6
INTRODUZIONE.
Le tesi sull’arte approvate durante la riunione del Presidium del CC del Proletkult pan russo,
e il Manifesto redatto da Majakovskij nella rivista “Lef” n.1 (sigla di Fronte di sinistra delle
Arti) del 1923, convergono sull’utilità di allontanarsi da qualsiasi stilizzazione formale, per
tendere verso una raffigurazione che debba assolutamente aderire al referente. L’arte
comunista russa, conosce la nota illusione che stabilisce un rapporto di identità tra le
immagini e la verità: tanto piø un’ immagine aderisce al referente, tanto piø viene assunta
come reale, autonoma, referente in quanto tale, vera per convenzione. Ecco che l’arte, per
essere efficace propaganda, deve essere riconosciuta come evidente mimesi del referente che
indica; questo processo è di gran lunga piø pervasivo della propaganda attuata dai contenuti;
quest’ultima infatti, per essere efficace non può che essere oggettivata e intersoggettivata
attraverso un medium che la renda comprensibile, ma soprattutto credibile. Crediamo alle
figure, immagini, sui giornali perchØ consideriamo la fotografia una perfetta mimesi del reale,
e quindi vera a priori.
La figura aderisce al referente anche quando il referente può essere un’esperienza astratta
come la religione, il mito, il tempo: anzi si potrebbe dire che la figura crea il referente;
soprattutto quando si tratta di concetti astratti come la religione, il mito, il tempo. Ecco che la
visione del tempo, si propaga e si crea, a partire dalle immagini che percepiamo di questo: un
orologio appeso al muro, un calendario, una fotografia che ci mostra quello che piø non
siamo, le modificazioni stagionali; a metà strada tra una serie di referenti (o indici in quanto
indicano figurazioni del tempo) naturali e artificiali (oggetti, figure e artefatti culturali
socialmente creati). Tali figure, in quanto ‘somiglianti’ diventano ‘vere’, diventano il tempo;
giacchØ un concetto astratto ha finalmente trovato figura in una forma concreta; reale
appunto.
Come vuole la formula simbolista di Jean MorØas, apparsa sul Manifesto del Simbolismo in
« SupplØment littØraire du Figaro » nel 1886, secondo cui compito dell’arte è <<rivestire
l’Idea di una forma sensibile>> che attraverso una rete di analogie ne veicoli le potenzialità
allusive; la figurazione del tempo, diventa non mimesi del referente (il tempo in quanto tale);
ma mimesi e veicolo dell’Idea, o Idee, sul tempo. Di qui l’interesse; come nel sopracitato
7
manifesto simbolista, per la dimensione del sogno, della visione interiore,
dell’immaginazione, attraverso l’ambigua modalità del simbolo. Ecco che, con buona pace
dei simbolisti quanto del Lef; un’immagine è al contempo sogno e realtà; in quanto capace di
creare il sogno e la visione a partire dalla realtà, ma anche la realtà a partire dal sogno e dalla
visione.
L’interesse si sposta quindi sul processo del “vedere” (l’atto, il processo, la noesi); in quanto
permette di rendere visibile ciò che è da una parte invisibile e astratto, dall’altra immanenza e
contingenza: il tempo è inafferrabile; ma contemporaneamente è presente nell’esperienza
quotidiana di ognuno di noi, attraverso le sue immagini e figurazioni.
Rendere visibile il tempo, o per meglio dire, esplicitare le visioni del tempo, significa
palesare ‘il modo’ di vedere il tempo. Questo è ciò che questo testo si propone di fare.
Nell’indagare le “visioni del tempo”, si rende necessaria un’analisi e un utilizzo eterogeneo di
fonti, metodi e teorie: ogni teoria è a sua volta portatrice di ‘visioni’; (di figurazioni), che
impone al referente. Ecco che teorie e metodi, diventano al contempo strumento di analisi, e
oggetto di analisi; in quanto testimonianza culturale privilegiata. I principi gestaltici di
Wertheimer, vengono così posti come possibilità percettiva e cognitiva di organizzare le
‘figurazioni’, e quindi le rappresentazioni sul tempo, in narrazioni. La teoria narrativa
permette a sua volta un’organizzazione dei contenuti in termini di copioni narrativi sul
tempo: visioni ricorrenti, riconoscibili, percepite come continue rispetto alla realtà circostante
e dotate di senso. Narrazioni che inglobano quindi i concetti di rappresentazioni sociali,
quanto del costrutto cognitivista di schema; appropriandosi della possibilità di considerarli
come concetti integrati simultaneamente nella capsula temporale dell’evento; unità di base
della narrazione, - mimesi di un’esperienza integrata tout court e non frammentata - . Dalla
lezione sistemica, si trae il beneficio sul piano metodologico, di poter far interagire
organicamente e sistemicamente le varie teorie; e quindi si procede verso un’integrazione
teorica, organica e coerente, delle varie teorie e dei vari settori disciplinari, considerandoli
inseriti all’interno del medesimo sistema macroculturale. Sul piano gnoseologico, la
prospettiva sistemica, offre invece un’integrazione multisistemica e antielementarista delle
varie prospettive temporali; permettendo di garantire e preservare la ricchezza e la
complessità del fenomeno tempo.
