Introduzione
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Introduzione
Il ruolo cruciale dell’innovazione tecnologica nel stimolare la produttività, la
crescita economica e il tenore di vita è stato ampiamente riconosciuto da
economisti e politici di tutti i tempi.
Nel 1999 Michael E. Porter scriveva:
“No advanced economy can maintain high wages and living standards, and
hold its own in global markets, by producing standard products using standard
methods. In a rapidly integrating world economy where lower wage developing
countries are quickly improving their skills and can access today’s technology,
U.S. prosperity depends on whether we can remain a moving target. We must
continually improve our ability to identify and commercialize new products,
services, and processes. Those must be high-value (even unique) to yield the
productivity growth needed to generate profits and support high-wage jobs”.
La capacità innovativa di un paese si traduce in beni, servizi, organizzazione
del processo produttivo di qualità sempre più alta. Sono le innovazioni di
prodotto e di processo a sostenere la crescita di lungo periodo, aumentando la
produttività del sistema; l’elevato tasso di innovazione che sostiene la crescita,
si realizza mediante un meccanismo di selezione e di “distruzione creatrice”
delle iniziative imprenditoriali.
Col passar degli anni, innovare è divenuto un imperativo imprescindibile
anche per le imprese di più piccole dimensioni sia a causa della sempre
maggiore “turbolenza” dei mercati che del progressivo indebolimento di quella
sorta di protezione costituita dalla produzione in piccola serie. Anche in questo
campo, che fino a pochi anni fa era di dominio incontrastato delle piccole
imprese, l’avvento delle nuove tecnologie ha fatto si che le imprese di
dimensioni maggiori si presentassero come più competitive dal lato dei costi di
produzione uniti ai ben noti vantaggi che le unità più grandi hanno rispetto alle
piccole nelle diverse funzioni aziendali. La vera e propria chiave del progresso
economico è perciò garantire che gli innovatori possano svolgere il loro ruolo e
che non siano esclusi dal sistema produttivo.
Introduzione
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Invece ci troviamo ad avere, che più della metà delle imprese dei principali
paesi europei soffre della mancanza di risorse finanziarie e che a causa dei
vari vincoli fronteggiati dai progetti innovativi, le imprese ritardano,
abbandonano o rinunciano ad effettuare un progetto innovativo.
In questo lavoro vogliamo andare ad analizzare il legame esistente tra
finanza, innovazione e crescita.
Nel primo capitolo si presenta una rassegna della recente, e vasta,
letteratura economica teoria ed empirica che analizza il legame tra finanza e
crescita. Successivamente la letteratura si è soffermata ed interrogata se sia
più adatto per sostenere gli investimenti e favorire la crescita economica, un
sistema finanziario orientato ai mercati o orientato alle banche; è proprio su
questo punto che si trovano le principali diversità di vedute. Ma dallo studio
della relazione finanza-crescita si mette bene in chiaro come sia possibile
giungere a conclusioni solide senza tenere conto dei contesti dei contesti
istituzionali in cui si sviluppano tali relazioni.
Nel capitolo successivo, si affronta il tema dell’innovazione partendo
dall’analisi di Smith e Schumpeter, passando poi in rassegna le specifiche
caratteristiche dell’attività innovativa. L’abilità di innovazione di un sistema
economico dipende sia dalle capacità imprenditoriali del sistema stesso sia
dalle possibilità di accesso dei progetti innovativi alle fonti finanziarie
adeguate. Il finanziamento è l’ostacolo all’innovazione più frequentemente
citato dalle imprese, le ragioni di tale difficoltà sono da ricercare nella natura
stessa delle imprese innovative. Queste ultime soffrono dei tradizionali
problemi scaturenti dalla presenza di asimmetria informativa presente nel
mercato del credito; aggravati dall’incertezza che circonda il progetto in cerca
di finanziamenti e la natura di intangible assets propria dell’attività innovativa.
Il capitolo si conclude con le varie opinioni contradditorie legate alla scelta
ottimale tra le fonti di finanziamento: utilizzo di finanza interna o il ricorso alla
finanza.
Nell’ultimo capitolo, si vuole mettere in luce la relazione tra finanza,
innovazione e crescita: da un primo quadro generale sul grado di restrittività
della regolamentazione bancaria e finanziaria dei Paesi, si passa all’analisi vera
e propria di come e quanto gli ostacoli finanziari incidono sull’attività delle
imprese. Da un’analisi dettagliata si evince che le vari fonti di ostacolo
Introduzione
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influenzano tutti i tipi di imprese, in particolar modo quelle innovative
causando ritardi, abbandoni o addirittura ostacolano l’inizio del progetto
innovativo. Infine si vuole verificare se il ruolo del credito bancario e della
liberalizzazione finanziaria sono realmente in grado di incrementare le
possibilità di R&S e di crescita economica in Germania, Spagna, Francia, Italia,
Regno Unito, Stati Uniti.
