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Introduzione
Dopo un ultradecennale periodo di stabilità, negli ultimi anni i prezzi
delle materie prime alimentari hanno scalato montagne russe assumendo a
tratti valori straordinariamente elevati.
Le due impennate succedutesi nell’arco temporale 2007-2011 si
inseriscono in un trend di moderata crescita dei prezzi agricoli iniziato a
delinearsi tra il 2002 ed il 2004.
In termini reali nel 2008 e nel 2011 i prezzi degli alimenti erano 1,5 ed
1,8 volte più alti di quelli del 2005 (dati Fao Wfs
1
, 2012) mentre in termini
nominali i recenti valori sono i massimi registrati da almeno un secolo e
mezzo (Economist, 2007b).
L’incremento dei prezzi dei prodotti agricoli, la cosiddetta “agflazione”,
non è l’unico fenomeno a caratterizzare i mercati e a suscitare accesi
dibattiti nel mondo accademico internazionale. Anche la contestuale perdita
di stazionarietà dei valori di mercato merita delle riflessioni. Mentre il
primo tipo di cambiamento preoccupa per i rischi che aggiunge alla capacità
di approvvigionamento alimentare delle famiglie già nell’immediato, il
secondo suscita timore per il conseguente ispessimento del velo di
incertezza che avvolge le scelte economiche di produttori, consumatori e
governi.
Nel corso della trattazione verrà dato maggiore spazio alla prima
componente della dinamica dei prezzi, quella puramente inflattiva, che più
ha suscitato le riflessioni di studiosi e policy makers e forse ha anche da
sola più evidenti riflessi diretti sul benessere sociale.
1
World Food Situation, FAO Food Price Index.
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La nota Legge di Engel indica che maggiore è il reddito reale di una
famiglia minore è la quota spesa in beni alimentari. E’ quindi comprensibile
che al crescere dei prezzi soprattutto gli individui più poveri mettano in atto
una serie di misure per minimizzare gli effetti sul tenore di vita corrente e
futuro. Queste decisioni tendono a sacrificare parte del benessere degli anni
a venire in cambio di benefici temporanei: ad esempio le famiglie si curano
meno della salute e della formazione; gli imprenditori, salvo che non
gestiscano attività agricole o connesse, concentrano gli investimenti su
progetti più sicuri, che poi corrispondono a quelli con un risultato
economico prospettico inferiore. Dunque una situazione di crisi dei prezzi
di prodotti necessari alla sopravvivenza come quelli alimentari può
rallentare o far regredire il processo di sviluppo di un Paese.
Gli Stati, consapevoli degli alti rischi politici, sociali ed economici
dell’inazione o della cattiva gestione delle pressioni inflattive, adottano
degli interventi per isolare i propri Paesi dagli shock dei prezzi
internazionali o per favorire l’accesso al cibo dei gruppi sociali che meno
possono permettersi di ridimensionare consumi alimentari e non. Alcune di
queste misure tendono a rafforzare lo stesso andamento dei prezzi globali
da cui ci si vorrebbe difendere. La maggior parte di esse comporta inoltre
interventi peggiorativi sui conti pubblici.
La dinamica dei prezzi, oltre ad influenzare il benessere delle persone
agendo sul potere d’acquisto del proprio reddito, incide anche sul valore
nominale della ricchezza che gli imprenditori agricoli sono in grado di
produrre. Nei Paesi più poveri gran parte della popolazione vive di attività
del settore primario (Banca Mondiale, 2007) e al contempo spende più della
metà del reddito in beni di prima necessità (Fao Sofi, 2011).
Quindi le amministrazioni pubbliche, specialmente quelle dei Paesi meno
industrializzati, non possono trascurare la posizione di coltivatori ed
allevatori, i quali hanno interesse a veder aumentare i prezzi agricoli alla
4
produzione, soprattutto nell’attuale contesto mondiale di crescente onerosità
dei fattori produttivi
2
.
Se le istituzioni, per ragioni varie, non riescono ad evitare che l’aumento
dei prezzi alimentari sortisca un effetto economico negativo sulle famiglie
più povere, queste rischiano di non riuscire ad alimentarsi in modo
adeguato da un punto di vista nutrizionale e calorico.
Tra gli effetti immediati della dinamica dei prezzi quello più importante
riguarda proprio la sicurezza alimentare delle persone: concetto definito
dalla Fao come la possibilità di accesso ad una quantità di cibo sicuro e
nutriente adeguata a soddisfare i bisogni dietetici legati ad una vita sana e
attiva (Fao Hp, 2012).
Secondo questa organizzazione, proprio a causa dell’incremento dei
prezzi tra il 2004 ed il 2007, esistono nel mondo almeno 75 milioni di
persone sottonutrite in più (Fao Sofi, 2008).
