Capitolo I
Origini del trust e la ratifica della Convenzione dell’Aja
1.1 Alcuni cenni sulle origini del trust
Per comprendere l’istituto del trust sembra opportuno fare riferimento al sistema in cui è
nata questa figura, ossia il sistema giuridico anglosassone di common law, ed, in
particolare, il sistema della law of property inglese.
La law of property nel diritto inglese
L’Inghilterra fu, per Guglielmo il Conquistatore e per i suoi seguaci, una terra di conquista.
Dagli effetti di quest’ultima nascono le concezioni base della law of property, di cui la
fondamentale stabilisce che tutta la terra è di proprietà del Re e di nessun altro
1
. Il Re,
unico proprietario e Lord, assegna le terre mediante un atto unilaterale di concessione ai
nobili locali posti sotto di lui, che diventano tenants, i quali a loro volta assegnano il fondo
in sub-concessione a soggetti loro sottoposti; questi ultimi diventano i tenants di colui che
ha concesso il fondo, che a sua volta diventa il lord; nel caso concedessero la terra ad altri
tenants, diventerebbero loro stessi dei lord; e così a seguire. Solo il Re è sempre lord e
mai tenant.
Il rapporto giuridico nascente da tale concessione unilaterale tra il lord ed il tenant si
chiama free tenure
2
; esso non determina alcun trasferimento immobiliare ma solo
l’attribuzione di un ampio potere di usare e godere del fondo. Il diritto di godere del fondo è
attribuito al free tenant e la durata risulta essere indefinita, sebbene limitata nel tempo. I
diversi tipi di free tenure si distinguono proprio in base alla durata, e sono:
- il fee simple, in cui il godimento spetta a Tizio ed ai suoi eredi;
- il life estate, in cui il godimento spetta a Tizio per la durata della sua vita, ma
ove i poteri di godimento sono più limitati rispetto alle altre due ipotesi;
- il fee tail, in cui il godimento spetta ad un soggetto e, dopo la sua morte, ad una
certa classe di soggetti designati
3
.
1
LUPOI, Appunti sulla real property e sul trust nel diritto inglese, Milano, Giuffrè, 1971, pag. 7.
2
“l’aggettivo “free” indica che la sottoposizione del tenant al lord è priva di ogni connotazione servile,
ma si fonda sul rapporto gerarchico nobiliare feudale,così LUPOI, Appunti sulla real property, cit., pagg. 13
ss.
3
LUPOI, Appunti sulla real property, cit., pag. 56 ss.
4
Tuttavia la concessione delle terre in free tenure implicava una serie di diritti ed obblighi,
detti “incidents of tenure”, gravanti sul tenant e che costituivano un peso rilevante sul
diritto di godimento. Al contrario, al lord spettavano una serie di diritti supplementari.
Per comprendere la nascita del trust occorre evidenziare anche un altro punto debole del
sistema feudale inglese, ossia il divieto di possedere proprietà immobiliari che ricadeva su
certe categorie di soggetti tra cui, ad esempio, le persone fisiche appartenenti agli ordini
religiosi; tale divieto discendeva soprattutto da ragioni etiche, poiché sarebbe stato in
contrasto, per questi ultimi ad esempio, con il voto di povertà
4
. Inoltre il proprietario della
terra non poteva disporne per testamento; in caso di morte l’erede doveva pagare
all’overlord la rendita di un anno della proprietà e, se l’erede fosse stato minorenne,
sarebbe passato sotto la tutela del lord.
Per aggirare questi e altri divieti cominciò a diffondersi l’uso dello use, che deve la sua
diffusione alla pratica dei frati francescani che giunsero in Inghilterra intorno al 1230 e che,
per ovviare al divieto di essere proprietari, trasferivano tale diritto a favore di un terzo.
