acquedotti, dei
teatri, delle terme, ecc
4
. Se nel periodo rinascimentale era
stata percepita l’importanza della città, bisognerà aspettare
però l’inizio del XIX secolo (in piena Rivoluzione Indu-
striale) per assistere alla nascita delle prime teorizzazioni
di legislazione urbanistica
5
. Fu proprio la Rivoluzione che
stimolò a riflettere sulla necessità di dare origine ad una
programmazione urbanistica, complice anche la percezio-
ne che si ebbe della città quale fattore di massimizzazione
della produzione e di miglioramento dell’efficienza del si-
stema capitalistico; infatti una città ordinata e dotata delle
infrastrutture indispensabili per il suo funzionamento, de-
termina un maggiore rendimento delle entità produttive
3
Cfr. A. Rossi, Appendice: la strumentazione urbanistica dalle origini
ad oggi, pag. 589, in Corso di diritto urbanistico, terza edizione, a cu-
ra di Giorgio Pagliari, Giuffrè editore, Milano, 2002.
4
Cfr. A. Rossi, op. cit., pag. 589.
5
Cfr. A. Rossi, op. cit., pag. 590.
23
poste al suo interno o nelle immediate periferie
6
. Nel 1860
vedrà la luce la legislazione urbanistica unitaria, ma la
produzione legislativa di questo periodo verrà accresciuta
dal susseguirsi di una serie di importanti strumenti urbani-
stici. Questi sono
7
:
1. la L. 20 marzo 1865 n. 2248: legge sulla istituzione
del ministero dei lavori pubblici, sulla individua-
zione delle sue attribuzioni e sulla gestione ammi-
nistrativa dei lavori pubblici;
2. la L. 25 giugno 1865 n. 2359: disciplina delle e-
spropriazioni forzate per causa di pubblica utilità
(vengono individuati due strumenti urbanistici ri-
guardanti gli insediamenti con popolazione mag-
giore a diecimila abitanti: i piani regolatori edilizi e
i piani di ampliamento; i primi si occupavano degli
agglomerati urbani esistenti, i secondi avevano co-
me obiettivo il razionale sviluppo delle zone di e-
spansione
8
; l’adozione dei piani era attribuita ai
consigli comunali e la loro approvazione al potere
regio
9
);
3. il D.M. 29 maggio 1895: disciplina delle attività
connesse alla compilazione dei progetti delle opere
pubbliche;
6
Cfr. G. Vignocchi, G. Bertolani, C. Arria, “Urbanistica-edilizia”, nel-
la Collana Giurisprudenza sistematica di diritto amministrativo, fon-
data da E. Guicciardi, Torino, 1998, pag. 23.
7
Cfr. A. Rossi, op. cit., pag. 590.
8
Cfr. G. Vignocchi, G. Bertolani, C. Arria, op. cit., pagg. 23 e 24.
9
Cfr. G. Vignocchi, G. Bertolani, C. Arria, op. cit., pag. 24.
24
4. il D.M. 25 maggio 1895: regolamento per la dire-
zione, la contabilizzazione e il collaudo delle opere
dello Stato.
Da quanto si evince, i suddetti testi erano tesi a di-
sciplinare l’attività edificatoria, ma allo stesso tempo di-
vennero anche strumenti in grado di apportare degli effetti
positivi sul piano urbanistico. Sempre nello stesso periodo
si assistette alla produzione di altrettanti testi normativi i
quali si riferivano ad ampie zone del territorio urbano e in
alcuni casi anche del territorio nazionale (quindi strumenti
palesemente di natura urbanistica). Questi sono
10
:
1. la L. 15 gennaio 1885 n. 2892: legge speciale sul ri-
sanamento della città di Napoli;
2. il D.M. 20 giugno 1896: norme sulla compilazione
dei regolamenti locali sull’igiene dell’abitato e del
suolo;
3. la L. 9 luglio 1908 n. 445: legge speciale sui prov-
vedimenti a favore della Basilicata e della Calabria;
4. il R.D.L. 30 dicembre 1923 n. 3267: interventi sui
boschi e i terreni montani.
