4
INTRODUZIONE
Un medico e un filosofo discutono sulla necessità di fornire basi speculative
alla professione sanitaria:
«Medico: Però ogni medico è ben conscio di dover riconoscere l’utilità dello sforzo di
trovare una spiegazione in termini fisico-chimici dei fenomeni che osserva, dall’ipertensione al
diabete. Filosofo: L’analisi fisico-chimica è essenziale per la ricerca biologica. Nessuno scienziato
sensato si sentirebbe di negarlo. Tuttavia i contenuti della biologia non possono essere espressi
interamente in termini fisico-chimici»
1
.
Giorgio Cosmacini, storico della medicina, nel breve saggio Le qualità del tuo
medico. Per una filosofia della medicina, del 1995, dà vita a questa insolita
rappresentazione: uno specialista, interessato a stabilire le ragioni ultime della sua
attività, si confronta con un pensatore, il quale gli dimostra in che modo, alla base
della medicina, non esistano solo conoscenze di tipo biologico, bensì una serie di
discipline indispensabili per rendere l’arte della salute umana, a misura
dell’individuo, e soprattutto per spiegare la complessità della salute stessa.
Quella di salute è, appunto, una nozione ampia ed eterogenea. Di origine
latina, la parola deriva da salvus, salvo, termine che a sua volta rimanda ad un’idea di
integrità, di pienezza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla sua nascita, nel
1948, afferma che «la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e
sociale e non corrisponde soltanto all’assenza di malattia o infermità»
2
, una
condizione che si avvicina alla perfezione e che è ribadita trent’anni dopo, quando
l’OMS stila la nota Dichiarazione di Alma Ata sull’Assistenza Sanitaria Primaria –
insieme ai governi di 134 paesi – ponendosi come obiettivo la garanzia della salute
per tutti, da realizzare entro l’anno 2000. Ciascun abitante del pianeta, entro quella
data, avrebbe dovuto avere accesso a una condizione sociale dignitosa, elemento
indispensabile per realizzare il massimo grado di salute contenuto potenzialmente
in lui – obiettivo senz’altro nobile ma a dir poco utopistico.
1
G. COSMACINI, Le qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Editori Laterza, Roma-Bari
1995, p. 35.
2
Organizzazione Mondiale della Sanità, Protocollo di costituzione, Ginevra, 22 luglio 1946, in
http://www.academiavita.org/template.jsp?sez=Pubblicazioni&pag=testo/qual_vita/faggioni/faggioni&lang=itali
ano.
5
Eppure questa idea di salute coincidente con un benessere completo persiste,
come nota anche il giurista Stefano Rodotà
3
ne La vita e le regole. Tra diritto e non
diritto, del 2006. La salute corrisponde al diritto a non correre alcun rischio che
possa danneggiarla, ad essere curati sempre e comunque, anzi, a ricevere attenzioni
ancora prima che sopraggiunga il dolore – in altri termini, il diritto alla salute
equivale al diritto alla prevenzione.
«Quando la salute compare come diritto, la sfida istituzionale al dolore è lanciata. […]
Ancora una volta, dalla particolarissima angolazione del risarcimento del danno si scorge il
tentativo di ricomporre l’unità della persona partendo dalla sua salute, tutelandone l’integrità
psico-fisica»
4
.
La medicina diviene sempre più uno strumento per rimuovere la sofferenza
fisica, un elemento da addomesticare mediante la prevenzione delle malattie e le
cure appropriate e rapide. Una medicina che considera il dolore un male in sé, da
eliminare a qualsiasi costo, può giungere a risultati pericolosi, nel tentativo di
accontentare una società che richiede ai propri membri di essere sempre sani ed
efficienti. Il diritto alla cura, invece, pur riguardando corpo e mente, esige anche un
valore di libertà, vale a dire «una dimensione all’interno della quale si manifesta
anche la pretesa di una autogestione della salute insofferente d’ogni limite, compresi
quelli previsti a tutela della salute stessa»
5
.
È per tale motivo che si rende necessaria, per dirlo ancora con Cosmacini,
«una medicina applicata alla società, unita a una politica applicata alla medicina, entro una
concezione globale unitaria dell’uomo sano-malato e dei suoi molti problemi: una medicina che,
oltre a curare i mali individuali attraverso la diagnosi e la terapia, sappia collegare queste ultime ai
momenti educativo e preventivo e così diventi lo strumento privilegiato per mettere in giusta luce
quei problemi e risolvere alla radice questi mali, avvalendosi di uno specifico metodo scientifico»
6
.
