relazione all'accennato studio sulla portata attuale del criterio del favor prestatoris nel diritto tributario.
Nella sezione 2 sono stati trattati i redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente. La
determinazione dei redditi di categoria è oggetto della seconda parte della trattazione. In questa sede si
sono considerate le questioni relative al trattamento delle erogazioni e indennità risarcitorie, anche alla
luce di una corretta interpretazione dell'art. 6, comma 2, del TUIR (somme percepite a seguito di
transazioni, indennità per ingiustificato licenziamento, indennità per ferie e riposi non goduti). Spazio è
stato concesso a principi di ordine generale riguardanti i redditi in questione come quello
dell'imputazione al periodo d'imposta e della territorialità. Infine, sono stati ampiamente trattati i
problemi relativi ai fringe benefits, considerando anche ipotesi non espressamente disciplinate, e ai
rimborsi spese, mentre l'ultima parte del lavoro è stata dedicata alla determinazione dei redditi
assimilati.
Sulla base di un'estesa bibliografia, si è cercato di fornire un'ampia costruzione sistematica e coerente
della classe reddituale in oggetto. Tale intento, peraltro, ha dato occasione ad osservazioni critiche di
tipo costruttivo sia alla riforma del 1997, sia alla circolare n. 326/E citata.
PARTE I
INDIVIDUAZIONE DEI REDDITI DI LAVORO
DIPENDENTE
SEZIONE I
RELAZIONI TRA IL DIRITTO TRIBUTARIO ED ALTRE
DISCIPLINE DELL'ORDINAMENTO NELL'INDIVIDUAZIONE E
NELLA VALUTAZIONE DEI REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE
CAPITOLO 1
IL RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO
1. RILEVANZA DEL VINCOLO DI SUBORDINAZIONE NEL TUIR.
La prima norma da prendere in considerazione, nella trattazione del reddito di lavoro dipendente, è l’art. 1
del d.p.r. n. 917/1986. Ai sensi di tale disposizione, presupposto dell’IRPEF è il possesso di redditi in
denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate dall’art. 61.
In conformità alle previsioni citate, il reddito di lavoro si distingue in dipendente o autonomo secondo la
presenza o meno del vincolo della subordinazione.
Quanto sostenuto emerge dagli artt. 46, primo comma, 47 e 49, comma 1.
La prima disposizione richiamata, pur non accennando al vincolo in oggetto, per individuare i redditi di
lavoro dipendente fa riferimento a quelli derivanti dall'attività prestata alle dipendenze e sotto la direzione
di altri.
Nell'art. 47, relativo ai redditi assimilati, è stato inserito un eterogeneo elenco di fattispecie accomunate
dalla mancanza di qualche caratteristica necessaria per integrare la definizione generale del reddito in
esame. In particolare, si può notare come non è presente l'elemento fondamentale della subordinazione
nella lett. a), concernente i redditi percepiti da lavoratori soci di cooperative di produzione e lavoro, nella
lett. c), relativa alle somme corrisposte a titolo di borsa di studio, e nelle lett. f/g), riguardanti le indennità
corrisposte per lo svolgimento di pubbliche funzioni e quelle percepite dai membri di organi elettivi.
L’art. 49, primo comma, individua la categoria dei redditi di lavoro autonomo in maniera residuale.
Infatti, dopo aver stabilito che essi derivano dall'esercizio di arti e professioni, richiama tutte le attività
autonome (e quindi non subordinate) abituali, ancorché non esclusive, e non rientranti nel reddito agrario
o nel reddito d’impresa. Tuttavia, in questa sede, ciò che maggiormente interessa è quanto disposto nel
secondo comma, lett. a): sono considerati rapporti di lavoro autonomo quelli aventi per oggetto la
prestazione di attività2 svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto3.
Concludendo, si può affermare che il criterio prevalente di distinzione dei redditi di lavoro, dipendente o
autonomo, è costituito dalla presenza o no del vincolo, soggettivo, della subordinazione.
In prima approssimazione ciò significa che il reddito di lavoro subordinato è quello di chi, nella propria
attività, riceve ordini da altri perché inserito in una posizione gerarchica, mentre il reddito di lavoro
autonomo è percepito da colui il quale ha capacità e facoltà di amministrarsi da sé, di darsi proprie regole.
2. IL VINCOLO DI SUBORDINAZIONE NEL DIRITTO CIVILE.
Leggendo l’art. 2094 del codice civile e l’art. 46 del TUIR risalta immediatamente la rilevante similarità
tra le due norme. Questa circostanza, oltre a porre problemi di coordinamento, richiede un esame, sia pur
sintetico, dell'elaborazione civilistica.
1
L’art 1. del TUIR non individua una nozione generale di reddito, ma una serie di redditi tassabili.
Gli elementi costitutivi del presupposto d’imposta sono: il possesso del reddito, la circostanza che esso
possa manifestarsi sotto forma di denaro o di beni e servizi, l’appartenenza ad una delle categorie di cui
all’art. 6.
Il concetto di possesso adottato in questa circostanza si discosta, peraltro, dalla nozione dell’art.
1140 c.c. avvicinandosi invece a quello di materiale disponibilità (vedi anche: art. 37, commi 3 e 4 , d.p.r.
n. 600/1973).
Sul problema: Tosi, La nozione di reddito, in Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta
da F. Tesauro, Tomo, I, Utet, Torino, 1994, 3 e ss.; Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte
speciale, Utet, Torino, 1996, 13 e ss., 25; Lupi, Diritto tributario, Parte speciale, Giuffrè, Milano, 1998,
33 e ss.; Leo, Monacchi, Schiavo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Giuffrè, Milano, 1999, 2 e ss.
2
Aventi contenuto intrinsecamente artistico o professionale.
3
Nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati, e con
retribuzione periodica prestabilita.
Ricordo che il codice civile del 1865 non prevedeva il contratto di lavoro subordinato. Il legislatore del
1942, anziché definire direttamente il rapporto tra creditore e debitore, fornisce una descrizione analitica
del soggetto protetto4.
La subordinazione è costruita come una particolare modalità attuativa della prestazione debitoria: è
subordinata quella che si svolge nell’organizzazione del datore di lavoro.
È ormai sostanzialmente consolidato l'orientamento secondo cui il fondamento del rapporto di lavoro è
costituito dal contratto5. Tuttavia, la definizione della relazione esistente tra le parti è ancora oggetto di
ampio dibattito6.
4
In particolare, mentre l'art. 2094 considera il lavoro subordinato nell'impresa, riguardo a quello
prestato fuori di essa, ovvero a domicilio o presso enti pubblici, provvedono, rispettivamente, gli artt.
2239 e ss., 2128 e 2129 c.c.
