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progressi si sono compiuti in merito negli ultimi anni.
Il National Radiological Protection Board (NRPB) inglese ha calcolato
che solo il 2% di radiazioni sono emesse da tomografi computerizzati, ma
contribuiscono per il 20% sulla dose collettiva in tutte le procedure
diagnostiche radiografiche
(2)
.
Conclusioni simili arrivano anche dalla Danimarca: nel Report di
Dicembre 1995, l’Università di Aarhus sottolinea che la dose efficace
per alcuni esami TC può eccedere i 20 mSv e gli esami TC
contribuiscono alla dose collettiva per una percentuale superiore al 20%
rispetto agli esami radiologici convenzionali
(3)
.
Da qui l’esigenza di adottare delle misure atte a diminuire l’esposizione
radiologica, fino al minimo possibile, compatibilmente con le finalità
mediche. Tali procedure di abbattimento della dose, possono essere
applicate a più livelli. Ogni procedura diagnostica (ma anche
terapeutica) richiede una giustificazione, una decisione separata da parte
di un medico richiedente, un benestare da parte del medico specialista, il
quale applica un giudizio, caso per caso, ad ogni procedimento
diagnostico selezionando la metodica migliore; da parte del fisico
specialista che è in grado di verificare e controllare nel tempo il corretto
funzionamento dell’apparecchiatura; da parte del tecnico di radiologia
che è responsabile della corretta esecuzione dell’esame, seguendo le
indicazioni o i protocolli ricevuti dal medico specialista. Si evince
quindi che ogni paziente è studiato con procedure spesso personalizzate,
con protocolli clinici individuali (riferiti a uno standard), secondo le
7
indicazioni cliniche. Lo scopo del lavoro è di mettere a confronto più
metodi di calcolo dedicati alla valutazione della dose al paziente da
esposizione di tipo medico durante esami di tomografia computerizzata,
identificata, come già precedentemente detto, come una delle maggiori
fonti di dose al paziente fra gli esami radiografici.
Dopo una introduzione storica sulla TC, saranno riportati i principi su
cui si basa il funzionamento dell’apparecchiatura, sia dal punto di vista
hardware che software, si procederà alla definizione delle grandezze
internazionali di riferimento, per poi descrivere metodiche e strumenti.
Verranno prese in considerazione le apparecchiature di tomografia
computerizzata installate presso l’Ospedale Maggiore di Milano, ed in
particolare lo scanner General Electric CT-Pace installato nel reparto di
neuroradiologia del Padiglione Beretta Ovest, e lo scanner General
Electric HiSpeed CTi installato nel Padiglione Sacco. La valutazione
della dose dovuta ad un particolare esame TC sarà simulata tramite
particolari “fantocci” (sia “fisici”, cioè effettivamente esistenti, sia
“matematici”, cioè come schemi grafici e volumetrici di simulazione).
Per ogni specifico protocollo saranno valutate le dosi ai principali
organi interessati dall’esame e quindi la dose efficace all’intero
organismo.
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Capitolo I
1) La tecnologia delle apparecchiature di
Tomografia Computerizzata
1.1 Evoluzione delle apparecchiature
Al congresso dell’aprile 1972 svoltosi al British Institute of radiology,
G.N. Hounsfield un ricercatore della EMI, annunciò l’invenzione di una
tecnica di imaging rivoluzionaria, che chiamò: computerized axial
transverse scanning.
Il concetto di base era abbastanza semplice: una sottile sezione
trasversale della testa, una sezione tomografica, era esaminata da più
angoli con un pennello di raggi X.
La radiazione trasmessa era rivelata da un cristallo scintillatore, il cui
segnale era inviato ad un computer per l’analisi mediante algoritmi
matematici, e ricostruito come immagine tomografica.
Questa tecnica permise da subito di differenziare alcuni tessuti molli,
indistinguibili in radiologia. I nomi dati ai primi apparecchi erano
diversi a seconda del loro utilizzo, ma i più usati erano: CAT
( computerized axial tomography), CT (computed tomography).
La ricerca però era partita molto prima, infatti nel 1917 un matematico
di nome Radon, mise a punto una tecnica di “ricostruzione da proiezioni”
da utilizzare in ambito aerospaziale, poi divenuta uno dei punti cardine
9
della tecnologia TC; nel 1956 e 1961 Cormak e Holdendorf avevano
realizzato sistemi concettualmente paragonabili a quelli di Hounsfield.
La TC consente di ottenere immagini “analitiche” mantenendo una
elevata definizione sia in termini di risoluzione spaziale che di
contrasto. Nella radiologia tradizionale, l’immagine radiografica dipende
dall’assorbimento selettivo del fascio di fotoni X da parte del paziente,
che ha come risultato finale un’immagine composta dalla somma delle
densità di ogni punto.
