5
Introduzione
«Viaggiare è per definizione sia un avvicinamento che un
allontanamento. […] mi chiedo se il senso del viaggio non sia in fondo
più nel tornare, dopo aver preso le distanze, per vedere meglio o
semplicemente per poter vedere»
1
.
La metafora del viaggio risulta incisivamente indicativa di quanto può
rappresentare per lo spettatore la visione di un film. Le immagini che si
susseguono sullo schermo e il fluire delle parole, della musica, dei suoni,
dei rumori, ma anche delle pause, delle sospensioni e dei silenzi,
propongono una narrazione che invitano alla partecipazione, ad uscire da
sé, ad una fruizione attraverso la ragione e la sensibilità.
Al termine di questo viaggio, al ritorno, può accadere che lo spettatore si
ritrovi cambiato, più o meno consapevole di tale mutamento. Gli stati
d’animo provati lungo il viaggio e alla sua conclusione – siano essi
l’entusiasmo, l’adesione e la condivisione, oppure la noia o addirittura il
fastidio e il rifiuto – testimoniano comunque come l’opera
cinematografica non lasci mai completamente indifferente chi vi si
avvicina e la sperimenti.
Le situazioni, i simboli e le metafore presenti nel cinema guidano lo
spettatore a conoscere “altre” realtà, verosimili rispetto ai contesti e alle
azioni della vita quotidiana, ma spesso, per le caratteristiche peculiari
dell’espressività cinematografica, più ricche di suggestioni e di capacità
di penetrazione.
L’ intreccio di implicazioni di ordine psicologico, sociologico e
pedagogico, che si possono riconoscere come connesse con il cinema,
1
Wenders W., L’atto del vedere, Ubulibri, Milano 1992, p.27
6
sono tante e tali da invogliare a utilizzare questo strumento di
comunicazione per fini formativi, soprattutto in ambito
aziendale/manageriale.
L’obiettivo di questa tesi è proprio quello di delineare in maniera chiara
il rapporto tra il linguaggio cinematografico e la formazione
manageriale.
Il lavoro consta di cinque capitoli, divisi in una parte teorica (cap. I-II-
III) e una più pratica (cap. IV-V).
Il primo capitolo verte sulle diverse teorie che spiegano il nesso che
esiste tra il cinema e la formazione, per poi passare alla descrizione di
alcune “modalità” di utilizzo del linguaggio filmico.
Nel secondo capitolo si affronta la nascita e l’evoluzione dello strumento
cinema nella formazione, fino ad arrivare all’avvento del web 2.0 ed alla
conseguente prospettiva di una formazione cross-mediale.
Nel terzo capitolo si affronta il problema di una possibile didattica per
adulti attraverso il cinema. Si è impiegato il termine “problema” poiché
sarebbe quanto mai pericoloso ipotizzare una metodologia rigidamente
predefinita, che attraverso schemi e protocolli di lavoro, ambisca a
delineare unità operative compiutamente coerenti ed efficaci. La natura
del film, che si ritiene vicina e spesso viene a coincidere con quella
dell’opera d’arte, impone che non si frappongano troppi filtri tra lo
spettatore e il film stesso.
Infine la seconda parte della tesi, composta dai capitoli IV e V, si basa
sull’analisi di diverse pellicole per trarne interessanti spunti di riflessione
su temi di carattere manageriale. Più precisamente, nel capitolo IV si
svolge un’analisi per temi, ossia focalizziamo l’attenzione su sette temi
affini al management (coaching, teamwork, motivazione, cambiamento,
7
leadership, problem solving e decision making) e proviamo a chiarirli ed
esemplificarli attraverso spezzoni di film.
Nel capitolo V, al contrario, si parte da un film “intero”, nella fattispecie
La parola ai giurati, e da questo si estrapolano riflessioni su concetti e
temi di interesse manageriale.
8
1. Idee in movimento
1.1 Forma e immagine: il nesso tra cinema e formazione
La forma e l’immagine sono legate, da sempre, da uno stretto grado di
parentela. Lo stesso vale per la formazione e l’immagine. Per trovare
conferma basta pensare all’importanza che ha assunto nella cultura
occidentale, ancora più dall’epoca moderna in poi, il rapporto tra la
costruzione dell’identità e l’immagine (la rappresentazione) di sé.
Ogni formazione, ogni processo formativo sfrutta l’immagine come un
catalizzatore, come un modello guida. Ogni formazione offre al soggetto
che la attende un’immagine di sé per come si è o come si crede di essere.