5
In questo senso è fin dall’inizio del secolo Barassi (Il contratto di lavoro nel diritto positivo
italiano, Vol. I, Società editrice libraia, Milano, 1915, 311 e ss.). Il contratto è la fonte dello scambio di
lavoro-mercede; la fonte negoziale non può essere scalfita dalla preponderanza di una delle parti che
impone all’altra le condizioni di contratto: si ha in questi casi un contratto per adesione. L’ordinamento è
attento ai motivi che inducono il lavoratore a stipulare il contratto in due modi: col limitare l'autonomia
della parte più forte, e col colpire il contratto nel caso in cui vi sia un abuso immorale di pressione per
parte del contraente più potente.
Sugli orientamenti contrattuali del rapporto di lavoro subordinato: Persiani, Contratto di lavoro e
organizzazione, Cedam, Padova, 1966; Liso, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, F.
Angeli, Milano, 1989, 38 e ss.; Ghera, Diritto del lavoro , Cacucci, Bari, 1996, 47 e ss.; Mariucci, Il
lavoro decentrato: discipline legislative e contrattuali, F. Angeli, Milano, 1979, 65 e ss. Vedi anche: C.
Cost., 24/4/1967, n 51, in Lavoro - La giurisprudenza costituzionale 1956-1986. Vol. III, Tomo I. Alto
patronato del Presidente della Repubblica. Ricerca coordinata da G. M. Ambroso e G. Falcucci. Istituto
poligrafico dello Stato, Libreria dello Stato, Roma, 1987, 119.
Contro la dottrina maggioritaria si pone Scognamiglio (Diritto del lavoro , Jovene, Napoli, 1997, 8 e
ss.). Egli dapprima procede ad illustrare la configurazione del lavoro subordinato nella forma del
contratto, in seguito, pur non contestando gli elementi di contrattualità, critica tale impostazione. Si rileva
che la dottrina provvede ad inquadrare i rapporti, aventi ad oggetto l’attività lavorativa della persona,
principalmente nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, profilandosi, così, l’alternativa tra i
tipi della locazione e della vendita, con la netta prevalenza del ricorso alla prima figura. In questa
prospettiva, vengono recuperate le nozioni della locatio operarum e della locatio operis al fine precipuo
di individuare nel loro ambito il tipo di rapporto contrattuale, intorno al quale si viene assestando la nuova
normativa di tutela giuridica degli interessi dei lavoratori.
Tuttavia, sarebbe lo stato di soggezione del debitore, nei confronti del creditore, l'elemento
contrastante con l’idea di contratto, il quale è fondato sulla posizione paritaria dei contraenti. A differenza
di quanto avviene nel contratto del consumatore, dove la differente forza contrattuale incide parzialmente
e marginalmente nelle ragioni di vita del soggetto, il lavoratore subordinato si pone alle altrui dipendenze,
con le sue energie manuali e intellettuali, al fine di soddisfare i bisogni imprescindibili del mantenimento
suo e dei suoi familiari. È in base a tali premesse che troverebbero giustificazione le fonti eteronome e
sovrastanti la volontà contrattuale (legge e contrattazione collettiva), le quali, riducendo al minimo
l’autonomia individuale nella regolamentazione del rapporto di lavoro, limitano sensibilmente
l’applicabilità delle norme sulla disciplina generale dei contratti (art. 1326 ss. c.c.).
Il rapporto di lavoro è individuato nella relazione intercorrente tra il prestatore di lavoro, che si pone
all’altrui servizio con le proprie energie psico-fisiche, e il datore di lavoro, che quelle energie utilizza per
i suoi obiettivi.
Altre teorie acontrattualistiche, le c.d. tesi istituzionalistiche, pongono in primo piano, come fonte
del rapporto di lavoro, l’inserzione del lavoratore nell’impresa vista come istituzione (Greco, Il contratto
di lavoro , Utet, Torino, 1939, 159; in particolare sull’impresa: A. Asquini, Profili dell’impresa , in Riv.
dir. comm., 1943, I, 17 e ss.).
6
In proposito rilevo che la prassi giurisprudenziale attribuisce la competenza relativa
all’identificazione e alla qualificazione della fattispecie al giudice di merito (C. Cost., 17/12/1975, n. 241,
in Lavoro - La giurisprudenza costituzionale 1956-1986. Vol. III, Tomo II. Alto patronato del Presidente
della Repubblica. Ricerca coordinata da G. M. Ambroso e G. Falcucci. Istituto poligrafico dello Stato,
Libreria dello Stato, Roma, 1987, 1220). La Suprema Corte, per parte sua, può censurare tale operato
soltanto in relazione alla determinazione dei criteri generali ed astratti e alla loro corretta applicazione al
caso concreto, mentre non è possibile disattendere, se opportunamente motivato, l’apprezzamento delle
La tematica è certamente influenzata sia dall’attuale fase di evoluzione del sistema economico, sia
dall’innovazione tecnologica; infatti, stanno emergendo nuove forme di prestazione di lavoro e figure
professionali. La sensibilità del legislatore a queste problematiche, fin dai primi anni ’80, ha prodotto
fattispecie quali il contratto di formazione e lavoro, il part time , ipotesi di lavoro a termine, il c.d. lavoro
interinale, ecc.
Si rende così necessario un esame dei singoli criteri distintivi che sono stati nei tempi richiamati e
adottati. Essi possono essere identificati nella subordinazione, nell’oggetto della prestazione, nell’assenza
del rischio d’impresa, nella collaborazione, nell’inserimento del lavoratore nell’organizzazione
imprenditoriale, nella continuità, nell’orario di lavoro, nelle modalità di retribuzione e nella volontà
contrattuale.
1) La subordinazione.
Quest'elemento assume un valore essenziale7 e consiste in un vincolo personale di assoggettamento
gerarchico del lavoratore alle direttive, alla vigilanza, al controllo e al potere disciplinare del datore di
lavoro8.
Occorre precisare che il controllo può avvenire, anziché durante l’esecuzione della prestazione, anche in
un secondo momento, allo scopo di verificare il rispetto delle direttive impartite9.
Il vincolo può essere più o meno intenso a seconda della tipologia e della natura delle mansioni10, tant’è
che elementi se ne possono riscontrare, in forma attenuata, anche nel contratto d’opera, nell’agenzia e
nell’appalto11.
circostanze di fatto idonee ad inquadrare il rapporto nell’area della subordinazione o dell’autonomia
(Cass., 3/4/1990, n. 2680, in Giust. civ. Mass., 1990, 621).