Lo use indica la prassi per cui si trasferiva un estate
5
, quindi il diritto di proprietà sul bene
immobile, a favore di un terzo il quale aveva l’obbligo di trasferire le rendite (in caso si
trattasse della proprietà di un fondo) al primo proprietario e, alla morte di quest’ultimo,
trasferiva l’estate al soggetto o ai soggetti indacatigli. Lo use può essere definito come il
precursore dell’istituto del trust; infatti, le figure che concorrevano a caratterizzare questo
istituto erano il feoffor, corrispondente all’attuale settlor nel trust, che trasferiva un bene
immobile ai feoffees, ossia gli attuali trustees, affinchè lo acquisissero a favore del cestui
que use, ossia l’attuale terzo beneficiario.
Origini dell’equity
“L’equity è quel sistema di norme emanate dal Cancelliere nella sua qualità di custode
della coscienza del re, e rivolte a rimediare, con interventi di ispirazione morale, ai (risultati
di ingiustizia conseguenti ai) difetti tecnici del common law”
6
; o come pure è stato scritto,
l’equity è “quel novello complesso di regole postesi a fianco del common law, basate su
canoni distinti da quelli di quest’ultimo sistema, e rivolte a prevalere su di esso in virtù
della loro superiore eticità.
7
”
4
LUPOI, Trust, Milano, 1997, Giuffrè, pag. 47.
5
“l’estate rappresenta il diritto del tenant e, più in generale, qualsiasi diritto avente per oggetto il
godimento di un fondo.”, LUPOI, Appunti sulla real property, cit., pag. 14..
6
Kiralfy Cit. in CRISCUOLI, Introduzione allo studio del diritto inglese, Milano, 2000, Giuffrè, pag.
161.
7
Maine Summer in CRISCUOLI, Introduzione allo studio del diritto inglese, loc. ult. cit., pag. 161.
5
La prima di queste definizioni dell’equity è più idonea ad essere attribuita al suo periodo
storico di formazione
8
; per quella moderna si preferisce la seconda definizione, che rende
bene il rapporto tra equity e common law.
I motivi della nascita di questo sistema così peculiare al diritto anglosassone non vanno
ricondotti al fatto che il common law non fu mai un sistema di diritto equo, ma dal fatto che,
ad un certo punto, tale sistema cessò di esserlo
9
.
L’equity si sviluppa nel corso della storia per ragioni che dipendono da fattori politico-
sociali; storicamente si possono individuare quattro grandi periodi
10
che ne determinano
l’affermazione:
1. Un primo periodo, che va dalla fine del XIII secolo al 1474, in cui gli attori sono i due
massimi organi dello stato dopo il re, ossia il Consiglio del Re (King’s Council) ed il
Cancelliere (Chancellor). Il termine di questo periodo è segnato dalla prima
decisione in equity emessa dal Cancelliere non in nome del re bensì per propria
autorità, segnando la formazione di una giustizia in equity indipendente dal re e dal
suo Consiglio e la creazione della Court of Chancery come tribunale autonomo e
depositario della nuova giurisdizione equitativa.
2. Il secondo periodo va dal 1475 al 1660 in cui l’equity viene amministrata dalla Court
of Chancery e si afferma come giustizia “etica”.
3. Il terzo periodo va dal 1660 alla riforma giudiziaria del Judicature Acts 1873-75, in
cui l’equity diviene un sistema di diritto rigidamente definito.
4. Il quarto periodo, che va dal 1875 fino ai giorni nostri, è quello dell’equity moderna,
non più dettata dalla Court of Chancery ma, a seguito della riforma giudiziaria
suddetta, da una Corte con competenza comune in common law ed in equity.
Si è voluto riassumere e solo accennare all’evoluzione storica del sistema di equity per
dare più rilievo ai motivi per i quali è nato questo tipo di giurisdizione.
Abbiamo accennato a come siano state alcune mancanze del sistema di common law a
portare alla nascita e allo sviluppo dell’equity; tra esse, per l’argomento qui trattato, si
evidenzia la mancanza nella common law di una disciplina atta per alcuni rapporti, quali lo
use. Nello use, infatti, al beneficiario non veniva riconosciuto alcun diritto, nonostante
l’impegno, sottostante all’accordo, assunto dall’acquirente del diritto di proprietà. Solo
all’acquirente veniva riconosciuta una tutela del diritto di proprietà. Il beneficiario quindi
non poteva portare la sua causa davanti alle corti di common law
In common law non erano previsti rimedi contro l’inganno e la violenza che potevano
inficiare i rapporti contrattuali. Secondo la legge questi ultimi potevano ritenersi vincolanti
8
CRISCUOLI, Introduzione allo studio del diritto inglese, loc. ult. cit., pag. 161.