Occorre partire, prima di ogni altra cosa, da una definizione chiara di salute,
essenziale per una medicina equa. Quest’ultima, dalla seconda metà del Novecento
ai giorni nostri, è al centro di acute indagini in campo politico, filosofico,
antropologico, narrativo, sociologico, ma anche medico. Analisi che intendono
3
Stefano Rodotà, ex parlamentare italiano ed europeo, è stato anche membro del Gruppo europeo per l’etica
delle scienze e delle nuove tecnologie ed è tra gli autori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
del 2000.
4
S. RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano 2006, p. 225.
5
Ivi, p. 241.
6
G. COSMACINI, op. cit., p. 75.
6
ridare alla nozione di salute quell’accezione politica, di una complessità che partendo
dall’ambito speculativo possa essere applicata proficuamente nella quotidianità.
Il seguente lavoro è pertanto diviso in due parti: la prima, più teorica,
inquadra i concetti di salute e malattia dai punti di vista di alcuni pensatori del
Novecento, descrivendo la nascita della cosiddetta “medicina scientifica” o
“biomedicina”, una vera e propria scienza che interpreta le patologie fermandosi
alle cause fisiche e trascurando il contesto in cui si sviluppano. L’obiettivo di tali
pensatori, pur separati da interessi disciplinari differenti, è quello di riabilitare un
paradigma medico che consideri, oltre alle radici biologiche delle malattie, anche
motivazioni di ordine psicologico e sociale.
L’analisi di alcuni testi – Saggio su alcuni problemi riguardanti il normale e il
patologico (1943), Nuove riflessioni intorno al normale e al patologico (1966), Ideologia e
razionalità nella storia delle scienze della vita (1977), Sulla medicina: scritti 1955-1989 (2002)
– del filosofo francese Georges Canguilhem sarà oggetto del primo capitolo.
Attraverso un lungo cammino che ha origine con il padre della medicina
occidentale, Ippocrate di Cos (V-IV secolo a.C.), Canguilhem parte dalla
concezione della salute intesa come una forza, insita nell’organismo umano, in
grado di ripristinare le normali funzioni organiche preesistenti alla condizione di
malattia. Una concezione che comincia ad essere modificata alla fine del Settecento,
quando i progressi di fisiologia, fisica e batteriologia, uniti alla riforma degli
ospedali francesi, determinano la nascita della “medicina scientifica”: si tratta di un
nuovo approccio alla malattia, inserita nella struttura ospedaliera e analizzata con
metodi nuovi e (quasi) infallibili. Autopsie, laboratori di analisi, chemioterapia,
vaccinazioni sono senza dubbio evoluzioni che hanno giovato all’uomo e lo fanno
ancora, ma a scapito della capacità dell’organismo di rinnovarsi. Quest’ultima è
aiutata dalla figura centrale del medico, in dovere di instaurare con il paziente un
rapporto di fiducia, di modo che la cura della malattia non sia solo
un’interpretazione meccanica dello stimolo doloroso.
Continuando sul medesimo percorso, il secondo capitolo sarà occupato da
una “discussione” tra quattro esponenti di discipline diverse – narrativa, filosofia,
7
sociologia, antropologia –, i quali si adoperano per la costruzione di una medicina
che da esclusivamente “scientifica” diventi “bio-psico-sociale”. Il prefisso bio-
ricorda che non si vuole sminuire la validità dei metodi adoperati dalla medicina –
sarebbe assurdo pensare a un ritorno “alle origini” –, cancellandone i progressi
ottenuti nel corso dei secoli. Le dimensioni psichica e sociale, tuttavia, sottolineano
che c’è bisogno anche di altro.
La scrittrice statunitense Susan Sontag, in Malattia come metafora (1977) e
L’Aids e le sue metafore (1988), mostra i retaggi irrazionali di una medicina che non sa
accettare i propri fallimenti. Difatti, le tre patologie – Tbc, cancro, Aids – che
infrangono la sua presunta capacità di sconfiggere ogni male divengono oggetto
dell’immaginario collettivo, sottoposte a miti e false credenze.