Alla fine dell’Ottocento, se in Italia ci si stava sfor-
zando positivamente nel creare un quadro unitario della
legislazione urbanistica, negli altri paesi europei erano sta-
te già realizzate considerevoli operazioni in materia
11
. In-
10
Cfr. A. Rossi, op. cit., pagg. 590 e 591.
11
Cfr. F. Della Rocca, La situazione tecnico-giuridica
dell’urbanistica italiana, Fondazione Aldo Della Rocca Roma , Giuf-
frè editore, Milano, 1995, pag. 5.
25
fatti le leggi e i decreti di cui si è visto non erano ancora
ben inseriti in un quadro di riconfigurazione complessiva
del disegno urbano
12
. In realtà si trattava di interventi
parziali ed episodici che nelle grandi città europee
dell’epoca erano considerati, già da tempo, molto delete-
ri
13
; inoltre gli interventi urbanistici delle maggiori città
italiane non erano legati a finalità univoche
14
.
1.2. La legislazione urbanistica moderna e
l’avvento della Legge 17 agosto 1942, n.
1150
15
È sul finire degli anni 20’ che si parla di legislazione
urbanistica moderna perché si coinvolsero globalmente le
problematiche della tutela del territorio e della sua pro-
grammazione
16
. Concausa di questa situazione furono
l’avvento delle regioni a statuto ordinario e soprattutto
l’affermazione del Fascismo che gettò le basi per la legge
n. 1150/42. Due furono gli eventi di svolta:
1. il Congresso internazionale di urbanesimo, tenutosi
a Torino nel 1926, in collaborazione con la Fonda-
zione della Associazione nazionale per l’abitazione
e i piani regolatori;
12
Cfr. F. Della Rocca, op. cit., pag. 5.
13
Cfr. F. Della Rocca, op. cit., pagg. 5 e 6.
14
Cfr. F. Della Rocca, op. cit., pag. 6.
15
Nella redazione dell’intero paragrafo per i riferimenti storici è stata
consultata l’opera di F. Della Rocca, op. cit.
16
Cfr. A. Rossi, op. cit., pagg. 591.
26
2. l’ istituzione, nel 1928, della Commissione Reale
per la riforma dell’esproprio per pubblica utilità.
Da questo momento in poi venne aperto ufficial-
mente il dibattito sulla riforma dell’urbanistica che ebbe,
come oggetto nevralgico della discussione, il ruolo del pi-
ano regolatore, quale strumento che avrebbe potuto offrire
una risoluzione ai problemi della città. Si discusse sulla
differenza tra il ruolo che il piano aveva avuto fino a quel
momento e di quello che gli si sarebbe voluto dare. I vec-
chi piani, quelli dell’Ottocento, erano incentrati
sull’ideologia della suddivisione dei ceti sociali.
L’obiettivo era dunque plasmare dei piani che portassero
alla creazione di una città incentrata sull’uguaglianza de-
gli uomini in relazione ai loro bisogni. Il piano aveva
dunque il compito di ridisegnare la città. Come già detto,
questo dibattito fu determinante affinché si giungesse alla
realizzazione di una legislazione unitaria in materia di ur-
banistica e ciò avvenne con la redazione della Legge Ur-
banistica n. 1150/42. È evidente, però, che questa legge
contiene in se tutte le contraddizioni del regime fascista
che, da un lato, era propenso alla modernizzazione e,
dall’altro, insisteva per la conservazione dell’oligopolio
industriale ed agrario. Ciò portò ad ingenti difficoltà
nell’elaborazione del testo finale della Legge, infatti la
Commissione incaricata dell’arduo compito, dovette ema-
nare una legge disgiunta avente ad oggetto
l’espropriazione per pubblica utilità; tutto questo al fine di
non voler destare preoccupazioni e susseguenti opposizio-
ni dei proprietari terrieri che senza dubbio erano tra i prin-
cipali sostenitori del regime. A questo punto è palese che i
27
successivi dibattiti che avrebbero dovuto risolvere la spi-
nosa questione dell’esproprio dimostrarono una determi-
nazione sempre minore nell’affrontare il problema; infatti
la classe politica non volle infierire sulla libera iniziativa
che avrebbe finito per compromettere la delicata situazio-
ne economica e sociale del momento. In conclusione, do-
po quasi dieci anni dalla presentazione del testo di legge
alla presidenza del consiglio, si giunse finalmente
all’approvazione della legge n. 1150/42.
