3
INTRODUZIONE
Il fenomeno della crisi d’impresa ha acquisito negli ultimi anni sempre maggiore
importanza, e in questo momento storico è argomento quanto mai dibattuto in vari ambiti.
La recessione economica in atto, già ampiamente considerata come la peggiore mai vissuta
dal dopoguerra, dopo aver innescato forti turbolenze sui mercati finanziari ha dispiegato i
suoi effetti nefasti anche sulle imprese e, più in generale, sull’economia reale.
Ciò è dovuto soprattutto alla maggiore rischiosità delle attività economiche in un
contesto, quale è quello attuale, in cui la globalizzazione ha reso i mercati più dinamici.
Proporzionalmente, tuttavia, cresce anche la vulnerabilità delle imprese, che in siffatte
condizioni sono più esposte agli eventi negativi, in particolar modo quelle di piccola e
media dimensione.
Il sistema italiano, costituito per oltre il 90% da piccole e medie imprese, da sempre
sottocapitalizzate e fortemente dipendenti dal credito bancario, risente delle conseguenze
della crisi in modo più acuto rispetto ai sistemi produttivi di altri paesi. Uno degli effetti
dell’attuale recessione, infatti, è stato il fenomeno del credit crunch, ovvero la forte
contrazione del credito bancario alle imprese: ciò spiega il motivo per cui il tessuto
imprenditoriale italiano fatica di più, in confronto al resto d’Europa, ad uscire dallo stato di
difficoltà attuale.
Uno degli aspetti più rilevanti è la risonanza che una crisi può avere in un contesto
socio-economico in virtù della numerosità ed eterogeneità dei soggetti coinvolti
(stakeholder), sia interni sia esterni all’impresa: proprietà, management, risorse umane,
fornitori, clienti, banche, ecc.. Queste ultime, in particolar modo, si trovano in una
posizione determinante nel contesto di una crisi, in virtù della configurazione banco-
centrica del nostro sistema finanziario, che vede gli intermediari in una posizione di forza
nei confronti delle imprese.
4
Inoltre, l’importanza dell’impresa nel sistema economico italiano, e soprattutto la
necessità di garantire l’esistenza di tutte le condizioni che ne assicurino la creazione di
valore in prospettiva di continuità (going concern), hanno indotto il legislatore negli ultimi
anni a mettere in discussione il vecchio impianto normativo in tema di crisi, che era ormai
obsoleto rispetto alle esigenze della moderna economia, come denunciato per diversi anni
dalla dottrina che si è occupata dell’efficienza delle procedure fallimentari.
Per tali motivi la materia della crisi d’impresa è divenuta sempre più oggetto di
osservazione e di indagine da parte degli studiosi di economia, come dimostra l’ampia
letteratura sull’argomento. In particolare, negli ultimi quindici anni si è sviluppato anche
un altro campo di indagine: il ruolo degli intermediari finanziari nei processi di
risanamento.
La finalità del presente lavoro è proprio quella di analizzare il ruolo determinante delle
banche nei processi di ristrutturazione finanziaria, che vedono le banche coinvolte
direttamente nella predisposizione di tutti gli interventi normalmente attivati per il
superamento della crisi d’impresa, dopo aver individuato come si manifesta una crisi e
quali sono le sue possibili cause.
Il primo capitolo è dedicato alla definizione del concetto di crisi d’impresa. Partendo da
una disamina delle principali teorie economico-aziendali sull’argomento, si passa a
descrivere il fenomeno individuandone il percorso evolutivo, che passa dallo stato di
declino a quello della crisi conclamata, conseguente alla situazione di insolvenza
dell’impresa. Segue una dettagliata descrizione delle cause di tipo oggettivo di una crisi,
per chiudere con un paragrafo dedicato ad una breve disamina dei principali metodi e
strumenti di previsione delle insolvenze e di riconoscimento dello stato di crisi.
Il secondo capitolo tratta il turnaround, che è un processo molto ampio di
riorganizzazione di un’impresa, non solo dal punto di vista industriale e finanziario ma
anche dal punto di vista organizzativo, manageriale e culturale. Anche qui il punto di
partenza è l’esame dell’evoluzione delle teorie sul turnaround, che non costituiscono
argomento a sé stante bensì un’evoluzione della teoria sulla crisi d’impresa. Dopo aver
trattato il turnaround in ottica di ciclo di vita dell’impresa, individuando quali sono le
forme di investimento in aziende in crisi e gli operatori che le pongono in essere, si passa
ad un’articolata descrizione delle fasi di un processo di turnaround. Il capitolo si chiude
con un’esame dell’attività di turnaround financing in Italia, cercando di capire le
prospettive future di questa attività soprattutto in base al nuovo contesto legislativo.