Lo strutturalismo di Pierre Bourdieu, pone invece dei limiti strutturali socialmente
determinati: uno dei processi di universalizzazione del tempo – vincolo a priori che permette
una standardizzazione dell’esperienza temporale – è posto dalla costante in tutte le società,
della gestione del tempo sociale da parte delle agenzie di potere e dagli organi di controllo
8
sociale. Altre strutture che vincolano – e quindi universalizzano entro certi limiti - le visioni
del tempo, concernono la struttura bio-chimica, e altre caratteristiche specie specifiche,
quanto universali alle varie specie (come i ritmi circadiani); rintracciabili nella specie umana.
Dal socio strutturalismo di Zerubavel si assume
la fondamentale tesi <<strutturalista>> secondo la quale il significato è dato dal modo in cui gli
oggetti semiotici sono posizionati sistemicamente
1
che conserva la metaforica natura visiva dell’esperienza – ma anche perchØ pone fondamento
su questa, (ovvero si basa) – nella costruzione della realtà (sociale e personale) del tempo.
L’interazionismo simbolico, risulta particolarmente utile per i processi di negoziazione e
contrattazione del reale e per il concetto di reificazione linguistica; processo per il quale
alcune visioni del tempo diventano nell’abitudine d’uso linguistica, reali vere e universali
(nonchØ le uniche possibili a fronte della vastità di significati temporali possibili).
Infine della Fenomenologia si assume l’importanza del vissuto esperienziale e della datità
sensibile diretta, come base esperienziale delle nostre visioni del tempo.
Ecco che l’eterogeneità delle fonti quanto quella teorica, si manifesta in una retorica che
procede verso un’ integrazione, che non mini la complessità del fenomeno tempo in inutili
scotomizzazioni oggettivo/soggettivo. Integrazione attuabile, a partire dalla teorizzazione
dell’ interazione sistemica del complesso di significati culturali che avviene nell’esperienza
quotidiana del vissuto tempo, permettendoci di vivere un’esperienza complessa e ricca, ma
percepita nella maggior parte dei casi (anche se non sempre) come continua, e quindi
integrata.
Questo lavoro quindi, non si propone di dare spiegazioni ‘generalistiche’ e ‘generalizzate’. Si
formulano semplicemente delle ipotesi, che come tali sono opinabili.
Si tenga presente che per motivi di spazio, quanto di tempo, sarebbe stato poco possibile,
affrontare tutte le dinamiche in gioco. E anche qualora lo fosse, va tenuto sempre presente,
che le dinamiche e le parti della configurazione globale, che si affacciano sul qui e ora del
piano esperienziale sono comunque limitate.
Ciò non di meno, si è scritto il seguente lavoro, secondo l’ipotesi, che la configurazione
globale delle teorie delle diverse aree disciplinari, dovrebbe ‘tentare’ o almeno ‘aspirare ad
essere’ la piø rappresentativa possibile, di quel globale, infinito e inafferrabile che è la realtà.
1
(Zerubavel E. , Mappe del tempo, 2005) p. 19
9
Si attua perciò una scelta interdisciplinare, in funzione di un tentativo di non nullificazione
della complessità e della ricchezza del fenomeno tempo, in associazione a un determinato,
iperspecifico e settoriale dominio di vita, e/o teorico-disciplinare.