2. La Legge 1150/42: contesto storico ed evolu-
zione tecnico-normativo
Nella disamina sin qui condotta è stato descritto
l’affannoso processo che ha portato alla redazione e poi
all’approvazione della Legge urbanistica. Malgrado gli
sforzi compiuti in tal senso, il testo normativo non ha tro-
vato un felice esordio, causa il secondo conflitto mondia-
le. Infatti il 1942, più che essere l’annus mirabilis
dell’urbanistica italiana, finì per essere l’annus horribilis,
a causa dell’enorme fardello di distruzioni umane e mate-
riali. Va da sè che dell’innovativo istituto, appena appro-
vato, non ve ne fu un immediato funzionamento, infatti
bisognerà attendere il periodo post bellico, testimone di
due importanti eventi: la proclamazione della Repubblica
e l’entrata in vigore della Carta Costituzionale il 1° genna-
io 1948. Quest’ultima ha un ruolo fondamentale per la L.
n. 1150/42, in quanto ne evidenziò una sua necessaria ri-
visitazione. La Costituzione repubblicana, infatti fa rife-
28
rimento ad un nuovo modello di Stato pluralista e regiona-
le
17
, che in materia d’urbanistica, introduce un’importante
novità. L’allora art. 114 Cost. affermava che la Repubbli-
ca si riparte, oltre che in Comuni e Province, anche nelle
nuovissime Regioni a Statuto differenziato; e ancora l’art.
117 Cost. affidava la potestà legislativa, in materia di ur-
banistica, a queste ultime
18
. A questo punto la Legge ur-
banistica dovrebbe porsi come una legge-quadro o di prin-
cipi tale da consentire l’esercizio della potestà legislativa
delle regioni nel “rispetto dell’interesse nazionale”
19
. Da
questo momento in poi si susseguiranno una serie di inter-
venti sulla l. n. 1150/42 che porteranno a numerosi stra-
volgimenti sia in materia di disciplina urbanistica che ri-
guardo alla pianificazione del territorio inteso quale incu-
batore della prima. L’analisi che di seguito sarà appronta-
ta tratterà degli aspetti tecnici della Legge e delle varie a-
zioni di ammodernamento che l’hanno contrassegnata.
2.1. Il profilo tecnico-giuridico della legge ur-
banistica
Innanzitutto è necessario introdurre i contenuti più
importanti che contraddistinguevano la l. 1150/42, ante
17
Cfr. S. Bellomia, “Evoluzione e tendenze della normativa statale e
regionale in materia di pianificazione urbanistica”, in Rivista giuridi-
ca dell’ edilizia, 2003, I, pag. 126.
18
Cfr. S. Bellomia, op. cit., pag. 126.
19
Cfr. S. Bellomia, op. cit., pag. 126.
29
modifica, che possono essere riassunti nei seguenti pun-
ti
20
:
1. la legge non distingueva l’operatore di domanda,
pubblico e privato, dall’attività che sarebbe stata
svolta;
2. l’intervento pubblico era consentito attraverso lo
strumento dell’esproprio, garantendo il conteni-
mento delle disparità di trattamento;
3. nella redazione del piano non si richiedeva
un’articolata valutazione della domanda, ma era
sufficiente la identificazione del fabbisogno;
4. alla pianificazione territoriale era richiesta essen-
zialmente l’individuazione di una giusta procedura
che veniva definita attraverso la sequenza dei piani;
5. la domanda di trasformazione era soddisfatta quasi
esclusivamente mediante la pianificazione di area,
anche perché il coordinamento del processo era fa-
cilmente gestibile;
6. il centralismo amministrativo era garanzia tanto
dell’equilibrio tra fabbisogno finanziario per la città
e formazione di risorse, quanto della prefigurazione
delle linee di sviluppo territoriale, attraverso il go-
verno dei fattori di localizzazione e delle conve-
nienze localizzative;
7. il piano godeva di una validità indefinita.
Ai fini dello studio, ora saranno individuati i princi-
pali caratteri della Legge
21
, che nonostante i vari interven-
20
Cfr. F. Della Rocca, op. cit., pag. 8.