Il mondo non ha mai prodotto tanto cibo quanto oggi e la produzione
alimentare da decenni tende a crescere ad un ritmo superiore rispetto alla
popolazione mondiale
3
(Faostat FBS, 2010). Eppure si stima che il numero
di sottonutriti sia in lieve aumento, anche se la loro percentuale è in lieve
diminuzione (Fao Hp, 2012).
Tutto ciò non deve sorprendere. Molti anni fa lo studioso indiano
Amartya Sen (1981) faceva notare che la fame è la condizione di coloro che
non hanno abbastanza cibo da mangiare, non lo stato che consegue soltanto
ed in modo diretto dalla superiorità dei fabbisogni rispetto alle disponibilità
nell’economia.
2
In particolare energia e fertilizzanti.
3
Per questo la quantità di calorie pro capite disponibili è da decenni molto superiore al fabbisogno
medio della popolazione mondiale (De Muro, 2010).
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La capacità di un individuo di entrare in possesso di una quantità e
qualità di cibo adeguata a sopravvivere dipende dalle risorse che possiede
(intese in senso lato
4
) e dagli attributi dell’insieme di tutti gli alternativi
panieri di beni di cui può appropriarsi impiegandole (exchange entitlement
set). Questo ultimo insieme deriva a sua volta dalle caratteristiche politiche,
economiche e sociali della società e dalla posizione dell’individuo nella
stessa. Si può acquisire una disponibilità alimentare in diversi modi: ad
esempio operando una transazione commerciale, producendo da sé i beni
ricercati o facendo valere un diritto nei confronti dello Stato (ivi).
Un declino dell’offerta alimentare non può essere da sola la causa di un
aumento dell’esposizione alla sottonutrizione. Essa, piuttosto, agendo sui
prezzi, può avere un effetto sfavorevole sull’exchange entitlement.
L’emergere della scarsità da sola non decide nulla della condizione di un
individuo (ivi).
Alla luce della teoria di Sen si può dire che l’agflazione internazionale,
attraverso un cambiamento delle condizioni di impiego delle risorse
(exchange entitlement mapping), ha ridotto a tal punto le opportunità di
accesso al cibo, da spingere diverse decine di milioni di persone in una
situazione di denutrizione.
La relazione tra povertà e fame è bidirezionale. Non solo il primo
fenomeno alimenta il secondo ma è vera anche la relazione inversa in
quanto le persone malnutrite hanno una minore capacità di apprendere,
lavorare e prendersi cura di sé e dei propri familiari (De Muro, 2010). Così
non esistono soluzioni alla questione dell’insicurezza alimentare che non
siano anche ricette per la crescita economica e per la redistribuzione del
reddito.
4
Non solo beni, ma anche capacità e conoscenze.
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Il fatto che in un’economia mondiale sempre più ricca un gran numero di
individui viva in una situazione di povertà e denutrizione è la maggiore
questione etica ed economica del nostro tempo (Von Braun, 2007).
L’interesse che dovrebbe spingere uno studioso ad indagare sul
fenomeno dell’agflazione sta oltre che nella gravità dei potenziali effetti
sulla qualità della vita nei Paesi più poveri della Terra, anche nella
complessità della individuazione delle cause.
La comprensione delle radici e la condivisione delle spiegazioni ad un
livello politico internazionale sono i presupposti per fare in modo che uno
sconvolgimento degli equilibri di mercato come quello recente ed un
conseguente depauperamento del benessere dei gruppi sociali più
vulnerabili non si ripetano in futuro. Tuttavia proprio la riconosciuta
difficoltà ad isolare il contributo di ogni driver discusso e la
multidisciplinarietà delle conoscenze richieste dall’analisi scientifica delle
relazioni causali ipotizzate offrono larghi spazi per speculazioni
ideologiche, strumentalizzazioni particolaristiche e giudizi semplicistici.
Nel corso degli ultimi anni sono stati pubblicati molti saggi e articoli
giornalistici di approfondimento sul tema dell’aumento dei prezzi agricoli.
Non tutti i contributi forniscono chiavi di lettura originali ed alcuni di essi
evidenziano punti di vista senza basi scientifiche solide. Ogni nuova lettura
ha rafforzato l’impressione di complessità e di politicizzazione dei dibattiti
sulle origini. Riguardo alle conseguenze dell’agflazione invece, sul piano
qualitativo, è emerso un accordo più diffuso sebbene queste siano da un
punto di vista geografico meno generalizzabili e più site specific delle
cause.
Oltre alle preziose elaborazioni di ricercatori ed esponenti della stampa
specializzata, per preparare questo elaborato di tesi si è attinto alle
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informazioni contenute nelle banche dati di importanti organismi
internazionali: tra tutti la Fao ed il dipartimento statunitense dell’agricoltura
(Usda). In base alla lettura critica del materiale raccolto si è cercato di
individuare tra i giudizi formulati dagli esperti quelli considerabili
condivisibili, comprendere le condizioni che rendono incerti passaggi
importanti della discussione ed elaborare posizioni del tutto personali,
sempre per poter produrre un’analisi puntuale delle cause e degli effetti
primari del fenomeno studiato.
