INTRODUZIONE
Il presente lavoro intende ricostruire ed analizzare i processi e le dinamiche attraverso cui
differenti gruppi di interesse sono stati in grado di influenzare l’evoluzione della Politica energetica
europea indirizzandone gli sviluppi recenti verso una politica delle energie rinnovabili ed in
particolare delineando un nuovo programma di policy, noto per l'obiettivo che si propone - “20-20-
20 per il 2020” – e che consiste in un approccio olistico alla politica energetica volto all'inclusione
di concetti di sostenibilità e sicurezza degli approvvigionamenti a fianco di quello di competitività.
Se il Climate and Energy Package
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rappresenta l'espressione più evidente di questa nuova politica
energetico-climatica, altri fattori come il processo di liberalizzazione del Mercato energetico e la
sua connessione con la questione infrastrutturale sono fondamentali al fine di comprendere la
nascita e l'evoluzione di questa nuova politica.
Con riferimento alla struttura del lavoro, nel primo capitolo viene illustrato l'approccio teorico
utilizzato per analizzare l'influenza dei gruppi d'interesse nell'introduzione del tema delle energie
rinnovabili nell'agenda europea. Negli studi di policy, che rappresentano il filone disciplinare di
riferimento, l'individuazione degli attori coinvolti risulta indispensabile per evidenziare le
dinamiche effettive della politica pubblica; nel caso specifico della politica energetica mirata alle
fonti rinnovabili è proprio il formarsi di una nuova coalizione di attori a dare vita ai nuovi sviluppi
di policy: la commistione di interessi tra i produttori di energie rinnovabili ed i gruppi ambientalisti
ha portato ad una condivisione di obiettivi comuni in grado di agire sia a livello nazionale che
europeo. L'azione di lobbying si è svolta sia nelle sede nazionali e comunitarie competenti sia
tramite mobilitazioni pubbliche -nel caso delle tematiche ambientaliste-. Ciò ha portato ad una
politicizzazione della tematica in alcuni Stati membri come Germania e Danimarca, (ma anche la
Spagna, i paesi del Nord Europa), dove i policy makers hanno riconosciuto l’importanza della
doppia questione energetico-climatica e l’hanno inserita nell'agenda politica interna. In virtù di ciò,
questi Stati membri che possiamo considerare first-runners (first comers) sono oggi attori
particolarmente sensibili alle tematiche dell'energia rinnovabile, aspetto molto importante in quanto
fa sì che i gruppi d'interesse nazionali - come ad esempio gli operatori e gli investitori nel settore
1 Tale atto punta a ridurre del 20% delle emissioni di gas serra, ad aumentare l'efficienza energetica del 20% ed a
raggiungere la quota del 20% di fonti da energia rinnovabile nel mix energetico dell'Unione Europea, il tutto entro il
2020.
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eolico in Germania (Michaelowa, 2004) - possano avere una voce anche nel Consiglio dell'Unione
Europea tramite le pressioni esercitate nelle sedi domestiche.
Occorre precisare che il principale obiettivo analitico di questo lavoro sarà quello di osservare e
descrivere la “coalizione a favore” (nel senso di advocacy coalition, che fra poco vedremo) del
ricorso e dell'aumento nell'utilizzo delle energie da fonti rinnovabili. Sarebbe improprio e fuorviante
ritenere che gli Stati membri o i governi nazionali in quanto tali facciano parte di essa; ministri e
governi nazionali sono stati e sono attori della Politica energetica europea che lentamente e con
notevoli difficoltà si è sviluppata nell’ultimo quindicennio entro la cornice del Mercato unico (i cui
contenuti riguardano il coordinamento delle politiche energetiche nazionali, ovvero in parte anche
la regolazione di produzione, vendita e reti); gli Stati membri invece, nel nostro lavoro, vanno
considerati come arene e più precisamente “luoghi” del lobbying europeo e domestico.
In contrapposizione a questa coalizione possiamo individuare quella composta dagli attori con gli
interessi legati alle fonti tradizionali, ovvero i grandi produttori di energia
2
, spesso favoriti da
posizioni di monopolio negli Stati membri (Prontera, 2008). In questo caso si tratta di politiche che
sono rimaste prevalentemente domestiche, gestite dai governi nazionali, pertanto i gruppi
d’interesse agiscono e hanno influenza nell’arena nazionale, benché tutto ciò abbia poi un indubbio
impatto anche nel perseguimento effettivo degli obiettivi stabiliti dalla Commissione Europea.
