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Introduzione
La questione della categorizzazione ha caratterizzato buona parte del corso della storia
del pensiero occidentale, dall’età classica fino a oggi. Allora e per secoli fu la filosofia a
scomporre le entità reali e concettuali nei nuclei di significato che le costituiscono. Oggi
il testimone è passato in mano a una pluralità di discipline, fra cui psicologia,
antropologia e linguistica. Vedremo in questa tesi come negli anni Settanta del secolo
passato, a partire da studi sperimentali sulla terminologia di colore, la psicologa Eleanor
Rosch abbia riscontrato la presenza di effetti prototipici nelle categorie, ossia
un’asimmetria delle categorie stesse tale per cui alcuni membri di esse vengono
giudicati dai parlanti “migliori esempi” rispetto ad altri. Questi giudizi di asimmetria
chiaramente scuotono le basi della nozione classica di categoria, basata sulla presenza di
condizioni necessarie e sufficienti che fanno sì che tutti i membri abbiano lo stesso
status. Questo lavoro è diviso in due parti. Il primo capitolo partirà proprio da una
panoramica sugli studi sui termini di colore. Partiremo da una pietra miliare della
letteratura antropologica, la monografia di Berlin e Kay (1969): i due studiosi, alla
ricerca di un pattern di universalità nella categorizzazione e quindi nell’etichettamento
del colore nelle lingue umane, svilupparono una metodologia sperimentale di
interrogazione dei soggetti basata sulla richiesta di individuazione del “migliore
esempio” di ciascuna categoria di colore. Vedremo come Eleanor Rosch, con i suoi
studi sul lessico di colore presso la popolazione neo-guineana dei Dani, e con ulteriori
lavori sulle categorie del mondo reale, abbia perfezionato questa metodologia di
indagine, al punto da porre al centro della sua ricerca proprio i giudizi di prototipicità
espressi dai parlanti. Osserveremo come ci siano state nel corso del decennio ‘70 varie
fasi nella sua elaborazione delle ricerche sul campo, una delle quali vide la studiosa
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ipotizzare che il riscontro di questi effetti prototipici potesse portare alla conclusione
che le categorie stesse sono strutturate in maniera asimmetrica. In realtà la stessa Rosch
precisò (1978: 40) che “i prototipi non costituiscono alcun particolare modello di
processamento per le categorie”. Vedremo che tenere presente questo punto sarà
importante nel corso di questo lavoro, poiché ci permetterà di analizzare le varie
applicazioni della nozione di prototipo alle categorie linguistiche in maniera critica.
Sempre nel corso della prima parte, poi, accenneremo ai lavori sul livello basico
effettuati da E.Rosch e collaboratori: esso, oltre a collocarsi, su un asse verticale, a metà
strada fra i termini sovraordinati e quelli specifici, è quello in cui si manifestano gli
effetti prototipici. L’ultima sezione del primo capitolo sarà dedicata a una carrellata
sugli sviluppi degli studi sul colore, poiché si tratta di un ambito importante della
ricerca linguistica degli ultimi trent’anni. Citeremo alcuni dei numerosi lavori di Paul
Kay e collaboratori (Berlin, Merrifield, MacLaury, Maffi), nonché la World Color
Survey, che ha permesso di perfezionare la metodologia di ricerca sui termini di colore
in moltissime lingue parlate da popoli non industrializzati. Riporteremo i risultati delle
ricerche sul berinmo
1
e sullo yélȋ dnye
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, due lingue che sono sembrate contraddire la
presenza di categorie universali di colore. Per questo capitolo la bibliografia di
riferimento sarà costituita, oltre che dall’opera di Berlin & Kay e dai successivi articoli
degli studiosi citati sul lessico di colore, dalla monografia di Lakoff (1987): lo studioso,
fra i fondatori delle attuali scienze cognitive, mette in piedi in quest’opera una visione
della cognizione umana completamente nuova. Tutte le facoltà superiori umane
avrebbero come punti di riferimento la dimensione reale, concreta: si parla al riguardo
1
ROBERSON, D., DAVIES, I., DAVIDOFF, J. (2000) Color categories are not universal: Replications and new
evidence from a stone age culture, in “Journal of Experimental Psychology: General 129, pp. 369-98.
2
LEVINSON, S.C.(2000), Yél ȋ Dnye and the theory of Basic Color Terms, in “Journal of Linguistic
Anthropology”, vol. 10, n. 1, pp. 3-55.
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di Mente Incorporata. Si riscontra una corrispondenza, una sorta di isomorfismo tra il
mondo reale e l’organizzazione del materiale concettuale più astratto. Anche il
linguaggio umano pare essere organizzato in base a questa corrispondenza, e i prototipi
ne sarebbero testimonianza. Questo punto è fondamentale per il secondo capitolo, che
sarà incentrato proprio sull’utilizzo della nozione di prototipo ai fini del reperimento di
definizioni valide universalmente di entità come Nome, Verbo, Aggettivo, Transitività,
Soggetto. Partendo dall’assunto lakoviano che il linguaggio attinga a meccanismi
cognitivi generali, confronteremo le posizioni al riguardo di cinque linguisti, afferenti a
sotto-scuole di matrice funzionalista: Croft (1991) e (2001), Hopper e Thompson (1980)
e (1984), Dixon (2006), Keenan (1976). La trattazione inizierà con un riepilogo dei
principali effetti prototipici riscontrabili nel linguaggio mutuato da un capitolo da The
Oxford Handbook of Cognitive Linguistics (2007) (eds. Cuyckens,H., Geeraerts,D. )
redatto da Barbara Lewandowska-Tomaszczyk. Osserveremo come gli effetti prototipici
si riscontrino proprio quando si intersecano piano della forma (morfosintattica, livello
del referente) e quello del contenuto (dimensione semantico-pragmatica). Le posizioni
dei linguisti analizzati si differenzieranno per il diverso peso assegnato ai singoli fattori
di forma e contenuto nel generare le asimmetrie categoriali. In tutti i casi, sebbene in
modi differenti, si parlerà di asimmetria, etichettandola come “marcatezza”. Nella
prima sezione tratteremo la visione di W.Croft per Nome, Verbo e Aggettivo riportando
una tabella per la sua teoria di marcatezza riguardo alle forme linguistiche prototipiche.
