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Introduzione
Questo elaborato è una breve introduzione alla problematica che ha come
oggetto il rapporto tra dono cerimoniale arcaico e la dinamica del
riconoscimento interindividuale. L’obbiettivo è di per sé assai ambizioso,
soprattutto per il fatto che il suddetto argomento prende corpo in tempi
abbastanza recenti (in maniera più definita solo nell’ultimo decennio) e che la
trasversalità del tema facilita la possibilità di risultare dispersivi e poco chiari. I
campi coinvolti nella presente proposta sono, infatti, per la natura stessa
dell’oggetto, differenti e compositi: comprendono un approccio antropologico
ed etnologico (Mauss e Lévi-Strauss), uno sociologico (Caillé), uno filosofico ed
antropologico (Marcel Hénaff) e, infine, un punto di vista marcatamente
filosofico (Ricoeur e Lévinas). Seguendo quest’ordine la presente ricerca si
dividerà in tre capitoli contraddistinti rispettivamente da una preminenza di
elementi socio-antropologici nella prima parte, antropologici e filosofici nella
seconda e prettamente filosofici nella terza ed ultima sezione.
Cosa dunque può accomunare domini di pensiero tanto affini quanto differenti?
Come accennato, il collegamento risiede principalmente nella natura complessa
della dinamica in questione: il dono cerimoniale arcaico. Fu il famoso
antropologo francese Marcel Mauss che negli anni venti del novecento portò
all’attenzione della riflessione antropologica il carattere particolarmente
fecondo di un cerimoniale effettuato in alcune isole del pacifico (Melanesia e
Nuova Guinea) e nel nord-ovest americano. In simili culture il dono compare
come un principio strutturante e un “fenomeno sociale totale”, ovvero
riguardante tutti gli aspetti materiali e simbolici della società in cui è effettuato.
La sua essenza relazionale si riassume nella triplice obbligazione di donare,
ricevere, rendere, in cui il gesto di contraccambio è implicato ed incluso nella
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stessa pratica oblativa, pena l’esclusione dall’ordine sociale. La circolarità dei
beni prodotta dalla catena di offerte e di controprestazioni introduce un tipo di
relazione reciproca che trascende il semplice arco delle interpretazioni
economicistiche. Come vedremo, collane, braccialetti od altri manufatti preziosi
avevano il loro valore non grazie al meccanismo di domanda/offerta propria
delle società mercantili, ma in virtù di un valore spirituale (lo “Hau”),
immanente all’oggetto donato e permanentemente legato all’anima del
donatore. Simili transazioni si svolgevano secondo rigide regole cerimoniali
finalizzate a garantire da una parte la visibilità pubblica dell’unione che con essi
si intendeva istaurare, dall’altra di “maneggiare” dei beni che, essendo magici
ed appartenenti ad un dominio soprannaturale, necessitavano di cautele e
rituali particolarmente collaudati.
Il dato che catturò l’attenzione di Mauss fu che simili donativi riassumevano al
contempo un comportamento disinteressato (rispetto al cedere ad altri un
proprio bene prezioso) e interessato (miravano ad una risposta del ricevente
che confermasse l’accettazione del gesto di offerta), libero (nei termini di una
spontanea apertura all’altro) e obbligatorio (regolato e controllato da un forma
cerimoniale pubblica). Un simile “melange” di elementi - secondo le categorie
moderne tra loro inconciliabili, pena il cadere in insormontabili aporie -
conduceva l’antropologo francese a scoprire un piano propriamente destinato
alla genesi del legame sociale, dimostrando (in maniera ancora poco chiara)
come attraverso il gesto di donare né si intende perseguire un vantaggio
economico, né compiere un gesto di tipo morale, ma bensì legare l’estraneo a
sé, trasformarlo da potenziale nemico ad amico, entrare dunque nello “spazio
dell’altrui inconosciuto”. Questa dimensione della socialità definisce i contorni
di un vero e proprio “paradigma del dono”, del quale ho cercato di ricostruirne
brevemente la teorizzazione sociologica ad opera di Alain Caillé (seconda parte
del primo capitolo) : in esso i beni non hanno valore in virtù del loro uso (valore