Al contrario la tomografia convenzionale, produce l’immagine di uno
strato singolo, perpendicolare al fascio di raggi X, che si trova sulla
traiettoria dei recettori. L’insieme dei dati ottenuti sono perciò analitici
e vengono rielaborati opportunamente lungo le sezioni in studio.
La possibilità di elaborazione elettronica dell’immagine permette di
determinare il coefficiente di assorbimento, cioè la densità di ogni unità
di volume, localizzandola spazialmente.
Il primo strumento di visualizzazione dell’immagine così ottenuta è il
monitor, sul quale è possibile modificare l’immagine grezza ottenuta dal
tomografo, modificando a piacimento il contrasto, i livelli, le finestre
(permettendo di selezionare la visione di tessuti come osso, muscolo,
ecc.), e solo successivamente è possibile procedere alla stampa su
pellicola
(7)
.
Nel descrivere l’evoluzione delle apparecchiature risulta forse
improprio ma sempre significativo riferirsi al numero della
“generazione” delle stesse; è comunque opportuno fare sempre
10
riferimento alle caratteristiche costruttive del sistema e, nello specifico,
analizzare il movimento delle varie parti tra di loro (tubo rotante da solo
o solidale con i detettori, detettori fissi o mobili, il loro numero, la loro
disposizione su più anelli paralleli, ecc.), o lo sviluppo raggiunto dal
software di acquisizione o di ricostruzione.
1.2 La prima generazione
La prima generazione (fig. 1-1), che può essere riferita all’apparecchio
realizzato da Hounsfield, utilizzava un unico fascio di raggi X, “a
pennello” estremamente collimato (2x13mm) e che incideva su un singolo
rivelatore; il sistema tubo-detettore era in moto con ripetizione di
movimenti di traslazione (lungo la tangente alla circonferenza descritta
dal complesso tubo-detettore) e rotazione (180 volte con step di 1°).
La complessità del movimento e la presenza di un solo rivelatore,
agivano come conseguenza sulla durata della scansione (8-10 minuti).
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Fig. 1-1 TC di prima generazione
1.3 La seconda generazione
La seconda generazione (fig.1-2) vide un abbattimento dei tempi di
scansione, grazie all’introduzione di un fascio di raggi X detto a
ventaglio (variabile tra 5-10 gradi) e ad un maggior numero di detettori
(dai 20 ai 30). Non si eliminò del tutto la traslazione, tuttavia il
complesso tubo-detettori compiva movimenti più ampi, dai 20 ai 30
gradi: pertanto si doveva ripetere il movimento per 6-9 volte soltanto.
Con questo sistema si era riusciti ad avere tempi di scansione di 20-30
secondi, fornendo immagini di qualità superiore e con minori artefatti da
movimento, riuscendo ad estendere le scansioni anche ad organi non
immobili (nel torace e nell’addome).
12
Fig. 1-2 TC di seconda generazione
1.4 La terza generazione
Con la terza generazione (fig.1-3) si ebbe una ulteriore riduzione dei
tempi di scansione, grazie all’ulteriore incremento dell’angolo di
divergenza del fascio di raggi X a ventaglio e dell’ulteriore aumento dei
detettori (in numero e in efficienza). Il corpo del paziente in questo
modo era incluso completamente nel fascio emesso dal tubo, eliminando
il movimento di traslazione, causa di una perdita di tempo quantificabile
in un fattore da 3 a 10, rispetto alla generazione precedente. Questi
apparecchi sono in grado di ruotare di 360° il sistema tubo-detettori in
10-12 secondi, e hanno un numero di rilevatori da 300 a 800.
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Fig. 1-3 TC di terza generazione
1.5 La quarta generazione
Contemporaneamente agli apparecchi di terza generazione sono stati
sviluppati quelli di quarta (fig.1-4), dove da 256 a 1000 detettori sono
disposti a corona intorno al paziente e rimangono fissi, mentre il solo
tubo radiogeno ruota; le immagini possono così essere formate in tempi
anche minori di un secondo. Gli apparecchi di quarta generazione, pur
rappresentando l’evoluzione più sofisticata del sistema TC normalmente
concepito, hanno comunque presentato significativi problemi di
progettazione e di applicazione, con un conseguente aumento del costo
dell’apparecchiatura stessa, non giustificato fino in fondo da un concreto
e documentato aumento del potere diagnostico.
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Fig. 1-4 TC di quarta generazione
1.6 Tecnologia spirale
Fondamentale è il passo compiuto dalla quarta generazione alla TC
spirale (Fig.1-4): tale scanner è l’unione di una TC con movimento del
tubo (detettori solidali col tubo o fissi su arco di circonferenza) e
movimento del lettino in fase di acquisizione (fig.1-5.1), ottenendo
quello che si definisce acquisizione spirale o, più esattamente,
elicoidale.
