Introduzione
Il lavoro proposto volge la sua attenzione sul fenomeno della
giurisdizione extraterritoriale degli Stati parte della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.). L’indagine cercherà di
comprendere i meccanismi che stanno alla base del sopraccitato
fenomeno, soprattutto, nella misura in cui esso obbliga i Paesi parte al
rispetto dei diritti sanciti dalla C.E.D.U. anche al di fuori dei rispettivi
confini territoriali, laddove la lesione dei diritti, garantiti agli
individui, sia frutto di un’azione o di un’omissione rientrante nella
giurisdizione dello Stato membro. Non rari, saranno alcuni riferimenti
ad un altro importante Trattato in materia, ossia il Patto sui diritti
civili e politici che, come la Convenzione europea, prevede il
fenomeno della giurisdizione extraterritoriale degli Stati aderenti.
Il primo capitolo mette a fuoco i soggetti del diritto
internazionale. È fondamentale capire chi sono gli attori, quali sono le
loro prerogative ed i loro limiti, per rapportarli successivamente al
tema oggetto della ricerca. Comprendere, ad esempio, l’erosione
progressiva subita dal dominio riservato degli Stati, alla luce di una
maggiore penetrazione delle norme consuetudinarie internazionali, del
diritto pattizio e, principalmente, a partire dal secondo dopoguerra, del
diritto cogente (jus cogens), è di notevole importanza per meglio
approcciarsi al sistema di tutela dei diritti fondamentali organizzato e
sviluppato in Europa dalla Convenzione.
Così come risulta non meno importante cogliere il ruolo che ricopre
l’individuo nella Comunità Internazionale, se, ad esempio, una sua
soggettività affiori o meno nel fatto di detenere la possibilità di
presentare ricorsi diretti agli organi preposti, a garanzia dei diritti,
dall’Accordo siglato a Roma.
Brevemente è stato ritagliato anche uno spazio alle organizzazioni
internazionali che, con il loro proliferare dagli anni Cinquanta in poi,
hanno posto in essere delle limitazioni alla sovranità statale,
limitazioni che, beninteso, sono frutto di una libera scelta da parte
degli Stati, che spontaneamente hanno deciso di privarsi di fette della
propria sovranità.
1
Il secondo capitolo del lavoro riguarda le fonti del diritto
internazionale. Una panoramica sulle consuetudini internazionali, sul
diritto pattizio e sulle norme imperative inderogabili è fondamentale
per inquadrare correttamente lo schema di salvaguardia dei diritti
proclamati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Quest’ultima, infatti, ha natura pattizia ed al suo interno contiene
norme di jus cogens, pertanto, ad esempio, si capirà come non è
possibile sospendere taluni diritti spettanti agli individui in caso di
necessità impellente avvertita dallo Stato parte
1
.
Il terzo capitolo si apre con un breve paragrafo dedicato al
Consiglio d’Europa, “padre” della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo. Quest’ultima è il fulcro attorno al quale si sviluppa il
capitolo, che discorre degli aspetti costitutivi dell’Accordo e del suo
contenuto, soffermandosi su alcuni diritti che sono stati oggetto di
diversi ricorsi individuali.
Ad ogni modo, il focus verte, principalmente, sul Preambolo e
sull’articolo 1 della C.E.D.U.. Queste due disposizioni hanno un ruolo
fondamentale per permettere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
di agire nella direzione volta ad affermare la responsabilità
giurisdizionale extraterritoriale degli Stati parte all’Accordo.
Il successivo capitolo, affronta il tema della giurisdizione
extraterritoriale degli Stati parte della C.E.D.U.. Partendo dalla
discussione sul famoso articolo 1
2
, della Convenzione, inerente al
tema della giurisdizione, il capitolo dirama la sua attenzione su alcuni
casi (in particolare il “caso Bankovic”) che hanno consentito alla
Commissione ed alla Corte europea dei diritti dell’uomo di accertare il
concetto di giurisdizione extraterritoriale degli Stati, ampliandone la
portata e, solo recentemente, conoscerne una decisa, se non brusca,
frenata.
