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INTRODUZIONE
Il tema del corpo è molto affascinante, anche se, attualmente, per alcuni versi abusato.
E’ un argomento che riguarda ognuno, da cui non ci si può sentire esclusi, poichØ va a
toccare un’intima istanza insita in ogni persona.
Il tema del corpo è, al contempo, anche molto delicato e travagliato. Seppur oggi gli si
dedichi molta attenzione, esso rimane ancora escluso o in ombra in determinati ambiti,
come ad esempio quello scolastico, dove si inizia a parlare del corpo del bambino, ma
raramente entra in discussione quello del docente.
Già a partire dalla sua formazione, il corpo dell’insegnante sembra eclissarsi ai confini
di ogni pratica educativa, la quale predilige concentrarsi quasi totalmente sulla mente e
sulla trasmissione del sapere. Come sostiene Walter Fornasa, sono davvero pochi i testi
di psicologia e pedagogia che riflettono sulla tematica del corpo nella formazione
dell’insegnante. La parola corpo riferita al docente sopravvive solo nella definizione di
“corpo docente”, in cui, però, il dato corporeo resta decisamente escluso.
Nel presente elaborato si andrà, prima di tutto, ad indagare la concezione del corpo
all’interno del dualismo corpo-mente, il quale ha caratterizzato il pensiero culturale e
filosofico per molti secoli. Da qui si giungerà, successivamente, a trattare la concezione
fenomenologica del corpo nel pensiero di Husserl e Merleau-Ponty, per poi affrontare i
risvolti di tali riflessioni nelle pratiche dell’educazione e dell’insegnamento.
Nel secondo capitolo, partendo dal pensiero di Michel Foucault in “Sorvegliare e
punire”, si andranno ad indagare i nessi esistenti fra il corpo docile nel sistema
disciplinare e il corpo del docente, utilizzando, poi, tale confronto al fine di operare una
riflessione riguardo alla negazione del corpo dell’insegnante denunciata da alcuni
pedagogisti, quali Ivano Gamelli e Carlo Romano.
Nel terzo capitolo si tratteranno i plausibili scenari che la messa in gioco del corpo (in
primis quello del docente) potrebbe creare all’interno del contesto scolastico. Si
affronterà la concezione estetica del senso dell’insegnare, il ruolo del corpo nei processi
di comunicazione, le tecniche teatrali, il corpo nella narrazione e nell’autobiografia, i
nessi esistenti con gli aspetti relazionali ed emotivo-affettivi ed, infine, il corpo in
6
riferimento ad alcune pratiche scolastiche, quali l’uso dello spazio, l’organizzazione del
tempo e le verifiche.
Nell’ultima parte verranno presentate delle interviste fatte a Marco Dallari, Grazia
Cenerini, Stefano Vitale, Giovanna Alborghetti, Pierluigi Castelli, Mariagrazia
Bianchini e Ivano Gamelli, sul tema del corpo del docente, concludendo con un breve
confronto riguardo alle tematiche e alle opinioni emerse.
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CAPITOLO 1: CORPO E MENTE, UN
DUALISMO CULTURALE IN EDUCAZIONE
“Ho coscienza del mondo attraverso il
mio corpo”
1.1 IL DUALISMO CORPO E MENTE
Esiste nella nostra cultura una lunga tradizione filosofica ed intellettuale che si basa
sulla scissione tra forma e materia, tra mente (o anima) e corpo. Tale concezione si
fonda su uno storico dualismo, in cui si è soliti dare al corpo un ruolo di subalternità
rispetto alla mente. Esso, infatti, viene considerato alla stregua di uno strumento, un
supporto, una macchina ben costruita e pronta a servire ed assecondare le esigenze e i
bisogni della mente e dell’anima. Come fa notare Lucia Balduzzi, l’impatto culturale di
questa concezione è rileggibile, ad esempio, nel fatto che nella nostra lingua “non sia
rintracciabile alcun termine che renda una visione olistica dell’individuo, in cui alla
dimensione corporea sia riconosciuto un ruolo fondamentale nel quadro del complesso
della prospettiva educativa”
1
.