Come fa notare Zerubavel
2
, i cui studi sulla rigidità dei ritmi temporali nella nostra società,
che avevano preso come esempio prototipico l’istituzione ospedaliera
3
; vennero ricondotti a
uno degli innumerevoli studi sociali sull’istituzione ospedaliera (data la sovrabbondanza di
tali studi, quest’ultimi si presentavano come un criterio di classificazione della conoscenza,
familiare e affidabile); la carenza di studi sociali che si propongano il tempo come oggetto di
studi privilegiato, porta a ricondurre qualsiasi studio sociale sul tempo, come uno studio sul
dominio di vita preso in analisi. Ecco che l’eterogeneità permette di non dimenticarsi
dell’oggetto di studi fra i piø eterogenei tra quelli studiati – il tempo -; a fronte di contesti e
oggetti di studio piø familiari, e di non ricondurre lo studio del tempo, alle normali categorie
utilizzate e consolidate.
Nelle premesse, sarà quindi delineata l’utilità di uno studio interdisciplinare di un tema tanto
qualitativamente eterogeneo come il tempo.
La parte I è invece, interamente dedicata al tema della socializzazione per immagini: a partire
dal valore gnoseologico dei simboli, e dalla valenza antropologica di un’analisi iconologica;
si perviene, a una breve cronistoria del concetto di tempo, attraverso le sue figurazioni. La
prima parte termina con un’analisi su come il tempo si configuri socialmente, e dei rapporti
che intercorrono tra norma, società, e tempo.
Nella parte II vengono esposti i principali copioni narrativi sul tempo. Andando a individuare
delle forme narrative ricorsive, comuni a piø culture, a diversi periodi storici, e che trovano
un corrispettivo in svariate teorie scientifiche, analizzando anche quest’ultime come materiale
culturale narrativo.
L’ultima parte è dedicata alla messa a punto di un modello, che permetta di tenere conto delle
varie forme di narrare e rappresentare il tempo: il nostro senso del tempo si configura a
partire dall’interazione e dalle integrazioni tra queste <<visioni>> del tempo, delineate nei
capitoli che precedono quest’ultima parte.
2
(Zerubavel E. , Ritmi nascosti, 1985)
3
(Zerubavel E. , 1979)
10
PREMESSE.
[Di
git
are
11
CAPITOLO 1
UN APPROCCIO TRANS-INTERDISCIPLINARE.
“La nostra attuale Università forma in tutto il mondo una proporzione troppo grande di specialisti di discipline
predeterminate, dunque artificialmente circoscritte, mentre una gran parte delle attività sociali, come lo stesso
sviluppo della scienza, richiede uomini capaci di un angolo visuale molto piø largo e nello stesso tempo di una
messa a fuoco in profondità dei problemi, e richiede nuovi progressi che superino i confini storici delle
discipline”. (LICHNEROWICH)
1.1 Il particolare. Metonomie moderne.
“Ogni conoscenza è specifica e inadeguata”. DE MONTICELLI.
Sarà il bisogno di economia cognitiva
4
che impone una tendenza a semplificare. O forse il
processo simbolico, che la permette (attraverso, un’ associazione tra una rappresentazione
sintetica e il referente che indica) di semplificare i contenuti. O come vuole la teoria della
rete semantica, la tendenza ad associare a un concetto, l’attivazione di concetti, adiacenti e
semanticamente prossimi
5
. Fatto sta, che si riscontra una generale tendenza, ad indicare
concetti complessi e astratti, con concetti piø semplici, concreti, immediati e particolari; da
prima in base a connessioni e similitudini che li pongono in associazione. Passando
successivamente per un uso metaforico dell’oggetto particolare per il concetto astratto
generale. E in ultimo, attraverso la reificazione linguistica
6
, questi acquistano autonomia,
finendo per indicare il concetto astratto (di cui prima erano convenzionalmente solo parte) in
toto.
Così capita, che per l’euristica della familiarità
7
, in base alla frequenza d’uso, alcuni termini
e concetti, indicanti il particolare, finiscano in identità con il concetto a cui fanno riferimento.
¨ il caso del tempo, e della generale tendenza, ad indicarlo e rappresentarlo per mezzo di
orologi. Tale tendenza è avvallata sia dall’abitudine di indicare e scandire il tempo in termini
di orari, sia dalla natura visiva e concreta dell’oggetto fisico dell’orologio, e della sua
diffusione. Per cui il particolare (la misurazione, una delle operazioni possibili con il tempo)
diventa (sostituisce, viene utilizzato al posto di) il generale (l’astratto concetto di tempo, il
4
Modello dell’uomo come economizzatore di risorse cognitive (Taylor, 1981)
5
(Neely, 1977)
6
(Berger & Luckmann, 1966)
7
(Zajonc, 1968)
12
misurato). Naturalmente tale metonimia non è per niente innocua: il generale, perde le sue
caratteristiche, e diventa solo, esclusivamente particolare. L’orologio nella nostra società non
è solo simbolo del tempo. L’orologio diventa, in maniera automatica e naturale, il tempo.