Questo lavoro si concentrerà, in modo particolare, nel quinto e sesto
capitolo, sul rapporto che intercorre tra il Regno Unito e la
1
L’articolo 15, C.E.D.U., dispone che una Parte Contraente possa derogare agli obblighi derivanti
dalla Convenzione in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci l’esistenza della
Nazione, ad eccezione di norme inderogabili dell’Accordo, come, ad esempio, l’articolo 2 che
sancisce il rispetto alla vita o l’articolo 3 che dispone il divieto di tortura o di altri trattamenti
disumani.
2
L’articolo 1, C.E.D.U., afferma: «Le Alte Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta
alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti al titolo primo della presente Convenzione».
2
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Laddove, nel quinto
capitolo si analizzerà, seppure brevemente, la costituzione non scritta
del Paese anglosassone, di notevole importanza per meglio
comprendere i ritardi britannici in tema di incorporamento della
Convenzione europea e, successivamente, si volgerà l’attenzione sullo
Human Rights Act del 1998, statuto tramite cui fu data forza di legge
alla C.E.D.U. all’interno dell’ordinamento britannico, ben
trentacinque anni dopo che il Regno Unito ratificò lo Strumento
internazionale in questione.
Il sesto, nonché ultimo capitolo, si occuperà di tre controversie
che hanno avuto come parte coinvolta dinanzi al giudizio della Corte
europea dei diritti dell’uomo il Regno Unito, accusato dai diversi
ricorrenti di aver violato alcune norme convenzionali.
Lo scopo della ricerca è chiarire se e come la nozione di giurisdizione
extraterritoriale degli Stati parte alla Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo abbia condotto ad una limitazione della sovranità statale e,
contemporaneamente, come si sia assistito ad un suo “allargamento”
giurisdizionale in tema di obblighi di tutela degli individui rientranti
nell’ambito di sovranità dei Paesi parte dell’Accordo in questione.
Fondamentale sarà capire il ruolo crescente occupato dai diritti umani,
“rei” di aver logorato lentamente ma, finora efficacemente, il dominio
riservato degli Stati. Ed infine, analizzando la situazione britannica si
indagherà sulla capacità e sulla forza dimostrata dalla Convenzione
europea di penetrare all’interno di un sistema giuridico – legislativo,
da sempre, consideratosi autonomo ed autosufficiente.
3
1. I soggetti del diritto internazionale
1.1 Lo Stato
«L’espressione “soggetti di diritto” o “soggetti” tout court ha nella
scienza giuridica un significato tecnico ben preciso. Con tale
espressione si designano gli enti in capo ai quali sorgono i diritti e gli
obblighi discendenti dalle regole dell’ordinamento considerato. In
questo senso soggettività giuridica è sinonimo di personalità o
capacità giuridica»
1
.
Il primo e tipico soggetto dell’ordinamento internazionale è lo Stato.
Quest’ultimo, per la teoria del diritto internazionale, è qualunque
organizzazione politica che stabilmente ed esclusivamente esercita su
un dato territorio i poteri tipici della sovranità.
L’articolo 1 della Convenzione di Montevideo sui diritti e doveri degli
Stati, del 1993, recita:
«Gli Stati come persone di diritto internazionale devono
possedere i seguenti elementi: una popolazione permanente; un
territorio definito; un governo e la capacità di intrattenere relazioni
internazionali con gli altri Stati»
2
.
In dottrina si confrontano due nozioni di Stato. Da una parte quella
dello Stato – apparato, dove il governo è contrapposto alla comunità
sociale governata; dall’altra quella dello Stato – comunità, in cui
intercorre una sostanziale identificazione tra apparato di governo e
comunità dei governati, ossia lo Stato come la medesima comunità
degli uomini che, tramite l’organizzazione politica nell’ambito di un
territorio definito, assumerebbe carattere di Stato. Relativamente al
diritto internazionale, la definizione di Stato – apparato sembrerebbe
più idonea, poiché in tale ordinamento gli Stati interagiscono tra loro
in quanto governi internazionali.
