Cos’è l’ONU?
I.1. La Conferenza di San Francisco
Le Nazioni Unite non sono un’invenzione recente, del mondo così come lo
conosciamo oggi, piuttosto il prodotto di un’epoca assai diversa da quella attuale, e
comunque molto più distante di quanto non possa indicare la data, il 1945, che
sancisce la loro nascita ufficiale.
A ben vedere, il reale concepimento, l’origine vera e propria, è collocabile un paio
d’anni prima, nell’ottobre del 1943, quando, a Mosca, Stati Uniti e Unione
Sovietica, con Gran Bretagna e Cina (la Francia si inserirà nel gruppo dei “grandi”
più tardi), si accordano ufficialmente sulla creazione di una struttura con lo scopo
principale di mantenere la pace.
Alla Conferenza di Mosca fanno seguito gli incontri a Washington del 1944, nei
quali si gettano le basi del sistema prima solo sommariamente ideato: da osservare
che le cosiddette “proposte”1 di Dumbarton Oaks, «pubblicate al termine delle
riunioni, già contenevamo tutti gli aspetti essenziali che l’ONU presenta oggi».2
La decisione di convocare una conferenza, alla quale invitare il numero più ampio
possibile di Stati per redigere assieme una sorta di costituzione dell’organizzazione,
viene però presa a Yalta, dove si discute fra l’altro sul sistema di votazione e
sull’idea del diritto di veto. Siamo nel febbraio del ‘45: quattro mesi dopo, il 26
giugno, i vincitori che hanno sconfitto le potenze dell’Asse, ben 50 nazioni riunite a
San Francisco, firmano il documento che oggi conosciamo col nome di “Carta delle
Nazioni Unite”.
1
La parola “proposte” non rende appieno la portata delle linee generali tracciate a Washington che,
come ricorda giustamente anche Conforti (cfr. nota 2), furono presentate come «immutabili».
2
Sulle origini dell’Organizzazione, vedi: Conforti Benedetto, Le Nazioni Unite, Padova, Cedam,
1996, pp. 1-6.
Capitolo I
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A caratterizzare il processo di creazione del sistema, che si è appena tentato
di ricostruire in maniera brevissima e necessariamente incompleta, sono, secondo
Mesa,3 due dati di rilievo.
Il primo è che l’organizzazione è frutto di una coalizione senz’altro democratica,
formata però anche da governi che non lo erano. A prescindere dall’evidente caso
dell’Unione Sovietica sotto la dittatura di Stalin, non bisogna infatti dimenticare le
discutibili posizioni di Francia e di Inghilterra, all’epoca grandi imperi coloniali del
tutto restii a rinunciare ai loro possedimenti territoriali.
La seconda «tara»4 è la mancanza nei fatti del carattere universale di cui si parla nel
testo della Carta: con la sola cinquantina di Stati facenti parte della nascente
organizzazione si era piuttosto lontani dalla situazione dei quasi 200 membri attuali
(con l’ammissione di Tuvalu avvenuta il 5 settembre del 2000, il numero degli Stati
Membri ammonta a 189).5 Certo, sostiene Mesa, è innegabile che «l’ONU dava un
passo in avanti rispetto alla Società delle Nazioni in quanto, se per quest’ultima la
pace era da intendersi passivamente, come assenza di guerra, per le Nazioni Unite la
pace aveva un senso più positivo, più dinamico: si trattava della pace attraverso la
cooperazione».6
Occorre infine sottolineare il ruolo di primaria importanza svolto dai membri che,
con la ratifica del trattato, diventeranno (e lo resteranno sino ai giorni nostri)
permanenti, in particolare il ruolo di Stati Uniti e Unione Sovietica; anche se la
Carta è approvata all’unanimità, l’influenza degli altri partecipanti è senza dubbio
minima. Il diritto di veto che i due grandi vincitori riservano per sé e per i loro
principali alleati (Gran Bretagna, Francia e Cina nazionalista) è emblematico: per
Desideri determina «una patente contraddizione tra gli asseriti principi di una
superiore giustizia internazionale e i persistenti egoismi delle grandi potenze».7
3
Roberto Mesa Garrido è professore di Relazioni Internazionali all’Università Complutense di
Madrid. Il 9, 10 e 11 marzo del 1995 ha partecipato ad una conferenza organizzata dalla Fondazione
Friedrich Ebert, a Barcellona, in occasione del cinquantenario delle Nazioni Unite. I suoi interventi
sono raccolti nell’opera: AA.VV., Las Naciones Unidas en la nueva sociedad internacional, Madrid,
Fundación Friedrich Ebert, 1995.
4
Proprio questo è il termine usato da Mesa, cfr.: AA.VV., Las Naciones Unidas en la nueva sociedad
internacional, op. cit., p. 29.