CAPITOLO 1 Finanza e Crescita
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Capitolo 1
FINANZA E CRESCITA
1.1 La letteratura teorica
Per oltre un secolo gli economisti hanno tentato di spiegare il ruolo svolto
dal settore finanziario nel processo di crescita economica; il nesso finanza
crescita è alla base di un lungo dibattito di letteratura.
I primi contributi di Bagehot e di Schumpeter attribuirono un ruolo centrale
alla finanza, il primo nell’ambito del processo di crescita economica ai tempi
della Rivoluzione Industriale ed il secondo riconoscendo nel sistema
finanziario, in particolare alle banche, il ruolo di scoprire e finanziare quegli
imprenditori e quei progetti portatori di innovazioni tecnologiche fondamentali
nel determinare la crescita economica. Successivamente si susseguirono un
numero considerevole di ricerche incentrate su tale tema.
Inizialmente l’interesse si è rivolto verso la validazione di un modello che
spiegasse il nesso causale tra evoluzione del sistema finanziario e crescita
economica, tentando di trovare motivazioni valide tali da poter essere
contrapposte alla tesi che vede il sistema finanziario variabile dipendente della
crescente complessità delle economie industriali.
Principalmente grazie al contributo di Goldsmith (1969), si è iniziato a tener
conto della spinta propulsiva della variabile finanziaria nei processi di sviluppo
economico.
Fino agli anni sessanta, i paradigmi teorici rivolti verso il ruolo e la funzione
dell’intermediazione finanziaria nel sistema economico sono quasi tutti
collegati alle teorie keynesiane, dove si può riconoscere una prima
dimostrazione della possibilità che un sistema economico possa evolversi ad
un tasso inferiore a quello necessario ad assicurare la piena occupazione delle
risorse. Sebbene il credito costituisca un importante elemento nel pensiero di
Keynes, in relazione anche all’instabilità del ciclo economico, la letteratura
macroeconomica ha considerato per lungo tempo la sfera finanziaria
dell’economia “neutrale” rispetto a quella reale. L’influsso del pensiero
CAPITOLO 1 Finanza e Crescita
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neoclassico, fondato sul carattere intrinseco di sostanziale stabilità, ha aiutato
ad affermare la tesi secondo la quale il credito limita la propria azione ai
fenomeni di accelerazione delle fluttuazioni del ciclo economico, trascurando
del tutto le componenti di instabilità. Le teorie keynesiane e la conseguente
ipotesi di instabilità nei modelli di sviluppo, non riuscirono a riportare al centro
del dibattito il ruolo del credito e degli intermediari, e sottovalutarono
l’intuizione che il sistema creditizio potesse ricoprire un ruolo di
razionalizzazione delle risorse.
La sintesi neoclassica del pensiero keynesiano, infatti, considerando i
mercati perfettamente concorrenziali e tendenti ad una sostanziale stabilità,
ha di fatto reso superfluo il ruolo degli intermediari ed ha affermato la logica
dell’interdipendenza tra le varie componenti del sistema economico a scapito
di una logica fondata sui nessi di causalità (Kregel J.A, 1983).
Successivamente le teorie dei monetaristi, presuppongono una sostituzione
imperfetta tra attività finanziarie e variabili reali e non attribuiscono al
settore finanziario una capacità di impatto sul sistema economico. Alla base
delle loro teorie risiede l’ipotesi di insostituibilità degli input di natura
finanziaria con quelli aventi carattere reale: tale distinzione è tale da
determinare una frattura che impedisce agli impulsi di natura finanziaria di
raggiungere il settore reale.
I monetaristi affermano che la crescita del sistema economico è imputabile
solo all’incremento della produttività dei fattori, ed è sostanzialmente legata
all’innovazione tecnologica esogenamente determinata; secondo tale logica il
peso dei mercati e delle istituzioni finanziarie può influenzare la crescita di
lungo periodo solo nella misura in riesca a generare una variazione del tasso
di progresso tecnico.
In tale contesto, il cuore della moderna teoria della finanza
1
, dimostra come
in presenza di mercati di capitali perfetti, il valore di un’impresa sia
indipendente dalla sua politica di finanziamento, con azioni o debito. È infatti,
la presenza di costi d’informazione e di transazione il presupposto per
l’affermazione del ruolo degli intermediari e dei mercati finanziari nell’ambito
dei sistemi economici.
1
Rintracciabile nelle teorie di Modigliani e Miller, 1958.
