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1.1. Bambini invisibili
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Quanto piø risaliamo nel tempo, tanto piø le tracce che possiamo trovare si
rivelano incomplete non perchØ il bambino non abbia sostenuto il proprio ruolo
di bambino, ma semplicemente perchØ la concezione dell’infanzia era diversa
2
. I
bambini erano considerati “adulti in miniatura”, non come “esseri speciali”.
Anzi nei primissimi stadi dell’infanzia non venivano considerati affatto, spesso
non ricevevano neanche un nome (tanto c’era un’altissima probabilità che
morissero), e una volta raggiunta l’autonomia venivano catapultati nel mondo
degli adulti.
Non c’era nessuna separazione tra il mondo dei bambini e quello dei grandi,
appena il bambino poteva vivere senza le cure costanti della madre, della nutrice
o della bambinaia, apparteneva alla società degli adulti e non si distingueva piø
da essa.
DeMause, uno degli studiosi piø noti della storia dell'infanzia, scrive: «la storia
dell'infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo cominciato a
destarci. Piø si va addietro nella storia piø basso appare il grado di attenzione
per il bambino, e piø frequentemente tocca a costui la sorte di venire assassinato,
1
Tranne dove diversamente citato il capitolo si basa sulla lettura del testo
H. Cunningham, Storia Dell’infanzia, XIV-XX Secolo, Bologna, Il Mulino, 1997
2
E. Becchi, J. Dominique, Storia Dell’infanzia, Dall’antichità Al 600, Roma, Laterza, 1996,
p. XII
8
abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire violenze sessuali»
3
.
In passato il bambino è sempre stato considerato un individuo poco importante e
poco rilevante, ha sempre occupato una posizione inferiore di cui si parla poco e
di cui scompaiono le tracce se si parla di ceti meno abbienti, di società contadine
e proletarie, vissuti sempre all’ombra della storia.
Fino all’inizio dell’età moderna il bambino e la bambina non avevano alcuna
considerazione sociale e giuridica ed erano gli adulti a decidere per loro o
addirittura a pronunciarsi a favore della loro esistenza.
La storia dell’infanzia nell’antichità è legata a storie di infanticidio, abbandono,
vendita di bambini, allattamento mercenario e violenze.
E queste pratiche erano molto comuni nel mondo dei poveri, ma non solo.
Nella Grecia classica, e in particolare a Sparta, era la legge a stabilire le unioni
coniugali e a controllare le nascite, le gestanti venivano seguite periodicamente
dal governo sia durante il periodo della gravidanza, sia dopo il parto, per
controllare che il neonato fosse forte e vigoroso. In caso contrario il governo ne
decideva l’esposizione o in casi peggiori l’infanticidio.
Non molto diversa la condizione dell’infanzia ad Atene, dove era il
capofamiglia, generalmente il padre, ad accogliere il bambino e a riconoscerne il
diritto alla sopravvivenza e dove i bambini potevano essere rifiutati in
qualunque momento, perchØ deformi, perchØ frutto di violenze sessuali o di
3
L. deMause, L’evoluzione dell’infanzia, in Storia dell’Infanzia, a cura di Lloyd
deMause, Milano, Emme Edizioni, 1983, p. 3
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relazioni illecite o piø semplicemente perchØ presagio di malasorte o addirittura
di morte.
In questo ultimo caso l’infanticidio assumeva spesso la forma del sacrificio
umano in onore delle divinità, pratica diffusissima nell’antichità.
Ai bambini venivano conferiti poteri divini, il ruolo che svolgevano nei riti
religiosi era importante, ma a questa divinazione non corrispondeva una reale
valorizzazione della sua età non era quasi mai segno di alta reputazione sociale,
«semplicemente venivano considerati piø vicini degli adulti al mondo divino
perchØ in quello umano occupavano una posizione marginale, come le donne e
gli schiavi, e anche perchØ c’era un’alta probabilità che morissero prima di
raggiungere l’età adulta e di entrare a far parte della società».
4
Gli stessi riti di sepoltura, dice Cunningham, evidenziano una scarsa
considerazione sociale dell’infanzia, poichØ si trattava di riti differenti a
seconda che a morire fosse un adulto o un bambino.
Un bambino, infatti, non aveva un’ adeguata sepoltura, tanto che spesso si
preferiva seppellirlo all’interno di un edificio
5
, non gli veniva riservata neanche
una cerimonia di accompagnamento del feretro, e veniva sotterrato di nascosto,
generalmente di notte.
4
H. Cunningham, op. cit. p. 35
5
Murare dei bambini nelle fondamenta di un edificio o nei pilastri di un ponte, per rinforzarli,
è una pratica che possiamo seguire appunto dal tempo delle mura di Gerico ad una data
recente, il 1843, in Germania. Al giorno d'oggi, quando i bambini concludono il gioco del
«London Bridge is Falling Down » afferrando e tenendo stretto uno del gruppo, rappresentano
in realtà il sacrificio ad una dea fluviale. (L. deMause, L’evoluzione dell’infanzia, in Storia
dell’Infanzia, a cura di Lloyd deMause, Milano, Emme Edizioni, 1983, p. 18)
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Lo stesso accadeva nella società romana, dove all’interno della famiglia
l’autorità del padre era assoluta (patria potestas). Tale autorità arrivava al potere
di vita e di morte, era lui a decidere se un neonato dovesse essere abbandonato,
ed era sempre lui ad avere l’autorità di condannare e uccidere il proprio figlio.
Un rituale quello dell’abbandono che veniva compiuto nel piø totale silenzio,
senza bisogno di parlare, senza alcuna necessità di giustificare la scelta,
affidando ad un gesto la sorte del neonato.