Nel presente lavoro si analizzeranno le cause dell’agflazione e le sue
implicazioni economiche e sociali. Lo scritto è strutturato in due capitoli e
si basa sulla analisi critica della letteratura scientifica esistente.
Con il primo capitolo si cercherà di offrire un punto di vista oggettivo sul
funzionamento dei principali meccanismi alla radice del trend inflattivo e
degli aumenti congiunturali dei prezzi.
Nel secondo capitolo si dedicherà spazio ai diversi canali attraverso cui
la dinamica dei prezzi agro-alimentari può influire in tempi più o meno
brevi e certi sulla sicurezza alimentare di popoli e gruppi sociali. Inoltre si
preciseranno le condizioni di facilitazione dell’impatto degli eventi dei
mercati mondiali sul benessere degli individui.
Le conclusioni, infine, presenteranno una sintesi dei risultati del lavoro
svolto.
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1. Le forze in gioco e i dubbi sulle causalità
1.1 Tendenze e rialzi critici
I cereali danno un contributo fondamentale all’alimentazione nel mondo
(Kearney, 2010).
Una parte di questo apporto è dovuto al consumo diretto dei beni, più o
meno lavorati, mentre un’altra deriva dal consumo di prodotti animali e
quindi dall’uso delle derrate nella produzione mangimistica. Il frumento ed
il riso forniscono ciascuno in modo diretto quasi il 20 % delle calorie
mediamente assunte sul pianeta mentre l’importanza del mais sta nel
contributo alle attività zootecniche: infatti ben il 62 %
5
delle quantità
cerealicole destinate all’alimentazione animale è rappresentato dal mais
(elab. dati
6
Faostat FBS, 2010). Guardando ai volumi del commercio
internazionale, il frumento ed il mais sono la prima e la terza più importante
commodity agricola
7
impiegabile nella filiera alimentare, con flussi che nel
2011 ammontavano rispettivamente a 132 e a 92 mln di tonnellate (dati
Usda Fas Psd, 2012).
Le variazioni reali dei prezzi dei cereali sono tendenzialmente state
negative dal 1973-74, che resta il periodo di valori reali massimi, fino circa
alla fine degli anni Ottanta (Piesse e Thirtle, 2009; Schmidhuber, 2007).
Dopo molti anni di trend negativo nell’ultimo decennio dello scorso
secolo il costo reale del cibo ha seguito un percorso incerto ma tendente a
confermare sempre gli stessi livelli. Dal 2002 ad oggi invece ha descritto
una linea decisamente ascendente che ha determinato nel dicembre del 2006
un valore simile a quello eccezionale del maggio del 1996. Già il livello
5
Di gran lunga meno importanti del mais sono il frumento (14 %) e l’orzo (11 %).
6
Tutti i dati sono riferiti al 2007.
7
La seconda è la soia.
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medio registrato nel 2004 dovrebbe essere considerato straordinariamente
alto per l’epoca perché una misura simile non si riscontrava dal 1998
(fig.1).
Così si potrebbe collocare l’inversione di tendenza tra il 2002 ed il 2004.
Negli ultimi anni inoltre si sono registrate variazioni difficili da
prevedere anche alla luce del nuovo trend (fig.1).
Nel corso del 2007 si è verificato un sorprendente incremento del costo
reale internazionale dei cereali
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(+ 31 %), nell’anno seguente un altro
addirittura più forte (+ 34 %), nel 2009 una forte flessione (- 24 %),
nell’anno successivo un lieve rialzo (+ 4 %) ed infine nel 2011 una
impennata record (+ 39 %). Nell’insieme le variazioni intervenute
nell’ultimo quinquennio hanno dato vita a due picchi successivi a valori
crescenti e molto superiori alle grandezze dei venti anni precedenti. Inoltre
non hanno lasciato spazio ad intervalli di prezzi bassi, trovandosi il punto di
minimo
9
della curva del prezzo ben più in alto rispetto ai livelli registrati
nei primi mesi del 2006, quando come si è detto la corsa al rialzo era già
chiaramente avviata (elab. dati Fao WFS, 2012).
Andamenti simili a quello descritto per l’indice sintetico del prezzo
cerealicolo sono da rilevare per indici riferiti ad altre materie prime
alimentari come gli oli e lo zucchero.
L’aumento dei prezzi del 2010-2011 rispetto a quello del 2007-2008 ha
riguardato un maggior numero di materie prime (Sassi, 2011).
A causa dei movimenti indicati il costo reale internazionale del cibo
dell’anno appena trascorso è stato del 101 % superiore rispetto al periodo
2002-2004 mentre la media del triennio 2009-2011 ha distanziato quella del
primo di 65 punti percentuali (elab. dati Fao WFS, 2012).
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Qui ci si riferisce solo ai tre principali tipi di cereali: frumento, mais e riso.
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Giugno 2010.