Al fine di comprendere come gli attori di policy e le coalizioni fra interessi influenzino il processo
decisionale e come la scelta delle venues opportune risulti di strategica importanza, si è ritenuto
opportuno utilizzare un approccio misto che condivide la struttura d'analisi dell'Advocacy Coalition
Framework (Jenkins-Smith e Sabatier 1993, Sabatier 1993, 1998) nella sua versione rivisitata da
Szarka (2010) che introduce il ruolo degli interessi economici accanto a quello dei core beliefs. Tale
scelta deriva dall'inadeguatezza dell'ACF nello spiegare il processo di coalition building, che nel
presente lavoro viene ritenuto conseguenza dell'interazione tra idee (i.e. gruppi ambientalisti) ed
interessi (produttori di energie rinnovabili), creando coalizioni con caratteristiche di volta in volta
differenti in base all'obiettivo da raggiungere (Webster 2000). Questa commistione di approcci
d'analisi darà vita all'approccio che verrà utilizzato, definito come “Advocacy Coalition Framework
con Self-interest”.
2 È importante evidenziare fin d'ora che questi grandi gruppi operanti nel settore energetico tradizionale si ritrovano
anche all'interno delle associazioni di produttori di energie rinnovabili che agiscono a Bruxelles. Vedremo come si
tratti di una diversificazione degli investimenti che è andata via via tramutandosi in uno scontro a livello
sovranazionale, con organizzazioni ombello che presentano posizioni opposte sebbene condividano spesso parte
della propria membership. Il lavoro evidenzierà come una simile dinamica sia stata resa possibile dalle maggiori
possibilità di successo che i rami delle utilities che gestiscono le energie rinnovabili hanno riscontrato nella pratica
di lobbying a livello europeo rispetto all'attività presso i governi nazionali (con le dovute eccezioni quali Germania,
Danimarca, ecc.).
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Nel secondo capitolo si prende in esame la struttura del lobbying europeo. La direttrice del
cambiamento che ha portato ad una crescita esponenziale dell'attività dei gruppi d’interesse a
Bruxelles viene individuata nel processo di attuazione del Mercato unico, iniziato nella seconda
metà degli anni ottanta. Il completamento del Mercato unico e l’avvio di nuove politiche come
quella ambientale, della ricerca, della coesione ha portato ad un progressivo trasferimento di
competenze a livello sovranazionale, con uno shift of power che ha visto crescere in quantità ed
intensità le ricadute domestiche del policy making comunitario.
Dopo una breve descrizione delle dinamiche di attivazione e di organizzazione dei principali gruppi
di pressione individuabili a Bruxelles (organizzazioni ombrello, associazioni di produttori, singole
aziende, lobbisti di professione) ed una breve ricostruzione storica dell'evoluzione del lobbying
europeo (par 2.1), l'analisi si concentrerà, nel paragrafo 2.2, sui rapporti tra i gruppi d'interesse e le
istituzioni europee. Questo aspetto risulta particolarmente interessante per comprendere come tale
processo di interazione sia in alcuni casi un processo di collaborazione motivata dallo scambio di
expertise. A tal proposito ampio spazio verrà dedicato allo studio sulla struttura aperta della
Commissione Europea, che non solo risulta essere favorevole alla consultazione con i gruppi di
interesse, ma incentiva essa stessa tale processo in virtù della necessità di dare vita a politiche
condivise, oltre che del bisogno di utilizzare le conoscenze specifiche dei gruppi coinvolti
(Richardson, 2006). Allo stesso tempo i gruppi d'interesse hanno forti incentivi a stabilire relazioni
con i commissari, poiché è nella fase di formulazione di una politica, della prima stesura e della
discussione tra le DG coinvolte che la politica può essere modificata. Secondo Hull (1993) una
volta che la proposta viene approvata ed inviata al Parlamento ed al Consiglio la possibilità di
modificarla viene ridotta al 20%. Risulta inoltre importante distinguere all’interno della
Commissione, l'azione delle varie DGs; nello specifico, DG Ambiente, DG Clima e DG Energia
hanno spesso un ruolo centrale nelle azioni della Commissione in quest'ambito, così come la DG
Industria si trova spesso in opposizione ad importanti obiettivi di salvaguardia ambientale dati i loro
importanti costi economici.