Poi passeremo alla teoria basata sul discorso di Hopper&Thompson, che riportano
un’ampia casistica di forme non prototipiche, “di confine”. Le lingue degli esempi
saranno: kosraeano (fam. austronesiana), sora (fam. austroasiatica), francese (f.
indoeuropea), indonesiano (f. austronesiana), bemba (nigero-congolese), bade
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(afroasiatica), manam ( austronesiana), ebraico moderno (afroasiatica), wikchamni
(yokut), yoruba (nigero-congolese), tamil (dravidica), inglese. Prima di passare alla
sezione su Dixon, riporteremo il principio di iconicità diagrammatica delle
grammatiche, e accenneremo alla presenza di strategie cognitive generali valide anche
per il linguaggio, che riportano ai principi psicologici generali sottesi alla
categorizzazione formulati da Rosch (1978). Questi ultimi li riserveremo alle
Conclusioni. La parte mutuata da Dixon (2006) fornirà delucidazioni sulla classe
aggettivale, permettendo di osservare come spesso questa sia difficile da definire e
circoscrivere, soprattutto nella famiglia delle lingue austronesiane.
Per quanto riguarda la sezione sulla Transitività, ritorneremo a Hopper&Thompson,
spezzando l’ordine cronologico inverso con cui si sono volute riportare le posizioni dei
vari linguisti. Noteremo di essere davanti a una categoria linguistica complessa perché
multifattoriale, e attraverso esempi vari, alcuni dei quali tratti da lingue ergative,
osserveremo le caratteristiche dei singoli componenti del “sistema” transitività. Le
lingue riportate saranno: spagnolo (indoeuropea), hindi (indoeuropea), chukchee
(ciukotko-kamciatko), ungherese (uralica), indonesiano (austronesiana), trukese
(austronesiana), chichewa (nigero-congolese), estone (uralica), samoano
(austronesiana), kalkatungu (pama-nyungana), swahili (nigero-congolese), tagalog
(austronesiana).
Passeremo poi alla trattazione di E. Keenan sul Soggetto (1976), vedendo come il
linguista formuli una gerarchia implicazionale che possa fornire generalizzazioni sul
rapporto fra dimensione di forma e aspetti semantico-pragmatici. Vedremo anche la sua
“lista di proprietà del soggetto basico”. Riporteremo esempi dalle seguenti lingue:
tongano (austronesiana), masai (nihilo-sahariana).
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Nella conclusione, cercheremo di trarre alcune generalizzazioni dal confronto fra queste
visioni teoriche, e riporteremo alcuni principi importanti formulati da E. Rosch riguardo
ai meccanismi cognitivi umani. Per un’esigenza di completezza verranno riportate
anche alcune affermazioni presenti nell’introduzione all’edizione italiana (2003)
dell’opera di Taylor (1995) che in alcuni estratti pare prendere le distanze dall’uso dei
prototipi in linguistica.
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Capitolo 1
La categorizzazione del colore: un punto di partenza per un
dialogo fra psicologia e linguistica.
1.1 Ricerche in antropologia sul lessico di colore: Berlin e Kay
Come apprendiamo dalla lettura di Taylor (1995) e Lakoff (1987) la terminologia per il
colore è un buon punto di partenza per una discussione sulle categorie in generale e
sulle teorie che a partire da esse costruiscono epistemologie spesso assai differenziate
fra loro. Eleanor Rosch è la prima a fornire un inquadramento generale di tutti questi
problemi: i suoi studi sperimentali sui termini di colore presso i Dani, come già
accennato nella Premessa, rivoluzionano la psicologia cognitiva. Siamo negli anni ’70,
e questa ricerca sul campo si ricollega direttamente allo studio di B. Berlin e P. Kay sul
confronto fra termini di colore-base in venti lingue appartenenti a famiglie linguistiche
non imparentate fra loro. È necessario soffermarsi brevemente sul loro studio per potersi
poi ricollegare al lavoro di E.Rosch. Il punto di partenza è costituito dalla volontà dei
due antropologi di smentire l ’ipotesi whorfiana di estremo relativismo linguistico
secondo la quale la terminologia di colore è strettamente arbitraria. Secondo Berlin &
Kay (1969: 4) invece proprio questo sottodominio della categorizzazione umana
presenta una traducibilità interlinguistica troppo alta perché l ’ipotesi Sapir-Whorf
possa essere confermata: “la nostra sensazione fu che i termini di colore si traducono
troppo facilmente tra varie coppie di lingue non imparentate fra loro perché si possa dire
che l ’ipotesi di estremo relativismo linguistico sia valida ”. Si è osservato che le