Il primo a operare la storica scissione, secondo la tradizione filosofica, è stato Platone
nel Fedone. Egli, in questo testo, inserisce la mente e l’anima nel registro delle cose
superiori ed immortali, mentre il corpo risulta essere ciò che ci tiene ancorati a questo
mondo e la sua sola presenza è emblema di finitudine e corruttibilità. Platone è giunto
ad affermare che il corpo è la tomba dell’anima e che quest’ultima, decaduta dalla sua
posizione di perfezione ideale e di eternità, si ritrova costretta in questa sorta di
sarcofago corruttibile e mortale.
1
Lucia Balduzzi, Voci del corpo: prospettive pedagogiche e didattiche, La Nuova Italia, Milano 2002,
pag. XI
8
Aristotele, a differenza di Platone, non ha diviso corpo e anima in due entità differenti,
ma le considera elementi separati di un’unica sostanza. Il corpo è una materia che
racchiude in sØ una potenzialità che apre allo sviluppo dell’essere umano. L’anima,
invece, è la forma che rende realizzabile tale potenzialità materiale. Essa diviene,
quindi, ciò che muove il corpo, il quale ha la vita in potenza.
Il corpo, nel pensiero di Aristotele, è ancora uno strumento a disposizione dell’anima,
ma non è piø inerte, poichØ possiede in sØ il principio del movimento e della quiete.
Nel Medioevo, le maggiori correnti filosofiche, quali lo stoicismo, l’epicureismo e la
Scolastica, hanno fatto propria l’idea della contrapposizione mente e corpo elaborata
dalla filosofia antica. Per Tommaso D’Aquino, ad esempio, il corpo ha solo lo scopo di
portare a compimento le aspirazioni e le attività razionali dell’anima, proprio come la
materia brama di realizzare la forma.
La mentalità medievale, strettamente connessa con la filosofia cristiana, tende a vedere
il mondo in un ottica binaria, fondata da grandi opposizioni. Il conflitto fra bene e male
si riflette sulla concezione dell’uomo che risulta diviso in una parte spirituale,
rappresentata da un’anima eterna, perfetta e capace di compiere il bene e in una parte
materiale, il cui emblema è quello di un corpo transitorio, imperfetto e costantemente
influenzabile dal male. Ciò ha portato nel tempo ad un forte disprezzo del corpo,
considerato un “abominevole rivestimento dell’anima” e un ostacolo alla salvezza di
quest’ultima (soprattutto se il corpo è femminile). Ne è sorta un’incomprensione della
parte naturale dell’uomo e la condanna ad ogni assecondamento fisico del desiderio. Il
corpo, quindi, va controllato, represso e dominato dall’anima, la quale, per assicurarsi la
salvezza, deve staccarsi dalle vane apparenze e dai falsi beni rinunciando ai piaceri e
mortificando la carne, fonte di tutti i desideri peccaminosi. Infatti, la penitenza, che in
questo periodo ha spesso determinato la bontà dell’uomo fino alla santità, viene
generalmente attuata tramite pene corporali (ad esempio il digiuno, le punizioni
fisiche…).
Cartesio, invece, è stato il primo ad arrivare alla costituzione di un vero e proprio
dualismo. Egli sostiene, nella sua riflessione, che mente e corpo sono due sostanze
separate, ma che nell’uomo sono unite e interagiscono in modo assai complesso. Il
corpo, res extensa, è una sostanza estesa e non pensante, mentre la mente, res cogitans,
è una sostanza pensante, ma non estesa. Fra le due Cartesio non rileva alcun nesso
9
causale, in quanto, a suo parere, il corpo è come un orologio, un qualsiasi altro automa,
una macchina che si muove da sØ. Il problema, nel suo pensiero, resta quello di spiegare
come i due riescano ad interagire fra loro all’interno dell’essere umano.
Dalla teoria cartesiana hanno preso vita delle correnti suddividibili in dualistiche e
monistiche. Nelle prime rientra, ad esempio, l’interazionismo che tenta di spiegare i
rapporti fra le due sostanze tramite uno stretto scambio di azioni, riducendo sempre piø
lo scarto fra atti corporei e incorporei. Per far ciò, questa corrente individua come e
dove sia possibile un’interazione e una sorta di influenza di una sostanza sull’altra, pur
continuando a negare il nesso causale fra le due.