Dottrina e giurisprudenza, trovandosi spesso ad agire in zone grigie di difficile collocazione,
rinunciano ad una nozione generale e onnicomprensiva di subordinazione qualificando la fattispecie
concreta secondo criteri pratici individuati sia in base alla figura socialmente prevalente di lavoratore
dipendente, sia in base alla normale disciplina del relativo rapporto di lavoro. Tale operazione, di
riconduzione di un contratto ad un determinato tipo, può essere così impostata: chiarito che cosa dis tingue
il lavoro subordinato da quello autonomo, occorre stabilire in concreto se una determinata fattispecie reale
sia riconducibile all’uno o all’altro tipo di contratto. A questo proposito si possono distinguere due
metodi:
a) il metodo della sussunzione: consiste nello stabilire se nel caso di specie ricorrano o no gli elementi
propri della definizione legale; in sostanza si dà prevalenza agli indici di subordinazione (Cass.,
16/1/1981, n. 383, in Il foro it.,1981, I, 680; Cass., 6/12/1986, n. 7286, in Giust. civ. Mass., 1986,
2080; Cass., 2/3/1987, n. 2194, in Giust. civ. Mass., 1987, 604).
b) il metodo tipologico: consiste nello stabilire se il caso di specie sia o no riconducibile al tipo
normativo che il legislatore aveva presente quando dettò la relativa disciplina (Carinci, De Luca
Tamajo, Tosi, Treu, Diritto del lavoro, Il rapporto di lavoro subordinato, Il sistema giuridico
italiano, Vol. II, Utet, Torino, 1998, 25 e 26. Sul problema in generale: G. De Nova, Il tipo
contrattuale, Cedam, Padova, 1974; Id., Nuovi contratti, Utet, Torino, 1994, 25 e ss.).
7
Ichino, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro , Giuffrè, Milano, 1989, 44 e ss., il quale
rileva che l’assoggettamento ad eterodirezione è un modo d’essere non dell’attività (comportamento di
fatto), ma della prestazione lavorativa. Esso è carattere strutturale della relativa obbligazione. Rilevante è
l’assunzione da parte del lavoratore di un vincolo di assoggettamento della sua attività al potere direttivo
del creditore, vale a dire di un obbligo di obbedienza. Le specifiche istruzioni impartite dal creditore
possono anche mancare.
Vedi anche: Pret., Roma, 30/11/1989, in Dir. prat. lav., 1990, 1063.
8
Cass., 17/6/1988, n. 4150, in Il foro it. 1989, I, 2908; Cass., 29/3/1995, n. 3745, in Giust. civ.
Mass., 1995, 728; Cass., 16/1/1996, n. 326, in Giust. civ. Mass., 1996, 66.
9
Cass., 22/6/1985, n. 3771, in Giust. Civ., 1986, I, 151; Cass., n. 383/1981, cit.
10
Riva Sanseverino, Diritto del lavoro , Cedam, Padova, 1982, 247 e ss.; Pera, Diritto del lavoro ,
Cedam, Padova, 1991, 296 e ss.
Vedi anche: Cass., n. 383/1981, cit.
11
Cass., n. 2680/1990, cit., secondo la quale il rapporto di agenzia non è incompatibile con la
soggezione dell’agente a direttive, istruzioni e controlli; tuttavia la subordinazione è un vincolo di natura
personale che assoggetta il lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.
Di conseguenza, non si può parlare di rapporto di lavoro subordinato di fronte a semplici direttive
Da una ricognizione della dottrina è facile notare che quella maggioritaria, in conformità a quanto già
affermato, qualifica la subordinazione come una situazione giuridica soggettiva di vincolo12, piuttosto che
come una condizione di inferiorità socio-economica del lavoratore, ovvero di alienità di quest’ultimo dai
mezzi di produzione13.
L'elemento in questione, pur avendo carattere di essenzialità ed indefettibilità14, talvolta concorre con altri
a determinare la linea di demarcazione fra le due ipotesi di prestazione lavorativa15. Ciò avviene quando
esso è notevolmente attenuato e sussiste una certa libertà nell’organizzazione del lavoro. Gli indicatori
sussidiari non sono generalmente dotati di valore autonomo decisivo, ma sono valutabili come meri
elementi indiziari all’interno di una valutazione globale e approfondita della fattispecie16.
2) L’oggetto della prestazione.
Un primo criterio sussidiario di determinazione delle fattispecie in questione, che richiama l’antica
distinzione dottrinale tra locatio operarum e locatio operis, è quello dell’oggetto della prestazione17. In
tale prospettiva, l’oggetto del lavoro subordinato è l’energia lavorativa che il prestatore pone, contro
corrispettivo, a disposizione del datore di lavoro sotto il controllo e la vigilanza di quest’ultimo, mentre
oggetto del lavoro autonomo è l’opera come risultato della propria attività organizzata.
La distinzione dottrinale tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato18 è stata sottoposta a dura
critica soprattutto a partire dagli anni ’70, sia in relazione alla sua utilizzabilità in rapporto alla distinzione
programmatiche o a controlli relativi al risultato della prestazione lavorativa, essendo necessario, per
contro, che la prestazione sia regolata nel suo svolgimento e che il potere direttivo del datore di lavoro
concerna intrinsecamente la prestazione lavorativa.
Il Romagnoli (La prestazione di lavoro nel contratto di società, Giuffrè, Milano, 1967, 194 e ss.)
pone in evidenza come un controllo assiduo del datore di lavoro non è precluso, né infrequente, dalla
disciplina dei rapporti di lavoro autonomo. L’attribuzione di posizione di potere al committente (artt.
1661, 1662, 1739, comma 1, 2224 c.c.), al preponente (1746 c.c.), al mandante (arg. ex art. 1711 c.c.), al
mittente (art. 1685 c.c.), costituisce il riconoscimento normativo della prevalenza dell’interesse del
creditore rispetto a quello del debitore. L’alienità del risultato del lavoro dedotto in rapporto, che
costituisce il denominatore comune di tutti i contratti di lavoro latu sensu, è anch’essa alla base del
concetto di subordinazione.
La subordinazione viene intesa come alienità dei mezzi di produzione con una precisazione: non è
sufficiente, per escludere il vincolo, la proprietà degli strumenti di lavoro quando il valore di questi abbia,
nel contesto della realtà economica della relazione tra le parti, scarso rilievo. In tal caso, infatti, svolge un
ruolo decisivo il criterio, diverso solo in apparenza, della accessorietà o della pertinenza della prestazione
di lavoro al processo produttivo o all’organizzazione dell’impresa di colui che ne fa proprio il risultato.
12
Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, cit., 622 e ss.; Ghera, Diritto del lavoro ,
cit., 47 e ss.; Pera, Diritto del lavoro , cit., 1991, 296 e ss.; Angiello, Autonomia e subordinazione nella
prestazione lavorativa, Cedam, Padova, 1974, 30 e ss.
13
Romagnoli, La prestazione di lavoro nel contratto di società, cit.., 189 e ss.; Mariucci, Il lavoro
decentrato: discipline legislative e contrattuali, cit., 82 e ss.; Mazziotti, Contenuto ed effetti del contratto
di lavoro, Jovene, Napoli, 1974, 70 e ss.; Santoni, La posizione soggettiva del lavoratore dipendente,
Jovene, Napoli, 1979, 49 e ss.; R. Scognamiglio, Diritto del lavoro, op. cit.