CAPITOLO 1 Finanza e Crescita
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Con il filone post-keynesiano si è rivalutato il ruolo del credito, e la variabile
finanziaria riacquista un ruolo centrale nei processi economici. In tale teoria,
particolarmente rilevante, è la funzione attribuita alla variabile tempo, la quale
rappresenta il presupposto all’esistenza del credito stesso. Compito della
funzione finanziaria, oltre a quello di trasferire nel tempo la ricchezza, è il
trasferimento “spaziale” delle risorse, che consente di trasferire risorse reali da
soggetti in avanzo a soggetti in disavanzo, secondo una visione
schumpeteriana del sistema economico. Tale approccio può essere considerato
una anticipazione della cosiddetta Nuova Macroeconomia Keynesiana che, a
partire dagli anni Ottanta, è riuscita a spiegare come una serie di inefficienze
dei mercati finanziari siano in grado di generare effetti reali qualitativamente e
quantitativamente significativi (Sau, 2001).
1.2 Legame tra finanza e economia reale: la teoria
dell’intermediazione
Gli studi condotti tra gli anni Sessanta e Settanta hanno fatto emergere una
correlazione significativa tra sviluppo del sistema economico e crescita del
sistema finanziario, anche se probabilmente a causa di un inadeguato
substrato teorico, è solo a partire dagli anni Ottanta che si registra un
proliferare di ricerche in tale ambito.
I principali risultati non sono riusciti, quanto meno inizialmente, a dare una
giustificazione al nesso causale tra le due variabili in oggetto, nel senso che
non è stato immediato comprendere se la correlazione fosse effettivamente
imputabile ad una relazione di causa-effetto ovvero se fosse dovuta alla
variazione di fattori esterni capaci di influire sul grado di sviluppo del sistema
economico e finanziario.
Non tutte le indagini hanno condotto agli stessi risultati, talvolta sono stati
contraddittori, al punto che secondo alcuni autori le variazioni registrate dal
sistema finanziario rappresentano solo una risposta adattiva alla crescita e allo
sviluppo economico (Levine R., 1997).
Sono state svolte numerose analisi (Demirgu ̈ç- Kunt A., Levine R., 2001)
aventi ad oggetto valutazioni parallele dei sistemi economici di diversi paesi,
CAPITOLO 1 Finanza e Crescita
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delle architetture dei diversi sistemi finanziari, del livello e dei modelli di
sviluppo industriale per arrivare ad affermare che il livello di sviluppo
finanziario rappresenta un buon indicatore del tasso di crescita di
un’economia.
Il motivo alla base dell’esistenza dei mercati e degli intermediari finanziari
risiede nelle inefficienze nel sistema economico che impediscono l’allocazione
ottimale delle risorse e la minimizzazione dei costi di trasferimento e di
informazione (Nadotti L., 2002); la presenza di asimmetrie informative e di
costi di transazione incidono sul livello del saggio di risparmio e del tasso di
investimento, hanno effetti sulla capacità di innovazione dell’economia e, di
conseguenza, sul tasso di crescita di lungo periodo. Il trasferimento dei fondi
dalle unità in surplus a quelle in deficit, si attesterebbe a livelli molto contenuti
in assenza di intermediari soprattutto a causa della presenza di costi e di rischi
riscontrabili a monte e valle del processo di investimento (Saunders A. et al.,
2004).
Supponendo di stare dal lato dell’offerta di risorse, l’informazione
incompleta disponibile sul mercato ingenera la necessità di effettuare ex ante
una valutazione delle diverse alternative di impiego e una stima dei rischi di
liquidità e rischio di credito, a cui si devono sommare i costi di monitoraggio
che si devono sostenere per valutare la bontà dell’investimento compiuto.
Possono verificarsi rischi di adverse selection e di moral hazard, tali da
incrementare l’attività di screening e monitoring ex ante ed ex post, che alla
lunga potrebbe condurre ad un razionamento delle risorse, soprattutto se i
costi relativi a tali azioni risultassero eccessivi.
L’accentuamento delle difficoltà incontrate dagli operatori nel discernere un
buon investimento da un cattivo investimento e gli oneri associati al
trasferimento delle risorse finanziarie verso forme di investimento che
dovrebbero sostenere le attività produttive, potrebbe frenare la crescita del
sistema e deprimere l’economia (Capolupo e Celi, 2004).
Vi è ampio consenso in letteratura sul fatto che nelle prime fasi di sviluppo
del sistema economico la funzione di allocazione del risparmio sia destinata ad
essere svolta principalmente dalle banche; le ragioni di questa affermazione
sono diverse e provengono dalle caratteristiche proprie degli intermediari.