Le principali esponenti delle posizioni monistiche sono state la corrente
dell’occasionalismo, per la quale anima e corpo sono uniti grazie alla esistenza di Dio, e
la teoria di Spinoza. Quest’ultimo conclude, nelle sue riflessioni e nel rifiuto del
dualismo cartesiano, che mente e corpo sono ascrivibili ad un’unica sostanza e che il
mondo mentale e quello corporeo ne costituiscono differenti facce. Essi, quindi, non
sono diametralmente opposti, ma rappresentano un diverso sguardo rivolto una stessa
cosa. “I pensieri sono pensieri di certi oggetti e gli oggetti sono oggetti di certi pensieri.
Non c’è differenza sostanziale tra una percezione, l’oggetto percepito e il corpo del
percipiente, poichØ una percezione è considerata come uno-stato-del-mio-corpo-
causato-da-un-altro-corpo”
2
. In questo modo Spinoza risolve l’enigma delle relazioni
corpo/mente sorto nella concezione cartesiana, poichØ essi non sono piø disgiunti, ma
diventano aspetti differenti di uno stesso evento. La sua teoria, però, risulta in questo
modo incompatibile con la teoria della libertà umana e chiede la completa sottoscrizione
e accettazione del fatto che siamo al mondo come totalità della natura e che pertanto
dobbiamo seguire il suo ordine.
Nel corso dei secoli il dualismo mente/corpo ha continuato ad impegnare i maggiori
filosofi e pensatori di varie discipline, dalla medicina alla successiva psicologia.
Nel XVII secolo il rapporto fra corporeo e non corporeo è diventato un problema
centrale nella riflessione filosofica, anche per via del metodo sperimentale e di quello
quantitativo, che in quest’epoca raggiungono l’apice del loro successo, basandosi sulla
concezione che la parte materiale della natura sia costituita da un sistema chiuso e
analizzabile. In questi metodi la natura viene considerata come una gigantesca
2
AA. VV., Filosofia della medicina, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, pag. 255
10
macchina, sottoponibile ed ascrivibile a precisi calcoli e verificazioni matematiche. Ne
risulta che “la natura deve essere scritta in termini quantitativi e l’esperienza qualitativa
deve essere riferita alla mente o all’anima”
3
.
Gli empiristi hanno apportato al dualismo una concezione ancor piø radicale in quanto,
a loro parere, ogni teoria scientifica deriva dai fatti osservati e osservabili e pertanto, le
esperienze soggettive e qualitative devono essere bandite dall’oggetto dello studio
scientifico, pena l’inquinamento dello stesso e la non riuscita dell’analisi prefissata.
Uno dei maggiori esponenti di tale corrente è il filosofo britannico Gilbert Ryle, il quale
ha elaborato il dogma del fantasma nella macchina, con il quale denuncia la ridondanza
dei termini mentalistici che, proprio per questo motivo, possono essere eliminati
dall’analisi scientifica. Infatti, seppure accade che termini come intelligenza, timidezza
o aggressività siano considerati attributi dello spirito di una persona tanto quanto
azzurro e biondo sono attributi dei suoi occhi e capelli, non esiste, per i primi, alcun
oggetto estrinseco di tale attribuzione, come invece accade per i secondi. Caratteristiche
come intelligenza, timidezza e aggressività non sono, in tale pensiero, altro che
disposizioni consolidate a determinati tipi di comportamento. Da qui, la corrente
comportamentista giunge ad identificare gli stati mentali con le loro disposizioni, ad
esempio il dolore si identifica con la mera esibizione dello stesso. Gli stati mentali, per
tale motivo, non possono mai diventare causalmente attivi.