14
Cass., 18/12/1987, n. 9459, in Dir. prat. lav., 1988, 1317; Cass., n. 4150/1988, cit.; Cass., n.
3745/1995, cit., Cass., n. 326/1996, cit.
15
D’harmant François, Pessi, Il contratto di lavoro nella giurisprudenza , Cedam, Padova, 1975, 39 e
ss.
16
Cass., n. 4150/1988, cit.; Cass., n. 2680/1990, cit.
17
D’harmant François, Pessi, Il contratto di lavoro nella giurisprudenza, cit., 25 e ss.
18
Prosperetti, Il lavoro subordinato, Vallardi, Milano, 1971; Riva Sanseverino, in Commentario al
codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Zanichelli – Il Foro italiano, Bologna – Roma, 1977,
commento all'art. 2094, 219 e ss.
In generale: Mengoni, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in Riv. dir. comm., 1954, I,
185 e ss., il quale evidenzia che la distinzione tra obbligazioni di risultato e di mezzi deve essere
coordinata e precisata tenendo presente la relatività dei concetti di mezzo e di risultato. Un fatto valutato
come mezzo in ordine ad un fine successivo, rappresenta già un risultato quando sia considerato in se
stesso, come termine finale di una serie tipologica più limitata. Ad esempio, le cure del medico sono un
mezzo per la guarigione del malato, ma sono un risultato se lo scopo preso in considerazione è quello di
tra contratto di lavoro subordinato e contratto d’opera19, sia da un punto di vista più generale20; tuttavia,
essa è impiegata, talora, anche dalla giurisprudenza recente21.
essere curato. Quindi, per definizione, non esistono obbligazioni che non abbiano per oggetto la
produzione di un risultato. La distinzione in oggetto vuole separare i rapporti obbligatori in due categorie,
caratterizzate da una maggiore o minore corrispondenza del termine finale dell’obbligazione (risultato
dovuto) al termine iniziale, cioè all’interesse da cui l’obbligazione trae origine (interesse primario).
Nelle obbligazioni di mezzi, l’oggetto del diritto di credito non è il diretto soddisfacimento
dell’interesse primario del creditore, ma solo la produzione di risultati intermedi rispetto ai quali è
condizionata, più o meno intensamente, la realizzazione di tale interesse.
Il debitore, per adempiere alla sua obbligazione, è tenuto a un determinato comportamento idoneo
alla soddisfazione, non dedotta nel rapporto, dell’interesse preminente del creditore. In quest’ottica si
preferisce parlare, piuttosto che di obbligazioni di mezzi, di obbligazioni di comportamento.
Nei rapporti di lavoro subordinato l’attività cui è tenuto il lavoratore ha una qualità obiettiva,
oggettivamente qualificata dall’osservanza delle regole direttive dell’impresa, ed estrinseca il contenuto
del dover avere del datore di lavoro.
In relazione alle conseguenze della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, riguardo al
problema del coordinamento e dell’interpretazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., si osserva che la diligenza,
come qualità soggettiva di un’attività, ha la funzione di conservare la possibilità di adempimento, mentre
l’adempimento, come qualità oggettiva del risultato dell’attività, implica la coincidenza tra ciò che si è
ottenuto e ciò che si era in dovere di ottenere. L’oggetto di un’obbligazione di comportamento non si
riduce ad un mero dovere di agire diligentemente, vale a dire ad un dovere di sforzo per riuscire a far
bene. Il termine diligenza è utilizzato, oltre che nel senso generale di impegno, sforzo, attenzione,
scrupolo da parte del debitore, anche per individuare l’esecuzione esperta della prestazione o l’attività
conforme alle regole dell’arte professata dal debitore. Così intesa, la diligenza implica la determinazione
concreta del contenuto dell’obbligo: il dovere di diligenza viene a coincidere col dovere di adempimento,
la negligenza si identifica con l’inadempimento (trovando l’unico limite nel caso fortuito).
Con tali presupposti, si giunge alla conclusione che l’art. 1176, comma 2, c.c. (vedi anche: art. 2104,
comma 1, c.c.), il quale prevede che la diligenza in un’attività professionale deve essere valutata con
riguardo alla natura dell’attività esercitata, prevede un tipo di diligenza, come misura del contenuto delle
obbligazioni, rilevante solo per le obbligazioni di comportamento (tesi che sarebbe confermata dagli artt.
2174, comma 2, e 2236 c.c.), mentre l’art. 1176, comma 1, si riferisce alla nozione propria di diligenza, in
senso tecnico, consistente nel dovere di conservazione della possibilità di adempiere (concetto correlativo
alla colpa, come imputabilità dell’inadempimento) riferito sia alle obbligazioni di comportamento, sia a
quelle di risultato.
In ultimo, per completezza, riporto la riflessione dell’autore relativamente al caso in cui il debitore
non professa un’attività corrispondente a quella dedotta in obbligazione: in questo caso, il contenuto
primario dell’obbligazione coincide con ciò che è dovuto secondo quanto richiesto dalla diligenza in
senso proprio. Di conseguenza, le obbligazioni di comportamento, contrapposte alle obbligazioni di
risultato, si suddistinguono a loro volta in due specie, secondo che l’attività di prestazione sia valutabile a
una stregua oggettiva di abilità tecnica oppure soltanto a una stregua oggettiva di diligenza. Sarebbero
quest’ultime obbligazioni di diligenza.
Sul tema della diligenza richiesta al prestatore di lavoro: Mancini, La responsabilità contrattuale del
prestatore di lavoro , Giuffrè, Milano, 1957, 21 e ss.; Giugni, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro ,
Napoli, Jovene, 1963, 110 e ss., 124 e ss.
Degna di nota è la prospettiva da cui muoveva Barassi (Il contratto di lavoro nel diritto positivo
italiano, cit.), il quale da una parte riconduceva tutte le forme di lavoro consistenti nello scambio
prestazione lavorativa contro mercede nella categoria del contratto di lavoro a schema locativo, dall’altra,
piuttosto che la distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, richiamava il concetto di
subordinazione, inteso in senso moderno, come criterio discretivo delle obbligazioni di lavoro.
19
Suppiej, La struttura del rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 1957, I, 77 e ss., dove si legge che vi
sono obbligazioni le quali impongono all’obbligato soltanto di tenere una certa condotta, considerata in sé
necessaria e sufficiente alla soddisfazione dell’interesse del creditore, mentre altre che impongono al
debitore di conseguire, mediante una certa condotta, un risultato ulteriore. Se è vero che non esistono
obbligazioni che non abbiano per oggetto la produzione di un risultato, l’autore fa notare che è anche vero
che nelle obbligazioni di mezzi questo risultato a favore del creditore, giuridicamente e direttamente
protetto, è dato dalla condotta del debitore. L’obbligazione di lavoro è un tipico esempio di obbligazione
di contegno. Da queste premesse si deduce l'inapplicabilità delle norme relative all’adempimento del
terzo, all’esecuzione forzata e, in generale, delle norme dettate relativamente alle obbligazioni di risultato.