9
CRISCUOLI, op. cit., pag. 139
10
CRISCUOLI, op. cit., pagg. 169 ss.
6
per una parte solo se risultava da un documento firmato o se la prestazione fosse già stata
eseguita
11
.
Il sistema di common law inoltre presentava alcuni inconvenienti tra cui gli alti costi, la
lentezza e, a volte, l’inadeguatezza del rimedio stabilito, poiché, ad esempio, non era
previsto un provvedimento che costringesse la parte inadempiente ad adempiere alla
propria obbligazione, e l’unico disponibile era il risarcimento.
Nel terzo periodo della storia inglese, l’Inghilterra conobbe un periodo di grandi riforme
giudiziarie, con le quali si afferma la giurisdizione di equity del Cancelliere, sorta come
risposta ai sudditi che chiedevano un’effettiva tutela giudiziaria
12
.
Si riunirono così molteplici elementi favorevoli ad una nascita ed affermazione della
giurisdizione di equity della Chancery Court come sistema di giustizia volto alla tutela degli
equitable rights, che si poneva come complementare a quella di common law.
Con l’avvento della dinastia degli Stuart si osservò l’affermarsi di un sistema di equity vero
e proprio; in questo periodo, infatti, il re Giacomo I emanò un provvedimento che sanciva
la prevalenza delle decisioni di equity su quelle at law
13
. Ad ogni cittadino fu riconosciuto il
diritto ad essere tutelato in equity, che cessava, quindi, di essere una giurisdizione di
grazia.
Anche per l’equity, come già in common law, venne fatto valere la regola del precedente
vincolante, e l’equity divenne così un corpo normativo simile a quello di common law.
Tuttavia anche l’equity presentava dei difetti; prima della grande riforma giudiziaria, i criteri
di giudizio erano decisamente discrezionali in quanto affidati ad un'unica persona: il
Cancelliere. Quindi la giustizia in equity veniva amministrata secondo la coscienza di
quest’ultimo. Non è mancato chi affermò “fare della coscienza del Cancelliere l’indice di
commisurazione dell’equità è come se si volesse fare del suo piede il regolo per il calcolo
delle distanze”
14
, fu la nota presa di posizione di Selden (1584-1654). E Holdsworth: “in
early days there were no fixed principles upon which the Chancellors exercised their
equitable jurisdiction. The rule applied depended very much upon the ideas as to right and
wrong possessed by each Chancellor”
15
11
DE DONATO- D’ERRICO, Trust Convenzionale.1999, pag.9.
12
DAVID, I grandi sistemi giuridici contemporanei, Padova, 1980, pag. 291.
13
LOSANO, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extra europei, Torino, 1978,
Einaudi, pag. 138; DAVID, op. cit. pag. 289.
14
cit. in CRISCUOLI, op. cit. pag. 163.
15
cit. in CRISCUOLI, op. cit.pag. 163.
7
1.1.3 Common law, equity e trust
La pratica dello use, di cui si è detto, permetteva agli eredi del tenant di non dover
sottostare ad alcuni di quella serie di obblighi normalmente dovuti al lord; inoltre
permetteva di aggirare i rigidi dettati degli atti sottoposti al legal estate
16
.
Le corti di common law tentarono di colpire gli usi fraudolenti di questa pratica, il principale
dei quali era frodare i creditori del settlor; esse negarono inoltre al titolare dello use
qualunque tutela at law nel caso in cui il feofee non avesse rispettato i termini dello use,
poiché il titolare del legal estate era solo il feofee, mentre le obbligazioni prese con il
disponente, e quindi anche quelle verso il beneficiario (cestui que use) erano da
considerare “solo di coscienza”, ergo non tutelabili at law.