5
Cfr. la lista degli Stati membri in: www.un.org.
6
AA.VV., Las Naciones Unidas en la nueva sociedad internacional, op. cit., p. 29.
7
Desideri Antonio, Storia e Storiografia, Messina-Firenze, G. D’Anna, 1992, p. 909.
Capitolo I
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Tuttavia, per un mondo non ancora uscito dalla tragedia della Seconda Guerra
Mondiale (Hiroshima e Nagasaki devono ancora conoscerne l’orrendo epilogo), gli
ideali sottoscritti a San Francisco rappresentano una delle poche voci di speranza
nella pace futura, in un presente di guerra.8
I.2. Tra Guerra fredda e conflitto del Golfo: l’evoluzione dell’ONU
I.2.1. Una breve digressione
Uno dei fatti che più si tende a mettere in evidenza parlando, in questi ultimi
tempi, di Nazioni Unite, è la differenza esistente tra la realtà politica, sociale ed
economica in cui fu concepita la Carta, e il mondo attuale: due dimensioni, per certi
versi, inconciliabili. Le trasformazioni avvenute sono state di tale portata che
difficilmente si riconoscono elementi di comunione tra le due epoche.
In soli cinquant’anni si è passati, per esempio, dalla fine del ruolo centrale
dell’Europa, sostituito da quello delle due superpotenze, a un suo progressivo
recupero, per lo meno sotto l’aspetto economico: l’Unione Europea è oggi, nel suo
insieme, la prima potenza economica mondiale.
Ancora: i tre grandi sconfitti della Seconda Guerra, Germania, Giappone e Italia,
dalla loro condizione di Paesi praticamente distrutti, si sono trasformati in potenze
economiche di primo piano, sino a competere (i primi due) addirittura con gli Stati
Uniti (la presenza dei tre nel G-8 testimonia pienamente questa influenza).
Infine, come terzo e ultimo esempio, la sorprendente parabola dell’Unione Sovietica,
che ha conosciuto uno sviluppo tale da condurla a sfidare su molteplici fronti
(politico, militare, tecnologico) il colosso nord americano, ma che ha visto crollare il
suo sistema nell’arco di pochi anni.
Si potrebbero citare moltissimi altri casi a riprova degli imprevedibili e numerosi
cambiamenti verificatisi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sino ad oggi.
Tuttavia, non vi è dubbio che la chiave di volta nell’interpretazione della realtà
mondiale, in questa seconda metà del ventesimo secolo, è costituita dalla Guerra
8
Per un approfondimento delle problematiche circa la creazione dell’ONU, vi è una utile bibliografia
in Conforti, op. cit., p. 1.
Capitolo I
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fredda.9 Iniziato con la capitolazione dei regimi fascisti e nazisti, con la scomparsa
cioè del nemico comune, il confronto tra America e Russia si conclude solo alla fine
degli anni Ottanta, a causa dell’implosione poc’anzi accennata di uno dei due
contendenti.
E’ dunque la Guerra fredda la formula che permette di risolvere l’intricato evolversi
delle vicende, considerato che essa segna i destini del globo intero per quasi mezzo
secolo. Volendo descrivere sommariamente i caratteri peculiari di questo strano
“scontro- non scontro”, possiamo indicare innanzitutto la presenza di una profonda
frattura che domina il sistema, ossia i due blocchi antagonisti est-ovest, all’interno di
ciascuno dei quali si registra l’egemonia di una superpotenza nucleare. Si può
individuare poi una seconda frattura, quella tra il centro e la periferia, tra un blocco
pacifico che si identifica sostanzialmente con la zona europea occidentale e quella
nordamericana, e un blocco aperto all’instabilità e al continuo conflitto (il resto del
mondo).
Il periodo immediatamente successivo, ossia quello che segue la
disgregazione dell’Unione Sovietica e dei paesi socialisti, è contraddistinto invece
dal trionfo della democrazia all’occidentale e dall’economia di mercato: dalla
eliminazione, insomma, della frattura dominante precedente.
I.2.2. Le Nazioni Unite
Si tratta a questo punto di capire come l’ONU abbia affrontato e reagito alle
trasformazioni descritte e, a tal proposito, pare utile e al contempo chiara la
suddivisione realizzata dal già citato professor Mesa. Egli parla di tre ONU che si
sono succedute nel corso di mezzo secolo.10
9
Sulle conseguenze della Guerra fredda nel sistema ONU, si legga l’articolo di Paolo Corso Boccia,
“Le Nazioni Unite e la Guerra fredda: occasioni mancate, impasses strutturali”, presente nel numero
monografico della rivista “Europa Europe” dedicato al cinquantenario delle Nazioni Unite (cfr.
Migone Gian Giacomo e Re Olga (a cura di), “A cinquant’anni dalla nascita delle Nazioni Unite”,
Europa Europe, 4/95, Roma-Bari, Fondazione Istituto Gramsci-Edizioni Dedalo, 1995, pp. 41-58).