Tuttavia, la distinzione del tipo di obbligazioni non è ritenuta idonea a differenziare il contratto di
lavoro dal contratto d’opera. Anche l’obbligazione inerente al contratto d’opera può avere la natura di
obbligazione di comportamento in quanto, nonostante l’autonomia del debitore, l'eccessiva incertezza del
risultato ulteriore rispetto alla condotta obbligatoria può far escludere il conseguimento dello stesso
dall’oggetto dell’impegno: ciò si rileva, per esempio, nel caso dell’obbligazione del medico, che non è un
lavoratore subordinato.
Analogamente a quanto esposto, ancora: Suppiej, Il rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 1982, 44 e
ss.
20
Persiani, Contratto di lavoro e organizzazione, cit., 95 e ss., il quale sostiene l’impossibilità di
distinguere tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi. Affermata l’inscindibile connessione tra
comportamento obbligatorio e risultato dovuto, deve anche ritenersi che l’adempimento dell’obbligazione
produca sempre la soddisfazione dell’interesse del creditore. Viene così contestata in radice la possibilità
di distinguere giuridicamente l’interesse finale e l’interesse mediato del creditore. In tale prospettiva, gli
interessi avvertiti da un soggetto ben possono trovarsi tra loro in una relazione di mezzo a risultato, ma
questa constatazione è valida solo sul piano meta giuridico. Con la costituzione del rapporto obbligatorio
soltanto un interesse del creditore assume rilevanza giuridica e protezione formale, gli altri interessi sono
irrilevanti. Si tratta di un punto che non contrasta con quanto sostenuto dal Mengoni, (vedi sopra nota 18),
dove quest’ultimo afferma la relatività dei concetti di mezzo e di risultato, o dal Suppiej (vedi sopra nota
19).
Il Persiani dubita, in ogni modo, dell’utilità della distinzione criticata non essendo possibile
individuare una diversa disciplina legislativa applicabile alle obbligazioni di risultato e a quelle di mezzi
(come sostiene, invece, il Suppiej). Infatti, il fatto che alle obbligazioni di mezzi non siano applicabili le
norme sull’adempimento del terzo o sull’esecuzione forzata, non deriverebbe dalla natura
dell’obbligazione, ma dalla caratteristica personalità dell’attività promessa dal debitore.
Altro dubbio proposto è quello relativo alla condivisibilità delle conseguenze, dedotte dalla
classificazione in oggetto, sull’interpretazione degli artt. 1176 e 1218 c.c.
È contestata la tesi del Mancini (La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro , cit.)
secondo il quale la diligenza del lavoratore deve essere qualificata come oggettiva (conclusione cui
perviene, per vie diverse, anche Mengoni, nota 18 - approfondendo l’analisi, si può osservare che per il
Mancini l’art. 1176 c.c. ha un ambito di applicazione limitato alle obbligazioni di comportamento,
diligente è un comportamento produttivo di un'utilità, vale a dire un contegno caratterizzato
dall'osservanza di talune regole (d'ordine tecnico ove l'obbligazione attenga all'esercizio di una
professione) che, fra le possibili attività, lo individuano come la specifica attività voluta dal creditore -
diligenza in senso oggettivo -, mentre il Mengoni osserva che la norma, discendente dall’art. 1137 cod.
Nap., sancisce la regola della diligenza con riguardo anche ad un’obbligazione di risultato - diligenza in
senso soggettivo). La critica si rivolge direttamente alle premesse. Queste ultime sono fondate sul
presupposto che, in conseguenza della divisione del lavoro, non sempre il risultato atteso dal creditore è
individuabile in una modificazione della realtà sociale, cosicché l'attività del lavoratore è tipica di
un'obbligazione di mezzi. Si oppone la numerosità dei casi in cui l’attività dovuta dal debitore è destinata
a produrre un simile risultato (es. retribuzione a cottimo). L’eventuale dovere di rendimento richiesto al
lavoratore, piuttosto che espressione di un obbligo di diligenza valutata con particolare rigore, è spiegato
con l’introduzione di un criterio quantitativo di misura della prestazione dovuta.
Anche quanto sopra illustrato (nota 18) relativamente alla posizione del Mengoni è disatteso. Si
osserva che la distinzione tra le due nozioni di diligenza cade se non si ritiene di seguire la distinzione tra
obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi. Inoltre, la configurazione della diligenza come criterio di
determinazione della prestazione dovuta (Mengoni, Mancini), conduce ad un’identificazione di tale
criterio con quelli della buona fede e della correttezza, i quali hanno, nel nostro ordinamento, rilievo
autonomo (artt. 1175 e 1375 c.c.), funzione integrativa e di determinazione dell’oggetto della prestazione.
La diligenza, invece, qualifica l’intero comportamento del debitore, ma non determina l’oggetto e tanto
meno costituisce il risultato dell’obbligazione. (In senso sostanzialmente conforme: Giugni, Mansioni e
qualifica nel rapporto di lavoro , cit., pag. 110 e ss.).
Infine, il criterio di diligenza accolto dall'autore è quello di un mezzo di valutazione della conformità
del comportamento del debitore a quello dovuto, e, in caso di inadempimento, un criterio di
responsabilità.
3) L’assenza del rischio d’impresa.
Altro elemento discriminante è la valutazione dell’incidenza del rischio d’impresa. Esso, in genere, ricade
sul datore di lavoro nell’ipotesi di prestazione subordinata, mentre incide sul prestatore d’opera nel caso
di lavoro autonomo 22.
Se il rischio economico è normalmente incompatibile con la natura giuridica del contratto di lavoro
subordinato, il rischio in senso lato può ricorrere anche in tale ipotesi. Ad esempio, la retribuzione a
cottimo, o con percentuale sugli utili, non implica, di per sé, l’esclusione del rapporto di lavoro
subordinato23.
4) La collaborazione e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa.
Tale criterio ha perso, nel tempo, quei significati corporativi che parte della dottrina gli attribuiva fino a
configurare il rapporto di lavoro alla stregua di un contratto associativo24.
Anche così intesa, la diligenza, può essere un contenitore di diversi criteri di valutazione: nelle
ipotesi riconducibili all’art. 1176, comma 1, c.c., la valutazione del comportamento del debitore avviene
secondo ciò che avrebbe fatto il bonus pater familias; in quelle di cui al comma 2 della norma (o anche
artt. 2104, comma 1, 2176 e 2236 c.c.), alla stregua di criteri dedotti dalla natura dell’attività oggetto
dell’obbligazione.