5
Nel terzo capitolo si affronta il ruolo delle banche nella crisi d’impresa, illustrando
innanzitutto il profilo strutturale del finanziamento alle imprese italiane e le modalità di
relazione esistenti tra imprese e sistema bancario. Si prosegue con la descrizione dei
modelli di comportamento dominanti da parte delle banche e, soprattutto, sottolineando
quanto peso abbia la banca nella scelta dell’advisor e nella predisposizione del piano di
risanamento. Inoltre, dopo aver descritto le caratteristiche principali di un piano di
ristrutturazione, il capitolo si conclude analizzando il coinvolgimento delle banche nel
risanamento, cercando di individuare i fattori che ne influenzano la decisione di partecipare
o meno alla ristrutturazione.
Il quarto capitolo è dedicato agli interventi di natura finanziari con i quali si fronteggia
una crisi d’impresa: quelli sul lato del passivo (ristrutturazione dei debiti e raccolta di
nuova finanza in tutte le sue forme) e quelli che incidono sull’attivo (asset restructuring).
Qui un paragrafo è dedicato ad una breve descrizione del piano attestato di risanamento e
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, che costituiscono gli strumenti di risoluzione
delle crisi aziendali più innovativi introdotti dalla recente Riforma del Diritto Fallimentare.
Il quinto capitolo, infine, è dedicato all’analisi di un caso aziendale, riguardante
un’impresa italiana leader nel suo settore di riferimento. In particolare, si vedranno le
modalità con cui l’azienda ha rinegoziato il debito con le banche dopo essere stata
dichiarata in stato di default a causa dello sforamento dei vincoli finanziari imposti dal
contratto di finanziamento, situazione causata dal brusco calo dei risultati economico-
finanziari in seguito allo scoppio della crisi ancora in atto.
6
CAPITOLO PRIMO
LA CRISI D’IMPRESA: DEFINIZIONE E CAUSE
1.1 LA CRISI NELLA LETTERAURA ECONOMICO-AZIENDALE
La dinamica evolutiva dell’impresa è contraddistinta da un’alternanza di fasi positive e
negative: la crisi rappresenta, infatti, una situazione di difficoltà aziendale che può
manifestarsi in diversi modi e con tempistiche differenti
1
. Prima di entrare nel merito dei
principali contributi della dottrina economico-aziendale, è opportuno introdurre il concetto
di Ciclo di Vita dell’Impresa, rappresentato nel grafico che segue:
Figura 1.1 – Ciclo di vita dell’impresa.
1
In questo senso, un’importante distinzione è quella tra fasi negative cicliche, alle quali tutte le imprese sono
abituate, e fasi negative di tipo strutturale, quando la situazione richiede un intervento più profondo in quanto
le cause dell’insuccesso sono a lungo latenti ed esplodono improvvisamente. GUATRI L., Turnaround.
Declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995, p. 15.
Start up
Crescita
interna
Maturità
Crescita
esterna
(2)
(1)
Dimensione
Economica
Tempo
Fase della patologia
Rilancio(1)
o
Ristrutturazione(2)
Crescita per
diversificazione
correlata
7
Il percorso ideale del ciclo di vita è costituito, come si evince, da una serie di fasi. La
prima è definita start up, la fase progettuale in cui viene sviluppata l’idea imprenditoriale
(business idea). Dopo che l’impresa è avviata, si entra nella fase di early stage, nella quale
si effettuano i primi investimenti al fine di avviare un processo di crescita interna e un
posizionamento sul mercato domestico. Segue, quindi, la fase di sviluppo ed espansione:
una volta che l’impresa ha conquistato una posizione di leadership e si consolida sul
proprio mercato, inizia ad investire per realizzare la propria crescita dimensionale anche
per linee esterne con una presenza diretta sui mercati esteri, ovvero attuando strategie di
crescita con diversificazione correlata. Infine, è possibile (anche se non auspicabile) che
l’impresa si ritrovi in uno stato patologico, che coincide con la fase della maturità,
caratterizzata da difficoltà che riguardano la propria situazione competitiva ed economico-
finanziaria oppure la dinamica e gli equilibri del suo assetto proprietario.