Anche il ‘simbolo’, per sua natura tende ad aderire al referente nella reificazione
linguistica, e nell’abitudine d’uso (visiva o semantica che sia). Ma mentre il simbolo
racchiude sincreticamente una pluralità di significati; la parola, essendo definita, definibile, e
limitata, può indicare solo alcuni concetti alla volta. Per cui, il particolare (uno dei concetti
possibili) che sostituisce il generale (l’insieme dei concetti e delle accezioni possibili), lo
limita nella definizione particolare di cui è portatrice.
Tra tali metonimie, possiamo riscontrare: la sostituzione dello strumento con il fine
(per la quale lo strumento diventa l’obiettivo ultimo, “affezionarsi” troppo allo strumento
comporta non valutarlo piø in termini di utilità, attribuendogli un’intrinseca “bontà” anche
quando risulta limitante, superato, o poco utile per l’obiettivo) ; dello strumento con l’oggetto
di studi (come quando si parla di Q.I. in termini di equivalenza con l’intelligenza,
dimenticandosi che si tratta di una scala di misurazione artificiale); dello strumento a
discapito di un’ evidente ‘compromissione qualitativa della realtà’; della misurazione con il
misurato: come ad esempio dell’orologio al posto del tempo; della teoria con la realtà (come
quando si tratta l’intelligenza come categoria naturale, e non come costrutto teorico); i
contenuti culturali con il piø ampio processo culturale (cristallizzando e reificando i
contenuti culturali come fissi e immutabili e non prodotto di un processo fluido comune a
tutte le culture
8
).
Tali metonimie moderne, sono proprie di una certa cecità concettuale che rende
incapaci di vedere l’insieme, e si riproducono per mezzo di quella afasia semantica, che la
nostra scienza aggrava attraverso quei criteri artificiali che applica alla vita umana,
parcellizzando l’essere, nullificando l’esistere. Sono propri tra l’altro a quella scienza che
attribuisce oggettività (strumento scambiato come fine) a categorie di pensiero artificiali,
eleggendole come naturali, e confondendo la teoria con la realtà. Questi riduzionismi
esistenziali allontanano da
“un modo di essere autentico ed adulto che protegge dal nichilismo e dal relativismo storicistico
senza per questo sottrar(ci) alla storia”
9
,
8
(Mantovani, Intercultura e mediazione. Teorie ed esperienze., 2008 -a-); (Turchi & Celleghin, 2010).
9
(Eliade M. , Immagini e Simboli, 1952) p.37
13
ove per storia, si intende anche la cultura: e quindi anche la scienza. PoichØ la scienza
produce cultura, si situa nella cultura, essa è, a tutti gli effetti narrazione culturale.
Abbiamo bandito la complessità. La circumnavighiamo, la segmentiamo, la
schematizziamo. Lo sforzo di questo lavoro è quindi di riunire ciò che è stato scisso,
scotomizzato, annullato: l’integrità e la pienezza del vivere e del tempo vissuto.
Per raggiungere tale obiettivo ci si propone di riunificare i vari campi del sapere come
testimonianze di pari e uguale dignità rispetto alle varie concezioni possibili di tempo.
CosicchØ l’universalità e l’intelligibilità del fenomeno siano manifestazioni
dell’immediatezza della realtà sensibile che questi investe. L’irreversibilità del passato,
corrisponda all’unicità e alla specificità dell’esperienza umana. La mortalità che il tempo
biologico implica, venga valutata come possibilità di temporalizzazione a ritroso che dia
senso e significato alla vita in senso lato. L’irripetibilità, vissuta come risorsa per vivere con
consapevolezza e pienezza il presente.
1.2 Il mondo nuovo e le realtà prototipiche.
“Il Direttore di Londra Centrale aveva sempre cura di condurre in giro personalmente per i vari reparti gli
studenti nuovi.