Grazie all’attività svolta dagli intermediari finanziari è possibile operare un
CAPITOLO 1 Finanza e Crescita
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frazionamento del rischio e una sua efficiente gestione, poter ottenere
vantaggi in termini di informazione disponibile e di trasparenza contrattuale;
questi elementi consentono di massimizzare le risorse disponibili e di
ottimizzarne l’allocazione.
Tale possibilità deriva dal fatto che gli intermediari, gestendo un ampio
portafoglio di debito, possono, da un lato, far fronte al rischio di insolvenza del
singolo debitore, dall’altro, sfasare le scadenze temporali di entrate e uscite; di
conseguenza, rispetto al singolo investitore, essi supportano un rischio-
rendimento e un rischio-liquidità decisamente più ridotto.
Nel caso degli investimenti innovativi, caratterizzati da un’elevata
probabilità di insuccesso ma anche particolarmente efficaci nei processi di
crescita, difficilmente sono sostenibili da un’unica controparte finanziaria, è
solo grazie all’intervento degli intermediari finanziari possibile trovare risorse
adeguate alla loro realizzazione.
Un altro importante ruolo che gli intermediari finanziari svolgono è quello di
fornire liquidità agli investitori attraverso l’allocazione del risparmio in attività
meno liquide e più remunerative, capaci di incidere sulla produttività del
capitale e quindi sul tasso di crescita dell’economia (Benvivenga et al., 1996) e
minimizzando i rischi legati al disinvestimento preventivo di impieghi a lunga
scadenza. Gli intermediari finanziari possono mitigare i costi di monitoraggio:
infatti disponendo analisi approfondite nella fase antecedente al
perfezionamento del contratto, si trovano ad avere basi di dati utili in fase di
monitoraggio; tali informazioni devono essere solo aggiornate permettendo
così un notevole risparmio sui costi di monitoraggio.
Gerschenkron (1962) ricorre alla capacità di mobilizzare risorse per spiegare
il ruolo fondamentale delle banche nel rilancio dello sviluppo industriale di
Germania e Italia alla fine del diciannovesimo secolo. Il suo lavoro parte dalla
distinzione tra scarsità di capitali a livello di singola impresa, o di risorse
interne accumulate in periodi precedenti, e scarsità di capitali nell’intero
sistema. Se si verifica il primo caso, le banche assumono un ruolo essenziale
nel convogliare risorse dai risparmiatori alle imprese. Tale ruolo risulta tanto
più rilevante quanto più ampia è la scala di investimenti da compiere; al
rilancio dell’industria pesante tedesca nella seconda metà dell’Ottocento
furono necessari ingenti investimenti da parte delle banche. Egli osserva come
CAPITOLO 1 Finanza e Crescita
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il finanziamento erogato non fosse rappresentato soltanto da prestiti ma
prevedesse un coinvolgimento diretto o indiretto delle banche nel capitale di
rischio delle imprese. Inoltre egli sostiene che l’importanza delle banche
dovrebbe avere carattere temporaneo e servire a superare la fase di
arretratezza della struttura produttiva di un Paese
2
.
1.3 Sistemi finanziari bank-based o market-based
Lo sviluppo finanziario, banche o mercati, riducendo il costo relativo alle
imperfezioni di mercato, influenza la crescita.
Si distinguono in letteratura, modelli che privilegiano una struttura
finanziaria basata sulle banche (bank-based) da quelli che preferiscono
l’esistenza di mercati finanziari come promotori di attività che stimolano la
crescita dell’economia (market-based). Gli economisti hanno discusso
intensamente sull’importanza relativa dei diversi sistemi finanziari, cercando di
dimostrare la superiorità nel promuovere lo sviluppo economico dell’uno o
dell’altro.
I lavori inquadrabili nel primo filone hanno individuato nelle funzioni svolte
dal sistema bancario il meccanismo più immediato attraverso il quale il
sistema finanziario influenza la crescita economica; le argomentazioni
tradizionali assegnano alle banche un vantaggio comparato nel fornire la
maggior parte dei servizi finanziari.
L’ipotesi di base è che la relazione tra mutuanti e mutuatari è caratterizzata
da problemi di agenzia determinati da conflitti di interesse tra colui che
fornisce i soldi e ha minori informazioni sul progetto d’investimento, e colui
che richiede il prestito.
In tale contesto, l’intermediazione finanziaria è tale da stabilire strette
relazioni con le imprese, selezionando i mutuatari e offrendo loro contratti
differenziati; da questo punto di vista è da preferire a situazioni di finanza
diretta.
2
Gerschenkron sostiene implicitamente che nelle economie avanzate lo strumento di finanziamento
preferibile siano le risorse interne.