determinato dai bisogni che riescono a soddisfare) o del loro scambio (valore in
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base alla quantità di denaro o di altri beni che si riescono ad acquistare), ma per
la loro capacità, se donati, di creare e riprodurre relazioni sociali grazie alla loro
natura simbolica: un valore che potrebbe essere chiamato “valore di legame”,
in quanto con tale approccio la relazione interindividuale diventa più importante
del bene fatto oggetto di scambio. Tale considerazione si propone come una
valida alternativa al paradigma dell’ “homo œconomicus” che, dalla modernità
in poi, vede l’individuo esclusivamente teso alla realizzazione del proprio
interesse materiale attraverso lo scambio di beni valutabili secondo il criterio
della domanda/offerta. Il dono è da sempre esistito pur non essendo né una
forma di contratto (inteso come rapporto di interessi), né di baratto, perché
l’accettazione di un dono comporta l’acquisizione di una parte dell’essere del
donatore che eccede il suo valore quantificabile. Questo eccedere è
maggiormente evidente se si considera non il semplice valore di una cosa in sé
ma quello più propriamente umano della relazione veicolata tramite di essa. Il
gesto di donare introduce, quindi, in uno spazio collettivo totalizzante e
simbolico, dove cose e persone si mescolano in una circolarità indistinta in cui il
fine non è quello dell’acquisizione di un vantaggio materiale, ma piuttosto
quello di creare, grazie ad un cerimoniale pubblico, una relazione pacificata di
alleanza tra soggetti potenzialmente ostili. L’antropologo francese, dunque,
tentò di dimostrare che il passaggio di beni non è da sempre finalizzato a
logiche di reciproco interesse materiale ma che, al contrario, fin dagli albori
della civiltà umana esistono forme di scambio di valori non riconducibili in
termini di acquisto e vendita.
Nel primo capitolo di questa tesi vi è una breve panoramica del libro in cui si
condensano queste riflessioni, il celebre “Saggio sul dono”. A partire dalla sua
rilettura cercherò di marcare il problema centrale della tesi maussiana: quello di
non riuscire a dimostrare adeguatamente cosa, nel cerimoniale del dono
arcaico, renda obbligatorio lo scambio dei beni simbolici. Questo è un punto
lacunoso del “Saggio sul dono”: se si intende mostrare come un meccanismo
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alternativo a quello commerciale è sempre esistito, è necessario, allo stesso
tempo, evidenziare come tale dinamica determini un vincolo tra gli individui,
tanto forte quanto diverso da quello presente negli scambi di merci che obbliga
grazie a un principio di reciproca equivalenza. Nelle transazioni economiche è
l’interesse personale il fine che “costringe” allo scambio, è il principio di
reciprocità che detta, se si vuol ottenere il proprio utile, l’obbligo di sottostare a
regole che accontentino entrambi gli attori. Se però, nel campo del dono, non è
l’utile materiale il fine, quale meccanismo è sotteso? Quale è l’obbiettivo della
transazione? E cosa la rende contraente? A queste domande Mauss non
risponderà in maniera chiara, tanto che molti suoi commentatori concordano
nel definire il “Saggio sul dono” come l’opera che apre il campo della
discussione, ma che è lontano da darci risposte esaustive.
Il “fil rouge” di questo elaborato sarà quello di mettere in relazione, a partire
dalle domande aperte da Mauss, delle possibili risposte che, in un certo senso, si
pongono sulla medesima linea teorica e che si costituiscono l’una come il
passaggio necessario all’altra. Lévi-Strauss, Hénaff e Ricoeur (nella terza parte
del suo “Parcours de la reconnaissance”), seguono un comune obbiettivo:
colmare le lacune teoriche lasciate da Mauss e svelare “l’enigma del dono
cerimoniale”, come lo definisce lo stesso Hénaff.
Vedremo, nella terza parte del primo capitolo, come Lévi-Strauss, allievo di
Mauss, fu cronologicamente il primo grande critico (come spesso accade) del
proprio maestro. Da lui partirà una prima analisi del “Saggio sul dono” che avrà
il merito di definire ancor più chiaramente il problema in questione.