In pratica, nel momento in cui il settlor trasferiva la sua proprietà immobiliare, non era più
proprietario in base al common law e quindi nemmeno tutelabile ma, dal momento che a
monte del trasferimento vi era un accordo, la tutela di quest’ultimo era perseguibile
attraverso la Chancery Court.
Con lo Statute of Uses del 1535 venne abolito lo use, con lo scopo di trasformarlo in un
normale passaggio di proprietà ove il cestui que use divenisse il tenant, assoggettandolo
così agli obblighi a lui imputabili
17
; infatti che il Re e i Lords vedevano diminuire le entrate
poiché esse venivano eluse con le regole dell’originario sistema feudale.
L’interpretazione restrittiva che venne data in giurisprudenza allo Statute of Uses in un
periodo successivo (1634), portò all’affermazione di una nuova pratica, ossia lo use upon
use. Quest’ultimo segna il passaggio dallo use al trust
18
.
Attraverso lo use upon use, il feoffor costituiva uno use; ma invece di incaricare il feofee di
trasferire il fondo al beneficiario, incaricava un beneficiario intermedio che lo avrebbe
trasferito al vero beneficiario. In tal modo la proprietà andava al beneficiario intermedio
mentre il passaggio a favore del vero beneficiario veniva ignorato, perché considerato
secondario. In questo modo però il cestui que use perdeva anche le tutele che gli erano
state riconosciute prima dello Statute of Uses, restando solamente con una pretesa
morale non tutelabile in tribunale
19
. Nel 1634 fu sancito che anche il titolare dello use upon
use meritava di esser tutelato in equity.
Per effetto di questa decisione, il feoffee cessò di essere chiamato in tale modo, ed
assunse il nome trustee, così come il beneficiario divenne cestui que trust, e l’oggetto si
16
“Right to hold the legal title (ownership) to an asset or property. A lender holds a legal estate in the
asset mortgaged as collateral, while the borrower retains only th eright of redemption. A trustee holds a legal
estate in the trust assets for the benefit of its beneficiaries.” www.businessdictionary.com.
17
LUPOI, Appunti sulla real property, pag. 49 ss.
18
DE DONATO- D’ERRICO, Trust Convenzionale,cit., pag.11.
19
LUPOI, op. cit., pagg. 52-53.
8
estese col tempo fino a comprendere gli estate in land e, successivamente, ogni sorta di
bene
20
.
Il trust può quindi essere considerato un istituto appartenente alla cultura del Paesi di
common law e nascente dall’equity, e si evince come sia il risultato della coesistenza dei
due ordini di regole, la common law e l’equity.
La struttura del trust moderno si delinea con un soggetto, il settlor o disponente, che
trasferisce un diritto ad una persona di fiducia, il trustee, il quale ha la facoltà di esercitare
il diritto secondo quanto è disposto nell’atto di trust o deed of trust, e l’obbligo di trasferire
nuovamente il diritto, entro un certo periodo di tempo prefissato, ad un terzo beneficiario.
Il trust si è sempre sottratto ai principi restrittivi che regolano i contratti, quali, ad esempio,
il limite secondo il quale un contratto tra A e B non può attribuire diritti a C; il trasferimento
di terre in trust dava un diritto a C che egli poteva far valere nelle Corti di Cancelleria
contro B, poichè il rimedio in equity era dato al beneficiario, non al costituente il trust.
Non si tenne conto, inoltre, del principio secondo cui una persona estranea al contratto
non può essere tenuta per le obbligazioni create dal contratto stesso, poiché mentre un
contratto produce effetti tra le parti, un trust diviene operativo contro un numero di persone
maggiore di quante lo avevano originariamente creato ed accettato
21
, ad esempio gli
acquirenti dell’immobile dal trustee che siano a conoscenza del trust.
Il trust non può essere considerato un vero diritto in rem, perché non può esser fatto
valere nei confronti di un soggetto che non sia a conoscenza dell’esistenza del trust; nè
può essere considerato un vero diritto in personam, perché lo si può far valere contro un
numero di soggetti che sono diversi da quelli del rapporto originario
22
.