1
R. SAPIENZA, Diritto internazionale e casi materiali, Giappichelli editore, Torino, 1999, pag. 3.
2
N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, Giappichelli editore, Torino, 2009, pag. 19.
4
Fuori da questa concezione nozionistica, si ritiene che lo Stato sia un
ente composto da tre elementi fattuali: il popolo, il territorio ed il
governo (o sovranità). Tali caratteristiche hanno natura fattuale di
presupposti materiali, dato che lo Stato si manifesta fattualmente nella
vita di relazione internazionale, grazie alla presenza di questi elementi
che l’ordinamento descrive giuridicamente, ma non costituisce. La
triade popolo – territorio – governo definisce la sovranità interna ed è
complementare alla c.d. sovranità esterna, ovvero all’indipendenza da
qualsiasi altro Stato. La nozione di indipendenza è valutata in termini
concreti, dato che il corpo sociale che si organizza per governare un
territorio deve essere effettivamente capace di esercitare la propria
sovranità, escludendone ogni altra concorrente dal territorio in
questione
3
.
La loro capacità di manifestarsi, nei rapporti esterni con gli altri
soggetti ed in quelli interni con gli individui governati, come istanze
imprescindibili e supreme, indipendenti all’esterno e sovrane
all’interno, fuga ogni dubbio sulla loro soggettività internazionale. Il
diritto internazionale non dichiara cosa si deve intendere per Stato,
poiché quest’ultimo esiste già di per sé anche di fronte
all’ordinamento internazionale e, quindi, è un dato esclusivamente pre
– giuridico e non giuridico, rispetto al quale l’ordinamento si limita
ad indicare gli elementi di fatto che, se esistenti, determinano
l’applicazione delle norme internazionali.
Lo Stato è un ente dato rispetto al sistema normativo dove,
come ente sociale effettivo, è presupposto. All’ordinamento, perciò,
spetta unicamente prendere atto di tale statualità, ma non di conferirla
con effetti costitutivi. Esso valuta soltanto, dall’esterno, se l’ente
riesce ad agire concretamente nella vita internazionale, ma il suo agire
e manifestarsi sul piano sociopolitico si realizza prima ed
indipendentemente da ogni valutazione costitutiva del sistema
normativo.
L’ordinamento giuridico dello Stato è indipendente se originario, cioè
se non dipende formalmente da altro ordinamento statale e trova
quindi in sé stesso la fonte della sua legittimità. Ai fini della nozione
giuridica di indipendenza del diritto internazionale, non è anche
necessario che lo Stato sia libero, nel decidere la propria politica, da
condizionamenti di fatto di altri Paesi. La sovranità interna si traduce
3
P. BARGIACCHI, A. SINAGRA, Lezioni di diritto internazionale pubblico, Giuffré editore, Milano,
2009, pag. 39.
5
nell’essere in grado di organizzarsi in maniera tale da riuscire ad
esprimere una potestà effettiva di governo sul territorio
4
.
L’acquisto della sovranità territoriale si ha con il criterio
dell’effettività, cioè l’esercizio effettivo del potere di governo fa
sorgere il diritto all’esercizio esclusivo del potere di governo
medesimo. Se appare eccessivo affermare che la sovranità territoriale
nacque con la disgregazione del Sacro Romano Impero, invece, si può
asserire, certamente, che si consolidò in quel dato frangente storico,
che portò alla fine dell’influenza esercitata, non solo dall’Imperatore,
ma anche dal Papa.