Il filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer, invece, nel saggio Dove si nasconde
la salute (1993) mostra l’oblio del soggetto provocato dalle tecniche di dissezione
anatomica e dai farmaci, riducendo il dolore a indice di un’avaria organica: le
scienze producono risultati che hanno pretese di assoluta certezza, ma la medicina
non può dirsi una vera scienza né una semplice arte, in quanto non crea ma
ricostituisce la salute, un elemento sempre presente nell’uomo, che quando c’è,
paradossalmente, non si nota – si nasconde, in quanto è solo il dolore, e non lo star
bene, ad essere percepito.
Collegandosi a Gadamer, il sociologo italiano Ivan Cavicchi, ne L’uomo
inguaribile. Il significato della medicina (1998), sostiene che la medicina attuale è sospesa
tra l’innegabile valore da attribuire al soggetto e lo statuto di scienza della natura.
Cavicchi cerca però di proporre delle soluzioni per evitare la deriva scientista: la
medicina deve confrontarsi quotidianamente con problemi di ordine etico,
applicativo, finanziario, essendo inserita in specifici contesti sociali.
L’importanza del contesto socio-culturale nell’interpretazione della malattia è
messa in luce dall’antropologo statunitense Byron J. Good, il quale, nel testo
Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico sul rapporto medico-paziente (1994), pensa la
biologia all’interno della cultura. In tal senso, il sapere medico non può essere
soltanto una rappresentazione oggettiva di un corpo malato, ma deve avvalersi dei
8
contributi offerti dall’antropologia medica, una disciplina che presta attenzione alla
sofferenza dell’uomo e all’interpretazione che egli dà del suo stato, grazie
all’insieme di fattori linguistici, educativi, e religiosi specifici di ogni cultura.
È per questo che la malattia, e di conseguenza la salute, si configura come il
risultato di una serie di variabili biologiche, sociali, psichiche, che non possono
essere ridotte alla perfezione di cui parla l’OMS: la seconda parte di questo lavoro
rappresenta il tentativo di applicare tali nozioni alla pratica, inserendo la
biomedicina ed il paradigma bio-psico-sociale in contesti particolari e osservando la
situazione dell’accesso alle cure in Italia e nei Paesi in Via di Sviluppo, con uno
sguardo all’immigrazione, una realtà con la quale siamo chiamati a fare i conti
quotidianamente.
Argomento del terzo capitolo sarà un esame della medicina nel nostro paese,
partendo ancora dal presupposto di una salute equivalente ad uno stato psico-fisico
individuale, legato alla sensibilità di ciascuno – al punto che uno stesso sintomo
può, in due persone, assumere manifestazioni differenti – ma anche alle influenze
dell’ambiente socio-economico. Quest’ultimo particolare porta lo statista Vincenzo
Colalillo, ne La tutela della salute nella Costituzione Italiana (1979), a concludere che la
garanzia del diritto alle cure spetti allo Stato – e a tale scopo l’autore descrive la
genesi e l’applicazione dell’Articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana.
Ne Il Sistema Sanitario Italiano (1999), invece, l’economista Vittorio Mapelli
descrive la nascita e gli sviluppi del nostro Sistema Sanitario Nazionale. È qui che fa
la sua apparizione una figura centrale in medicina, quella del medico di famiglia, che
fa da tramite tra il paziente e il SSN, guidando il primo verso una scelta
consapevole delle terapie cui sottoporsi.
Una esposizione delle origini e del ruolo del medico di famiglia appare in
Medicine del quotidiano. La salute tra consumo e bisogno (1987), del sociologo Domenico
Secondulfo, testo in cui il medico diventa colui che, attraverso lo strumento
comunicativo, interpreta i disturbi bio-psico-sociali dell’ammalato, per indicargli
una via verso la guarigione. Un rapporto messo in pericolo dalla burocratizzazione
9
di questa professione tanto importante, che conduce pertanto alcuni pensatori a
chiedersi quale sarà il futuro della sanità italiana.
L’epidemiologo Roberto Volpi, ne L’amara medicina (2008), osserva con
amarezza l’attuale tendenza del SSN, chiuso nella doppia morsa di una burocrazia
opprimente e di un’attenzione eccessiva nei confronti della prevenzione, in una
corsa verso il raggiungimento della “salute perfetta”. Il risultato è un aumento dei
costi morali – in termini di ansia da attesa – ed economici della sanità italiana.
Proprio questi aspetti devono indurre a un ripensamento del sistema di
regolamentazione e di accesso alle cure in Italia, senza però rinunciare al SSN,
secondo quanto sostengono l’epidemiologo Paolo Vineis e l’economista Nerina
Dirindin nello scritto In buona salute. Dieci argomenti per difendere la sanità pubblica
(2004). Essi, pur riconoscendo le difficoltà, specialmente economiche, in cui versa il
SSN, gli riconoscono comunque il merito di essere ispirato a principi di solidarietà.