10
Luigi Bonanate non concorda con tale suddivisione, posto che parla di una storia delle Nazioni
Unite «nettamente spaccata in due, prima e dopo la decolonizzazione, a cui hanno corrisposto due
modelli politici radicalmente differenti, secondo che, come nel primo periodo, l’Assemblea Generale
fosse dominata dagli Stati Uniti ovvero, come nel secondo, lo schieramento socialista ne controllasse
la maggioranza dei voti (con la conseguente disaffezione occidentale verso l’istituzione)». Cfr.
Bonanate L., “Le Nazioni Unite e la democrazia internazionale: il limite della sovranità nazionale”,
Capitolo I
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(a) Le prime sono «le Nazioni Unite della Guerra fredda, le Nazioni Unite segnate,
da un lato, dalla crisi di Berlino e, dall’altro, dalla Guerra di Corea».11 Il segno
distintivo di questa ONU di fine anni Quaranta e inizi di anni Cinquanta è, a
detta dell’autore, la rigidità e l’inoperatività.
«Sono i migliori anni dell’egemonia assoluta del Consiglio di Sicurezza, che
domina su di una Assemblea Generale passiva, addomesticata […]. Il suo grande
operato si concretizza nell’uso e abuso del diritto di veto da parte dei membri
permanenti […]».12
(b) La seconda ONU sarebbe «quella che si mobilita a metà degli anni Cinquanta,
l’ONU della decolonizzazione, della coesistenza pacifica e dello sviluppo dei
diritti umani. E’ quella che si è dimostrata più utile nell’ottica della
comprensione e del mantenimento di un certo equilibrio».13 Si è verificato un
adeguamento tra l’ONU e la società internazionale del tempo, testimoniato dalla
“esplosione demografica” di Stati riflessa in maniera sistematica nel numero
crescente dei membri dell’Assemblea generale. Tuttavia, il potere reale
«continua a restare arroccato […] nel fortino del C.d.S., che sperimenta
solamente un leggero incremento nel numero dei suoi membri da 11 a 15».14
In quest’epoca si raggiungono comunque risultati che vanno ad aggiungersi al
positivo moltiplicarsi dei seggi in Assemblea. In primo luogo, si afferma il
diritto di autodeterminazione dei popoli (con la Risoluzione 1514/XV di
condanna al colonialismo); in secondo luogo, si sanciscono come fondamentali
principi quali l’amicizia e la cooperazione fra i popoli (Risoluzione 2625/XXV),
nonché quelli della coesistenza pacifica; infine, si attribuisce un’adeguata
importanza al tema dei diritti umani, grazie alla Dichiarazione Universale dei
diritti umani del 1948 e ai Patti del 1966.
Europa Europe, 4/95, op. cit., p. 76. Nonostante la veridicità di quest’ultima, si è preferita la
schematizzazione di Mesa perché pare più completa e approfondita.
11
AA.VV., Las Naciones Unidas en la nueva sociedad internacional, op. cit., pp. 31-32.
12
Ibidem.
13
Ibidem.
14
Ibidem.
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«In questo periodo, la cosa più importante […] è dunque il tripode della
decolonizzazione, del principio di amicizia e cooperazione, e dello sviluppo
della dottrina e della pratica dei diritti umani».15
(c) Oggi ci troveremmo di fronte a una terza ONU, quella del XXI secolo. In questa
epoca, «si cerca un nuovo ordinamento internazionale la cui nascita venne
proclamata, ma che tuttora non esiste nella realtà, in cui convivono norme del
passato e norme nuove, che cercano di farsi strada. Quasi si potrebbe dire che,
più che di fronte a un nuovo ordine internazionale, siamo di fronte a un nuovo
riordinamento internazionale: qualcosa insomma di più modesto, meno
ambizioso, però realista. Magari stiamo assistendo alla nascita di una società
internazionale differente, che non sarà necessariamente migliore di quella
precedente: la fine della Guerra fredda non vuol dire regno della giustizia nella
città di Dio».16
Mesa ipotizza trattarsi di una società più eterogenea, frammentata, composta da
distinte entità regionali: «In questa ONU […], dopo la caduta del muro di
Berlino e la Guerra del Golfo, quello che predomina è l’inadeguatezza ai nuovi
tempi e lo sconcerto o la mancanza di risposte a domande che sono già state
formulate. Così che, per esempio, se diciamo (ed è sicuro) che l’ONU del
passato venne emarginata dai grandi conflitti armati della sua epoca […], si
dovrebbe anche convenire che le Nazioni Unite del secolo XXI stanno per essere
escluse […] dai più importanti processi di pace di oggi come nel caso del Medio
Oriente».17
Ad ogni modo, non tutti gli autori si trovano d’accordo sull’inadeguatezza
alla nuova realtà da parte dell’ONU. Carcelén propone ad esempio un confronto con
l’epoca della Guerra fredda e afferma: «Durante la Guerra fredda, il C.d.S. si vide
bloccato dal veto di uno o dell’altro dei membri permanenti, o si mostrò passivo di
fronte ai numerosi conflitti internazionali forse a causa dell’effetto dissuasivo di un
15
Ibidem. Sull’argomento della decolonizzazione, Robert Harris propone un saggio in cui cerca di
porre l’accento sul ruolo svolto dall’Organizzazione come motore del processo (ci si limita a
considerare il fenomento nell’ambito africano). Cfr. Harris R., “Le Nazioni Unite e la
decolonizzazione dell’Africa”, Migone Gian Giacomo e Re Olga (a cura di), “A cinquant’anni dalla
nascita delle Nazioni Unite”, Europa Europe, op. cit., pp. 59-74).