21
Cass. 1/2/1993, n. 1182, in Dir. prat. lav., 1993, 885.
22
Cass., SS.UU., 17/7/1981, n. 4655, in Giust. Civ., 1981, II, 2885; Cass., 18/4/1983, n. 2657, in
Giust. Civ., 1984, I, 521.
23
Artt. 2099, 2100, 2101, 2102 c.c.
Guidotti, Il rapporto di lavoro , in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da L. Riva Sanseverino
e G. Mazzoni, Vol. II, Cedam, Padova, 1971, 328 e ss., 338 e ss.; Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu,
Diritto del lavoro, Il rapporto di lavoro subordinato, cit., 283 e ss.; Ghezzi, Romagnoli, Il rapporto di
lavoro , Zanichelli, Bologna, 1995, 244 e ss.
24
Nell’approfondire l’esame della posizione del lavoratore, ai fini dell’individuazione della natura
del contratto di lavoro, venne messo in risalto, piuttosto che l’attività del soggetto, l’interesse del datore
di lavoro al risultato finale dell’utilizzazione della forza lavoro. In particolare, le c.d. dottrine
istituzionalistiche privilegiavano al vincolo di soggezione, proprio delle c.d. dottrine contrattuali pure,
l’interesse dell’impresa come criterio di qualificazione della subordinazione del lavoratore.
Vedi: Miglioranzi, Natura e forme del rapporto di lavoro , in Il diritto del lavoro , 1939, I, 78 e ss.;
Id., Il rapporto di lavoro subordinato come inserzione nell’ordinamento gerarchico dell’azienda, in Il
diritto del lavoro , 1940, I, 125
Nell’ottica descritta si pone il legislatore del codice civile del 1942 (e, prima, del 1924: R.D.L.
13/11/1924, n. 1825 – legge sul contratto di impiego privato). Nell’art. 2094 c.c., la subordinazione è
strettamente collegata alla collaborazione nell’impresa. Tale riferimento evidenziava l’avvicinamento del
legislatore alle tesi istituzionalistiche le quali, muovendo dall’identificazione dell’impresa come comunità
organizzata sotto l’autorità gerarchica dell’imprenditore, ravvisavano nell’interesse produttivo della
stessa, e dell’economia nazionale (art. 2104 c.c.), il criterio d'individuazione e valutazione del risultato
promesso dal lavoratore.
In questa prospettiva, il contratto di lavoro era inteso come contratto di collaborazione tra due
soggetti che la legge assumeva come uguali sul piano formale, ma non sostanziale (come dimostrato dalle
norme di tutela del lavoratore) per il raggiungimento dello scopo comune della produzione.
Vedi: Napoletano, Il lavoro subordinato, Giuffrè, Milano, 1955, 41 e ss.; Rabaglietti, La
subordinazione nel rapporto di lavoro , Giuffrè, Milano, 1956, 120 e ss.
Tuttavia, si deve convenire, con la maggioranza della dottrina (sul punto è conforme lo stesso
Miglioranzi), che il richiamo alla collaborazione, nell’ordinamento corporativo prima, e nel codice civile
poi, non poteva mutare la natura giuridica del contratto di lavoro. Osserva il Ghera (Diritto del lavoro ,
cit., 46) che la nozione corporativa di collaborazione tra le diverse categorie professionali trovava il suo
svolgimento a livello di interessi collettivi, sul terreno della istituzionalizzazione dei rapporti tra gruppi
professionali, mentre l’art. 2094 c.c. si riferisce alla collaborazione resa in concreto dal prestatore come
risultato dell’incontro degli interessi individuali dei singoli contraenti. Quindi, l’art. 2094 c.c., inserito nel
sistema costituzionale, ci assicura che l’elemento della collaborazione è tuttora attuale e definisce la
situazione soggettiva del lavoratore nella sua qualità di collaboratore dell’imprenditore.
Ulteriori riflessioni sul punto, volte ad intendere l’elemento collaborativo non come caratterizzante
un rapporto associativo, ma semplicemente come attenuazione dell’unilateralità della determinazione
La giurisprudenza intende quest'elemento come inserimento stabile e sistematico del lavoratore
nell’organizzazione tecnica e amministrativa dell’impresa25; in tal modo esso esprime anche il carattere
continuativo della prestazione lavorativa.
Secondo quanto rilevato dalla dottrina, l’inserimento nell’organizzazione imprenditoriale, che è
configurabile anche in mancanza di vincoli visibili e dichiarati, nonostante l’intermittenza e la saltuarietà
delle prestazioni26, può essere indice di presenza di eterodirezione e, quindi, di subordinazione27.
5) La continuità.
Si tratta di un elemento non menzionato nell’art. 2094 del codice civile. Tuttavia, un richiamo ad esso è
rinvenibile, come accennato, nel concetto di collaborazione.
Il termine deve essere inteso in senso giuridico e non materiale. Esso esprime la persistenza ideale nel
tempo dell’obbligo di mettere a disposizione del datore di lavoro la propria attività lavorativa28. Di
conseguenza, la discontinuità e la saltuarietà delle singole prestazioni non contrastano con il concetto di
continuità giuridica29.
Rilevo che questo criterio ha un valore secondario nell’individuazione della fattispecie in quanto è
compatibile sia con il lavoro subordinato, sia con quello autonomo 30.
6) L’orario di lavoro.
È pacifico che la mancanza di un predeterminato vincolo d’orario, fisso e preciso, non è, di per sé,
sufficiente ad escludere la sussistenza della subordinazione quando l’attività del lavoratore non comporti
una tale esigenza; la flessibilità dell’orario non è carattere necessario della continuità del rapporto di
lavoro.
Anche la previsione di un rigido orario per la prestazione lavorativa non è decisiva, ma costituisce un
indizio sicuro della subordinazione solo quand’è espressione dell’autonomia decisionale
nell’organizzazione aziendale, non quando inerisca alla prestazione richiesta31.
7) La retribuzione.
Il principio secondo cui la retribuzione a tempo è propria del lavoro subordinato conosce parecchie
eccezioni; infatti, sia il corrispettivo di tale tipo di attività, sia quello del rapporto autonomo, può essere
determinato con il sistema del cottimo o della partecipazione agli utili, oltre che in misura forfettaria,
mentre la retribuzione a tempo non è incompatibile con la figura dell’autonomia32.
