4
INTRODUZIONE
“Keynes affermava che l’economia non è benessere comune ma
opportunità per il raggiungimento del benessere comune, grazie al
perseguimento di valori etici.”
2
L’integrazione di criteri sociali e ambientali nella gestione aziendale si
spiega con la necessità di prestare attenzione, in ogni attività economica, alle
conseguenze non economiche delle azioni economiche.
Il concetto di finanza etica è abbastanza recente. La prima analisi teorica
sulla finanza etica si deve, infatti, all’economista indiano Amartya Sen e ai
suoi studi negli anni ‘70, ma le prime esperienze concrete di finanza etica,
intendendo per finanza etica l’attività finanziaria condizionata da criteri etici,
cioè indirizzata alla promozione dello sviluppo non solo economico ma anche
umano e sociale, risalgono a molti anni prima. I principi ispiratori della
finanza etica sono gli stessi che guidavano nel XIX secolo l’attività delle
Casse Rurali e Artigiane, diventate oggi Banche di Credito Cooperativo.
L’attività finanziaria può e deve essere guidata da criteri etici perché è
un’attività umana, e quindi per essere efficiente ed efficace non può
prescindere dalla sfera valoriale costitutiva della natura umana dei suoi
operatori, senza che ciò abbia conseguenze disastrose sull’intero sistema
economico, come dimostra la crisi finanziaria mondiale degli ultimi anni. Non
solo, ma l’attività finanziaria deve ispirarsi a criteri etici perché ciò è
redditizio in termini di performance finanziaria ed extrafinanziaria.
Questo studio, suddiviso in quattro parti, si propone di fornire un quadro
complessivo del fenomeno della finanza etica, con particolare riguardo alle
esperienze italiane.
La prima parte muove dai fondamenti teorici che hanno portato a parlare
di responsabilità sociale d’impresa (RSI), tra cui quelli elaborati da Freeman e
5
da alcuni economisti italiani, e giunge a descrivere le prime esperienze
concrete di finanza etica, passando attraverso una rassegna dei principi e degli
strumenti di creazione e diffusione di valore da parte delle imprese bancarie.
La seconda parte offre una panoramica del mercato della finanza etica,
seguendo l’attività di tutti i soggetti che vi operano, tra cui: investitori
eticamente orientati, banche etiche, banche tradizionali, Mag, fondi etici,
agenzie di rating etico.
La terza parte poi cerca di spiegare la dinamica del processo di
distruzione di valore nelle imprese bancarie, alla luce dei numerosi dissesti
finanziari recenti, analizzando in particolare alcuni noti casi italiani e
stranieri.
Infine con l’ultima parte si intende offrire una verifica empirica del
fenomeno esaminato, attraverso la rilevazione del comportamento etico
adottato da un campione di banche italiane. La ricerca ha preso in
considerazione i bilanci sociali del 2008, pubblicati dalle banche online. La
scelta dell’anno di riferimento è significativa perché permette di osservare
quali strategie aziendali hanno orientato l’attività delle banche italiane durante
la crisi finanziaria.
In seguito le performance delle banche sono state valutate in base a una
serie di criteri oggettivi, applicando i quali è risultato che le banche italiane
assumono diffusamente politiche di RSI e molte, per contrastare la crisi,
hanno attivato diverse iniziative volte a garantire la sicurezza dei dipendenti e
la tutela dei risparmiatori.
2
G. SCANAGATTA, Premesse ed evoluzione del bilancio etico - sociale, Rivista Bancaria, 2004, n.2/3, p.23
6
1.
LE ORIGINI DELLA FINANZA ETICA
1.1 La teoria degli stakeholder
Il concetto di finanza etica trae origine dalla consapevolezza, oggi
ampiamente diffusa, che l’attività di impresa e, quindi, anche l’attività
bancaria deve esser volta alla soddisfazione degli interessi di tutti gli
stakeholder.
3
Per stakeholder si intendono tutti i soggetti portatori di interessi
nei confronti di un’attività economica e pertanto non solo i proprietari-
azionisti o shareholders o stockholders, ma anche i finanziatori, i dipendenti, i
clienti, i fornitori. A questi soggetti che possiamo definire stakeholder forti,
nel senso che sono coinvolti direttamente nell’impresa, occorre aggiungere i
cosiddetti stakeholder deboli (o senza voce) ovvero i soggetti che entrano in
contatto a vario titolo con l’impresa stessa, ad esempio i residenti delle aree
limitrofe all’azienda, i gruppi di interesse locali, per alcuni anche le imprese
concorrenti, in generale la comunità esterna e l’ambiente circostante. Quindi
gli stakeholder sono tutti i soggetti il cui supporto è per l’impresa vitale.