Ciononostante, è necessario un metodo che coniughi l’efficienza del sistema con
l’efficacia delle prestazioni offerte e una soluzione può essere rappresentata dal
metodo dell’Evidence-based Medicine, una valutazione delle decisioni prese dai medici
in base a prove scientifiche.
Nel quarto capitolo, infine, l’attenzione sarà rivolta all’accesso alle cure e al
rapporto tra la biomedicina e le culture non occidentali. Partendo dalla Conferenza
di Alma Ata del ’78, alcuni studiosi tracciano un bilancio per valutare se la
promessa avanzata dall’OMS sia davvero stata mantenuta – prendendo atto,
purtroppo, del suo mancato adempimento. Lo dimostra il medico Eduardo
Missoni, curatore del Rapporto 2004 Salute e Globalizzazione, una cronaca dello stato
di salute del mondo, e particolarmente dei Paesi in Via di Sviluppo, redatta
dall’Osservatorio Italiano sulla Salute Globale, organismo internazionale nato nel
2001 a Erice (Trapani), con l’obiettivo di monitorare, annualmente, le conseguenze
delle politiche di globalizzazione sulla salute dei popoli. Molti Paesi in Via di
Sviluppo non hanno accesso alle cure primarie – e bisogna notare come l’obiettivo
della conferenza dell’OMS fosse proprio la garanzia di un’assistenza sanitaria di
base per tutti. In questi Paesi, la povertà è la causa di patologie radicate – Aids, Tbc
10
e malaria, le cosiddette Poverty Related Diseases –, secondo quanto evidenziato da
alcuni membri dell’Accademia dei Lincei in un convegno tenuto a Roma nei 2003, i
cui atti sono poi stati raccolti nel volumetto Medicina e salute in Africa: una sfida globale
(2005).
Guardando all’influenza esercitata dalla nostra medicina su popolazioni
diverse per lingua e cultura, Rony Brauman, membro di Medici Senza Frontiere,
cura il volume Utopie sanitarie. Umanità e disumanità della medicina (2000), rilevando che
ogni azione medica è sempre inserita in uno specifico contesto socio-culturale e, di
conseguenza, diventi impossibile esportare i nostri metodi come azioni puramente
meccaniche.
Il sociologo Guido Giarelli, in Medicina africana e sviluppo professionale (1995),
offre un esempio tangibile dell’idea avanzata dai MSF: descrivendo gli aspetti
caratteristici della medicina tradizionale di una comunità africana – i Tharaka del
Kenya –, l’autore dimostra che una collaborazione tra culture diverse è possibile.
Giarelli illustra, infatti, un progetto di cooperazione tra i Tharaka e la Ong
padovana CUAMM.
Cooperazione e dialogo, insieme alla soppressione di pregiudizi radicati,
diventano allora elementi imprescindibili anche nel rapporto quotidiano con le
migliaia di immigrati che abitano il nostro paese, come dimostra la psichiatra e
antropologa Virginia De Micco nel volume Le culture della salute. Immigrazione e sanità:
un approccio transculturale (2002). Le difficoltà di adattamento, vissute ogni giorno
dall’immigrato, crescono al sopraggiungere di un malessere, quando occorre
rivolgersi ad una struttura sanitaria: medico e paziente sono divisi da barriere
linguistiche, burocratiche e soprattutto culturali, interpretando diversamente le
malattie, secondo nozioni e credenze dettate da differenti provenienze storiche e
geografiche.
Quale può essere la strada da seguire, per una medicina realmente attenta alle
esigenze dei pazienti e aperta alle esigenze interculturali che le si presentano?
Apertura e integrazione – tra le tecniche biomediche e una salute culturalmente
condizionata – sono i primi passi da compiere, per realizzare, nel modo in cui
11
auspicava Giorgio Cosmacini, una reale collaborazione tra medicina e politica,
pensata per uno specifico individuo ma inserito nella realtà del mondo globalizzato.