L’immagine spesso orienta le fasi del processo e le forze del soggetto in
formazione. L’immagine può avere un potere formativo, trasformativo,
metaforico, nel senso letterale che veicola da una forma all’altra, da un
significato ad un altro rispetto ad un soggetto. Nel caso della metafora il
soggetto viene “spostato” grazie alla dissonanza che è generata dal
confronto tra la forma che si ha e quella che si vuole raggiungere,
rendendo così visibile, dalla nuova posizione, immagini e
rappresentazioni di sé che prima non erano che potenziali
2
.
Ogni formazione offre un’immagine, una rappresentazione di sé e degli
altri: ogni processo di formazione della conoscenza è sempre giocato
nella trama delle rappresentazioni che un determinato oggetto, reale o
immaginario, crea come un alone intorno a sé. Allo stesso tempo, in ogni
2
Su questo tema si veda Franza A.M., Retorica e metaforica in pedagogia, Unicopli, Milano 1988
9
formazione c’è anche la possibilità di osservare in azione, dentro una
pratica, un modo di guardare il mondo, di interpretarlo, di dargli senso.
Partendo da queste premesse, si può rilevare una vicinanza tra il mondo
del cinema e quello della formazione, proprio nel senso in cui il cinema,
fin dalla sua nascita, porta con sé la ricchezza e l’ambiguità tipica di una
grande fucina di immagini e di rappresentazioni capaci di trasformare
l’esperienza che l’uomo ha di sé. In questo senso il mondo dei significati
della formazione e quello dei significati del cinema descrivono campi
che s’intersecano e si uniscono sia perché entrambi afferiscono alla
categoria dell’esperienza, sia per l’incidenza che storicamente hanno
avuto e mantengono sul piano dei comportamenti individuali e
collettivi
3
.
1.2 Dispositivo cinema
«Ogni medium attraverso i suoi sistemi di simboli, crea proprie
specifiche potenzialità e condiziona il management del significato, grazie
al suo modo di penetrare nelle menti delle persone e nei loro cuori.
3
Un’importante contrapposizione ha condizionato gran parte della storia del cinema e ha avuto un
fortissimo ascendente sul suo “buon uso” in formazione. La diatriba è quella fra un’ontologia del
cinema sostenuta da Bazin (Angers, 18 aprile 1918 – Nogent-sur-Marne, 11 novembre 1958, fu un
critico e teorico del cinema, considerato sin dagli inizi l'ispiratore della nouvelle vague), con il mito
corrispettivo della cattura dell’essenza e della verità attraverso la macchina da presa (l’elogio
paradossale, per certi versi, del realismo), e la teoria “generale del montaggio” di Ejzenstejn (Riga, 23
gennaio 1898 – Mosca, 11 febbraio 1948 è stato un regista, sceneggiatore, montatore, scrittore,
produttore cinematografico e scenografo sovietico)
che sostiene la necessità di manipolare, di montare
tutto quello che è “alla mano” per usare fino in fondo il linguaggio impuro degli eterogenei, per poter
piegare la tecnica fino in fondo al servizio della pedagogia. Questa contrapposizione si ripropone sotto
altre spoglie anche nel dibattito sul modo di fare formazione con il cinema e attraverso il cinema, dove
il confronto è fra chi preserva l’unità del film che non può essere violata, in quanto rappresentazione
fedele di una realtà nella compiutezza di un’opera che va fruita in quanto tale, e chi invece fa un uso
del montaggio, un blob per esempio, finalizzato all’intento formativo, manipolando il testo e
interpolando i significati. Per approfondire su questo tema si veda Bazin A., Ontologia dell’immagine
fotografica, in Che cos’è il cinema?, traduzione ita. Aprà A., Garzanti, Milano 1999, pp. 9 sg e
Ejzenstejn S., Teoria generale del montaggio, a cura di Montani P., Marsilio, Venezia 1985.
10
Indipendentemente da referenti particolari, i sistemi di simboli si
rapportano in modo diverso ai sensi e alle capacità interne degli individui
di elaborare le informazioni»
4
.
Pochi mezzi come il cinema sanno penetrare i cuori e le menti degli
individui. Per la sua potenza fascinatoria e la sua viscosità emotiva il
cinema è uno strumento che presenta una manipolabilità relativa nei
diversi contesti formativi. La stessa essenza del cinema, da sempre divisa
fra tecnica (tecnologia) e finalità, lo distingue da altri mezzi per
l’intrinseca ambiguità perturbante e, forse proprio per questo, lo rende
così adatto per la pedagogia.