L’antropologo francese non accettò la proposta di spiegare l’obbligatorietà
insita nel dono cerimoniale a partire da una “forza” o “spirito” (“Hau”)
contenuta nel bene offerto: tale risposta apparteneva alle strutture
interpretative proprie degli stessi attori delle tribù in cui il fenomeno si svolgeva.
L’accettazione da parte di Mauss di questa spiegazione verrà da lui definita una
“mistificazione ad opera dell’indigeno”. In alternativa, coerentemente con
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l’approccio strutturalista da lui magistralmente proposto, lo scambio del dono
verrà concettualizzato come un procedimento obbligante in virtù della stessa
logica reciprocitaria in esso sottintesa. E’ la struttura inconscia degli individui
che determina, in ogni tipo di scambio, un principio di equivalenza di per sé
obbligante. Nessun “enigma” da risolvere per Lévi-Strauss: il dono cerimoniale è
obbligante in quanto è in esso soggiacente, inconsciamente, la stessa reciprocità
degli scambi commerciali. Il limite di tale critica sarà duplice: da una parte
quello di non distinguere nettamente le logiche di mercato dalla logica del dono
arcaico. Sia Mauss, sia Lévi-Strauss continueranno a parlare di “scambio di
beni”, quando il dono cerimoniale, secondo la tesi che qui si vuol sostenere in
linea con quella di Hénaff e Ricoeur, risulta acquisire la sua vera forza teorica e
pratica proprio nella sua non riconducibilità tanto al passaggio di valori
economicamente inteso quanto a gesti di natura morale disinteressati. In
secondo luogo, pur volendo prenderne le distanze, Lévi-Strauss rimase ancorato
al medesimo piano di Mauss: l’obbligo dello scambio cerimoniale viene
ricondotto, come sottolinea Ricoeur, sempre ad un “terzo”rispetto agli attori in
gioco: che sia lo spirito della cosa donata (Hau) o la reciprocità rispondente ad
un principio di equivalenza propria degli scambi commerciali, manca l’accento
sulla relazione intenzionale tra gli individui. L’obbligo di donare e di restituire,
questo il carattere saliente del pensiero di Hénaff (secondo capitolo), risponde
ad una logica che coniuga la reciprocità (sottintesa sia nel dono che nel
mercato) proposta da Lévi-Strauss, ad un principio intenzionale di relazione non
riconducibile a rapporti di scambio finalizzati ad un semplice possesso di beni
(sulla scia dello hau di Mauss). Vedremo come l’autore del “Il prezzo della
verità”, tenendo come riferimento il dominio da lui intitolato del “senza prezzo”
(il luogo dei prodotti della mente e dello spirito che esulano da una possibile
valutazione in termini quantitativi), inscriva il dono cerimoniale su di un piano
ben distinto sia da quello economico (Il dono cerimoniale arcaico non è una
forma di mercato ante litteram), sia da quello etico (non si tratta di azioni
disinteressate e finalizzate ad una qualsivoglia forma di “bene”morale). Il fine
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dello scambio di beni è da ricercare nell’intenzione che il donatore ha nei
confronti del ricevente di essere riconosciuto come soggetto con cui instaurare
un legame. L’obbligo di restituire verrà così risolto, sul piano individuale,
nell’esigenza di ogni essere umano di riconoscersi ed essere riconosciuto nella
propria individualità e, su di un piano sociale, nel non potersi esimere da una
logica di “gioco” in cui la reciprocità è condizione dell’esistenza stessa della
dinamica.
Ma è attraverso il concetto di libertà, la quale, come abbiamo accennato, si
fonde in un medesimo movimento con l’obbligo, che Hénaff affronterà il tema
della radicale autonomia dell’altrui verso il quale si intende instaurare un
legame di alleanza con il dono cerimoniale. Attraverso Lévinas, per approdare
nel terzo ed ultimo capitolo a Ricoeur, la lettura in chiave riconoscimentaria del
dono cerimoniale mostra di contenere una tesi fondamentale quanto intuitiva:
l’identità personale si costituisce nel rapporto con gli altri. Questo concetto è,
però, in continua tensione con la tesi opposta, secondo la quale l’identità
contiene un nucleo non riducibile alle attestazioni ed alle attribuzioni altrui di
senso e di valore. Il discorso sul riconoscimento si muove continuamente sul filo
di questa tensione. E’ Ricoeur che, su tale contraddizione, cercherà di costruire
una lettura del dono di Mauss che riesca a superare, mantenendola al suo
interno, l’aporia fondamentale suscitata dall’umana esigenza di unione
relazionale e la radicale separazione di senso che separa ogni individualità.
