Capitolo 1
Imperialismo e testualità
1. 1. Impressioni dall'impero
L’impero britannico era caratterizzato da una spiccata componente testuale.
Il funzionario che compilava un rapporto, i lettori dei vari quotidiani locali, i
legislatori che consultavano fonti hindu o musulmane per creare un sistema legale,
partecipavano al mantenimento di questa struttura, il cui scopo era da un lato
quello di definire un’entità in continua crescita e, dall’altro, quello di mediare,
rendendola accessibile, la componente ideologica ed emozionale del nuovo ordine
mondiale.
1
Per quel che riguarda le dimensioni di questo “impero cartaceo”, come
è stato definito da Thomas Richards in The Imperial Archive, gli studiosi non
possono che ammettere di averne appena scalfito la superficie.
2
Il periodo d’espansione verso est e la successiva fase di normalizzazione
del sub-continente indiano misero in mostra una delle caratteristiche fondamentali
dell’esperienza imperialista: la necessità di rendere accessibile da un punto di
vista conoscitivo una così spiccata differenza, cogliendo il significato di ciò che si
presentava agli occhi degli occidentali.
3
L'intero repertorio metaforico, nonché
l’intero bagaglio di convenzioni testuali, retoriche e sintattiche verrà usato per
rapportarsi alla nuova alterità rappresentata dai popoli colonizzati e dai paesaggi
1
J. A. Höglund, Mobilising the Novel: The Literature of Imperialism and the First World War,
Uppsala, Uppsala University Press, 1997 p. 35.
2
T. Richards, The Imperial Archive: Knowledge and the Fantasy of Empire, London, Verso, 1993,
p. 4, cit. in ibidem.
3
E. Boehmer, Colonial & Postcolonial Literature, Oxford, Oxford University Press, 1995, p. 14.
4
coloniali, procedimento che porterà ad una crisi nella rappresentazione sia per
quanto riguarda i colonizzatori, una volta superato l’ottimismo riguardante la
durata dell’impero, sia per quanto riguarda i colonizzati che vorranno dare inizio,
una volta conquistata l’indipendenza, ad una letteratura nazionale.
Ma, per quanto importanti e pervasivi fossero i processi di interpretazione e
l’assoluta convinzione dell’inferiorità delle culture locali, ciò non portava alla
cancellazione sistematica delle fonti locali. Al contrario, durante i primi anni di
governo, i colonizzatori andavano costantemente alla ricerca di fonti indigene,
ritenendo che un apparato legale più vicino alle tradizioni locali avrebbe potuto
rendere il governo meno difficoltoso. Inoltre, questo avrebbe legittimato il
dominio coloniale nell’idioma indigeno, comportamento che richiama alla
memoria il rapporto esistente tra conoscenza e potere. Le figure di Sir William
Jones
4
e di Henry Thomas Colebrooke
5
(considerabile sotto molti aspetti il suo
erede), alla loro conoscenza approfondita delle lingue e culture asiatiche e ad
alcune tra le loro pubblicazioni, cioè Mahomedan Law of Inheritance (1792),
Institutes of Hindu Laws (1796) e il Colebrook’s Digest (1793-4), esemplificano
in maniera appropriata la volontà ed il bisogno di fissare, attraverso i testi ed
indipendentemente dall’antichità o incompletezza degli stessi, una realtà
4
Sir William Jones (1746 – 1794), nato a Londra, ebbe una formazione umanistica ma, dopo una
breve esperienza come insegnante, decise di dedicarsi ad attività più gratificanti dal punto di vista
economico, studiando giurisprudenza. Nominato giudice del Tribunale Supremo di Calcutta, si
trasferì in india, dove restò fino alla morte. Viene generalmente ricordato nell’ambito
dell'indeuropeistica per il discorso presidenziale tenuto alla Asiatic Society of Bengala (della quale
era fondatore), considerato il precedente più prossimo della disciplina indeuropeistica.
Fonte: F. Villar, Los Indoeuropeos Y Los Origenes De Europa: Lenguaje Y Historia, Madrid,
Gredos, 1991; tr. it. Gli indoeuropei e le origini dell’Europa, Bologna, Società editrice Il Mulino,
1997, p. 28.
5
Henry Thomas Colebrooke (1765 – 1837), nato a Londra, venne educato a casa, mostrando una
considerevole predisposizione per le discipline classiche e la matematica. Dopo una permanenza di
quattro anni a Parigi, cioè dal 1777 al 1781, venne trasferito in India. Trascorsero altri dodici anni
prima che intraprendesse lo studio del sanscrito, che gli consentì di vedersi assegnati incarichi di
prestigio. Nominato professore di legislazione indu a Fort William nel 1805, si dedicò a questa
attività per nove anni, prima di tornare in Inghilterra nel 1814.
Fonte: en.wikipedia.org/wiki/Henry_Thomas_Colebrooke (consultato il 12 ottobre 2007).
5
altamente volatile.