Robert Edward Freeman formulò la teoria degli stakeholder nel suo libro
“Strategic Management: A Stakeholder Approach”, affermando che
presupposto indispensabile per la continuazione di un’impresa è garantire a
tutti gli stakeholder una prestazione minima in termini di costo, servizio e
qualità, nell’ambito della strategia aziendale. Obiettivo del management
diventa non solo la creazione di valore economico per gli shareholder ovvero
l’aumento di valore del patrimonio sociale, ma anche la creazione di valore
etico ovvero la realizzazione degli interessi di tutti gli stakeholder attraverso
3
M. INTONTI, Valore economico e comportamento etico nelle imprese bancarie, Cacucci Editore, Bari,
2004, p.42 e ss.
7
il perseguimento dello sviluppo economico e del benessere collettivo, che poi
è condizione per la creazione del primo.
4
Questa teoria ha importanti conseguenze sul piano applicativo, poiché
allo stesso tempo incorpora e supera lo “Shareholder value approach”, nel
senso che la strategia aziendale deve essere necessariamente elaborata
seguendo un approccio multi-stakeholder, che riesca a mediare le esigenze
numerose e a volte discordanti degli stakeholder, non solo per ragioni etiche e
sociali ma perché ciò è conveniente per l’impresa stessa e perché genera
fiducia nel sistema economico, dal momento che l’impresa non può vivere nel
lungo periodo in un ambiente circostante avverso. Pertanto si verifica un
cambiamento nei driver che devono orientare il management nella gestione
aziendale, perché a quelli tradizionali, identificati con i volumi operativi, i
ricavi e i costi, si aggiungono nuove leve diverse da quelle economico-
contabili, come l’immagine dell’azienda sul mercato, la fidelizzazione della
clientela, l’innovazione dei prodotti, la rapidità degli adattamenti
organizzativi, la soddisfazione dei dipendenti in termini di retribuzione, in
termini di condivisione degli obiettivi e dei risultati di gestione e in termini di
prospettive di crescita professionale, l’efficienza nella comunicazione al
mercato e l’attenzione ai riflessi sociali e ambientali della gestione.
La teoria degli stakeholder implica l’esigenza che lo svolgimento
dell’attività di impresa persegua un comportamento etico, esigenza che
nell’impresa bancaria si manifesta in modo particolarmente urgente e la cui
soddisfazione risulta molto più difficile, per il fatto che l’attività bancaria si
caratterizza tipicamente per un numero incredibilmente vasto di interessi
coinvolti, che comprende quelli di tutti gli operatori del sistema finanziario ed
economico, ma anche e soprattutto per il fatto che essa ha un contenuto
intrinsecamente morale e sociale perché il suo fine ultimo è supportare lo
sviluppo economico e sociale della collettività.
4
R. E. FREEMAN, Strategic Management: a stakeholder approach, Boston, Pitman, 1984
8
1.2 La responsabilità sociale d’impresa
L’impresa che riesce a soddisfare in maniera congiunta ed equa gli
interessi di tutti gli stakeholder, e che quindi opera secondo criteri di gestione
eticamente orientati, si definisce impresa socialmente responsabile o impresa
eticamente orientata. La Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) o Corporate
Social Responsability (CSR) è la "integrazione volontaria delle
preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende e organizzazioni nelle loro
attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.
5
L’impresa
socialmente responsabile è l’impresa che nello svolgimento della sua attività è
attenta alle conseguenze non economiche delle proprie azioni economiche,
consapevole di essere un sistema aperto all’ambiente, di far parte di un
sistema economico integrato e di coinvolgere nella sua attività gli interessi di
tutta la comunità esterna.
Il tema della RSI si colloca all’interno dell’ampio dibattito degli ultimi
decenni del XX secolo sul ruolo del settore non profit e dell’etica economica.
Alla base della teoria liberale dell’impresa, vi è la massimizzazione del
profitto come obiettivo guida dell’impresa alla quale è attribuito un ruolo
centrale di equilibrio nel rapporto fra Stato e mercato. Oggi si sente
l’esigenza, alla luce del “fallimento del mercato”, della crisi del welfare state
e dello sviluppo del terzo settore, di approfondire in quale misura l’attenzione
all’interesse generale della società influisce sulla strategia aziendale,
nell’ambito di un rinnovato rapporto tra società, Stato e mercato.
6
Gli studi aziendalistici sviluppati nel secondo dopoguerra in Italia,
rispetto a quelli sviluppati a livello internazionale, prestano particolare
attenzione alla dimensione sociale ed etica, anticipando sviluppi culturali
successivi. La teoria liberale dell’impresa sviluppata in Italia da Zappa
5
D.Lgs. 81/2008 art. 2, comma 1, par. ff (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in
materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro)
9
subisce una svolta importante con Saraceno, che anticipa il tema della RSI
nella teoria degli oneri impropri, oneri che le imprese sopportano in
conseguenza di scelte politico-economiche dello stakeholder pubblico e dei
cui costi, dunque, dovrebbero essere rimborsate dallo Stato con modalità
adeguate. Tale teoria pone il problema della misurazione dell’impatto sociale
dell’attività d’impresa.