Cogliendo nel dono cerimoniale una dinamica di mutuo riconoscimento
ereditata dagli studi di Hénaff, Ricoeur segnerà definitivamente quella che, sul
piano filosofico, è la vera “rivoluzione” del fenomeno del dono: rendere merito
dell’individualità altrui su di un piano non conflittuale (ponendosi cioè
all’estremo opposto della “lotta per il riconoscimento” teorizzata da Hegel e
riattualizzata da Honneth). Il dono cerimoniale arcaico è per Ricoeur la
testimonianza storica di un processo in cui , per mezzo di un piano che non è né
morale né economico-commerciale, la relazione me-altri viene risolta e
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momentaneamente pacificata. Il passaggio, contemporaneamente libero ed
obbligatorio, di un bene che testimonia e si costituisce come un pegno
dell’intenzione di riconoscersi (e dunque di legarsi) al di là di ogni timore dettato
dalla possibile risposta dell’altro è la sua prova. L’obbligo di restituire verrà
infatti sciolto a partire dalla considerazione della gratitudine che determina nel
donatario un donare a propria volta, dopo aver assunto e interiorizzato il
sentimento di apertura all’altro contenuto nel bene offerto dal donatore. Lungi
dal risolvere l’aporia della radicale differenza che separa Me e Altri il dono può,
capovolgendo l’obbligatorietà della restituzione nella libertà di donare a propria
volta, costituirsi come l’unico piano in cui il legame non è un dono, ma bensì
dono del legame.
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Capitolo 1
Il dono cerimoniale arcaico
“Si tratta, in fondo, proprio di mescolanze. Le anime si confondono con le cose; le cose
si confondono con le anime. Le vite si mescolano tra loro ed ecco come le persone e le
cose, confuse insieme, escono ciascuna dalla propria sfera e si confondono: il che non è
altro che il contratto e lo scambio”
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Introduzione al Capitolo
Il primo passaggio di questa tesi proporrà una lettura di ciò che è il punto di
partenza ed il cuore stesso della riflessione che vorrei approfondire: il dono
cerimoniale arcaico.
Partirò in questo capitolo da una breve ricognizione dell’imprescindibile “Essai
sur le don” dell’antropologo e sociologo francese Marcel Mauss, dal quale si
dipana tutta una ricca riflessione interdisciplinare, non solo nel mondo
francofono, sul dono arcaico e sul concetto stesso di dono. Citerò nella mia
ricostruzione due autori fondamentali per l’elaborazione di questa tesi e per
chiunque voglia confrontarsi con i suddetti temi: Lévi-Strauss e Alain Caillé. Dal
primo, in questo capitolo, cercherò di cogliere e riassumere una precisa lettura
di Mauss unitamente alla sua critica del concetto di “hau”; il secondo, oltre che
per leggere appropriatamente Mauss, sarà indispensabile per la formulazione
di ciò che viene riconosciuto oggi come il cosiddetto “paradigma del dono”.
Premetto che tale capitolo non vuole essere che un breve scorcio sull’ “Essai sur
le don”, il quale, soprattutto negli ultimi due decenni e anche grazie agli
1
Marcel Mauss, “Saggio sul dono” , cit. p.39
9
instancabili sforzi di coloro che si riuniscono attorno alla “Revue du M.A.U.S.S.”
2
,
è stato oggetto di numerosi dibattiti e risulta, dunque, impossibile da
interpretare esaustivamente in poche pagine.