In tal modo è possibile eseguire scansioni di distretti anatomici di
considerevoli dimensioni, in tempi molto brevi, utilizzando una sola
apnea del paziente (da 10 a 100 secondi); ciò rende le immagini
15
confrontabili tra loro, permette studi di funzionalità e morfologia
d’organo in diverse fasi vascolari. L’enorme capacità di elaborazione dei
dati permette inoltre la rielaborazione delle immagini in tempo reale.
Ciò è permesso dal miglioramento del banco di rilevazione: si passa da
un fascio di raggi X collimato sullo spessore dello strato e focalizzato
sulla corona di rivelatori, all’avere un fascio X collimato su uno
spessore maggiore e focalizzato sulle file centrali o su tutto il banco di
corone parallele di rivelatori. Simultaneamente, il sistema di
acquisizione dati seleziona da quali elementi acquisire (14.592 su 16
strati), mediante commutazione (fig1-5.2).
Evoluzioni importanti in ambito software di elaborazione hanno permesso
di aumentare la velocità di acquisizione, senza perdita di qualità
d’immagine, ottenendo immagini ottimali con pitch 3:1 (Alta Qualità) e
6:1 (Alta Velocità), riducendo di un fattore da tre a sei il carico di
lavoro del tubo e la dose al paziente. Le prestazioni raggiunte da tali
apparecchi, permettono l’angio TC o ricostruzioni MIP, 3D, Volume
Rendering e Navigator delle varie strutture anatomiche
considerate
(14,15,16)
.
Fig.1-5.1 Simulazione di acquisizione elicoidale
16
Con i rivelatori a matrice multi slice, lo spessore immagine è selezionato
modificando la collimazione, la configurazione del rivelatore e
l'algoritmo di ricostruzione.
Fig.1-5.2 Matrice di rivelatori
Vi sono anche apparecchi con caratteristiche di funzionamento che si
avvicinano di più agli acceleratori lineari (di bassa energia).
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Tali scanner hanno in particolare quattro generatori di elettroni statici,
che una volta accelerati vanno a collidere su una serie di anodi disposti
su una circonferenza, i quali producono fasci di raggi X. Una volta che
le radiazioni hanno attraversato il paziente, raggiungono i detettori, e il
tempo necessario per ogni sezione è brevissimo (nell'ordine di 50 ms in
bassa risoluzione, 100 ms in alta), ottenendo contemporaneamente
immagini a più strati, ripetibili a distanza di circa 10 ms.
Un'installazione di questo tipo, per ora in fase sperimentale, trova
applicazione in cardiologia.
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2) Strumenti di misura
2.1 Camera a ionizzazione
La camera a ionizzazione è un semplice rivelatore a gas. Mediante
l'applicazione di un campo elettrico ai suoi capi, raccoglie e misura
l'intensità della carica elettrica dovuta a coppie elettrone-ione positivo,
formatesi in seguito alle interazioni delle radiazioni ionizzante. Se non
applico il campo elettrico esterno, le coppie sono soggette al moto di
agitazione del gas (posto a temperatura ambiente), e tendono a migrare
verso zone di densità di carica minore. Le cariche prodotte possono
comportarsi in modo differente: in alcuni casi si può avere
ricombinazione di cariche nel gas, annullando così l'effetto di
ionizzazione, oppure le cariche possono legarsi ad atomi neutri, e quindi
formare ioni negativi o positivi.
Se applico il campo esterno, le forze elettriche tenderanno a far muovere
le cariche elettriche con un moto detto di deriva. La velocità di deriva
dipenderà proporzionalmente dal tipo di gas (mobilità ionica) e
dall'intensità del campo elettrico, e inversamente dalla pressione del gas
stesso. Il moto risultante sarà dato dalla sovrapposizione del moto di
agitazione termica e del moto di deriva. Il campo elettrico applicato deve
essere sufficientemente elevato per impedire la ricombinazione delle
cariche, ma tale da non favorire la loro moltiplicazione. Il segnale
elettrico, costituito dall'impulso di corrente prodotto dalle cariche, è
raccolto da elettrodi e rilevato da un circuito esterno.
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Il circuito esterno è costituito da un elettrometro che può misurare in
unità elettriche o in unità radiologiche (secondo un’opportuna
calibrazione), e consente di inserire direttamente dei fattori correttivi,
cioè quei fattori che moltiplicati per il valore letto, forniscono il valore
corretto della misura.
Un esempio di tale dispositivo è dato dall'elettrometro PTW-UNIDOS,
utilizzato presso il Servizio di Fisica Sanitaria dell’Ospedale Maggiore
Policlinico di Milano, e prodotto dalla ditta PTW.
Fig.1-6 circuito elettrico di una camera a ionizzazione
La geometria scelta per una camera a ionizzazione varia secondo l'uso
della camera stessa. La geometria planare, o a piatti paralleli, fornisce
un campo elettrico uniforme, mentre la geometria cilindrica, fornisce un
campo inversamente proporzionale al raggio.