Secondo Velo, il nuovo rapporto fra società, Stato e mercato è
improntato al principio della sussidiarietà, che assurge a principio
costituzionale cardine in tutti i sistemi avanzati, assegnando all’individuo e ai
valori di cui è portatore un ruolo di centralità e di responsabilità. La logica
della sussidiarietà, che “consente un’organizzazione statuale all’interno della
quale cittadini e gruppi convivono rispettando reciprocamente non solo
diversi obiettivi ma anche diversi paradigmi etici, sulla base di un ampio
consenso su alcune regole costituzionali comuni”
7
, si traduce in termini
aziendalistici nella concezione dell’impresa come istituzione socio-
economica. L’impresa costituisce “una federazione fra interessi diversi”, la
sussidiarietà si traduce in “una forma organizzativa d’impresa”
8
e “la
redazione del bilancio sociale rappresenta l’atto con cui l’impresa riconosce la
legittimità” degli interessi dei propri stakeholder, “impegnandosi a
soddisfarli”.
9
L’integrazione delle problematiche sociali e ambientali nella strategia
aziendale consente all’impresa di trasformare quelle problematiche stesse in
opportunità. Cioè siamo sempre nell’ambito economico-aziendale: la RSI è
strategica per il mondo delle imprese e la società.
6
D. VELO, La responsabilità sociale dell’impresa nel mercato globale, Sinergie, 2003, n.60, p.35 e ss.
7
D. VELO, La responsabilità sociale dell’impresa nel mercato globale, op. cit., p.46
8
D. VELO, La responsabilità sociale dell’impresa nel mercato globale, op. cit., p.47
5
D. VELO, La responsabilità sociale dell’impresa nel mercato globale, op. cit., p.46
10
La Comunicazione emanata dalla Commissione Europea nel 2006
denominata “Il partenariato per la crescita e l’occupazione: fare dell’Europa
un polo di eccellenza in materia di responsabilità sociale delle imprese”, che
sostiene l’avvio di un’alleanza europea per la RSI, stabilisce che quest’ultima
è importante:
1) per le imprese di ogni dimensione, per accrescere la propria
performance nel breve e nel lungo periodo;
2) per i dipendenti, per la creazione di ambienti di lavoro più stimolanti e
gratificanti;
3) per i clienti, le associazioni e le organizzazioni non governative,
sempre più interessati agli aspetti sociali e ambientali dell’attività
d’impresa;
4) per le collettività locali, su cui gravano gli impatti negativi delle
attività aziendali;
5) per i finanziatori, sempre più interessati a sostenere pratiche
socialmente responsabili;
6) per i paesi extracomunitari, che si attendono dalle nostre imprese
comportamenti ispirati ad alti valori morali e sociali;
7) per le generazioni future.
10
La RSI non costituisce un vincolo per la gestione aziendale, ma un
fattore di competitività sia per l’impresa in senso strategico sia per il sistema
economico. “Dunque, nei confronti del mercato finale l’impegno in ambito
CSR contribuisce a rafforzare il brand value”
11
, come dimostrano i risultati
dei marchi biologici e del fair trade.
10
F. PERRINI, Corporate social responsability: l’Europa e lo sviluppo di imprese competitive e sostenibili,
e&m, 2006, n.3, p.14
11
F. PERRINI, Corporate social responsability: l’Europa e lo sviluppo di imprese competitive e sostenibili,
op. cit., p.15
11
La competitività legata alla RSI passa per il soddisfacimento di alcune
esigenze di natura economica e sociale: trasparenza, qualità, cooperazione,
salvaguardia ambientale.
La trasparenza o disclosure nell’attività di comunicazione al mercato
richiede che l’informazione aziendale, specie quella finanziaria, sia completa,
veritiera e continua, allo scopo di instaurare un solido rapporto di fiducia con
tutti gli stakeholder e rimediare al cronico problema di asimmetria
informativa tipico dei mercati finanziari. La qualità assume oggi sempre più
rilevanza nell’ambito della filosofia del Total Quality Management,
investendo tutte le fasi della produzione. La cooperazione assume due aspetti:
uno interno, che attiene al modello decisionale interno all’impresa e ai
rapporti con e tra i dipendenti, orientati alla partecipazione e alla condivisione
di responsabilità, quindi alla realizzazione di una democrazia interna; l’altro
esterno, che riguarda le forme di collaborazione e alleanza nei rapporti con le
altre imprese dello stesso settore e dell’intero sistema economico. La
salvaguardia ambientale, infine, si collega alla crescente preoccupazione della
società per i livelli di inquinamento.