La sovranità può essere definita come il diritto di esercitare in via
esclusiva ed originaria, entro una data porzione del globo, le funzioni
dello Stato
5
. Essa comprende, anzitutto, il potere di imperio sugli
individui ed i beni presenti nel territorio dello Stato. Quest’ultimo, in
passato, secondo il diritto internazionale tradizionale, aveva dei limiti
che erano afferenti, unicamente, alla sfera degli obblighi in materia di
trattamento degli stranieri e degli organi di Paesi esteri, mentre godeva
di libertà assoluta in tema di trattamento dei propri sudditi.
L’essenza di potestà di governo era intimamente connaturata a quella
di territorio e per giustificare l’esercizio del potere di governo oltre il
territorio, si affermava che si trattava pur sempre di territorio
6
.
Lo Stato manifesta la sua capacità di comando su un territorio
rispetto al quale è sovrano ed indipendente. La sovranità si lega,
sostanzialmente, anche se non esclusivamente, al territorio che diviene
l’ambito spaziale dove si esercita il potere dello Stato. La sovranità in
sé e per sé non è limitata o limitabile, ma è solo per la concorrenza di
altre, uguali e distinte sovranità, che si viene a delimitare lo spazio
materiale di un sovrano rispetto agli altri, ossia l’ambito spaziale entro
cui quel sovrano riesce ad imporre far rispettare la propria autorità.
Lungo i luoghi dove si incontrano le differenti sovranità corre il
confine, la frontiera tra i sovrani. Essa diviene un momento politico –
giuridico di delimitazione e coesistenza. Il territorio non esaurisce
4
Non risulta importante se l’autorità di governo si è instaurata al potere illegittimamente o meno
rispetto all’ordinamento costituzionale dello Stato. I mutamenti rivoluzionari di governo sono
vicende interne che non interessano, in linea di principio, l’ordinamento internazionale. Non a
caso, nell’ipotesi di un golpe la prassi è orientata per la continuazione dei rapporti giuridici tra lo
Stato oggetto di rivoluzione e le altre Nazioni. Altro discorso è la scelta politica di non intrattenere
rapporti di nessun genere con il gruppo rivoluzionario al potere, ma ciò non è un fatto giuridico
bensì politico.
5
A. CASSESE, Diritto internazionale, Il Mulino, Bologna, 2006, pag. 64.
6
B. CONFORTI, Diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2006, pag. 178.
6
tutte le fattispecie possibili di comando da parte dello Stato, ad
esempio, se si ci rapporta ai poteri esercitati dallo Stato di nazionalità
a bordo della nave in alto mare (non soggetto ad alcuna sovranità), si
capisce come essi siano del tutto uguali a quelli esercitati nel proprio
territorio. Quest’esempio dimostra come la sovranità non è
descrivibile in termini esclusivamente territoriali e perciò il suo
fondamento è altrove. Da questa constatazione derivano conseguenze
significative. Innanzitutto, il territorio non è un elemento costitutivo
del soggetto Stato, bensì un presupposto materiale.
In secondo luogo, il rapporto tra sovrano e territorio non è
ricostruibile secondo schemi patrimonialistici o categorie privatistiche
che richiamino un diritto di proprietà del primo sul secondo. Il
territorio non è un bene a disposizione del sovrano. Infine, il proprio
territorio non è il solo ambito spaziale entro cui si esercita l’imperio
del sovrano
7
.
In termini concettuali, la sovranità è la potestà del soggetto, ossia
l’attività di governo che esso esercita su una collettività, che si trovi
quest’ultima sul territorio dello Stato o al di fuori del territorio. La
sovranità è controllo dinamico di uomini, cose e situazioni, non è il
mero possesso statico di territori. Essa deve essere descritta in maniera
funzionale, cosicché sia rinvenibile in ogni situazione nella quale il
Paese esercita, in via esclusiva, la coercizione, il controllo, la potestà
su una collettività. Per il controllo del territorio statale, i suoi limiti
coincidono con i confini dello Stato (ivi inclusi quelli del mare
territoriale) entro i quali il sovrano ha il diritto di non subire ingerenze
ed immissioni nel libero esercizio della propria potestà di governo. Il
controllo sulla collettività presente sul territorio spetta al sovrano e
non può essere turbato né da intromissioni di carattere materiale, né di
carattere giuridico. Questo assunto conosce, tuttavia, delle eccezioni
riconducibili o a casi di forza maggiore oppure ad esigenze
umanitarie.