16
Ibidem.
17
Ibidem.
Capitolo I
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possibile veto».18 Con l’intervento in Iraq inizia «una nuova e brillante epoca, nella
quale [il C.d.S.] ha adottato una larga serie di misure inedite, che permettono di
parlare della nascita di un quasi governo mondiale. Le risoluzioni proposte si
moltiplicano e ci si dimentica del veto» (dal 1990 al 1994, si producono ben 323
risoluzioni a fronte dell’impiego del diritto di veto in soli tre casi).19
Occorre precisare che l’autore ha una visione piuttosto originale sugli ultimi sviluppi
dell’organizzazione, la quale si sarebbe dotata, nel corso degli anni, di funzioni ben
più estese di quanto non prevedesse la Carta. Si arriva a parlare di funzioni “quasi
governative”, di sanzioni che incidono sulla sovranità,20 di funzioni “quasi
amministrative”, “quasi giudiziali” e “quasi legislative”21 in capo al Consiglio e,
addirittura, di un “direttorio istituzionalizzato” e di un “quasi governo mondiale”
incarnato dallo stesso organo!22
Vi sono poi studiosi che, oltre ad occuparsi della situazione presente, di per
sé già difficile da analizzare nella sua interezza, si spingono addirittura in avanti e
azzardano ipotesi su possibili sviluppi della situazione internazionale. Aracil, Oliver
e Segura ritengono possibili, nel prossimo futuro, tre tipi di scenari:
18
Cfr. Carcelén Martín C.Ortega, Hacia un gobierno mundial. Las nuevas funciones del Consejo de
Seguridad de Naciones Unidas, Salamanca, Editorial Hespérides, 1995, p. 13.
19
Ibidem.
20
Si veda in proposito il capitolo II dell’opera in questione, e in particolare le pagine 53-57 che si
occupano della risoluzione 687 del Consiglio (imposizione all’Iraq di una serie di condizioni per
considerare esaurito l’utilizzo della forza). Queste alcune delle frasi più significative: «Le misure
adottate nella risoluzione 687 hanno una natura innovatrice, considerato che non si trovano simili
precedenti nel corso degli anni di funzionamento del C.d.S.»; «Voler introdurre queste sanzioni
nell’art. 42 sarebbe violare il testo [..] per quanto lo si interpreti nella maniera più estesa. Le sanzioni
considerate […] non si rivolgono solo al mantenimento della pace, ma sono dotate anche di un certo
carattere punitivo […]»; «La risoluzione 687 sembra contenere una nuova funzione del C.d.S. che
non si può facilmente ascrivere ad alcuna norma specifica della Carta», per questo si tratta di «una
nuova funzione acquisita nella pratica, […] di sanzioni che incidono sulla sovranità [corsivo mio]».
21
Alle pp. 109 e 110, l’autore propone una lista di tutte le risoluzioni che, a suo giudizio, si possono
considerare funzioni quasi legislative.
22
Assai discutibile la posizione dell’autore anche nei confronti della società civile e della necessità di
una sua più ampia partecipazione alla riforma della Nazioni Unite: «I dibattiti sulla riforma della
Carta, molto di moda nelle vicinanze del cinquantesimo anniversario, hanno dato l’impulso ad un
movimento in favore dell’avvicinamento dei cittadini al governo mondiale, ispirato forse dalle parole
iniziali del preambolo: “Noi popoli delle Nazioni Unite”… […] Questi movimenti dimenticano che la
struttura istituzionale della società internazionale ha come chiave di volta proprio gli Stati, in qualità
di rappresentanti dell’unica legittimità riconosciuta. Il ruolo degli Stati può trasformarsi […], ma non
si può sperare che smettano d’essere i soggetti principali della società internazionale. La realtà di
fatto (che gli Stati siano i detentori unici del potere fisico attraverso il mo nopolio militare) conferisce
loro un protagonismo internazionale che non possono possedere altre forze meno imponenti»
(capitolo VII). Cfr. Ibidem, pp. 267-268.