Sebbene la Commissione sia il luogo principale del lobbying europeo, nel sottoparagrafo 2.2.2 si
illustrerà come anche il Parlamento abbia visto un crescente interesse dei gruppi, man mano che le
sue competenze si sono ampliate ed approfondite, specialmente a partire dall'adozione del Trattato
di Maastricht. Data la connotazione più politica che tecnica di questa istituzione, i gruppi che
tradizionalmente si sono rivolti al PE come interlocutore sono stati quelli ambientalisti, dei
consumatori o promotori di istanze sociali. Con gli anni ’90, si è ampliata la possibilità di
emendare le proposte della Commissione, grazie all’introduzione della procedura di codecisione, e
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quindi anche i rappresentanti di interessi economici hanno iniziato ad intrattenere rapporti costanti
con i parlamentari europei. Il luogo che presenta dinamiche completamente diverse risulta essere il
Consiglio dell'Unione Europea: nonostante l'introduzione del voto a maggioranza qualificata nelle
materie concernenti il Mercato unico nel 1986, l'attività dei gruppi di pressione ha continuato a
rivolgersi principalmente verso gli esecutivi nazionali, anche se un certo livello di coordinazione
transnazionale si è reso via via necessario per raggiungere minoranze qualificate in grado di
bloccare l'adozione di proposte della Commissione. Altra istituzione di un certo rilievo per l'oggetto
dell'analisi, spesso sottovalutata dalla letteratura, è la Corte di Giustizia Europea; va subito detto
che essa non è oggetto del lobbying alla pari di altre, tanto più che essa interviene solamente alla
fine del processo decisionale, dopo che una misura è stata approvata e una nuova politica
formalizzata. Tuttavia, proprio per il fatto che la Corte ha poteri di enforcement si è spesso rivelata
fondamentale nell'obbligare governi recalcitranti ad adempiere al diritto comunitario, in particolare
nel caso della parità dei diritti salariali tra donna ed uomo e dell'implementazione delle normative
ambientali da parte degli Stati membri (Mazey e Richardson, 1993)
3
.
Nel terzo capitolo verrà presa in esame la Politica energetica europea anzitutto da una prospettiva
storica. Pur essendo sempre stata parte del processo d'integrazione europea sin dal suo inizio con la
Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) e poi con l'istituzione della Comunità
Europea dell'Energia Atomica (EURATOM), non si è mai sentita l’esigenza da parte dei governi
nazionali o da parte della Commissione – che pure ha preso l’iniziativa in diversi altri ambiti - di
elaborare un programma per una politica comune in questo settore. Infatti i miglioramenti
tecnologici per la produzione di energia, lo sviluppo delle risorse domestiche ed i prezzi bassi
all'importazione (con la sola interruzione della crisi petrolifera del 1973), hanno di fatto ostacolato
l'integrazione europea nel campo energetico, favorendo il mantenimento della piena sovranità
nazionale sulla politica energetica. Inutile dire che le stesse caratteristiche delle politiche
energetiche nazionali, e la loro collocazione strategica nelle politiche economiche, di crescita e di
sviluppo, hanno favorito l’isolamento dell’arena domestica, dove i governi e le grandi aziende –
pubbliche, semi pubbliche o private ma a controllo pubblico, ecc. – sono stati a lungo gli attori
monopolisti delle politiche energetiche. Il vettore di cambiamento viene identificato in questo caso
nella decisione di liberalizzare ed unificare il mercato dell'energia europea, questione che ha portato
alla vera e propria creazione di una politica energetica riconosciuta con il Trattato di Lisbona.
Sulla base di quanto precedentemente esposto nel capitolo 2, vedremo nel paragrafo 3.2 come gli
stakeholders coinvolti abbiano influenzato le direttive RES ed ETS, rispettivamente ritenute il
3 Poiché nel nostro caso di studio l'interest representation presso questa istituzione non ha avuto un impatto
particolarmente rilevante, questa non verrà trattata nello specifico.