Oggigiorno, infatti, il problema è rappresentato dagli acquisti di
territorio effettuati in violazione di norme internazionali di
fondamentale importanza
8
. Nonostante i tentativi effettuati a cavallo
dei due conflitti mondiali, al fine di limitare la portata del principio di
effettività e disconoscere l’espansione territoriale che sia frutto di
7
P. BARGIACCHI, A. SINAGRA, op. cit., pag. 47.
8
Ad esempio, i casi di acquisizione di territori in violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della
Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che vieta l’uso della forza.
7
violenza o di gravi violazioni di norme internazionali, la prassi sembra
ancor oggi sostanzialmente orientata nel senso che l’effettivo e
consolidato esercizio del potere di governo su un territorio comunque
conquistato comporti l’acquisto della sovranità territoriale. Esempio
lampante è il caso del territorio della Repubblica turco – cipriota, sia
che la sovranità si consideri esercitata dal governo della Repubblica o
direttamente dalla Turchia che lo sostiene con le sue forze militari
9
.
Quando si discute di riconoscimento dello Stato si fa
riferimento ad una dottrina, ormai abbandonata, che pretendeva di
condizionare l’esistenza giuridica dello Stato nell’ordinamento
internazionale al suo previo riconoscimento da parte degli altri e
preesistenti Stati. Questa teoria è inammissibile giuridicamente sia
sotto il profilo della logica, sia dal lato della teoria generale. Quando,
allora, nel linguaggio diplomatico e politico si parla di
riconoscimento, lo si intende in senso meramente dichiarativo, dato
che lo Stato esiste già, comunque ed indipendentemente da ciò. Il
riconoscimento, quindi, non è un atto giuridico di valore costitutivo,
bensì è solo un atto politico che diventa il presupposto perché si
producano alcuni effetti giuridici nelle relazioni tra il riconoscente ed
il riconosciuto.
Relativamente al territorio, esso è l’ambito nel quale lo Stato esercita
la sua potestà di governo, escludendo altri soggetti di diritto
internazionale. La potestà di governo ed il connesso esercizio,
esclusivo, costituiscono la manifestazione della sovranità territoriale
ed ogni attività esercitata in territorio straniero senza il consenso del
sovrano territoriale, o non ammessa dal diritto internazionale, è
illecita.
In linea di principio non costituisce un elemento importante, ai fini
dell’acquisizione della soggettività internazionale la dimensione del
territorio di uno Stato o della sua popolazione. Infatti, partecipano alla
vita di relazione internazionale Stati di dimensione territoriale ridotta.
9
B. CONFORTI, op. cit., pag. 182.
8
1.2 Il dominio riservato degli Stati
Esistono due teorie principali per determinare la sfera di libertà dello
Stato. La prima, detta teoria giuridica del dominio riservato, afferma
che non fanno parte del dominio riservato le questioni che sono
disciplinate dal diritto internazionale consuetudinario o pattizio.
Mentre, la seconda tesi asserisce che non rientrano nel dominio
riservato anche quelle materie che sono state oggetto di attenzione da
parte delle Nazioni Unite con l’adozione di risoluzioni di carattere
generale.