Se il giudice accerta la natura subordinata di un rapporto di lavoro formalmente qualificato come
autonomo, al lavoratore spetta un trattamento retributivo determinato in base al criterio dell’assorbimento,
ossia dell’individuazione del trattamento globale più favorevole tra quello goduto, comprensivo di ogni
compenso pattuito, e quello spettante sulla base dei minimi tabellari, comprensivo di ogni emolumento
accessorio; quindi, ad esempio, potrebbero essere escluse le mensilità aggiuntive se assorbite nel
trattamento più favorevole, ma non potrà essere assorbita l’indennità di anzianità, essendo questa oggetto
di disciplina inderogabile33.
delle direttive, nei confronti del lavoratore, da parte del datore di lavoro, e partecipazione del primo alle
decisioni del secondo, si possono trovare in: Riva Sanseverino, Il lavoro nell’impresa , Utet, Torino, 1973,
64 e ss.; D’Eufemia, Le situazioni soggettive del lavoratore dipendente, Giuffrè, Milano, 1958, 78 e ss.
25
Cass., 3/2/1986, n. 648, in Giust. civ. Mass., 1986, 198; Cass., 21/6/1986, n. 4152, in Giust. civ.
Mass., 1986, 1184; Cass., 28/8/1986, n. 5301, in Giust. civ. Mass., 1986, 1530.
26
Cass., 1/9/1986, n. 5363, in Giust. civ. Mass., 1986, 1546; Cass., 29/1/1993, n. 1094, in Giust. civ.
Mass., 1993, 158.
27
Ichino, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro , cit., 195.
28
Ghera, Diritto del lavoro, cit., 52 e ss.
29
Cass., n. 4152/1986, cit.
Vedi: D'harmant François, Pessi, Il contratto di lavoro nella giurisprudenza, cit., 91 e ss.
30
Cass., n. 4152/1986, cit.; Cass., 27/1/1989, n. 524, in Giust. civ. Mass., 1989, 196.
31
Cass., 14/10/1985, n. 5022, in Giust. civ. Mass., 1985, 1529; Cass., 12/6/1986, n. 3913, in Giust.
civ. Mass., 1986, 1114; Cass., 26/11/1986, n. 6985, in Giust. civ. Mass., 1986, 1974.
Vedi anche: Ghera, Diritto del lavoro, cit. 59 e ss.
32
Per bibliografia: vedi nota 23.
33
Cass., 7/3/1986, n. 1532, in Giust. civ. Mass., 1986, 438.
8) L’esclusività.
La clausola di esclusività non è caratteristica essenziale del rapporto di lavoro dipendente. Infatti, in
assenza di un tale patto uno stesso prestatore può essere soggetto partecipe di contratti verso datori
diversi34.
In caso di contemporanea sussistenza di rapporti di lavoro subordinato e autonomo fra gli stessi soggetti,
la giurisprudenza ne ha ammesso la coesistenza se la distinzione tra le relative attività è netta e non
fittizia, vale a dire se le due prestazioni non sono identiche nell'oggetto, o strumentali l'una all'altra, e con
tempo di esecuzione del tutto coincidente35.
9) La volontà contrattuale.
Nella pratica, la qualificazione del contratto di lavoro avviene principalmente in base alla valutazione
della situazione di fatto determinata dal comportamento delle parti, essendo esso un rapporto di durata.
Tuttavia, “recentemente” è stata rivalutata la volontà negoziale delle parti36.
L’elemento letterale, pur non essendo vincolante ed esaustivo ai fini della ricostruzione della comune
volontà pattizia, costituisce un indice fondamentale e prioritario che non può essere disatteso senza
adeguata motivazione, soprattutto quando manca chiarezza, univocità e precisione37. Nella qualificazione,
la ricerca della volontà delle parti, soprattutto nei casi di mancanza di contratto scritto, deve avvenire in
base ad una valutazione del comportamento complessivo dei contraenti (art. 1362, comma 2, del c.c.) sia
al momento dell’instaurazione del rapporto, sia nell’intero svolgimento di esso38.
34
Cass., 11/3/1981, n. 1382, in Giust. civ. Mass., 1981, 538.
35
Cass., 21/1/1984, n. 526, in Giust. civ. Mass., 1984, 173.
36
Cass., 19/1/1979, n. 425, in Giust. civ. Mass., 1979, 196; Cass., 29/11/1985, n. 5977, in Giust.
Civ., 1986, I, 357; Cass., SS. UU., 11/2/1987, n. 1463, in Mass. giur. lav., 1987, 98 e ss.; Cass., 4/4/1987,
n. 3282, in Giust. civ. Mass., 1987, 95; Cass., n. 524/1989, cit.; Cass., 15/12/1990, n. 11925, in Giust. civ.
Mass., 1990, 2034; Cass., 25/1/1993, n. 812, in Giust. civ. Mass., 1993, 117.
Vedi anche: D’harmant François, Pessi, Il contratto di lavoro nella giurisprudenza, cit., 3 e ss.;
Ghera, Diritto del lavoro, cit., 56 e ss.
37
Cass., 27/11/1984, n. 6168, in Giust. civ. Mass., 1984, 2017; Cass., 3/6/1985, n. 3310, in Giust.
civ. Mass., 1985, 1023; Cass., 1/2/1988, n. 874, in Giust. civ. Mass., 1988, 238.
38
Per quanto riguarda l’onere della prova, è stato osservato che, in conformità al principio generale,
la natura subordinata del rapporto di lavoro non è presunta, ma deve essere dimostrata dal soggetto che la
deduce (Ichino, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro , cit., 187).
CAPITOLO 2
IL FAVOR VERSO IL LAVORATORE DIPENDENTE
Prima di esaminare le relazioni che intercorrono tra la definizione dei redditi di lavoro dipendente in
sede tributaria e i relativi rapporti in sede civile, è opportuno valutare in che modo la caratteristica
principale del diritto del lavoro, vale a dire la tutela del lavoratore, rileva nella materia fiscale. A tal
proposito, per comprendere in modo complessivo e sistematico il problema, seguirò la tecnica espositiva
che caratterizza questa prima parte del lavoro analizzando dapprima, succintamente, le problematiche più
importanti che il favor pone nel campo civilistico, per poi passare al diritto tributario.
1. DEFINIZIONE DEL PRINCIPIO E SUA RILEVANZA NEL DIRITTO DEL
LAVORO: ACCENNI39.
Il c.d. favor prestatoris può essere definito, in prima evidenza, come un principio riferibile a tutte le
disposizioni di legge, derogabili solo in favore del lavoratore, che disciplinano il trattamento economico e
normativo del rapporto di lavoro, le quali garantiscono al soggetto una tutela minima. Esso trova
giustificazione nella posizione di debolezza contrattuale del lavoratore nei confronti del datore di lavoro,
dovuta ad una più generale situazione d’inferiorità socio-economica del primo rispetto al secondo. È
considerato anche come principio generale di diritto integrante le fattispecie ove sia rimasta dubbia la
volontà del legislatore40.
1) Fondamento sostanziale e costituzionale del principio del favor.