6
Questo accenno alle due figure di studiosi non dovrebbe
comunque far dimenticare che, all’epoca, vigeva un’aspra opposizione tra gli
orientalisti e i riformatori sociali: i primi, ben rappresentati dalle figure
sopracitate, favorevoli alla comprensione e al riutilizzo di fonti native, i secondi
decisi a “cambiare” l’India.
7
Per quel che riguarda certe pratiche, per esempio
quella relativa alla satī
8
, abolita nel 1829, abbiamo la dimostrazione di come i
riformatori ottenessero spesso un maggior numero di successi rispetto al tentativo
orientalista di gestire i possedimenti attraverso i testi del passato,
9
senza
dimenticare però il fatto che l’abolizione della satī dovette comunque ricevere
l’assenso della controparte indiana.
10
Nonostante il bagaglio di conoscenze di Jones e Colebrooke ed il proposito
del primo di “conoscere l’India meglio di chiunque altro” siano un caso di
erudizione eccezionale, resta innegabile che sin dagli albori dell’esperienza
coloniale i testi ed in particolare la letteratura, nell’accezione più ampia del
termine, abbiano cercato di interpretare queste nuove terre, di offrire un approccio
alle esplorazioni, all’espansione occidentale ed alla stessa dimensione imperiale,
un approccio che assumerà un ruolo centrale nella teorizzazione di Edward Said.
Come accennato, popoli, culture e luoghi completamente estranei all’Europa
erano costretti in classificazioni e codici importati dall’Europa. Il processo non fu
lineare, dato che queste concezioni della diversità vennero trasmesse ed impiegate
per rapportarsi a qualsiasi nuovo territorio, in un continuo gioco di prestiti e
6
E. Boehmer, op. cit., p. 98.
7
R. Johnson, British Imperialism, Norfolk, Palgrave, 2003, p. 25-26.
8
Con il termine satī ci si riferisce ad una pratica indu, la quale prevedeva che, in caso di morte del
marito, la moglie si immolasse sulla pira funebre dello stesso. Il disaccordo sull’effettiva
volontarietà del gesto resta considerevole.
Fonte: en.wikipedia.org/wiki/Sati_(Practice) (consultata il 17 ottobre 2007).
9
R. Johnson, op. cit., p. 27.
10
Ivi, p. 27.
6
riciclaggio messo in atto ogniqualvolta ci si trovasse a dover affrontare un nuovo
ambiente.
Questa opera di interpretazione, per quanto arbitraria, è sovente rimasta
l’unica: la sua importanza risiede soprattutto nell’essere riusciti a creare uno
spazio il quale, pur non essendo europeo, era contiguo all’Europa e poteva venire
facilmente occupato e sfruttato dall'Europa stessa.
Il rapporto tra conoscenza e potere viene ottimamente esemplificato da
questo estratto del discorso tenuto il 13 giugno 1910 da Arthur James Balfour
11
alla House of Commons, riguardante i problemi presentatisi in Egitto ed in
particolare la sua risposta alla domanda postagli da J. M. Robertson, cioè “What
right do you have to put these airs of superiority with regard to people you choose
to call Orientals?”.La replica di Balfour fu la seguente:
I take up no attitude of superiority. But I ask [Robertson and anyone
else] . . . who has even the most superficial knowledge of history, if
they will look in the face the facts with which a British statesman has
to deal when he is put in a position of supremacy over great races like
the inhabitants of Egypt and countries in the East. We know the
civilization of Egypt better than we know the civilization of any other
country. We know it further back; we know it more intimately; we
know more about it. It goes far beyond the petty span of the history of
our race, which is lost in the prehistoric period at a time when the
11
Arthur James Balfour (1848 – 1930), uomo politico appartenente al partito conservatore, fu
primo ministro dal 1902 al 1905. L’inizio del suo mandato coincise con l’incoronazione di
Edoardo VII e con la fine della guerra anglo-boera. Uno delle più importanti azioni riconducili al
governo Balfour fu la creazione del Committee of Imperial Defence nel 1904, con funzioni di
organizzazione della strategia militare. Il suo governo fu inoltre caratterizzato da una ripresa nei
rapporti con la Francia, culminata nella Entente Cordiale nel 1904. Non si deve dimenticare
l’inasprirsi dei rapporti con la Russia, inasprimento che, in seguito all’incidente dei Dogger Banks,
portò le due nazioni sull’orlo del conflitto.
7
Egyptian civilisation had already passed its prime. Look at all the
Oriental countries. Do not talk about superiority or inferiority.
12
Non è per niente difficile cogliere lo stretto rapporto che, nel pensiero di
Balfour, collega il diritto britannico alla dominazione dell’Egitto alla conoscenza,
cioè il “surveying a civilisation from its origin to its prime to its decline – and, of
course, it means being able to do that”.
13
Inoltre, Balfour non menziona nemmeno
l’esistenza di un’opinione egiziana riguardante la dominazione britannica, poiché,
dal suo punto di vista, sarebbe altamente improbabile trovare un nativo capace di
concepire lo sforzo fatto dai britannici nel governare l’Egitto.