<< Semplicemente per darvi un’idea generale >> egli era solito dir loro. PerchØ un’idea generale dovevano pure
averla, per compiere il loro lavoro intelligentemente; e tuttavia era meglio che ne avessero il meno possibile, se
dovevano riuscire piø tardi buoni e felici membri di una società. PerchØ, come tutti sanno, i particolari portano
alle virtø e alla felicità; mentre le generalità sono, dal punto di vista intellettuale, dei mali inevitabili. Non i
filosofi, ma i taglialegna e i collezionisti di francobolli compongono l’ossatura della società.” (ALDOUS
HUXLEY, Il mondo nuovo).
Nel ‘nuovo mondo’, Huxley si immagina una società nella quale la felicità dei singoli come
della collettività è stata ottenuta al prezzo della perdita del libero arbitrio e della creatività. E’
una società quasi del tutto priva di criminalità. Una società in cui non esiste nØ ‘rischio’ nØ
‘pericolo’. Una società sicura, in grado di soddisfare qualsiasi bisogno dei cittadini, poichØ i
bisogni stessi sono pre-programmati negli individui, attraverso l’ingegneria genetica e il
condizionamento nella prima infanzia. Dei bisogni standardizzati. Una società che funziona
come una macchina perfetta, perchØ ogni individuo assume il suo posto preciso, dagli
individui ‘alfa’, geneticamente ‘piø intelligenti’ ma condizionati a saper pensare entro certi
14
‘confini’, ai ‘gamma’ o gli ‘epsilon’, bloccati nello sviluppo embrionale, e condizionati ad
essere felici della loro condizione piø ‘semplice’. PerchØ questo ingranaggio funzioni; il
generale dev’essere un’idea, piø o meno sfumata, che alleggia sottoforma di qualche vaga
intuizione … ma solo ‘per compiere il loro lavoro intelligentemente’.
Dalla legittimità o meno dei confini conoscitivi dipende l’esistenza stessa di una terra di
mezzo, apparentemente di nessuno, per tutti quei problemi che intersecano varie aeree. Il
problema ora, è che nella maggior parte dei casi, gli oggetti di studio delle varie scienze
sociali, si situano proprio in quella terra di confine, che è la vita quotidiana di tutti noi. Che
“procedura” seguire quindi se non siamo collezionisti, nè taglialegna, bensì studiosi delle
scienze psicosociali?
Nella striscia del 23 ottobre 1958 nei fumetti di John & Solfami; compaiono per la
prima volta un popolo di personaggi immaginari; gli Schtroumpf , in italiano denominati
‘puffi’ creati da Pierre Culliford detto Peyo, fumettista belga, e da Yvan Delporte, giornalista
belga. Vent’anni dopo, nel 1978 ad opera di Godtfred Kirk Christiansen e figlio, ideatori dei
‘mattoncini LEGO’, fanno la comparsa sul mercato i primi prototipi degli ormai diventati
classici ‘omini LEGO’.
Ciò che hanno in comune queste immaginarie e prototipiche versioni di ‘società’ è il rigoroso
e stereotipico alto grado di specializzazione tra i loro membri. Ogni rappresentante possiede
le qualità stereotipiche della mansione che svolge all’interno della società. Come nel ‘mondo
nuovo’ il ruolo di ogni membro della società è definito a priori in base ai bisogni della
società, e ogni rappresentante si identifica e possiede le caratteristiche prototipiche definite
dal suo ‘saper fare’; ognuno è quello che sa fare; niente di piø niente di meno. Questo
sistema di ipersemplificazione della struttura della società e degli esseri umani ben si adatta e
facilita l’apprendimento dei piø piccoli, non solo delle principali categorizzazioni verbali dei
mestieri e della società, ma in un certo senso promuove il pensiero simbolico, e la costruzione
di storie con personaggi, che partendo da realtà prototipiche assumono qualità reali, mentre
vengono reinventati nel gioco.
Ma nel mondo adulto non è necessariamente così:
“C’è un’inadeguatezza sempre piø ampia, profonda e grave tra i nostri saperi disgiunti, frazionati,
suddivisi in discipline da una parte, e realtà o problemi sempre piø polidisciplinari, trasversali,
multidimensionali, transnazionali, globali, planetari dall’altra.
In questa situazione diventano invisibili:
- Gli insiemi complessi;
15
- Le interazioni e le retroazioni fra le parti e il tutto;
- Le entità multidimensionali;
- I problemi essenziali
Di fatto l’iperspecializzazione impedisce di vedere il globale (che frammenta in particelle) così
come l’essenziale (che dissolve).”