Capitolo I
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(a) una unione della Comunità Internazionale intorno a un sistema basato sui valori
politici dell’Occidente (democrazia e capitalismo), sulla ripartizione più equa
possibile delle risorse, e su un sistema globale di sicurezza fondato sulle Nazioni
Unite;
(b) di fronte alla mancanza di un centro di potere ampio e di un consenso
internazionale capace di crearlo, si registrerà un ritorno alla sovranità e alla
politica individuale degli Stati, fatto che potrebbe creare un confronto tra gli
stessi Paesi ricchi (Europa, Asia e America) o tra il Nord ed il Sud;
(c) una scomoda e pericolosa coesistenza tra centri di stabilità (ONU, G-8..) e di
instabilità o frammentazione, tanto nel Sud (Africa e Vicino Oriente) come nel
Nord (Europa dell’est, ex Unione Sovietica). Il sistema bipolare non sarebbe
rimpiazzato da un sistema di sicurezza collettiva, né da un ritorno all’ordine del
1919 (“tutti contro tutti”), ma da una mescolanza incerta di entrambi.23
Nel cammino verso lo sviluppo di una di queste tre prospettive, quattro elementi si
rivelano particolarmente importanti:
(a) l’incognita americana (con la sua relativa crisi economico-finanziaria e
l’impressionante arsenale bellico da riconvertire o schierare per motivi
strategici);
(b) la situazione del Golfo dopo la sconfitta irachena e, più in generale, lo scenario
del Vicino e Medio Oriente;
(c) l’evoluzione geopolitica dell’Estremo Oriente, ossia l’integrazione nel blocco
occidentale dell’enorme potenziale economico e militare del Giappone, da un
lato, e l’incerto futuro della Cina, dall’altro;
(d) la capacità dell’Europa di ristrutturarsi e assumere un ruolo stabile di leader
mondiale.24
E’ necessario ricordare, ad ogni modo, che suddivisioni di questo tipo (ci si riferisce
a quest’ultima e a quella del professor Mesa), indubbiamente utili per rintracciare le
23
Cfr.: Aracil L., Oliver J. y Segura A., El mundo actual. De la segunda guerra mundial a nuestros
días, Barcelona, Estudi General-Universitat de Barcelona, 1995. Per un riassunto delle loro
previsioni, vedi anche: José Coderch Planas, “Cambios en la sociedad internacional y su reflejo en
Naciones Unidas”, in Las Naciones Unidas y el Derecho Internacional, Barcelona, Editorial Ariel,
1997, pp. 16-18.
24
Cfr. Planas J.C., “Cambios en la sociedad internacional…”, op. cit., p. 18.
Capitolo I
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linee generali dell’evoluzione delle Nazioni Unite, non vanno considerate
diversamente da quello che sono, ovvero schematizzazioni e tentativi di sintesi.
I cinquant’anni di storia dell’Organizzazione si presentano ben più complessi, le tre
ripartizioni sopra elencate sono collegate e dipendenti una dall’altra e, considerate
nell’insieme, rivelano profonde connessioni anche con il periodo storico precedente.
Questa idea di continuità, sia a proposito dell’ONU del 1945, sia di quella recente,
viene messa in evidenza da più studiosi e, fra questi, da Carrillo Salcedo, da
Vilanova e da Celestino Del Arenal.25
Salcedo spiega, ad esempio, che le Nazioni Unite sono, in fondo, il riflesso di
un sistema internazionale ereditato dal passato. In particolare ricorda come
precedentemente vi erano state organizzazioni simili, facendo chiaro riferimento alla
Società delle Nazioni. Afferma che la stessa invocazione “Noi popoli delle Nazioni
Unite”, per quanto totalmente differente dall’espressione tradizionale “Le Alte Parti
Contraenti” (presente nello Statuto della SDN), non si può certo intendere come
«una rottura con la struttura predominante interstatale del sistema internazionale,
piuttosto [come] una riforma e modernizzazione dello stesso».26
Vilanova, da parte sua, rifiuta di parlare dell’ordine internazionale attuale
come un “nuovo ordine internazionale” perché, sostiene, i conflitti definiti a volte
“nuovi”, in verità non lo sono: la sua idea è che ce ne siano sempre stati e che i modi
di risolverli nel presente non siano poi tanto differenti rispetto al passato.