Ad ogni modo, con dominio riservato dello Stato si intende,
generalmente, quel nucleo di materie non disciplinate dal diritto
internazionale e che, quindi, è di competenza esclusiva dello Stato. Il
potere di governo dello Stato territoriale è libero nelle forme e nei
modi del suo esercizio e nei suoi contenuti, ovvero l’ente è libero nel
suo territorio di fare ciò che meglio desidera, di disporre a suo
piacimento delle risorse naturali, di adottare i criteri che ritiene
maggiormente opportuni nell’amministrazione della comunità
territoriale. L’ambito di sovranità territoriale è anche quello in cui lo
Stato assicura il rispetto di obblighi internazionali circa il trattamento
di individui o in genere di privati.
Nel diritto internazionale tradizionale le regole in tale ambito erano
alquanto scarne, poiché il regime vigente era di ampia libertà.
L’articolo 2, paragrafo 7 della Carta dell’O.N.U. sancisce una
limitazione dell’ingerenza dell’Organizzazione in determinate materie,
considerate di esclusiva competenza statale.
Il diritto internazionale protegge sia la sovranità territoriale,
attraverso l’autonomo esercizio dei poteri dello Stato nel proprio
territorio, sia l’integrità territoriale della Nazione, tramite il divieto di
sottrazione di parti del suo territorio, senza una valida causa di
giustificazione. Fatta eccezione per determinate limitazioni che si
affronteranno successivamente, lo Stato è libero di assoggettare alla
disciplina che più gli conviene i rapporti che si svolgono all’interno
della propria sfera di competenza. La Corte Internazionale di Giustizia
ha asserito che il dominio riservato ha per oggetto tutte le materie in
merito alle quali il principio di sovranità degli Stati lascia ai soggetti
di diritto internazionale libertà di scelta. Successivamente, precisò il
9
concetto di competenza domestica, asserendo come questo riguardasse
questioni sulle quali lo Stato è il solo giudice.
Tra queste materie sono ricomprese: la determinazione del sistema
politico, economico, sociale e culturale e la formulazione della
politica estera, in altri termini gli affari interni e quelli esterni dello
Stato
10
. Il dominio riservato, quindi, disciplinato all’articolo 2,
paragrafo 7, della Carta dell’O.N.U., ha un’importanza determinante
nelle Nazioni Unite ed indica quelle materie che sono di esclusiva
competenza statale e che, quindi, non possono essere sottoposte ad
ingerenze da parte dell’Organizzazione.
Ad ogni modo, la dottrina ritiene che l’ambito del dominio
riservato non sia oggettivamente delimitabile, ma che esso si
configura in termini relativi, ossia secondo limiti che variano in
funzione delle contingenze storico – politiche. Pertanto, l’unico
criterio per determinare l’appartenenza o meno di una materia alla
competenza esclusiva dello Stato è quello dell’essere la materia
disciplinata in concreto solo dal diritto interno e non anche da quello
internazionale.
Ad ogni modo, questa libertà assoluta dello Stato è andata man mano
riducendosi, di pari passo con l’evoluzione del diritto internazionale
moderno.
Infatti, il potere di governo dello Stato nel proprio territorio ha
incontrato ed incontra dei limiti, derivanti dal diritto internazionale sia
consuetudinario sia convenzionale, che hanno causato un
restringimento del dominio riservato.
Il restringimento che ha subito, soprattutto a partire dal secondo
dopoguerra, il dominio riservato dello Stato si spiega con l’accresciuta
interdipendenza politica ed economica planetaria che, di conseguenza,
ha condotto ad una maggiore cooperazione, anche di natura giuridica,
tra i Paesi. Quindi, la nozione di domestic jurisdiction, pur potendo
essere ancora adoperata relativamente al diritto consuetudinario, ha
perso il suo significato con riguardo al diritto pattizio, dato l’ingente
numero di convenzioni che legano lo Stato e lo limitano in determinati
settori del suo agire.