1. 2. Una missione civilizzatrice
Un tratto comune rintracciabile in tutti i regimi che abbiano presentato
ambizioni espansionistiche è l’immagine di sé stessi che viene offerta, cioè quella
di conquistatori e civilizzatori del mondo. Ciò che distingue l’esperienza coloniale
britannica alla fine del diciannovesimo secolo è quindi l’ideologia, spesso resa
esplicita, di supremazia morale, culturale e razziale. Questa ideologia poteva
appellarsi a qualsiasi aspetto della vita coloniale, se funzionale al rafforzamento di
questa ideologia. Un esempio potrebbe essere il ricordo che George Orwell offrì
ai lettori del Time and Tide il 30 marzo 1940, secondo il quale nessun bianco
riuscirebbe a sedersi sui talloni nella posizione di un orientale, l’identica
posizione, per inciso, assunta dai minatori quando consumano il pasto in
12
Great Britain, Parliamentary Debates (Commons), 5
th
ser., 17, 1910, p. 1140-6, cit. in E. Said,
Orientalism, New York, Vintage Books, 1979 p. 32.
13
Ibidem.
8
miniera.
14
Moltissime altre credenze potrebbero venir citate, ad esempio quella
che cercava di spiegare la maggior predisposizione dei bianchi ai colpi di sole
ricorrendo a supposte differenze anatomiche, cioè un minor spessore del cranio
rispetto ai nativi.
Alla fine del diciannovesimo secolo si credeva che la Gran Bretagna avesse
il diritto ed il dovere di dominare, se non l’intero mondo, perlomeno il quarto di
superficie terrestre rappresentato dai suoi domini. Inoltre, a partire dagli anni
Settanta del XIX secolo, l’Impero cominciò ad esercitare un fascino particolare su
considerevoli strati della popolazione. Questa fase è stata definita New
Imperialism e, per quel che riguarda la vitalità che dimostrò in Gran Bretagna, si
fa solitamente riferimento ai già considerevoli possedimenti coloniali britannici,
alla superiorità della flotta e all’isolamento dai contrasti che si stavano
manifestando sul continente.
15
Una spiegazione basata su aspetti puramente
economici non coglie però l’evoluzione che caratterizzò questo cosiddetto “nuovo
imperialismo”. Infatti, lo si potrebbe certamente definire come una forma
particolarmente aggressiva di capitalismo, nata in risposta alla crescita che
caratterizzò la concorrenza europea, ma così facendo si ignorerebbe
completamente la componente ideologica. Infatti, come sottolineato da alcuni
storici, la scintilla che diede vita al New Imperialism fu sì una sensazione di
insicurezza ma, in seguito, lo si utilizzò per giustificare l’aggressività con la quale
ci si muoveva al di fuori dei propri confini.
È importante tenere a mente le transvalutazioni semantiche del termine
stesso imperialismo, il quale, nella sua prima accezione, indicò l’espansione
coloniale francese per poi passare, negli anni Settanta del XIX secolo a denotare
14
G. Orwell, Romanzi e Saggi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2006, p. 1511.
15
J. A. Höglund, op. cit., p. 34.
9
la politica estera di Disraeli nello Zululand ed in Afghanistan.
16
Soltanto
successivamente avrebbe indicato l’impegno coloniale britannico in tutte le sue
manifestazioni e su tutti gli scenari.
17
Restringendo l'analisi all'imperialismo
britannico di fine Ottocento, si può sottolineare l'importanza
dell’istituzionalizzazione del potere coloniale – il cui risultato fu una forma
alquanto aggressiva di nazionalismo – e la formazione di ideologie imperialiste,
alla costruzione delle quali contribuì in maniera determinante la diffusione del
darwinismo sociale.
Prima di passare al darwinismo sociale, conviene ricordare quanto
l’attribuzione ai britannici di un diritto naturale di dominio, rendesse
l’imperialismo difficilmente separabile dal concetto stesso di “britannico”,
rendendolo accessibile da qualsiasi livello della gerarchia sociale. Infatti, se
qualcuno si fosse interrogato sulle ragioni dell’impero, sarebbe stato rassicurato a
sufficienza dalla spiegazione offerta poche righe sopra, attribuendo l’esistenza
dell’impero all’ordine stesso delle cose. Inoltre, questa concezione dell’impero
come diritto e dovere era presente tanto nei testi accademici quanto in quelli che
godevano di una maggior diffusione presso il pubblico, assicurando così una
diffusione difficilmente ottenibile altrimenti. Quest’ultima affermazione andrebbe,
naturalmente, letta tenendo in considerazione da un lato i volumi di vendite e
dall’altro gli ambiti naturali di diffusione della narrativa coloniale, basti ricordare
il seguito che questi testi ebbero tra i giovanissimi, che si abituavano a questa
visione dell'Oriente.
16
R. Johnson, op. cit., p. 2-3.
17
E. Boehmer, op. cit., p. 29.
10