Del Arenal vede addirittura le Nazioni Unite di oggi come il prodotto, nella
loro struttura e funzioni, di un sistema internazionale di Stati che nacque a Westfalia
e che, «attraverso la colonizzazione e la successiva decolonizzazione, s’è convertito
nel ventesimo secolo in un sistema mondiale che vede incontrastate protagoniste le
cosiddette “Grandi Potenze”». Yalta e Potsdam altro non sarebbero che la
spartizione di una parte importante del mondo tra queste ultime, così come «il
costituirsi di un nuovo “direttorio” da parte delle stesse, ripetendo in questo modo,
25
Le opere cui si fa riferimento sono, rispettivamente: Carrillo Salcedo J. A., “Las Naciones Unidas,
cincuenta años después”, in AA.VV., Las Naciones Unidas hoy, Sevilla, Fundación El Monte, 1995;
Vilanova P., “El mundo en 1994: mutación y desorden”, in Anuario CIDOB, 1994. Articolo
consultabile anche al sito: www.cidob.es/Castellano/Publicaciones/Anuarios/vilanova.html; Del
Arenal C., “Cambios en la sociedad internacional y organización de las Naciones Unidas”, in Escuela
Diplomática, Jornadas sobre el Cincuenta Aniversario de las Naciones Unidas, Madrid, Collección
Escuela Diplomática, n°2, 1995.
26
Carrillo Salcedo J. A., op. cit., p. 11.
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una volta di più, il comportamento che ha origine a Westfalia». San Francisco e le
Nazioni Unite non costituirebbero altro che una «formalizzazione e una
istituzionalizzazione di questo schema di funzionamento».27
Il vero problema della nuova realtà così eterogenea è la mancanza di relativa
semplicità propria di un mondo bipolare sul piano politico-militare, ed egemonizzato
a livello economico dagli Stati Uniti: incertezza, complessità, mobilità, crescenti
tensioni sono i nuovi paradigmi con cui bisogna relazionarsi e l’unica cosa chiara è
che «il sistema e l’ordine internazionale sorti a Westfalia […] non servono più per
far fronte alla realtà e a problemi la cui soluzione rompe gli argini delle strutture e
delle dinamiche internazionali tradizionali».28
Si è anche prodotta, sottolinea l’autore, una trasformazione nel concetto di pace, ora
ben diverso da quello classico. Da una connotazione negativa (tipica del sistema
statalista di Westfalia) di pace come semplice assenza di conflitto o guerra, si sta
passando a una connotazione positiva, intesa come “assenza di qualsiasi tipo di
violenza”, “realizzazione della giustizia sociale”.29
In sintesi occorre sottolineare una certa continuità tra lo sviluppo dell’ONU e
le vicende che la circondano, vicende che, spesso, coinvolgendo gli Stati, finiscono
col mutare profondamente la struttura dell’organizzazione stessa (che, non
dimentichiamo, è formata da Stati).
Arrivati a questo punto, comprese le sue possibili ripercussioni sulle Nazioni Unite,
sembra dunque indispensabile cercare di individuare quali siano le principali
peculiarità del nuovo contesto internazionale. E’ ciò di cui si occuperà il prossimo
paragrafo.
I.2.3. Il nuovo contesto mondiale e i principi che lo reggono
La più corrispondente e al contempo immediata descrizione degli ultimi
sviluppi nella scena internazionale è offerta da Del Arenal con la sua frase «dalla
speranza alla disillusione»:30 come descrivere infatti in altro modo il decennio che
27
Del Arenal Celestino, op. cit., p. 10-11 (anche per le due citazioni precedenti).
28
Ibidem, p. 13.
29
Cfr. quanto precedentemente detto a p. 2, nota 6.
30
Ibidem, p. 9.
Capitolo I
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s’è aperto con la caduta del muro di Berlino e chiuso con i discutibili interventi in
Kossovo contro la Serbia e non interventi in Cecenia contro la Russia?
L’autore riflette così sul rapido passaggio da una situazione all’altra:
«Abituati ormai alla tensione, al conflitto e alla mancanza di efficacia dell’ONU,
caratteristiche del sistema bipolare dopo la Seconda Guerra Mondiale, i cambi
radicali che si produssero a fine anni ottanta e all’inizio dei novanta sfociarono in
sentimenti di ottimismo e di speranza nei confronti di un nuovo ordine mondiale. La
Guerra del Golfo segnò il momento culminante di queste aspettative, con l’ONU che
pareva il centro nevralgico di questo stesso ordine».31
E’ l’epoca appunto dell’ottimismo, quella della fiducia, durante la quale l’opinione
diffusa è che un “nuovo corso” stia iniziando. Lo stesso Segretario Generale
d’allora, Boutros Boutros-Ghali, ha modo di affermare:
«E’ iniziata una nuova tappa nella storia delle Nazioni Unite. Con rinnovato interesse,
l’organizzazione mondiale è invocata con sempre maggiore frequenza e urgenza. Il
meccanismo delle Nazioni Unite, che spesso è risultato non operativo a causa della dinamica
della Guerra fredda, si trova al centro degli sforzi internazionali portati avanti con lo scopo
di affrontare problemi rimasti irrisolti per decenni, così come quelli emergenti da situazioni
presenti e future. Per le Nazioni Unite questa nuova era significa l’acquisizione di una
rinnovata credibilità. Crescono inoltre le aspettative verso una ONU che assuma maggiori
responsabilità e un ruolo più importante […] nel cammino verso la pace e lo sviluppo. La
comunità internazionale e la Segreteria […] devono sfruttare questa straordinaria
opportunità per ampliare, adattare e rafforzare il proprio lavoro, in modo che gli obiettivi
originariamente tracciati nella Carta possano iniziare a compiersi».32
Del Arenal constata però che, «nonostante tutto, tanto rapidamente arrivò la
speranza quanto rapidamente si sciolse in disillusione: il nuovo ordine mondiale non
esisteva o, per lo meno, aveva molto poco a che spartire con la pace, la sicurezza e la
giustizia. Si moltiplicavano i conflitti e le Nazioni Unite fallivano in molti campi
31
Ibidem.