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punto più alto della politica europea sulle energie rinnovabili e della politica europea per la
riduzione delle emissioni di CO
2
. Verrà quindi analizzato il processo che ha visto l'entrata del tema
delle energie rinnovabili nell'agenda della Commissione. L'inizio è individuabile nel Piano d'azione
del 1997 che prevedeva il raggiungimento del 12% di energia derivante da fonti rinnovabili; tale
obiettivo è stato formalizzato dalla direttiva sulla Promozione dell'elettricità da fonti rinnovabili del
Settembre 2001, grazie alla spinta rappresentata da quanto fissato e sottoscritto dall’UE con il
protocollo di Kyoto. Tuttavia, poiché tali obiettivi non avevano carattere vincolante, apparve da
subito chiaro che non sarebbero stati raggiunti, perciò la Commissione riformulò la questione
presentando la Renewable Energy Roadmap, che chiedeva il raggiungimento del 20% di energia
prodotta tramite fonti rinnovabili. Ciò venne confermato dal summit del 2007 ed alla fine del 2008
venne raggiungo l'accordo sulla versione finale della direttiva sulle energie rinnovabili. A giugno
2010 gli Stati membri hanno dovuto presentare dei piani nazionali volti al raggiungimento degli
obiettivi richiesti entro il 2020. Le difficoltà comunque rimangono, a sostegno di ciò basti pensare
alle recenti affermazioni del Commissario per l'energia Oettinger (Euractiv 2011) che ha richiamato
l'attenzione sulla necessità di raddoppiare gli investimenti nel campo delle energie rinnovabili al
fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. Risultano fondamentali in questo processo i gruppi
produttori di energie rinnovabili, in particolare nel campo dell'eolico, e l'acquisizione di forza delle
associazioni transnazionali che raccolgono l'industria dell'energia rinnovabile. Inoltre la crescente
sensibilizzazione sulle tematiche ambientali da parte della Commissione, grazie all'azione della DG
Ambiente, nonché del Parlamento Europeo, spesso influenzato dall'azione delle associazioni
ambientaliste, ha portato all'adozione di obiettivi sempre più ambiziosi, fino a portare all'adozione
della direttiva 2009/28/EC. Contestualmente si esporrà la ricostruzione del processo decisionale che
ha visto la progressiva formulazione, approvazione ed attuazione delle prime due fasi dell'Emission
Trading Scheme, nonché l'approvazione della terza. Queste due tematiche vengono analizzate
assieme al fine di rilevare tramite position papers, letteratura ed agenzie stampa specialistiche la
collaborazione all'interno della coalizione energetico-ambientale.
Elemento di straordinaria importanza per il nostro caso di studio è il processo di liberalizzazione e
formazione del Mercato Interno dell'Energia (IEM), trattato nel paragrafo 3.4 e, con riferimento alle
problematiche di carenza infrastrutturale, al 3.5. Si dimostrerà come il processo di creazione di un
Mercato Interno dell'Energia prese il via già dalla fine degli anni ottanta, incontrando presto
l'opposizione di alcuni Stati membri sui quali agivano ed agiscono i grandi monopoli nazionali. Si
evidenzierà come la mancata realizzazione di un efficiente mercato unico dell'energia e la carenza
di infrastrutture sia uno degli elementi decisivi comportanti un impedimento per il pieno
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sfruttamento delle energie da fonti rinnovabili. A tale proposito verranno ampiamente trattate le
tematiche afferenti al processo decisionale che hanno coinvolto la formulazione e l'approvazione del
Third Energy Package, in particolar modo quella del Mandatory Ownership Unbundling (MOU) al
sottoparagrafo 3.3.2. Verranno inoltre brevemente richiamate le modifiche apportate dall'inclusione
del capitolo energia nel Trattato di Lisbona, che formalizzano la Politica energetica europea basata
sulla sicurezza degli approvvigionamenti, efficienza energetica e sviluppo delle energie rinnovabili,
senza tralasciare la contraddizione in cui questi tre elementi sembrano cadere allo stato attuale.
Il capitolo 4 si divide in due parti: la prima (4.1) espone la validazione dell'approccio teorico
formulato nel primo capitolo sulla base della letteratura fino a qui raccolta. Ciò che qui si intende
fare non è tanto entrare nel merito tecnico-sostanziale della direttiva o del pacchetto energia
adottato dal Consiglio, quanto analizzare tramite l'approccio teorico identificato nel primo capitolo
il ruolo della DG Energia, DG ambiente, Consiglio europeo per le energie rinnovabili (EREC) ed
altre organizzazioni ombrello che rappresentano gli interessi dei produttori di energie rinnovabili,
gruppi ambientalisti, ma anche interessi industriali nei singoli Paesi membri (che senza misure ad
hoc sarebbero stati pesantemente danneggiati dal meccanismo obbligatorio di acquisto dei diritti
d'emissione). Se questa parte sembra confermare l'esistenza di una coalizione stabile a livello
sovranazionale, il riscontro empirico presentato nei paragrafi 4.2, 4.3, 4.4, la contraddice, almeno in
parte. Tale indagine empirica è stata realizzata grazie alla borsa di studio della Facoltà “R.Ruffilli”
che ha permesso una raccolta di dati qualitativi attraverso lo strumento delle interviste nel mese di
luglio 2011 a Bruxelles. La scelta degli intervistati e le modalità di intervista sono esposte al
paragrafo 4.2, mentre l'analisi dei dati coinvolge i paragrafi successivi: il 4.3 si focalizza sulle
percezioni degli stakeholders e di attori istituzionali in merito al processo di formazione della
coalizione energetico-climatica e del suo ruolo all'interno dello sviluppo di questa nuova politica
trasversale; in tal modo – e sulla base anche della letteratura disponibile specie sotto forma di saggi
pubblicati da riviste europeiste (JEPP, JCMS) -, verrà fornito un quadro in grado di determinare
quali sono stati i meccanismi formali ed informali nella fase di agenda setting e di formulazione da
parte della Commissione, tali da portare alla direttiva in esame ed all'approvazione dell'intero
pacchetto energia da parte del Consiglio. Proseguendo, il paragrafo 4.4 pone l'attenzione
esclusivamente sulle modalità e le dinamiche di lobbying concernenti la politica in esame. Vengono
analizzate le modalità di accesso dei gruppi di interesse alle istituzioni e la stabilità della coalizione
energetico-climatica, tenendo a mente quanto visto nel capitolo 2.