Vi sono, inoltre, le concezioni proprie del materialismo, il cui maggior esponente fu La
Mettrie, divenuto noto nella cultura atea francese grazie a “L’uomo macchina”. Secondo
l’autore, l’anima e la mente sono materiali ed è possibile descriverle solo dopo aver
conosciuto bene il nostro corpo attraverso i sensi. Egli riprende il dualismo cartesiano
eliminando in toto la res cogitans, cioè l’unica cosa che, nella concezione di Cartesio,
distingueva l’uomo dall’animale. Nella sua riflessione, La Mettrie rende l’uomo
assimilabile ad una macchina, giungendo a sostenere che l’anatomia comparata sia
l’unica disciplina che, studiando il corpo dell’uomo in relazione a quello degli altri
animali, sia in grado di dire cosa sia veramente l’uomo.
Nell’ottica di un differente materialismo, Nietzsche, invece, sostiene che l’uomo è nato
per vivere sulla terra e che la sua vita è interamente costituita da corpo e realtà sensibile.
In “Così parlò Zarathustra” egli afferma: “Io sono corpo tutto intero e nient’altro”.
3
AA. VV., Filosofia della medicina, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, pag. 255
11
L’anima, nel pensiero di Nietzsche, altro non è che l’insieme delle inclinazioni, dei
desideri e delle sensazioni che in ogni istante attraversano il corpo. Ciò è in linea con
l’accettazione totale della vita propria del Superuomo. La Terra non è piø l’esilio e il
deserto dell’uomo, ma la sua dimora gioiosa.
Tutte queste concezioni hanno sviluppato nella cultura occidentale la forte tendenza a
considerare le cose del corpo e della mente come separate, ininfluenti o contrastanti le
une sulle altre, in una logica di costante prevaricazione. Gli echi di tali concezioni
giungono sino a noi, impregnati nella cultura in cui siamo immersi e influenzando il
modo di concepire e rappresentare il nostro corpo e quello degli altri.
Separando infatti il corporeo dal non-corporeo e affidando a quest’ultimo l’intera
soggettività e l’essenza dell’individuo, il corpo rischia di perdere tali valori per
affondare nel puro oggettivismo, riducendosi a mero contenitore, ad una macchina.
Il corpo diviene così un attributo, un attrezzo al servizio delle mente per il manifestarsi
di essa e della soggettività di ciascuno. Per questo motivo, il corpo deve essere idoneo
alle prestazioni ad esso richieste e in perfetta linea con lo stile di vita scelto. Il corpo
deve funzionare bene e assomigliare sempre piø a quello del giovane, il migliore in
tema di prestazioni, perchØ, come un macchina nuova, ha fatto pochi chilometri e quindi
è ancora bello, tonico ed elastico.
Nascono da qui diverse scienze, a mio parere anche l’ultima chirurgia estetica, che,
utilissima in determinate situazioni, diventa in altre perversione e degenerazione del piø
antico dualismo e conflitto della nostra storia culturale.
Il corpo è oggi oggetto di cura e aggiustamento di diverse discipline, le quali lo studiano
e analizzano in ogni sua parte e funzione. Il problema, a mio parere, non risiede in tale
attenzione; non sta, ad esempio, nello studio della medicina per curare il corpo, ma si
ritrova nel modo in cui tale studio si attua. Ci si concentra sul pezzo da aggiustare e
migliorare senza considerare il tutto di cui fa parte. Si cambia il pezzo non funzionante
della macchina e si pensa che essa riprenderà immediatamente il suo corso, il suo
perfetto funzionamento. Il malato è il suo corpo malato, il cardiopatico diventa il suo
cuore mal funzionante, ma, una volta aggiustati i pezzi, essi tornano ad essere completi.
Questo principio va oltre il mero meccanicismo, diventa proprio una vera e propria
meccanica del corpo, in cui esso è imprigionato proprio a causa del dualismo culturale
in precedenza descritto.
12
Non ci si pone, in queste scienze, il problema del futuro, del periodo “dopo-
aggiustamento”, se non in virtø del principio meccanico, una sorta di tagliando volendo
mantenere la metafora della macchina. Il riflesso di ogni aggiustamento del corpo sulla
totalità della persona è stato a lungo scartato, come se fosse estraneo alla scienza.