Dell’istituto del trust si è discusso molto in tempi recenti, in dottrina ed in giurisprudenza,
specialmente dopo l’entrata in vigore della Convenzione dell’Aja, come vedremo in
seguito, e contestualmente al suo recepimento nei sistemi di civil law, ove a volte esso è
stato visto come una minaccia poiché ritenuto idoneo ad essere uno strumento che
permette l’elusione di imposte ed altre le pratiche illecite.
Si è visto come fin dal suo nascere si sia cercato di contrastarne l’affermazione poiché,
anche allora come oggi, se ne percepiva l’idoneità ad essere utilizzato per fini non
propriamente leciti. Ci fu chi scrisse
23
“la vera via di scampo fu il trust. Investire la proprietà
terriera, investire le merci in una o più persone. La necessità di una personalità è
soddisfatta. La terra, le merci hanno un proprietario: un proprietario che può difenderli e
recuperarli: un proprietario dietro il quale una corte di common law non guarderà mai.
Tutto il resto è semplice equity.”
20
CESHIRE, Il concetto di “trust” secondo la common law inglese (1933), traduzione di C.Grassetti,
Torino, 1998, pagg. 22 ss.
21
DE DONATO- D’ERRICO, op. cit., pag.12.
22
DE DONATO- D’ERRICO, op. cit. pag.13.
23
MAITLAND, Collected Papers, III, pag. 228 in CRISCUOLI, op. cit, pag. 163
9
1.2 La Convenzione dell’Aja
1.2.1 L’ambito di applicazione
La Convenzione dell’Aja
24
del 1° luglio 1985 su “la legge applicabile ai trusts e al loro
riconoscimento” ratificata dall’Italia con legge n. 364 del 16 ottobre 1989 ed entrata in
vigore il 1° gennaio 1992, stabilisce l’entrata del trust nel nostro ordinamento giuridico. Il
primo capitolo individua il campo d’applicazione della Convenzione enunciando all’art. 1
l’ambito di intervento della medesima: “La presente Convenzione determina la legge
applicabile ai trust e ne regola il riconoscimento” .
Comunemente si parla di riconoscimento quando ci si riferisce a provvedimenti
giurisdizionali o amministrativi ai quali si vuole attribuire efficacia all’interno
dell’ordinamento del foro, mentre il termine “riconoscimento” in questo contesto deve
essere inteso come possibilità di attribuire efficacia ad un rapporto giuridico di carattere
sostanziale sorto in un ordinamento diverso da quello in cui si vuole che se ne producano
gli effetti. Come afferma uno degli autori più autorevoli in dottrina
25
,: “riconoscimento del
trust è un termine sbagliato, i trust non si riconoscono in quanto non sono persone
giuridiche” meglio avrebbe fatto al Convenzione a parlare di “attribuzione di effetti giuridici”
al trust all’interno dell’ordinamento.
Il 1° comma dell’art. 2 dispone che per “trust si intendono i rapporti giuridici istituiti da una
persona, il costituente, con atto tra vivi o mortis causa, qualora dei beni siano stati posti
sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.”
Il rapporto giuridico enunciato in questa prima parte dell’art. 2 definisce un trust qualora i
soggetti ed i beni che ne fanno parte siano legati da un certo tipo di relazione piuttosto che
da altre; nel leggere l’art. 2 si può notare che la scelta dei redattori della Convenzione è
stata più verso una descrizione della struttura che caratterizza il trust piuttosto che verso
una definizione di che cosa si deve intendere per trust
26
.
Il 2° comma dello stesso articolo enuncia le caratteristiche che un trust deve possedere:
a) “i beni del trust costituiscono una massa indistinta e non fanno parte dei beni del
trustee;
b) I beni del trust sono intestati a nome del trustee o ad un’altra persona per conto del
trustee;
c) Il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve render conto, di
amministrare, gestire o disporre dei beni secondo i termini del trust e le norme
particolari impostegli dalla legge”.
24
si rimanda alla traduzione del testo in italiano in appendice pag.100 ss.
25
LUPOI, Trusts, Milano, 1997, pag 444.