La questione del significato, della sua costruzione nel momento in cui si
decide di formare attraverso il cinema, si lega indissolubilmente a quella
antica dei valori impliciti in ogni progetto formativo, dell’ideologia
latente che riflette in qualche modo l’idea di formazione e di umanità che
si vuole trasmettere. Su questo piano le condizioni sono cambiate nel
momento in cui il medium stesso non si occupa solo del passaggio, ma
della produzione di valore.
«I media in generale valgono non più soltanto come ambiente di
diffusione delle immagini dei prodotti e/o come rete di articolazioni dei
flussi di produzione globalizzati, ma come ambiente generativo e
produttivo in se stessi. […]: i media di rete ma anche di broadcasting e
di spettacolo più tradizionali, sono l’ambiente attraverso il quale i flussi
delle immagini e delle stesse innovazioni sociali entrano in circolazione,
assumono immediata visibilità planetaria, e vengono potenzialmente
4
Hannerz U., La complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato, il Mulino, Bologna
1998 p. 39.
11
immessi nei processi di valorizzazione diventando disponibili come
valori di scambio.»
5
Il cinema, proprio nel momento in cui sembra essere scalzato da nuovi
media e dalla rete dell’intelligenza collettiva, mostra la sua massima
penetrazione, forse perché “occultata” dal suo essere un medium ormai
tradizionale nella costruzione degli immaginari e dei lifestyle
contemporanei. Si può dire sia sintomatico che il cinema diventi uno
strumento “normalmente in uso” nei corsi di formazione , a tutti i livelli,
nel periodo in cui è diventato veramente un medium di massa, anche
grazie ai canali dei nuovi media. Questo suo nuovo stato gli consente in
senso forte di accedere ad una soglia di potere effettivo che prima non
aveva: è come se il cinema , come modello e come metafora, avesse
raggiunto un autentico livello di “positività”
6
.
Il cinema è il luogo privilegiato della mediatizzazione della cultura nella
modernità. In questo senso può essere osservata la sua natura di
dispositivo.
La sociologia afferma che il cinema rappresenta delle narrazioni
d’esistenza, dei modelli di ruolo e di relazione; agisce direttamente sul
piano collettivo, almeno ai suoi albori, poiché attiva un’esperienza
simbolica e ha una qualità multimediale tale da produrre formazione
sociale allargata in senso forte
7
. Quindi, su un piano generale, il cinema è
un dispositivo, ossia è «un processo cognitivo simbolico che interviene
sia nella funzione individuale che nella condivisione e appartenenza
collettiva che funziona come metafora dell’esperienza e da esperienza
stessa, da apparato transattivo e interattivo delle relazioni sociali e delle
5
Carmagnola F., La triste scienza. Il simbolico, l’immaginario, la crisi del reale, Meltemi, Roma
2002, p 141.
6
Cappa F., Il mondo, che sta nel cinema, che sta nel mondo, Mimesis Edizioni, Milano 2005
7
Kracauer S., Le piccole commesse vanno al cinema, in La massa come ornamento, Prismi, Napoli
1982.
12
costellazioni simboliche»
8
. Qui il termine dispositivo viene considerato
nel significato di “meccanismo”, materiale e simbolico, come insieme di
elementi che interagiscono fra loro in modo coordinato per sortire effetti.
Un seconda accezione sul significato di dispositivo è data da Gilles
Deleuze
9
, che interpreta il pensiero di Michel Foucault. Il dispositivo si
presenta come «un groviglio, un insieme multilineare. E’ composto da
linee di diversa natura. E queste linee nel dispositivo non racchiudono o
circondano dei sistemi in cui ciascuno sarebbe omogeneo per proprio
conto, l’oggetto, il soggetto, il linguaggio, ma seguono delle direzioni,
tracciano dei processi sempre in squilibrio»
10
.
Non è difficile far valere l’analogia fra questa preliminare descrizione e
le potenzialità del cinema inteso come dispositivo da cui passano una
molteplicità di linee “significanti” e producenti effetti come soggetti,
oggetti e linguaggi.
Continua Deleuze, riflettendo sul ruolo che le “linee di
soggettivazione”
11
hanno nella determinazione del sé, scrivendo:
«Questa dimensione del Sé non è affatto una determinazione preesistente
che si troverebbe bell’e fatta. Anche qui una linea di soggettivazione è
un processo, una produzione di soggettività in un dispositivo. Essa deve
formarsi, nella misura in cui il dispositivo lo permette e lo rende
possibile. […] Il Sé non è né un sapere né un potere. E’ un processo di
individuazione che riguarda gruppi o persone»
12
.