10
Le prime lezioni universitarie dei corsi di: psicologia, criminologia, sociologia, antropologia,
filosofia, così come di qualsiasi altro corso universitario presuppongono la delimitazione
dell’oggetto di studio. La prima domanda che si pone agli studenti è la seguente: cosa studia
la psicologia? Cosa studia la sociologia? Ecc..
La risposta che in genere viene fornita, dopo una breve analisi etimologica del termine, è di
questo tipo:
- La psicologia è lo studio della psiche umana
- La sociologia è lo studio della società
- La filosofia è lo studio del pensiero
- L’antropologia è lo studio dell’uomo
- La criminologia è lo studio del crimine.
Ora naturalmente andando nello specifico ed addentrandosi all’interno di ogni singolo corso,
tale definizione andrà mutando. Ad esempio, per chi opera una scelta di un corso di
psicologia cognitivista, scoprirà che il suo oggetto di studio non è piø la psiche umana in
senso esteso, ma nello specifico, i processi cognitivi, oggetto ben piø delimitato e circoscritto.
In altri casi è possibile che lo stesso oggetto non sia così ben delineato all’interno della
scienza. E’ possibile che siano in atto rivoluzioni culturali, che diverse scuole abbiano
teorizzazioni differenti.
Come scrive Amerio:
“La psicologia è andata dividendosi in aree sempre piø specialistiche in funzione della necessità
della ricerca: aree tra le quali la comunicazione si è fatta assai debole”
11
.
Ora, tale iperspecializzazione, avviene già dal primo anno dei corsi di studio, a cui si
aggiunge a seguito dell’ultimo decreto ministeriale una crescente rigidità nei piani di studio
che sempre meno permettono, scelte libere fuori dal proprio percorso di studi. E’ naturale
10
(Morin E. , 1999) p.5
11
(Amerio, Il cervello (e la mente), la persona, la società., 2006) p.10
16
quindi, a seguito di questa netta demarcazione, identificare l’ area disciplinare di elezione in
rapporto di ‘identità’ con, il piø vasto e variegato ambito disciplinare. Insomma la
parcellizzazione avviene sia nei confronti dell’oggetto di studi, sia del sapere stesso. la
psicologia è solo un frammento conoscitivo di una realtà – quella umana- di gran lunga piø
complessa e globale, che si estende lungo tutte le discipline, per così dire di matrice
antropologica, (cioè ovvero, che al di là dello specifico raggio d’azione, abbiano in ultima
istanza come oggetto di studio l’uomo);
“Paradossalmente, sono le scienze umane che oggi apportano il contributo piø debole allo studio
della condizione umana, e precisamente in quanto sono disgiunte frazionate e compartimentate.
Questa situazione occulta completamente la relazione individuo/specie/società, e occulta l’essere
umano stesso. Come il frazionamento delle scienze biologiche annichila la nozione di vita, così il
frazionamento delle scienze umane annichila la nozione di uomo (…) Si dovrebbe piuttosto
delineare una scienza antropo-sociale ricomposta, che consideri l’umanità nella sua unità
antropologica e nelle sue diversità individuali e culturali.”
12
Effettivamente non è ben chiaro perchØ le altri discipline cosiddette psicosociali non debbano
essere considerate antropocentriche. Ora se consideriamo con il termine ‘antropologico’ ‘lo
studio dell’uomo’:
La psicologia come lo studio della psiche umana; vien impossibile immaginare una
mente umana scissa dall’uomo. Come viene impossibile studiare la psiche umana senza
immaginarla all’interno di un corpo, contestualizzata in una società e che riflette ed elabora
pensieri sulla sua condizione.
La sociologia come lo studio della società; vien impossibile immaginare una società
priva di uomini. Uomini, di cui però esiste sempre un singolare. Il termine ‘uomini’ è utile
ricordarsi che è il plurale del termine ‘uomo’. ‘uomo’ e ‘uomini’ reali, dotati di psiche e
pensiero. Uno studio della società quindi che non annulli ‘gli uomini’ in essa presenti, in un
insieme generalizzato senza volto’
13
.
La filosofia come lo studio del pensiero; vien impossibile immaginare il pensiero al di
fuori di una mente – quindi di un uomo capace di pensare il pensiero- e ancora di piø diviene
impossibile immaginare un pensiero scisso da un contesto d’origine, che è per sua natura
12
(Morin E. , 1999) pp.38-39.