26
SALVATORE, Il Trust, Profili di diritto internazionale privato e comparato, 1996, CEDAM, pag.53
10
Il 3° comma, infine, stabilisce che il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o
che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente
incompatibile con l’esistenza di un trust.
Il secondo comma dell’art. 2 rileva quali caratteristiche del trust la separazione ed
autonomia del patrimonio costituito in trust rispetto a quello del trustee nella distinzione tra
proprietà at law e proprietà at equity e del vincolo fiduciario che si impone al trustee di
amministrare i beni costituiti in trust con obbligo di rendiconto.
Si può notare, tuttavia, in relazione alle prime due caratteristiche del secondo comma, i
punti a) e b), la scarsa specificità dell’enunciazione per distinguere il trust da altre figure
giuridiche; esse , infatti, non costituiscono caratteristiche proprie unicamente dei trust dei
Paesi di common law ma consentono di ricomprendere nella definizione di trust ai sensi
della Convenzione anche altri istituti, generalmente assimilati al trust che presentano le
caratteristiche indicate all’art. 2
27
. Si tratta di istituti introdotti in ordinamenti di civil law nel
tentativo di recepire il trust nei loro ordinamenti modificandolo profondamente
28
. Nel terzo
punto, il punto c), non è definito puntualmente chi sia l’altro soggetto del rapporto.
L’ultimo comma, infine, configura quasi come eccezionali alcune circostanti che, invece,
ricorrono frequentemente nella prassi, quali la riserva di alcuni diritti o facoltà in capo al
settlor, ovvero, la parziale coincidenza tra la figura del trustee e quella del beneficiario.
Quest’ultimo comma sottolinea che, quand’anche la fattispecie si discosti dalla struttura
tipica precedentemente definita, tale circostanza non possa precludere la possibilità di
classificare come trust il rapporto dedotto in giudizio.
La tradizionale impostazione, quindi, secondo la quale nel trust la regola generale è che il
disponente settlor trasferisca un bene al trustee, non è l’unica possibile in quanto la figura
del trustee può anche coincidere con quella del settlor: questo è il caso dei c.d. “trust auto-
dichiarati” nei quali il disponente si autoproclama trustee senza che vi sia alcun atto di
trasferimento in capo al trustee stesso. Altra possibilità è che vi sia una coincidenza
parziale o totale tra le figure del settlor e trustee con la figura del beneficiario.
L’ipotesi di trust auto-dichiarato è stata soggetta al vaglio del Tribunale di Pisa con
sentenza 22 dicembre 2001
29
che si è pronunciato favorevole all’ammissione del trust
interno affermando che “ il trust che presenti quale unico elemento di estraneità rispetto al
nostro ordinamento l’applicazione della legislazione inglese deve ritenersi valido in forza
della Convenzione dell’Aja del 1985. Sulla base dell’art. 12 della Convenzione de l’Aja e
della relativa legge di ratifica, il trustee è titolare di un diritto potestativo, al quale
corrisponde un obbligo dei soggetti deputati alla pubblicità, di ottenere la trascrizione del
vincolo di trust su bene immobile, quale che ne sia l’effetto”.
Vi sono state inoltre altre pronunce giurisprudenziali a sostegno dell’ammissibilità di
questa figura di trust quali: Trib. Parma, 21 ottobre 2003 dalla cui sentenza si evince che
27
LUPOI, Introduzione ai trusts,1994, Milano, Giuffrè pagg:129-131.
28
Esempi in tal senso sono forniti dalle fiducie bancaire, introdotta nel 1983 nel codice civile
lussemburghese (seppur limitata alle banche), la Treuhandschaft, introdotta nel 1928 nel diritto del
Liechtenstein, nonché la fiducie francese. CHERUBINI - DELMONACO, I trusts: l’applicazione dei trusts
per la regolamentazione dei rapporti nazionali.1999, Jandi Sapi pag.27;
29
QUADERNI: TRUSTS E ATTIVITA’ FIDUCIARIE, La giurisprudenza italiana sul trust, dal 1899 al
2009, Ipsoa, pag. 650 ss.
11