In Economia Aziendale il fenomeno della crisi è divenuto oggetto dell’attenzione degli
studiosi solo negli anni Settanta, benché fosse sempre esistito: a partire da quel periodo,
infatti, la crisi si è trasformata da evento episodico e saltuario, legato esclusivamente
all’incapacità ed ai comportamenti dei singoli manager e imprenditori, a fenomeno
ricorrente e non più isolato, bensì subordinato ai cicli economici e settoriali
2
, il cui
superamento assume una rilevanza di tipo strategico. Tale impostazione assume ancor più
importanza alla luce dell’accresciuto dinamismo delle economie aziendali. L’ambiente,
visto come un sistema di vincoli-opportunità nel quale si sviluppa la gestione aziendale,
richiede all’impresa un continuo processo di adattamento. In questo senso, la crisi è la
conseguenza di risultati negativi di gestione, dovuti all’incapacità dell’organo di governo
di gestire le dinamiche interne ed esterne.
Nel tentativo di inquadrare il fenomeno della crisi nella letteratura economico-aziendale
bisogna rilevare, innanzitutto, che la maggior parte degli studi sull’argomento ha sempre
dato per scontato il significato del termine; essa, infatti, è sempre stata descritta nelle sue
componenti, nelle cause, nelle modalità di manifestazione e, soprattutto, nelle conseguenze
che può generare. Tra i vari approcci, si focalizza in particolare l’attenzione sui contributi
dottrinali di Guatri e Confalonieri, contenuti in due articoli del 1995
3
.
2
In questo senso si segnala la distinzione, elaborata da Guatri, tra crisi diffuse, che toccano interi settori, e
crisi particolari, riguardanti singole aziende. GUATRI L., Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè,
Milano, 1986, p. 8.
3
Si vedano: GUATRI L., «Un’interpretazione del concetto di crisi aziendale legata alla teoria di creazione
del valore», in Finanza, Marketing e Produzione, n. 1, 1995; CONFALONIERI M., «Le cause dei dissesti
aziendali», in Finanza, Marketing e Produzione, n. 1, 1995.
8
Guatri, nella consapevolezza di quanto sia rilevante una definizione della crisi su base
quantitativa, sviluppa il suo contributo muovendo dalle concezioni proprie della Teoria di
creazione del Valore, che individua nell’accrescimento del valore del capitale (∆W)
l’obiettivo fondamentale che l’impresa deve perseguire. Dato che una performance
negativa in termini di ∆W è un mancato raggiungimento degli obiettivi da parte del
management, la crisi può essere definita come distruzione di valore del capitale economico
e intesa non solo come diminuzione degli utili, ma in special modo come perdita di
capacità reddituale
4
.
Confalonieri imposta il suo lavoro su un nuovo filone di ricerca che, invece di
analizzare i fattori che provocano la crisi, ha come nucleo di indagine i casi di successo
aziendale; si tratta quindi di un nuovo approccio, che esamina l’impresa eccellente
5
, con un
ribaltamento dell’angolazione delle cause della crisi aziendale: dall’individuazione dei
punti di forza dell’impresa di successo si passa ad evidenziare gli elementi mancanti
all’impresa tendenzialmente in crisi. Il classico approccio che focalizza l’analisi sui fattori
scatenanti la crisi è considerato dall’Autore estremamente generico
6
: in tal modo, infatti, si
rischia di individuare la crisi quando gli effetti si sono manifestati, perciò è fondamentale
classificare il tipo di crisi isolandone le cause.
Un’altra impostazione interessante ai fini della diagnostica delle crisi è quella di Coda,
che segue dei percorsi di crisi sia a livello aziendale sia di ASA (Area Strategica di
Affari)
7
; percorsi tipici di crisi di «area» possono essere:
o presenza di prodotti maturi;
o esaurimento delle «idee imprenditoriali», causato dall’avvento di nuove tecnologie e
prodotti sostitutivi;
o mancata realizzazione di un percorso di successo.
Viene evidenziato anche come le crisi aziendali conducono non solo alla diminuzione dei
livelli reddituali, ma anche a fenomeni di caduta del consenso sociale.
4
Per poter parlare di crisi occorre che la perdita di flussi reddituali sia sistematica ed irreversibile, e non già
dovuta a cause straordinarie e transitorie. Inoltre, la misura dei flussi di reddito è legata soprattutto alle attese.
5
Le imprese «eccellenti» sono le aziende capaci di sopravvivere e prosperare nel lungo periodo; esse
coltivano un ideale di eccellenza imprenditoriale, nel senso che sono dotate di alcuni valori-guida che, se ben
scelti, costituiscono i pilastri di una cultura aziendale forte. CODA V., L’orientamento strategico
dell’impresa, UTET,Torino, 1988, p. 154.