1) Marcel Mauss ed Il “Saggio sul dono”
L’ “Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans le sociétés archaïques”
3
,
scritto tra il 1923 ed il 1924 è lo chef d’œuvre di Marcel Mauss, uno dei testi più
densi e celebri del panorama letterario antropologico ed etnologico, ricco di
riflessioni e di domande lasciate insolute. Come sottolinea lo studioso Bruno
Karsenti
4
, il saggio sul dono ha, ad una prima lettura, la forma di un “bruillon”,
di un abbozzo, tanto che l’autore stesso, all’inizio del saggio, dichiara: “Questo
lavoro è un frammento di studi più vasti”. Eppure, nonostante questo aspetto,
ad una lettura più attenta possiamo notare come da questo breve saggio
emerga un’architettura sapientemente orchestrata, volta a mostrare, senza
ostentare, la portata rivoluzionaria in campo sociologico e non solo, del
fenomeno del dono cerimoniale arcaico. Afferma il filosofo francese Marcel
Hénaff: “Mauss non è il primo a descrivere le pratiche del dono, ma è lui che ha
saputo farne un problema; è lui ad aver mostrato che la generosa reciprocità
ritualmente codificata costituiva l’evento dominante delle relazioni tra gruppi
nelle società tradizionali e costituiva il cemento stesso del legame sociale.”
5
Il percorso di ricerca che porta Mauss alla stesura del celebre saggio parte già
dal 1920, con lo studio di alcune pratiche cerimoniali presso le popolazioni del
nord-ovest americano chiamate “potlatch”, dalle quali Mauss scopre una forma
2
Acronimo per “Movimento Anti Utilitarista nelle Scienze Sociali”, Rivista edita da “ La Découverte”,
Paris
3
Traduzione italiana: “Saggio sul dono. Forme e ragioni dello scambio presso le società arcaiche”
4
Cit. Bruno Karsenti, “Marcel Mauss, le fait social total” Ed. PUF 1994, Paris
5
Marcel Hénaff, “Il prezzo della verità. Il dono, il denaro, la filosofia.” Ed. Città Aperta, 2006 Troina
(Enna) Cit. p. 155
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di contratto “primitivo”di cui ritrova delle tracce in altre società, come quelle
melanesiane. Nel 1921 Mauss estende la sua ricerca alle società antiche, in un
testo intitolato “Une forme ancienne du contrat chez les Thraces”. Attraverso la
lettura di autori classici come Omero e Tucidide, l’autore formula l’ipotesi che il
potlatch
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sia la forma fondamentale ed originaria dello scambio. Nel 24’, dopo
uno studio sul diritto polinesiano, l’”Essai sur le don” viene alla luce. La
particolarità di questo lavoro è che dall’analisi di singoli elementi etnologici e
antropologici, Mauss compie una duplice estensione, sia storica che geografica.
Geografica perché analizzando il regime del dono nel microcosmo polinesiano
nel secondo capitolo mostra come tale carattere sia proprio a quasi tutte le
società del pacifico. Storica perché nel terzo capitolo viene ricostruito come in
molte società antiche il medesimo fenomeno si presenta con le medesime
dinamiche. Nell’ultimo capitolo infine si sostiene come nelle società cosiddette
“evolute”, il dono arcaico abbia lasciato un’eredità non solo sul piano morale e
politico, ma anche su quello sociale. Appoggiandosi a studi prettamente
etnografici e antropologici Mauss individua quindi un possibile paradigma,
quello del dono cerimoniale appunto, che può essere esteso e convalidato
anche nelle società moderne.
E’ ancora Hénaff che così riassume tanto sinteticamente quanto precisamente le
quattro conquiste principali dell’ “Essai” circa l’analisi del dono cerimoniale
arcaico: 1) Mauss definisce le procedure di scambio di doni come un “fatto
sociale totale”, intendendo con questo che un tale fatto ingloba in sé tutte le
dimensioni della vita collettiva (religiosa, politica, economica, etica, estetica, o
altro) e soprattutto che intorno ad esso si organizza tutto il resto. 2) Mauss
mostra che la procedura è costituita da tre momenti indissociabili e obbligatori:
dare, ricevere, dare a propria volta. Questo carattere di obbligazione è ciò che
sembra essere più enigmatico; Mauss lo documenta senza spiegarlo
adeguatamente. 3) Mauss vede bene che questo scambio non ha niente di
6
Vedremo più avanti cosa questo termine significhi.