Nell'ultimo e conclusivo paragrafo 4.5 verrà valutata l'adeguatezza dell'approccio teorico scelto.
L'analisi evidenzierà le lacune legate ad una visione strettamente razionalistica e meccanicistica del
10
policy making europeo, specialmente per quanto concerne il nostro caso di studio. Esso infatti
risulta essere particolarmente instabile a causa della grande esposizione a fattori esogeni ed al
notevole numero di attori coinvolti, cosa che evidenzia tutti i limiti di un approccio che presuppone
la razionalità perfetta delle coalizioni e dei loro membri. Questa constatazione ci porterà a
concludere che sia verosimile ritenere approcci diversi più adeguati allo scopo, individuando a titolo
esemplificativo l'approccio noto come garbage can politics.
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CAPITOLO 1
DEFINIZIONE DELL'APPROCCIO TEORICO
1.1. Premessa
Il processo di definizione del modello teorico è conseguenza del riconoscimento della singolarità
della political coalition analizzata, dove per political coalition si intende l'insieme di gruppi di
pressione uniti per raggiungimento di un obiettivo politico comune (Hula 1995). Il caso preso in
esame vede la collaborazione tra gruppi d'interesse industriali, quali le associazioni di produttori di
energia da fonti rinnovabili, che cercano di massimizzare l'utilità
4
dei propri membri (secondo la
visione di gruppo d'interesse in Olson (1971), ed associazioni no profit ambientaliste le cui
preferenze sono altre rispetto alla massimizzazione dell'utilità (Webster 2000). Alla luce del
progressivo aumento di importanza nell'ultimo ventennio delle tematiche energetiche connesse a
quelle ambientali in ambito comunitario, è ragionevole ritenere tale coalizione come una Complex
coalition secondo il paradigma di Loomis (1986). Infatti si tratta di un'alleanza a lungo termine
concernente numerose tematiche energetico-ambientali, non limitata a singoli regolamenti tecnici,
bensì con caratteri più ampi, fino ad arrivare all'obiettivo di una terza rivoluzione industriale
(Piebalgs 2009).
Alla luce di quanto detto, l'analisi di questa peculiare Complex coalition rende inadeguati tanto
approcci analitici che vedono l'attività di lobbying come un'attività a carattere meramente
economico (Olson 1971) dove “L'incentivo a formare e mantenere un gruppo d'interesse deriva
dagli effetti dell'attività di lobbying sul livello dei profitti” (Damania e Fredriksson 2000), quanto
approcci che individuano nei valori il motore dell'attività dei gruppi e nel policy learning il motivo
del cambiamento delle politiche. Ad esempio, l'Advocacy Coalition Framework (ACF) (Jenkins-
Smith e Sabatier 1993, Sabatier 1993, 1998), ma anche l'Epistemic Communities Framework (ECF)
(Haas 1992) individuano nella consultazione tra imprenditori di policy e comunità epistemiche la
ragione del cambiamento delle policies, ma tralasciano il ruolo degli interessi economici e, a nostro
parere, sottovalutano la questione dell'advocative research, ritenendo infatti la ricerca scentifico-
4 Intesa in Olson 1971 come interesse economico
13
tecnologica priva di pregiudizi di sorta.