13
“PerchØ esista una società è necessario che delle persone stiano insieme in qualche luogo, e, per avere
una effettiva realtà sociale, è necessario che queste persone <<esistano nella mente delle altre
persone>>”. Cooley, C.H. 1902; 1909; trad. it. 1963 cit. in (Zani B., 1996) p.32
17
relazionale, poichØ un pensiero non condiviso con un altro essere umano non può essere
oggetto di studio di nessuno tranne di chi lo pensa. Non c’è quindi filosofia, senza uomo
sociale.
L’antropologia come lo studio dell’uomo. Che necessariamente racchiude tutti i livelli
precedenti e successivi.
La criminologia come lo studio del crimine. Diviene impossibile immaginare il crimine
quanto il criminale, al di fuori di un contesto relazionale e societario. Come è impossibile
immaginare un criminale che nella vita quotidiana, non sia anche ‘uomo’; dotato di ‘psiche’
di capacità di ‘pensiero’. Così come diviene impossibile immaginare, che ‘l’uomo
considerato non delinquente’ ovvero colui che non è rimasto imbrigliato nell’ingranaggio
burocratico-detentivo, non abbia mai, trasgredito alcuna legge. Chiunque nella sua storia, può
ricordare almeno un aneddoto in cui, in un certo senso, si può ritenere contravventore di una
norma.
Insomma, che si consideri l’essere uomo nella sua ‘peculiarità’. Il rischio altrimenti è di
‘stereotipizzare’ le persone alla stregua degli omini delle LEGO, capaci di avere solo un’
espressione, e per sempre quella. Capaci di ricoprire un ruolo, e per sempre quello. Di essere
alla volta o ‘solo psiche’ o solo ‘comportamento’ o solo ‘omini societari’ o solo ‘pensieri
senza biologia’ e viceversa, o solo criminali, o solo uomini non delinquenti
14
. Andrebbe
ricordato che ogni teoria sull’uomo è prima di tutto una falsificazione del reale, un reale –sia
che venga considerato datità diretta (e quindi di fatto intellegibile) oppure relegato a
costruzione mentalistica-; un reale che comunque nel momento in cui è esprimibile e
raccontabile attraverso a qualche forma di linguaggio diventa inter-soggettivo e
generalizzabile, e che quindi esiste e trascende l’individuo stesso. Un reale quindi,
rimodellizzato e formalizzato attraverso una teoria che tuttavia andrà ad elaborarne solo una
parte.
Lo studio dell’uomo dovrebbe riconsiderare il suo oggetto di studio. Restituirgli quella
complessità che è presente nell’arte. Capace forse di una riflessività di cui le scienze umane
son rimaste orfane. ‘L’essere umano’ proprio così specifico così ‘soggetto’ e non ‘oggetto’.
Così persona, e quindi così simile a noi nel tentativo quotidiano di vivere la sua esistenza, è
portatore nella sua singolarità della pluralità dell’intera gamma di esperienze accomunabili a
tutti gli esseri umani. ‘Piø sarai specifica e piø sarai generale’ diceva Lisette Modell
14
Si sta forse stereotipizzando le varie discipline, all’interno delle quali, va ricordato esistono comunque,
pensatori capaci di ripensare le discipline stesse, e di restituire un’immagine dell’uomo probabilmente meno
frammentaria, rispetto a quella a cui in questo testo si fa riferimento.
18
insegnante di fotografia della grande fotografa Diane Arbus, insegnamento piø che utile visto
che la vocazione della Arbus era quella di creare una sorta di antropo-analisi attraverso la
fotografia. Di cogliere le contraddizioni dell’essere umano e non di negarle.
Per ovviare a tale settorizzazione, nuove teorizzazioni di ogni singola disciplina son andate a
sconfinare, come era naturale che fosse, ad uscire dai confini prestabiliti. Il sapere
psicologico è andato via via frammentandosi. Scindendosi in diverse scuole. Nuove aree di
confine, mutando concetti e teorie, da altre discipline psico-sociali-antropologiche si
arricchivano, e andavano a perdere quella delimitazione originaria rispetto a quello che
doveva essere considerato oggetto di studio della psicologia. La psicologia sociale, la
psicologia di comunità, dei gruppi, del lavoro, gli approcci culturali, la fenomenologia, la
psicobiologia…ecc.