6
Ad esempio, le carenze imprenditoriali vengono considerate da Confalonieri come delle proto cause dei
dissesti.
7
Le Aree Strategiche di Affari costituiscono un sottoinsieme dell’impresa, coincidente con un business
specifico in grado, se scorporato dall’azienda, di sopravvivere autonomamente, tanto da poter assumere,
all’interno dell’azienda, un’autonomia giuridica o organizzativa. Le ASA hanno, in sostanza, una propria
missione in termini di prodotti offerti e mercati, e a ciascuna di esse corrisponde un ambito competitivo
differente.
9
Nell’assunto che ogni crisi costituisce un caso a sé, la letteratura propone varie
schematizzazioni delle cause che sono all’origine del fenomeno; generalmente si concentra
l’analisi su fattori esterni, relativamente controllabili dai soggetti aziendali, riconducibili
all’ambiente, al mercato, alle caratteristiche del settore e alla fase del ciclo economico, e su
fattori interni, cioè quelli tipici dell’azienda, che dovrebbero essere oggetto del continuo
monitoraggio del management
8
.
Alternativamente, Guatri propone una distinzione in un’ottica soggettiva o oggettiva
della crisi: l’aspetto soggettivo è riconducibile ai fattori umani, quali la proprietà ed il
management, mentre l’aspetto oggettivo si riferisce a tutti quei fenomeni (esterni) che
possono rivelarsi poco controllabili da parte dei manager (questa impostazione sarà ripresa
e approfondita nel terzo paragrafo, dopo aver illustrato la crisi nella sua manifestazione e
nella sua dinamica evolutiva).
Volendo dare, infine, una definizione più compiuta del concetto di crisi, è opportuno
fare leva sulle teorie dell’approccio sistemico, in particolare sull’importanza dei rapporti e
delle interazioni tra l’impresa e l’ambiente. Esso determina il sistema di vincoli-
opportunità all’interno del quale si sviluppa la gestione aziendale, e all’impresa è richiesto
un continuo processo di adattamento in virtù della accresciuta complessità ambientale, sia
in termini di varietà che di variabilità
9
.
In questo senso, si può definire la crisi come la conseguenza di una gestione negativa,
causata dall’incapacità della proprietà e del management di governare la complessità dei
rapporti tra le dinamiche ambientali e le variabili interne all’impresa, producendo un
deterioramento delle strategie e della struttura aziendale
10
.
1.2 LE FASI EVOLUTIVE: DAL DECLINO ALLA CRISI
La manifestazione esterna della crisi si verifica nel momento in cui è consolidato uno
squilibrio economico-finanziario che porta l’impresa al dissesto, se non vi sono opportuni
interventi di risanamento. L’aspetto finanziario è sempre legato a quello economico: le
8
MINNETTI F., «Il ruolo degli istituti di credito nella prevenzione e nel risanamento della crisi d’impresa»,
in Rivista Bancaria - Minerva Bancaria, n. 5, 1998, p. 98.
9
Sul concetto di ambiente e, più in generale, sull’impresa sistema vitale, si segnalano, all’interno della
copiosa letteratura sull’argomento, i seguenti contributi: GOLINELLI G.M., L’approccio sistemico al
governo dell’impresa. L’impresa sistema vitale, Cedam, Padova, 2002, e SCIARELLI S., Economia e
gestione dell’impresa, Cedam, Padova, 1997.
10
MINNETTI F., Corporate banking e finanza straordinaria d’impresa, Bancaria Editrice, Roma, 2011.
10
crisi sono sempre dovute ad uno squilibrio fra costi e ricavi, che solo in seguito si
ripercuote sulla struttura finanziaria.
Bisogna tenere presente sin da subito, però, che tale condizione non è improvvisa, ma
piuttosto si configura come il punto di arrivo di una serie di fasi precedenti: la crisi è,
infatti, uno stato patologico che si manifesta in più stadi, in un arco temporale più o meno
lungo. Prima di passare ad una schematizzazione degli stadi evolutivi, è opportuno definire
i concetti di declino e di crisi.