32
Boutros Boutros-Ghali, “Una nueva etapa para las Naciones Unidas”, Política exterior, 31, inverno
1993, p. 34.
Capitolo I
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(Somalia, Sahara Occidentale…) ritornando alla cruda realtà delle sue limitate
possibilità».33
E, se durante la Guerra fredda era proprio la divisione in due blocchi a causare
l’inattività dell’Organizzazione, ora è più che mai necessario, a suo parere, trovare
altre spiegazioni per la paralisi alla quale l’ONU sembra essere tornata.
La nuova situazione cui si deve far fronte è quella di un sistema mondiale nel
quale convivono vecchio e nuovo in una sintesi spesso difficile, se non impossibile
da raggiungere. In questo scenario le Nazioni Unite, prodotto del sistema classico di
Stati, sistema ormai superato, si trovano di fronte a numerose e crescenti difficoltà
nel compiere i propri obiettivi. Alle tradizionali limitazioni (veto Grandi Potenze,
loro protagonismo e struttura intergovernativa delle relazioni internazionali) si
aggiungono le limitazioni create dai nuovi cambi sperimentati e vissuti dal sistema
internazionale, dei quali si propone un elenco.34
(a) Perdita della centralità dello Stato nelle relazioni internazionali.
Lo Stato continua, per la verità, ad essere un elemento essenziale a livello
internazionale: è però soggetto a moltissime limitazioni, ad esempio non ha più un
controllo assoluto su questioni di tipo economico (transazione di capitali, imprese
multinazionali) o sociale (pensiamo ai fenomeni di immigrazione che coinvolgono
l’intera Europa).
Paradossalmente, ai processi appena considerati si è accompagnata e si accompagna
una crescita spettacolare e parallela nel numero di Stati, dovuta alla
decolonizzazione, o allo smembramento di alcune Nazioni più che altro appartenenti
all’ex blocco sovietico (URSS, Yugoslavia, Cecoslovacchia).
A proposito della questione dello Stato e delle sue debolezze, come pure del
proliferare del loro numero, Boutros Ghali, al Foro Economico Mondiale tenutosi a
Davos, il 26 gennaio 1995, affermò: «Esiste il grave pericolo che gli Stati siano
sempre più democratici ma sempre meno padroni delle decisioni fondamentali che
determineranno il loro futuro. […] Le Nazioni Unite devono dare impulso al
33
Del Arenal Celestino, op. cit., p. 9.
34
Juan Antonio Carrillo Salcedo e Celestino del Arenal sono i due principali autori che si dedicano
all’analisi del nuovo contesto mondiale, rispettivamente nelle opere già citate: Carrillo Salcedo J. A.,
“Las Naciones Unidas, cincuenta años después”, op. cit., pp. 7-21; e Del Arenal C., “Cambios en la
sociedad internacional …, op. cit., pp. 15-20. I punti che seguono traggono spunto da tali studi.
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processo di democratizzazione non solo dentro gli Stati o fra questi, ma anche dentro
la stessa società globale nella quale viviamo. […] Credo che gli Stati democratici
siano i migliori garanti dalla pace e i migliori difensori dei diritti umani. Ogni giorno
troviamo conferma del fatto che i regimi autoritari sono potenzialmente promotori di
guerre, mentre la cultura democratica è fondamentalmente una cultura di pace».35
(b) Processo di diffusione del potere.
La realtà dei giorni nostri mostra come il potere sia ormai un fenomeno
multidimensionale e di natura mutevole, che si può esprimere, da un lato, sempre più
in termini economici, culturali e di informazione (e meno in termini militari), e che
si esercita, dall’altro, sotto nuove forme e in maniere distinte. I mezzi militari stanno
diventando ad esempio sempre più costosi, cosa che obbliga gli Stati a ricorrere a
modi diversi per l’esercizio del loro potere.