PARTE PRIMA
LA MEDICINA NEL PENSIERO FILOSOFICO
13
CAPITOLO PRIMO
La fondazione positivista della medicina nella riflessione di
Georges Canguilhem
1.1. Canguilhem e la medicina
«Il primo lavoro di Georges Canguilhem – una tesi di dottorato in medicina, sostenuta nel
1943, alla Facoltà di medicina dell’Università di Strasburgo, ripiegata allora a Clermont-Ferrand –
si sofferma già con audacia su problemi come: che cos’è la malattia? In che consiste? Da cosa la si
riconosce? Quando comincia? Possiamo distinguere ancora, in base a un criterio di gravità, le
affezioni che ci colpiscono? Oppure, per prendere il problema alla rovescia, che cosa caratterizza
la salute?»
1
.
Così l’epistemologo François Dagognet descrive il Saggio su alcuni problemi
riguardanti il normale e il patologico
2
, tesi di dottorato del suo maestro Georges
Canguilhem (1904-1995), storico ed epistemologo francese del secolo scorso. Le
parole di Dagognet si trovano in appendice al volume Sulla medicina. Scritti 1955-
1989
3
, del 2007, edizione italiana degli Ecrits sur la médicine, pubblicati in Francia nel
2002.
Nell’opera di Canguilhem, «la riflessione filosofica si intreccia con la storia
delle scienze e in particolare con la storia della medicina e della biologia»
4
, come
scrive Alfonso Iacono su “Il Manifesto” del 9 luglio 1998, in occasione della
pubblicazione de Il normale e il patologico in Italia. L’edizione italiana è divisa in due
parti: la prima – il Saggio – è la tesi di dottorato in medicina, discussa a Clermont-
Ferrand nel 1943; la seconda – Nuove riflessioni intorno al normale e al patologico
5
–
contiene considerazioni elaborate circa vent’anni dopo, tra 1963 e il ’66, in cui
Canguilhem estende l’ambito della sua riflessione da quello medico-biologico al
sociale.
1
F. DAGOGNET, Georges Canguilhem. Filosofo della vita, in G. CANGUILHEM, Sulla medicina. Scritti
1955-1989, trad. it. di D. Tarizzo, Giulio Einaudi editore, Torino 2007, p. 69.
2
Cfr. G. CANGUILHEM, Essai sur quelques problèmes concernant le normal et le pathologique, La Montagne,
Clermont-Ferrand 1943.
3
Cfr. G. CANGUILHEM, Sulla medicina. Scritti 1955-1989, cit.; ed. or. Écrits sur la Médicine, Seuil, Paris
2002.
4
A. IACONO, Chi conosce la vita sa che l’infrazione vince sulla regola, “Il Manifesto”, 9 luglio 1998.
5
Cfr. G. CANGUILHEM, Il normale e il patologico, trad. it. di D. Buzzolan, Giulio Einaudi editore, Torino
1998; ed. or. Le normal et le pathologique, Presses Universitaires de France, Paris 1966.
14
L’interesse di Canguilhem per la medicina inizia negli anni Venti, quando,
ventenne, frequenta l’“Ecole Normale Supérieure” di Parigi
6
, acquisendo una
duplice formazione in filosofia e medicina. Negli anni Cinquanta diventa professore
e direttore dell’Istituto di storia delle scienze e delle tecniche all’Università
“Sorbona” di Parigi. La ricerca in campo medico e biologico impegna Canguilhem
nel corso di tutta la sua esistenza: del 1977 è Idéologie et rationalité dans l’histoire des
sciences de la vie, testo dedicato alla trasformazione dell’arte medica in medicina
sperimentale – pubblicato in Italia nel 1992 con il titolo Ideologia e razionalità nella
storia delle scienze della vita
7
–, mentre nel periodo dell’insegnamento alla “Sorbona” e
sino alla fine degli anni Ottanta il filosofo partecipa a seminari e pubblica saggi
sull’argomento, poi raccolti negli Ecrits sur la médecine.
1.2. Salute e malattia
«Se ammettiamo, a nostra volta, che una definizione della salute sia possibile,
senza riferimento a un sapere esplicito, dove ne cercheremo il fondamento?»
8
. È
quanto si chiede Canguilhem in una conferenza tenuta a Strasburgo nel maggio del
1988, il cui testo è poi pubblicato all’interno dei “Cahiers du séminaire de
philosophie”
9
nello stesso anno ed in seguito negli Ecrits sur la médecine. In Italia esso
appare come La salute: concetto volgare e questione filosofica, nel volume Sulla medicina.