Nell’antica Roma uno dei doveri dei cittadini nei confronti dello Stato era quello
di generare eredi, la perpetuazione della specie e la procreazione
rappresentavano l’unico scopo del matrimonio e della vita familiare, per cui le
coppie senza figli ricorrevano spesso alla soluzione di adottare un trovatello e di
presentarlo alla società come figlio legittimo.
L’infanzia non era considerata importante di per sØ, ma era parte di un processo
finalizzato alla creazione di un buon cittadino.
Hugh Cunningham analizza in particolar modo le pratiche legate all’infanticidio,
alla vendita dei bambini, all’abbandono e all’allattamento mercenario e secondo
alcuni questi elementi contraddistinguono il modo di allevare i bambini nel
mondo antico, sono indicativi degli atteggiamenti generali verso i medesimi e
lasciarono un legato ai secoli successivi.
L’infanticidio fu dominante fino al IV secolo, e le femmine erano piø a rischio
rispetto ai maschi. L’abbandono dei bambini per alcuni era paragonato
all’infanticidio, questi bambini andavano incontro alla morte quasi sempre.
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Quando non morivano venivano spesso raccolti per diventare schiavi o prostituti
e solo in casi fortunati potevano sperare di essere raccolti da famiglie benestanti,
oppure adottati e spacciati come figli legittimi da una donna incapace di
concepire o reduce da piø aborti o ancora il cui figlio appena nato fosse nato
morto.
Non esistevano istituzioni per i bambini abbandonati come i ricoveri per i
trovatelli, la loro sopravvivenza era dovuta alla gentilezza degli estranei, persone
che raccoglievano questi bambini e li allevavano. La società romana non
condannava l’abbandono, non esistevano leggi che condannavano tale pratica,
venivano abbandonati con maggiore frequenza le femmine e i figli di genitori
poveri.
L’allattamento mercenario era un’altra delle pratiche diffuse nell’allevamento
dei figli, anche e soprattutto nei ceti superiori dove le mamme avrebbero potuto
allattare i propri piccoli senza ricorrere alla balia, come invece era costretta a
fare una donna schiava che in questo modo poteva ritornare a lavorare oppure
restare nuovamente incinta e partorire un altro schiavo, in quanto era ben noto
che l’allattamento al seno aveva un effetto contraccettivo.
La vendita dei bambini era condannata, soprattutto perchØ avrebbe potuto
causare la loro riduzione in schiavitø. I genitori potevano vendere i propri figli,
ma lo Stato non voleva che cittadini romani liberi fossero ridotti in schiavitø,
«essa era non solo un destino peggiore della morte, ma era la morte agli occhi
12
della legge, poichØ gli schiavi non erano persone dal punto di vista giuridico»
6
.
Nel III secolo la legge interveniva in casi di abbandono soltanto per
salvaguardare lo status sociale o sostenere la validità della patria potestà
7
. Il
decreto non era diretto a impedire tali vendite: esso tendeva semplicemente a
risolvere specifici problemi giuridici che sorgevano quando “una persona libera
viene venduta”.
In oltre, fin dagli albori della storia, la sorte del bambino fu quella di essere
oggetto di violenza sessuale.
Durante l'antichità, il bambino trascorreva i primi anni di vita in un clima di
violenza sessuale. Crescere in Grecia e a Roma spesso significava essere usato
sessualmente dagli uomini piø vecchi. Tutte le città avevano bordelli con
ragazzi, e ad Atene si poteva persino affittare la loro compagnia.
In modo particolare Atene si distingueva per le norme sulla pederastia.
Gli ateniesi ritenevano che l'amore, anche fisico, che poteva legare un adulto ad
un giovane fosse una condizione favorevole alla trasmissione del sapere e delle
leggi della città e consentisse di trasmettere la saggezza acquisita con l'età.
Ciò che interessava del ragazzo non era la sessualità in sØ, quanto la sua
formazione e lo sviluppo della personalità. Così la pederastia era non soltanto
accettata ma era possibile nel rapporto maestro-allievo.
6
J. Boswell , L’abbandono dei bambini in Europa occidentale, Milano, Rizzoli, 1991, p. 46
7
Ibid.
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1.2. La separazione dell’infanzia dal mondo degli adulti
Nel mondo medievale la concezione dell’infanzia e del bambino non cambia
molto. Secondo Philippe Aries nel Medioevo il sentimento dell’infanzia non
esisteva
8
, il concetto specifico dell’infanzia era sconosciuto e ciò si poteva
verificare anche nell’arte: «L'arte medievale, all'incirca fino al XII secolo, non
conosceva l'infanzia o non tentava di rappresentarla” poichØ “gli artisti
riuscivano a rappresentare il bambino solo come un uomo in formato ridotto».
A indicare che una figura rappresentava un bambino era la sola dimensione
9
.
L’assenza del sentimento si poteva individuare nel fatto che si chiedeva ai
bambini di crescere molto in fretta e la società per incoraggiare questa fase
chiedeva ai genitori di inibire manifestazioni di tenerezza e di adottare un
atteggiamento distante e indifferente, così che potessero maturare prima
possibile.
Anche le cure che gli adulti riservavano al bambino, che veniva presto
allontanato dalla famiglia d’origine e costretto a trasferirsi in casa d’estranei per
ricevere un’educazione che solitamente finiva nell’apprendistato, erano quasi
sempre finalizzate ad affrettare il suo processo di crescita e a farlo diventare
adulto nel minor tempo possibile.
I bambini venivano inviati presso un’altra famiglia dello stesso ceto per
apprendere le buone maniere, per acquisire i modi della vita adulta, per
8
P. Ariès, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Laterza, 2006
9
H. Cunningham, op. cit., p. 40