(c) Scomparsa dei limiti tra la realtà interna dello Stato e quella internazionale, tra la
politica interna e quella estera.
La netta separazione dei due ambiti, tipica della politica di qualsiasi Stato sino a
pochi anni fa,36 rappresenta ormai una distinzione obsoleta e artificiale considerati i
rapporti reciproci di interdipendenza e transnazionalizzazione.37
(d) La nuova problematica socio-economica e tecnico-scientifica.
Sono questi temi a occupare i primi posti nell’agenda politica degli Stati e a
rappresentarne le questioni di “high politics” (molto più di quanto non facciano le
tradizionali problematiche politico-diplomatiche e politico-strategiche).
35
Boutros Boutros-Ghali, “La ONU en su 50° aniversario”–Documentazione, Política exterior, vol.
IX, 44, aprile/maggio 1995, pp. 209-214.
36
Sul tema della netta divisione tra i due ambiti non tutti concordano sul fatto che si possa parlare di
“pochi anni”. Papisca scrive: «J.N. Rosenau asseriva, già trent’anni fa, che la differenza tra nazionale
e internazionale esiste soltanto “nella mente di coloro che usano questi aggettivi”» (si cita poi in nota
la fonte: Rosenau J.N., Pre-Theories and Theories on Foreign Policy, in R.B. Farrel (edit.),
Approaches to Comparative and International Politics, Evanston, Northwestern Univ. Press, 1966, p.
56). Cfr. Mascia Marco e Papisca Antonio, Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e
dei diritti umani, Padova, Cedam, 1997, p. 14. Luigi Bonanate conferma: «Tra politica interna e
politica internazionale non esiste quella separazione che la teoria politica dello Stato moderno (da
Hobbes in poi) ha sempre posto alla base delle sue riflessioni». Cfr. Bonanate L., “Le Nazioni Unite e
la democrazia internazionale: il limite della sovranità nazionale”, op. cit., pp. 88-89.
37
Sull’argomento si veda il capitolo III (“I processi internazionali del mutamento”) dell’opera:
Mascia Marco e Papisca Antonio, Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza…, op. cit.,
pp. 96 e ss (i primi due paragrafi sono interamente dedicati ai due concetti). In particolare, si spiega
il termine trasnazionalizzazione come un processo col quale «si intende definire la dinamica dei ruoli,
delle strutture e delle istituzioni alla cui origine stanno attori diversi dai governi e dalle loro agenzie
intergovernative, in grado di agire e interagire significativamente nello spazio funzionale
internazionale in modo autonomo rispetto ai centri di potere politico di matrice governativa» (p. 102).
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(e) L’eterogeneità come fattore determinante del sistema.
Se il sistema attuale si può definire mondiale, universale e globale, allo stesso
tempo si rivela profondamente eterogeneo: lo dimostrano le rinascenti forze
nazionalistiche e centrifughe e, soprattutto, lo sviluppo dei fenomeni regionali nelle
relazioni internazionali.
(f) Proliferazione di nuovi tipi di conflitto.
I nuovi tipi di conflitti hanno poco in comune con le classiche contese
territoriali o le aggressioni fra Stati vicini e confinanti. Le attuali cause scatenanti
sono fondamentalmente problemi economici e sociali, antagonismi nazionali, etnici,
religiosi o culturali. Si tratta di conflitti a bassa intensità con attori che non sono
Stati, ma entità dentro lo Stato e transnazionali, a cui si risponde con forme,
procedimenti e mezzi del tutto diversi da prima.
(g) Mutamenti nel problema della sicurezza e nell’uso della forza.
La sicurezza comprende un ambito molto più ampio rispetto al passato in
quanto coinvolge dimensioni politiche, economiche, sociali, umanitarie, ecologiche
e di diritti umani.
I metodi militari e l’uso della forza sono spesso troppo costosi o inefficaci rispetto
alle esigenze del presente, e ad essi si sostituiscono molte volte strumenti non
militari.
(h) Mutamento del concetto di Grande Potenza.
I fattori determinanti per assumere tale status sono quelli economici, scientifici
e tecnici, culturali, mentre il peso del potere militare va via via diminuendo.
(i) Apparire di un nuovo consenso internazionale.
Anche se di natura imperfetta, perché riguarda soprattutto l’Occidente, si va
configurando un nuovo consenso internazionale attorno alla democrazia, i diritti
umani e l’economia di mercato; tuttavia, bisogna ammettere che, spesso, i valori
proclamati si scontrano clamorosamente con il funzionamento non democratico del
sistema mondiale e con il ruolo di direttorio svolto dalle grandi potenze nell’ONU.
(j) Rivalorizzazione dell’aspetto umano e umanitario come dimensione dell’agire
internazionale.