Scritti 1955-1989. Il saggio verte, dunque, sulla definizione del concetto di salute,
che Canguilhem riprende da quella proposta nel 1936 da René Leriche
10
: “La salute
è la vita nel silenzio degli organi”
11
. Si tratta di un tema filosofico frequente durante
l’età classica e l’Illuminismo, affrontato quasi sempre in riferimento alla malattia: la
6
L’“Ecole Normale Supérieure” di Parigi è un istituto francese per l’istruzione superiore, fondato nel 1794 per la
formazione degli insegnanti. Attualmente gli studenti che la frequentano diventano invece dipendenti del
governo e di enti pubblici – telecomunicazioni, genio civile e strutture dell’aviazione.
7
Cfr. G. CANGUILHEM, Ideologia e razionalità nella storia delle scienze della vita, trad. it. di P. Jervis, La
Nuova Italia, Firenze 1992; ed. or. Idéologie et rationalité dans l’histoire des sciences de la vie. Nouvelles études
d’histoire et de philosophie des sciences, Vrin, Paris 1977.
8
G. CANGUILHEM, La salute: concetto volgare e questione filosofica, in ID., Sulla medicina. Scritti 1955-
1989, cit., p. 23.
9
Cfr. ID., La santé, concept vulgaire et question philosophique, “Cahiers du séminaire de philosophie n. 8: La
santé”, Éditions Centre de documentation en histoire de la philosophie, 1988.
10
René Leriche (1879-1955), chirurgo e fisiologo francese, ha svolto numerosi studi sul fenomeno del dolore.
11
Cfr. R. LERICHE, Introduction générale; De la santé à la maladie; La douleur dans les maladies; Où vas la
médicine, in ID. (a cura di), Encyclopédie Française, VI, Comité de l’Encyclopédie Française, Parigi 1936.
15
salute è generalmente connotata come assenza di malattia. Leibniz, ad esempio,
nella Teodicea (1710), sostiene che è il dolore a far conoscere all’uomo l’importanza
della salute, il cui valore è da lui notato solo nel momento in cui ne è privato. Kant,
ne il Conflitto delle facoltà (1798), afferma che non esiste una scienza della salute. La
salute è un concetto volgare e non scientifico – laddove “volgare” non indica
“triviale”, bensì “comune”, comprensibile da tutti.
La definizione di salute di Leriche, condivisa da Canguilhem, compare anche
molti anni prima, nella sua tesi del ’43. Prima di giungere al pensiero del fisiologo
francese, tuttavia, Canguilhem elabora una dettagliata descrizione della nascita del
concetto di “normale” e delle sue differenze con il “patologico”, non prima di aver
chiarito, nell’Introduzione, il senso di un’opera avente per oggetto la medicina e la
filosofia:
«La filosofia è una riflessione per la quale ogni materia estranea è buona, anzi potremmo
dire: per la quale ogni buona materia deve essere estranea. Poiché abbiamo intrapreso gli studi
medici pochi anni dopo la fine degli studi filosofici, e parallelamente all’insegnamento della
filosofia, dobbiamo qualche parola di spiegazione a proposito delle nostre intenzioni. Non è
necessariamente per conoscere meglio le malattie mentali che un professore di filosofia può
interessarsi alla medicina. E tanto meno per esercitarsi in una disciplina scientifica. Ciò che
esattamente ci attendevamo dalla medicina era un’introduzione a problemi umani concreti. La
medicina ci appariva, e ancora ci appare, come una tecnica o un’arte situata su un crocevia tra
diverse scienze, piuttosto che come una scienza in senso proprio»
12
.
Canguilhem parte dalla classificazione delle malattie: nell’epoca in cui egli
scrive le malattie sono distinte in base alla localizzazione dei sintomi. Si tratta,
appunto, di una concezione “localizzazionista” o “ontologica” della malattia, alla
quale si oppone quella “totalizzante” o “dinamico-funzionale” propria della
medicina greca: la malattia consiste in un disturbo che colpisce la natura umana,
risultato di armonia ed equilibrio, e non è localizzabile, pertanto, in una parte
specifica dell’uomo ma nella totalità del suo essere. La natura compie uno sforzo
per generare un nuovo equilibrio all’interno del corpo: «La malattia è una reazione
generalizzata il cui scopo è la guarigione»
13
. I medici oscillano continuamente tra le
due teorie, non negandone nessuna. Malattia e salute – normale e patologico – sono
caratterizzate da una differenza di tipo qualitativo. È, dunque, erroneo considerare
12
G. CANGUILHEM, Il normale e il patologico, cit., pp. 9-10.
13
Ivi, p. 16.