8
Articolo di Grossi G., Il cinema come dispositivo formativo della cultura collettiva ed individuale:
l’approccio sociologico, 2003
9
Gilles Deleuze (Parigi, 18 gennaio 1925 – Parigi, 4 novembre 1995) è stato un filosofo francese, tra i
più importanti del XX secolo. In ragione dei suoi lavori, Michel Foucault scrisse la celebre frase: «un
giorno, forse, il secolo sarà deleuziano». Benché ascritto all'ambito dei filosofi post-strutturalisti il
pensiero di Deleuze risulta in realtà di difficile classificazione.
10
Deleuze G., Che cos’è un dispositivo?, in Divenire molteplice. Saggi su Nietzsche e Foucault, a
cura di Fadini U., Ombre corte, Verona 1996, p.67.
11
Le linee di soggettivazione sono una delle componenti del sistema multilineare del dispositivo
foucaultiano. Le linee di soggettivazione mostrano una sorta di apertura, di non autonomia del
dispositivo in quanto rappresentano la sua non circoscrivibilità rispetto all’azione di un altro.
12
Deleuze G., Che cos’è un dispositivo?, (Op. Cit.) p. 69.
13
Questa breve digressione sulla natura di dispositivo del cinema in
analogia con la riflessione di Foucault conferma la relazione strutturale
che l’azione di uno strumento ha nella formazione del sé e rende più
ricca la descrizione di ciò che avviene nei contesti formativi, quando si
attiva un “mezzo” complesso e denso come quello cinematografico.
1.3 Due modi: tre stili
Nello scenario culturale della società contemporanea il cinema
rappresenta un bacino essenziale per l’immaginario mediale. Le scienze
umane ormai riconoscono nel cinema un oggetto importante per la
comprensione delle linee di sviluppo delle identità dei gruppi e della
natura delle relazioni interpersonali, anche perché l’apertura
dell’attenzione delle Humanities e delle comunications research al
cinema, riconosciuto come forma espressiva pienamente legittimata nei
suoi linguaggi, ha ratificato, una volta in più, la progressiva perdita di
significato della differenza fra cultura “alta” e una “bassa”.
«Il cinema può così cominciare a essere considerato dalle scienze umane
nella sua totalità, al di là della distinzione tra “spettacolare” ed
“espressivo”, come documento visivo e narrativo primario, materiale per
un’antropologia dell’immaginario o per una critica postmoderna
dell’ideologia»
13
.
Interrogare l’esperienza della contemporaneità significa perciò, sempre
di più, interrogare le pratiche, nella convinzione che proprio la
riflessione sull’esperienza sul campo, in questo caso di chi fa formazione
13
Carmagnola F., Introduzione a Pievani T., Pulp times. Immagini del tempo nel cinema di oggi,
Meltemi, Roma 2003.
14
con il cinema, possa esplicitare e riattivare i saperi cristallizzati nelle
pratiche, e così portare il discorso su un piano di teorizzazione più
raffinata e efficace.
E’ interessante notare, in via preliminare, che nel momento in cui si
interrogano i reflective practitioner della formazione attraverso il
cinema, la polivalenza tipica del mezzo-cinema finisce per riflettersi in
uno spettro di modi d’intendere la formazione, anche distanti una
dall’altro, che denotano una varietà di stili di approcci alla progettazione
formativa e di epistemologie implicite che sorreggono l’intenzione
pedagogica
14
. Questi stili propongono, in fondo, diverse immagini del
mondo e diverse immagini del mondo della formazione, che
necessariamente entrano in risonanza o in dissonanza con le immagini
del mondo proposte dal cinema.
L’intreccio e il confronto fra questi diversi stili mostrano alcuni caratteri
di fondo condivisi a partire dai quali si delineano due modi fondamentali
di formare con il cinema, un modo che si definisce “simbolico” e un
modo “allegorico/semiotico”. Se il modo allegorico si caratterizza come
una proposta in un certo senso omogenea rispetto ai presupposti
metodologici e alle finalità esplicite, quello simbolico si articola in due
stili che presentano dei punti specifici di differenziazione.
I caratteri di fondo che valgono per entrambi i modi rispondono alla
domanda sull’interesse e sull’utilità specifica di un mezzo come il
cinema nei percorsi formativi. Di seguito ne vengono evidenziati alcuni.
In primo luogo, il cinema ha un coefficiente di penetrazione nella sfera
di attenzione del soggetto difficilmente paragonabile a quello degli altri
strumenti tipici della cassetta degli attrezzi del buon formatore. La
capacità di trascinamento dell’attenzione, che un film porta con sé, è
14
Cappa F., Il mondo, che sta nel cinema, che sta nel mondo (Op. Cit.)