Infatti, pur non mancando le eccezioni derivanti dal diritto
consuetudinario, i limiti alla libertà dello Stato sono in massima parte
10
N. RONZITTI, op. cit., pag. 71.
10
conseguenza di norme pattizie, frutto quindi di una libera scelta
effettuata da parte del Paese in questione. Queste eccezioni,
consuetudinarie o convenzionali che siano, sono costituite da
disposizioni che impongono un certo trattamento degli stranieri, degli
organi stranieri, soprattutto degli agenti diplomatici e degli stessi Stati
stranieri. Vero è che i limiti derivanti da queste norme non sono, oggi,
così importanti, o meglio, hanno una valenza minore se comparati agli
obblighi derivanti dalle norme che perseguono valori di giustizia, di
cooperazione e di solidarietà tra i popoli.
Sebbene storicamente una compressione della sovranità
territoriale si sia verificata, in un primo momento, relativamente al
trattamento degli stranieri, i limiti più consistenti ed importanti alla
libertà dello Stato di comportarsi come meglio crede nel suo ambito
territoriale sono costituiti, oggi, dalle norme internazionali,
principalmente dalle norme pattizie, che perseguono valori di
giustizia, di cooperazione e solidarietà tra i popoli, tramite le quali si
manifesta la tendenza del diritto internazionale ad ingerirsi nei
rapporti interni alle singole comunità statali, senza distinguere tra
cittadini e stranieri o apolidi
11
. Così accadendo, perciò, è andato
erodendosi, progressivamente, il c.d. dominio riservato dello Stato.
Nell’ambito della tutela della dignità dell’individuo, ovunque esso si
trovi, l’azione dei governi si è tradotta nella conclusione di numerose
convezioni, tra le principali si annoverano, su scala regionale, la
Convezione Europea per i Diritti dell’Uomo, mentre, su scala
mondiale, i due Patti delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e
sui diritti economici, sociali e culturali.
Queste convenzioni, oltre ad istituire degli organi destinati a
vegliare sulla loro osservanza, contengono un catalogo dei diritti
umani, che spesso risulta molto più dettagliato di quello che
normalmente le costituzioni, anche tra le più moderne, prevedono.
11
B. CONFORTI op. cit., pag. 184.
11
1.3 Brevi cenni sulle organizzazioni internazionali
Accanto agli Stati, anche se non sullo stesso piano, un ruolo sempre
più importante, nella Comunità Internazionale, hanno assunto le
organizzazioni internazionali. Quest’ultime sono associazioni tra
Nazioni e sono provviste di un proprio apparato di organi. Tali enti
hanno un legame indissolubile con gli Stati, infatti, le prime nascono
per volontà dei secondi, espressa nel c.d. trattato istitutivo, e possono
estinguersi qualora si affermi una volontà in tal senso dei Paesi
firmatari. Di conseguenza, le organizzazioni internazionali non sono
enti originari, come gli Stati, bensì derivati
12
.
Esse hanno natura universale, ossia raggruppano Nazioni di
diverse aree del pianeta (come l’Organizzazione delle Nazioni Unite),
oppure, possiedono carattere regionale, raggruppando cioè Paesi di
una data zona geografica (ad esempio l’Unione Europea). Le
organizzazioni internazionali, a differenza degli Stati, non hanno un
territorio, per cui non godono del diritto di sovranità territoriale e non
esercitano le relative competenze. Esse esercitano le loro funzioni
tramite un apparato istituzionale che ha sede in un Paese membro e
con cui stipula un “accordo di sede”, che stabilisce i reciproci diritti e
doveri.
Inoltre, generalmente, sono dotate di una struttura tripartita, data da
un’Assemblea, in cui siedono i rappresentanti di tutti gli Stati membri;
un Consiglio Esecutivo, di cui fanno parte solo alcuni Stati; il
Segretariato Generale, il quale agisce nell’esclusivo interesse
dell’organizzazione internazionale.
È prevista la sospensione o l’espulsione dall’organizzazione, con
conseguente logica perdita della qualità di membro, dello Stato che si
renda colpevole di gravi violazioni degli obblighi imposti dal trattato
istitutivo.
12
N. RONZITTI, op. cit., pag. 34.
12