12
Tuttavia non tutte le imprese hanno intrapreso la strada della RSI in
maniera volontaria, ma molte ne hanno preso atto solo in seguito alle reazioni
dell’opinione pubblica agli innumerevoli e noti scandali finanziari, industriali
e bancari, frutto di comportamenti aziendali non etici e opportunistici.
Occorre, invece, passare da un approccio negativo alla RSI ad un approccio
positivo, cioè dalla gestione sistematica degli effetti negativi dell’attività
economica e dalle politiche di pura beneficenza, alle politiche di
accrescimento del vantaggio competitivo, della performance aziendale, del
proprio business, e all’apporto di importanti benefici alla società civile. Si
potrebbe così parlare di “impresa socialmente integrata”, più che di “impresa
12
E. CAVALIERI, Etica e responsabilità sociale nelle imprese: alcune considerazioni, Rivista italiana di
ragioneria e di economia aziendale, 2008, Settembre/Ottobre, p.554 e ss.
12
socialmente responsabile”, come suggerisce Porter, attraverso l’integrazione
del “sociale” nel processo di creazione del valore per gli azionisti.
“L’integrazione sociale si realizza se e nella misura in cui
l’organizzazione include nelle sue logiche strategiche comportamenti che
mirano a creare ogni possibile sinergia tra i soggetti che concorrono a
sviluppare la funzione produttiva ampiamente intesa. (…) La crescita del
profitto si attuerebbe, per tali vie, in una prospettiva di lungo periodo ed in
una dimensione non esclusiva ma compatibile con il sistematico
miglioramento delle condizioni di tutti i soggetti e della società.”
13
Una politica di RSI ha i seguenti obiettivi: diffondere tra le imprese e le
istituzioni la cultura della responsabilità sociale, elaborare un modello
standard per riconoscere l’adozione di comportamenti di RSI da parte delle
imprese, realizzare strumenti di misurazione per analizzare e confrontare le
prestazioni fra imprese in ambito RSI, e monitorare le imprese per garantire al
cittadino il rispetto degli impegni da esse assunti.
14
Due sono i principali
strumenti con cui un’impresa attua la politica di RSI: il Codice Etico e il
Bilancio Sociale.
Il Codice Etico, ancora poco diffuso in Italia, esprime il contratto sociale
ideale dell’impresa, riguarda i comportamenti individuali e traduce i criteri
etici adottati in principi e norme operative. Con il Codice Etico l’impresa
chiarisce le proprie responsabilità verso gli stakeholder interni ed esterni. La
sua struttura si sviluppa su quattro livelli: principi etici generali che
esprimono la missione imprenditoriale, norme etiche di relazione con gli
stakeholder, standard etici di comportamento (principio di legittimità morale,
equità ed eguaglianza, tutela della persona, diligenza, trasparenza, onestà,
13
E. CAVALIERI, Etica e responsabilità sociale nelle imprese: alcune considerazioni, op. cit., p.562
14
M. L. FARNESE, C. PIERSANTI, F. AVALLONE, La responsabilità sociale. I risultati di un’indagine
sulle rappresentazioni della responsabilità sociale nelle imprese, Sviluppo&Organizzazione, 2009,
Marzo/Aprile, p.22 e ss.
13
riservatezza, imparzialità, tutela ambientale, protezione della salute), sanzioni
per la violazione delle norme.
15
Dai risultati di un’indagine condotta allo scopo di rilevare i
comportamenti dichiarati dalle imprese attraverso il Codice Etico, su 79
imprese di cui 27 imprese nazionali di medie dimensioni, 24 imprese
nazionali di grandi dimensioni e 28 imprese internazionali di grandi
dimensioni, emerge che, pur partendo da documenti formalmente simili, le
medie imprese intendono la responsabilità sociale in termini più concreti, in
riferimento alla comunità circostante e ai dipendenti, mentre le grandi imprese
italiane e internazionali fanno maggiore riferimento all’interno
dell’organizzazione e alla sua immagine. Inoltre l’indagine sembra suggerire
alle imprese di grandi dimensioni e internazionali di attribuire più importanza
agli stakeholder esterni, espressione della collettività che legittima l’esistenza
stessa dell’impresa, e alle imprese di medie dimensioni di prestare maggiore
attenzione agli aspetti formali della RSI a supporto dello sviluppo
dell’impresa e del suo vantaggio competitivo.
E’ evidente, in ogni caso, che le imprese si preoccupano di curare la
propria reputazione sociale come garanzia della stessa capacità di
sopravvivenza sul mercato e che, quindi, la strategia d’impresa non può più
prescindere dalla RSI.
16
15
www.bilanciosociale.it
16
M. L. FARNESE, C. PIERSANTI, F. AVALLONE, La responsabilità sociale. I risultati di un’indagine
sulle rappresentazioni della responsabilità sociale nelle imprese, op. cit., p.22 e ss.