Da quanto sopra esposto, emerge che costituiscono fondamenti del principio in oggetto:
a) la tendenza dell’ordinamento a porre rimedio al particolare stato in cui si trova il lavoratore nei
confronti del datore di lavoro;
b) la preoccupazione di dare una risposta al problema della libertà del prestatore di lavoro,
nell’adempimento della sua obbligazione, riguardo ai poteri organizzativi e direttivi
dell’imprenditore;
c) l’esigenza di prevedere un trattamento minimo di garanzia inderogabile a favore del soggetto più
debole;
d) impedire che l’autonomia delle parti, private e collettive, si svolga in contrasto con i punti
precedenti41.
Queste problematiche trovano, in primis, risposta negli artt. 3, comma 2, 35, 36, 39, 40, 41 e 46 della
Costituzione42, i quali fungono da direttive precise per l’attività del legislatore.
L’art. 35 informa tutta la regolamentazione costituzionale.
L’art. 3, al secondo comma, considera il criterio del favore sotto un profilo dinamico volto al
perseguimento dei fini dello Stato. In quest’ottica, la caratteristica posizione di diseguaglianza del
39
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, Giuffrè, Milano, 1967; Prosperetti,
Lavoro (fenomeno giuridico), in Enciclopedia del diritto, Vol. XXIII, Giuffrè, Milano, 1973, 331 e ss.;
Mazziotti, Lavoro (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Vol. XXIII, Giuffrè, Milano, 1973,
338 e ss., spec. 351 e ss.; Santoni, La posizione soggettiva del lavoratore dipendente, cit., 35 e ss.;
Cessari, Il “favor” verso il prestatore di lavoro subordinato, Giuffrè, Milano, 1983; Ghera, Diritto del
lavoro, cit., 89 e ss.
40
È esclusa, quindi, la precettività immediata; si tratta, invece, di un elemento ispiratore e di
progresso della disciplina lavorativa, di un criterio ermeneutico utilizzabile nei casi dubbi in quanto
appartenente ai principi generali dell’ordinamento giuridico (art. 12 preleggi).
41
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 95 e ss.; Cessari, Il “favor” verso
il prestatore di lavoro subordinato, cit., 7 e ss.
42
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 61 e ss.; Fabris, L’indisponibilità
dei diritti dei lavoratori, Giuffrè, Milano, 1978, 145 e ss.
lavoratore, sia economica, sia inerente ai più stretti profili della sua personalità (incolumità fisica, libertà,
dignità morale, ecc.), deve essere rimossa per poter realizzare il bene comune43.
L’attuazione dell’art. 3 avviene in diversi modi:
a) con l’imposizione di limiti: è ciò che accade nell’art. 41 quando si afferma che l’attività economica
privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da compromettere la sicurezza,
la libertà e la dignità umana44;
b) attraverso l’eliminazione di aspetti d’ineguaglianza: tale operazione avviene sia in modo diretto (art.
36, è questa una norma imperativa e di garanzia minima per il lavoratore, artt. 37, 51, commi 1 e 3,
52, comma 2), sia indirettamente (artt. 39 e 40)45;
c) ovvero con disposizioni concernenti direttamente la struttura del rapporto di lavoro: mi riferisco alla
c.d. cogestione di cui all’art. 46 della Carta fondamentale46.
È evidente che la ratio comune delle norme costituzionali citate è quella di ottenere una tutela unilaterale
a favore del lavoratore in modo da eliminare gli ostacoli che, di fatto, ne impediscono il pieno sviluppo
della personalità47; si tratta, certamente, di una ratio inerente ad un interesse pubblico.
Col conforto di quanto esposto, si può quindi affermare che il favor è un istituto dinamico che pervade di
sé il fondamento, l’interpretazione e l’evoluzione del diritto del lavoro, ma anche dell’intero
ordinamento48 e, di conseguenza, del diritto tributario.
2) Relazione tra favor e trattamento minimo più favorevole al lavoratore.
Il principio del trattamento minimo più favorevole si sostanzia nell’applicazione del precetto
maggiormente vantaggioso per il soggetto protetto, tra quelli concorrenti e regolanti in medesimo
rapporto di lavoro49. Esso è inteso sia come corollario o frutto del più generale criterio del favor, il quale
ha, in quest’ottica, carattere unitario50, sia come principio autonomo, considerando invece il favor
prestatoris come fonte di varie accezioni51.
43
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 67.
44
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 73 e ss.;
45
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 76 e ss.; Mazziotti, Lavoro (diritto
costituzionale), cit., 351 e ss.
46
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 80 e ss.; Mazziotti, Lavoro (diritto
costituzionale), cit., 351 e ss., il quale osserva che, per la miope ostilità dei datori di lavoro e per quella
dei sindacati, nonché per l’indubbia difficoltà di attuarlo, l’art. 48 Cost. è rimasto sostanzialmente
disatteso.
47
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 84.
48
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 85.
49
Per il rapporto tra contratti collettivi, vedi: Giugni, Diritto sindacale, Cacucci, Bari, 1996, 185 e
ss.
50
Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, cit., 1 e ss., 99 nota 8, 100 e ss.,
secondo il quale quest’unitarietà influenza tutti gli aspetti del diritto del lavoro, dalle fonti, all’autonomia
collettiva, dal contratto individuale, all’assistenza sociale, dallo svolgimento del rapporto, alle origini
della legislazione sociale, ecc.
51
Cessari, Il “favor” verso il prestatore di lavoro subordinato, cit., 12 e ss., 29 e ss., in questa
concezione il favor può essere inteso sia come principio ispiratore della disciplina positiva [in un’ulteriore
sottodistinzione si può individuare il favore rivolto a determinati istituti, ad esempio, il testamento (artt.
626, 634, 647, comma 3, c.c.), il contratto (in relazione soprattutto alla sua conservazione - artt. 1339,
2077, comma 2, 1419, 1424, 1444, 1450 c.c.), e il favore rivolto a determinati soggetti, ad esempio, il
contraente più debole (art. 1341 c.c.), il consumatore (artt. 1469-bis e ss. c.c.), il debitore (art. 1184 c.c.)],
sia come principio d’interpretazione della manifestazione di volontà delle parti (art. 1367 c.c.).
La tutela di uno dei soggetti del rapporto giuridico può avvenire in modo da consentire una
protezione paritaria delle parti (artt. 1341, 1342, 1469-bis c.c.), ovvero differenziando ulteriormente la
protezione, in guisa di garantire al soggetto tutelato gli interessi che vengono in essere nel momento in cui
è soddisfatta la garanzia minima; ciò avviene nel diritto del lavoro.
Il trattamento più favorevole mira, quindi, ad un qualcosa di più rispetto alla mera protezione del
lavoratore, potendo quest'ultimo essere raggiunto con la creazione di norme cogenti, inderogabili e
proibitive come gli artt. 1339, 1419, comma 2, 2077, comma 1, c.c. La derogabilità in melius tende,
invece, a garantire la massima tra più tutele precostituite.