Conseguenza di tutto questo è il fatto che il corpo-macchina è considerato utile finchØ
funziona correttamente e diventa d’intralcio nel momento in cui ha qualche problema. Il
corpo non funzionante diventa nemico, perchØ impedisce il realizzarsi del proprio
essere. E’ in questa dimensione che l’uomo diventa prigioniero del suo stesso corpo.
Inoltre, in tale concezione, il corpo è educabile solo per un breve arco di tempo, solo per
aiutare il guidatore inesperto a prendere confidenza con il mezzo. La ginnastica,
l’educazione alimentare, la biologia aiutano a capire come usare questo corpo e le
tecniche per ottenerne le migliori prestazioni. Dopo questo tempo di rodaggio, che
corrisponde ai primi venti, trent’anni al massimo, il corpo non è piø passibile di alcuna
educazione e diventa mero oggetto di cura.
Ciò accade perchØ il corpo, a seguito della scissione fra res cogitans e res extensa, è
stato progressivamente rimosso. Esso, infatti, in quanto disancorato da ogni realtà
tranne quella fisica, diventa non solo materia senza intelletto, ma anche oggetto non
vivente e non vissuto. E’ un involucro anonimo, una realtà scissa differente da quella
dell’io, tanto che si giunge a riferirsi ad esso in terza persona e non in prima, come
invece accade per i pensieri. Si ha, pertanto, un io-soggetto che possiede un corpo-
oggetto. “In tale prospettiva si colloca tutto il linguaggio attraverso cui noi designiamo
il corpo quando diciamo: “io ho la vista”, “io ho l’udito”, “io ho le gambe”. Quasi che
per ciascuna funzione, per ciascun organo, la scienza […] potesse indicarci il
“funzionamento” o le cause dei “suoi” (dell’organo, della funzione) malfunzionamenti,
estromettendo il soggetto da questa spiegazione oggettiva. Ma vedere non è solo
l’occhio, così come nell’udire non è chiamato in causa soltanto l’orecchio, bensì tutto il
nostro essere al mondo”
4
.
Va denotato il forte impatto culturale di questa concezione. Il dualismo è stato
storicamente supportato da un determinato tipo di cultura, in primis quella cristiana e si
è poi inevitabilmente ripercosso sul nostro stile di vita e sul nostro modo di pensare.
4
Vanna Iori “Dal corpo-cosa al corpo progetto”, in “Voci del corpo: prospettive pedagogiche e
didattiche, La Nuova Italia, Milano 2002, pag. 4
13
Ad evidenziare lo stretto legame fra cultura e la concezione dualistica corpo/mente è il
confronto con la cultura orientale, nella quale il corpo è un mezzo di conoscenza non
secondario alla parola. Nella visione orientale, infatti, non si può giungere ad una
comprensione reale dei vari insegnamenti e dottrine, senza che questi vengano
personalmente sperimentati attraverso i processi di mente e corpo. “Per l’Oriente,
quindi, l’approccio esclusivamente intellettuale alla conoscenza costituisce un limite
alla costruzione della conoscenza stessa”
5
. Da questa concezione prendono vita le varie
teorie orientali, le quali, proprio per questa loro connotazione di dottrine pratiche, si
configurano come modelli di vita e percorsi di saggezza (ad esempio lo yoga o la Via
del Taoismo).
Perciò, se questo dissidio, questa separazione sono fatti decisamente culturali, c’è da
chiedersi quali siano le ragioni culturali sottostanti. Duccio Demetrio afferma che
“l’idea di anima è stata escogitata non solo per addolcire, ma al fine di negare
l’insopportabile evidenza dell’essere costretti al mutamento in modo irreversibile,
assistendo a ciò che il corpo interno ed esterno deve subire e che, soltanto con
l’inserzione della mente, di qualcosa dotato di poteri “antidivenienti”, si è cercato di
addolcire”
6
.
Il vero e proprio dissidio nella nostra cultura, da quella cristiana a quella speculativa,
non è stato una dimenticanza del corpo, ma una distrazione (o evitamento) da una certa
parte di esso.