Sarebbe, forse, auspicabile, valutare una prospettiva sistemica, in cui è inevitabile che ci sia
interazione tra le varie discipline. E che le conoscenze di ogni settore disciplinare ‘cambino
gli equilibri’, cioè influenzino, l’omeostasi interna di quella particolare disciplina. Questo
perchØ in definitiva, tutte queste discipline si propongo di studiare, certo con differenti
impianti teorici e metodologici, l’uomo. Presentano quindi in comune, non i confini, ma
l’oggetto di studio. ¨ per questo che la proposta di Morin risulta interessante. Immaginare
una disciplina capace di studiare l’uomo nella sua interezza. Una scienza ricomposta, senza
lotte intestine, per delineare confini.
“Lo spirito iperdisciplinare diventerà lo spirito del proprietario che impedisce ogni incursione di
estranei nel suo frammento di sapere. (…). Accade anche che uno sguardo ingenuo da amatore,
estraneo alla disciplina, o addirittura a ogni disciplina, risolva un problema la cui soluzione era
invisibile in seno alla disciplina. Lo sguardo ingenuo, che evidentemente non conosce gli ostacoli
che la teoria esistente oppone all’elaborazione di una nuova visione (…). La storia delle scienze non
è soltanto quella della costituzione e della proliferazione delle discipline, ma è nello stesso tempo
quella della rottura delle frontiere disciplinari, degli sconfinamenti di un problema da una disciplina
in un’altra, della circolazione di concetti, di formazione di discipline ibride che finiranno per
rendersi autonome; infine è anche la storia della formazione di complessi in cui differenti discipline
si aggregano o si agglutinano. In altri termini se la storia ufficiale della scienza è quella della
disciplinarità, un’altra storia, legata e inseparabile, è quella delle inter-poli-trans-disciplinarità”
15
.
Non solo quindi molti dei confini tra le varie discipline umane possono costituire rigidità
teorica, ma inoltre andrebbero a sezionare in ‘particolari’, ciò che assume un senso e un
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(Morin E. , 1999) pp. 113-114
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significato solo se considerato tout-court: l’essere umano. Inoltre, l’invasione degli spazi
conoscitivi altrui è stata nella storia della scienza una valida risorsa, potenzialmente creativa
fonte di innovazione. La psicoanalisi nasce per opera di un medico, la genetica di un
matematico, ed è stato un metereologo a ipotizzare la deriva dei continenti, “osservando
ingenuamente la carta dell’Atlantico” ed elaborando una teoria ‘teoricamente’ impossibile per
gli specialisti, tuttavia accettata cinquant’anni piø tardi. Così come Darwin non aveva una
formazione universitaria specializzata, meno che mai in biologia. Molti teorizzatori della
psicologia, son stati in un primo tempo psichiatri, medici, filosofi ecc. La storia dell’arte è
ricca di esempi in cui i principali esponenti dall’ottocento in poi erano paradossalmente
proprio coloro che non avevano una formazione artistica in ambito accademico.
Anche la fisica oggi giorno sembra sempre piø insofferente a una netta demarcazione fra gli
ambiti disciplinari. L’ambizioso progetto che persegue attualmente prende il nome di ‘Teoria
del tutto’.
“Per gli scienziati del XIX secolo era possibile credere che la fisica avrebbe raggiunto la sua
completezza solo quando fosse riuscita a rendere conto delle forze che agiscono fra le particelle
costitutive della materia e del modo in cui tali particelle si muovono sotto l’azione di queste forze.
(…) tutto si riconduceva a questo: le forze e il moto. Le particelle stesse e la dimensione spazio-
temporale in cui queste si muovono erano date per scontate. Erano opera di Dio. Se paragoniamo la
natura a una grande rappresentazione teatrale, nella quale gli atomi che compongono la materia sono
gli attori e lo spazio-tempo costituisce la scena, possiamo dire che gli scienziati dell’epoca
ritenevano di doversi occupare soltanto dalla trama.
Oggi, invece, i fisici potrebbero dire di aver assolto il loro compito solo se fossero in grado di render
conto dell’intera opera: attori, scena, trama. Essi, infatti, cercano di dare una spiegazione esaustiva
dell’esistenza e delle proprietà di tutte le particelle elementari che compongono il mondo, della
natura dello spazio e del tempo, nonchØ dell’intero repertorio di processi in cui queste entità sono
coinvolte. Il maggior contributo di Einstein fu appunto quello di dimostrare che la separazione fra
attori e scena era fittizia. Anche spazio e tempo son attori (…) all’interno di una teoria
adeguatamente unitaria. La ricerca di un tale sistema – oggi meglio conosciuto come Teoria del
Tutto- rimane uno dei principali obiettivi della scienza”
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(Davies, 1996) pp.6-7