La definizione di declino prende spunto dal concetto di creazione di valore, o meglio
dalla situazione di mancato raggiungimento dell’obiettivo di creazione di valore, secondo
l’impostazione già vista in precedenza. Essendo il declino collegato ad una performance
negativa di ∆W, misurata in un definito arco temporale, si può affermare che un’impresa è
in declino quando perde valore nel tempo
11
. Da ciò derivano alcune conseguenze, di
seguito meglio precisate:
o il declino è identificabile in relazione al sensibile e duraturo decrescimento dei flussi
reddituali;
o per parlare di declino occorre che tale perdita sia sistematica ed irreversibile senza
interventi di risanamento o ristrutturazione;
o il declino è causato non già dalla diminuzione degli utili sul piano storico, ma anche
dalla perdita di capacità reddituale (visione prospettica);
o anche i rischi possono causare il declino dell’impresa. Spesso costituiscono le forme più
pericolose, in quanto latenti: a parità di reddito atteso, infatti, l’aggravamento dei rischi
si traduce in una maggiore probabilità che i risultati attesi non si realizzino.
La crisi è uno sviluppo ulteriore del declino: essa si concreta, a seguito delle perdite
economiche, in ripercussioni gravi sul piano dei flussi finanziari (carenze di cassa).
Rilevante è a questo punto anche la perdita di credito e di fiducia da parte dei clienti, del
personale e della comunità finanziaria in generale, che comporta, oltre alla perdita di
valore di W, anche il rischio di mancata sopravvivenza dell’impresa.
Il passaggio dallo stato di declino a quello di crisi, dunque, origina una condizione di
non ritorno, se non vi sono interventi e sacrifici da parte dei vari stakeholder: la crisi è, in
sostanza, la fase conclamata ed esternamente apparente del declino.
11
In questo senso il declino è collegato sia alla diminuzione dei flussi attesi di reddito, sia al comportamento
del tasso di capitalizzazione (i). GUATRI L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, op. cit., p. 107.
11
Si può a questo punto tornare al percorso della crisi, schematizzandone gli stadi
evolutivi nel diagramma seguente, individuando, accanto a ciascuna fase, le manifestazioni
con le quali essa si rivela.
Figura 1.2 (Fonte: GUATRI L., «Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore», op. cit., p. 112).
I primi due stadi corrispondono alla fase di declino dell’impresa, ovvero:
1. l’incubazione, le cui manifestazioni sono i segnali di decadenza e di squilibrio;
2. la maturazione: si manifesta nelle perdite economiche, sia di R che di W.
Il terzo e il quarto stadio, invece, corrispondono alla crisi vera e propria:
12
3. le perdite sui flussi di cassa e la sfiducia: è il momento finanziario, in genere della
manifestazione esterna della crisi (rischio di sopravvivenza);
4. le conseguenze sugli stakeholders: è il momento dell’esplosione della crisi, le cui
manifestazioni più evidenti sono l’insolvenza e il dissesto.
Il discorso appena fatto si può rappresentare, più sinteticamente, anche nel modo seguente:
Figura 1.3 (Fonte: GUATRI L., Crisi e risanamento delle imprese, op. cit.).
Lo stadio degli squilibri e delle inefficienze, che possono essere di origine interna o
esterna, è quello in cui si manifestano i primi sintomi, che, se perdurano, possono generare
le perdite. Le perdite erodono gradualmente le risorse aziendali, con l’assorbimento delle
riserve di bilancio e di quote del capitale, e provocano l’erosione della liquidità,
l’appesantimento dei debiti, la riduzione delle risorse destinate a funzioni aziendali
importanti, l’impossibilità di distribuire dividendi, e così via. Se l’intensità delle perdite
supera un certo limite, esse generano l’insolvenza, che è la manifestazione più clamorosa
della crisi, consistente nell’incapacità di far fronte ai pagamenti in scadenza.
All’insolvenza, infine, può seguire il dissesto, che è una condizione di permanente
squilibrio patrimoniale.
L’aspetto rilevante è che ciascuna delle fasi descritte richiede delle risposte e delle
azioni diverse; è evidente quanto sia più facile rimediare ad una crisi affrontata al primo
stadio, quando ancora non vi sono perdite economiche. In seguito alla manifestazione di
insolvenza o di dissesto, invece, sono necessari interventi molto più drastici e profondi. Si
vedrà, in seguito, quanto sia di vitale importanza la tempestività nel riconoscimento dello
stato di crisi per implementare le giuste iniziative finalizzate al recupero dell’impresa.
In conclusione, la distinzione tra declino e crisi è importante per comprendere come, in
generale, il declino può rappresentare un momento relativamente fisiologico della vita di
un’impresa, anche se nella pratica il confine tra le due situazioni può essere molto làbile
12
.
12
GUATRI L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, op. cit., p. 110.
SQUILIBRI/
INEFFICIENZE
PERDITE
ECONOMICHE
INSOLVENZA DISSESTO