Il corpo è stato, finora, uno dei piø sfruttati oggetti di studio, ma da parte di un occhio
cieco alle domande che esso porta inevitabilmente con sØ. Il corpo è una ferita di
possibilità resa evidente nel mondo, ogni volta che vediamo un corpo percepiamo in
esso la potenzialità di una vita che si sta dispiegando in mutevoli forme. Ogni giorno
esso cambia ed ogni mutamento porta in sØ delle domande, che non solo risiedono al
suo interno, ma che costituiscono l’essenza stessa dell’essere umano.
Troppo facile risulta appellarsi ad un corpo biologico altare di un’anima immortale e
quasi immutabile. Nel corpo si incarna la domanda che piø spaventa, quella che nasce
dalla nostra stessa finitudine spaziale e temporale. La finitudine del nostro corpo ci dice
5
Laura Cavana, Il corpo come strumento di conoscenza: il punto di vista delle vie orientali, in Voci del
corpo: prospettive pedagogiche e didattiche, La Nuova Italia, Milano 2002, pag. 136
6
Duccio Demetrio, Il dissidio apparente corpi e anime purchè giovani: su una sidrome ostinata del
pensiero pedagogico, in Voci del corpo: prospettive pedagogiche e didattiche, La Nuova Italia, Milano
2002, pag. 224
14
costantemente che esiste qualcosa fuori da noi, che inevitabilmente è diverso. Il nostro
invecchiare e consumarci ci dice che questo altro continuerà anche quando non ci
saremo piø. Tutte queste domande sono inscritte nelle nostre membra e per leggerle e
accettarle bisogna avere coraggio.
“Si tratta cioè di imparare dal corpo: non tanto per ascoltarlo o auscultarlo meglio, per
osservarne al microscopio ogni ruga incipiente, per coglierne (preventivamente) ogni
cifra inquietante, per ostacolare declini anticipati, ecc. facendoci aiutare da medici e
sciamani; quanto piuttosto, per apprendere dalle esperienze che il corpo attraversa,
vivendo il suo corso di vita, le sue fasi e intimità segrete.
Il che significa – come gli antichi erano soliti fare – tessere una conversazione
ininterrotta con le sue debolezze, le intemperanze, le eccitazioni imbarazzanti; con i suoi
desideri irrefrenabili, indicibili e indecenti, con le sue miserie che raccontiamo
impudicamente al clinico di turno, all’amico o al coniuge paziente e comprensivo.
La voce dell’intelligenza può anche tacere, ma non quella del corpo, che fino alla fine
segnala e urla bisogni, chiede sollievo e lenimenti”
7
.
Dato ciò, si possono comprendere le motivazioni alla base del dualismo, ovvero lo
spasmodico desiderio, soprattutto nell’avvicinarsi alla morte, di vedere nell’anima un
passaporto per l’eternità. Demetrio, rievocando l’animismo, suggerisce di sfidarsi nel
presente, ovvero di continuare a rivisitarsi per non cessare di svelare quei segni e
geroglifici che ci portano ad interrogarci sulla nostra fine. Egli conclude rievocando la
svolta fenomenologica, dicendo “il dissidio tra anima e corpo è dunque apparente; il
corpo si pensa, e pensa, illudendosi di essere altra essenza o materia”
8
.
Bisogna, nei nostri giorni, porre ancor piø attenzione a questa problematica. Seppure
oggi il dualismo è stato messo in discussione come mai prima d’ora, esso tende, come
ultimo forzo estremo, di radicarsi e aggrapparsi alle ultime cornici che lo tengono in
vita. Sembrerà paradossale, ma vige oggi una concezione di natura fortemente
schizofrenica dell’immaginario contemporaneo del corpo. Esso, come sostiene Gamelli
nel suo libro “Sensibili al corpo”, cerca un equilibrio fra posizioni che lo pongono
7
Duccio Demetrio, Il dissidio apparente corpi e anime purchè giovani: su una sidrome ostinata del
pensiero pedagogico, in Voci del corpo: prospettive pedagogiche e didattiche, La Nuova Italia, Milano
2002, pag. 228
8
Ivi, pag. 236