Si rende pertanto necessaria la costruzione di un approccio teorico utile ad analizzare una coalizione
dove alcuni membri siano mossi da motivazioni strettamente economiche (i.e. l'industria delle
energie rinnovabili), mentre altri agiscono su base ideal-ideologica, come le associazioni
ambientaliste. Per fare questo si è deciso di optare per una versione modificata dell'ACF di Sabatier
(1998 in particolare) che tenga conto anche del ruolo del lobbying come influenza esercitata a fini di
profitto individuale, sulla falsariga del lavoro di Szarka (2010). In primo luogo verranno analizzati i
pro ed i contro dell'utilizzo dell'ACF, poi verranno inserite le necessarie modifiche.
1.2. Analisi dell'advocacy coalition framework
Le premesse da cui muove l'ACF (vengono presi in considerazione principalmente Jenkins-Smith e
Sabatier 1993 e Sabatier 1998) sono le seguenti:
1. Al fine di comprendere il processo di policy change, ed il ruolo dell'informazione tecnica
5
in
esso, è necessaria una prospettiva temporale di almeno dieci anni. Ciò risulta necessario per
analizzare l'implementazione di eventuali politiche.
2. L'unità di analisi più adatta per comprendere il processo politico nelle società industriali
moderne non è qualche specifica organizzazione bensì il sottosistema/dominio di policy
(policy subsistem o policy domain). Tale sottosistema consiste di attori, di ampia e diversa
provenienza, interessati ad una particolare problematica di politica pubblica concernente il
loro sottosistema (i.e. energia, ambiente, agricoltura, trasporti etc.) ed in grado di influenzare
il dibattito attorno alla stesura di tale politica e più in generale capaci e volenterosi di
influenzare qualsiasi policy nel loro sottosistema.
3. Qualsiasi sia il dominio di discussione, il policy subsystem tende ad includere attori da vari
livelli governativi all'interno di un Paese e, progressivamente, includerà anche
organizzazioni internazionali ed altri paesi.
4. Le politiche pubbliche incorporano in esse implicitamente teorie su come sia opportuno
raggiungere gli obiettivi prefissi e pertanto possono essere concettualizzate come sistemi
valoriali (belief systems). Esse infatti riflettono gerarchie valoriali, percezioni delle relazioni
5 Technical Information, da intendersi come l'insieme dei contenuti tecnico-scientifici di una politica
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causali ritenute più importanti, percezioni e assunti riguardanti la presunta efficacia delle
azioni prescritte. Questo dà la possibilità di poter porre sullo stesso piano valori e politiche,
e ciò a sua volta rende possibile individuare quali attori siano stati e siano tutt'ora in grado di
influenzare la politica in questione, tenendo conto del ruolo dell'informazione tecnico-
scientifica disponibile.
1.2.1. La struttura dell'approccio
Il requisito fondamentale per un sostanziale policy change è l'impatto di uno o più fattori esogeni
rispetto al sottosistema. Tali fattori sono indicati da Sabatier (1998) come:
• Cambiamenti socioeconomici sostanziali, come una nuova allocazione economica o la
nascita di nuovi movimenti sociali rappresentanti istanze prima inesistenti o secondarie.
• Cambiamenti nell'opinione pubblica, in particolare per quanto concerne la definizione delle
priorità su cui il governo dovrebbe allocare più risorse e la percezione dell'importanza di
determinate tematiche
• Cambiamenti nell'allocazione del potere esecutivo o legislativo, come l'ascesa di partiti
diversi o di soggetti più o meno favorevoli a determinate istanze di cambiamento.
• Impatto dei cambiamenti avvenuti in altri sottosistemi di policy, ad esempio una
ridefinizione dell'imposizione fiscale generale ha impatti importanti in molti altri
sottosistemi.
All'interno del sottosistema l'ACF assume che gli attori si aggreghino in un determinato numero
(solitamente da una a quattro) di advocacy coalitions. La struttura dell'advocacy coalition
individuata da Sabatier (1998) definisce la composizione di una coalizione come l'insieme di leader
di gruppi di interesse, legislatori, ricercatori, giornalisti e politici che condividono valori fondanti e
sono disposti a coordinarsi al fine di raggiungere i propri obiettivi di policy. Il sistema di valori di
queste coalizioni hanno una struttura gerarchica tripartita:
Deep core beliefs : valori fondanti degli attori in gioco; ad esempio la percezione del
rapporto tra uomo e natura (Jenkins-Smith Sabatier 1993) o più generalmente il
posizionamento nel classico asse politico destra/sinistra.
Policy core beliefs : valori normativi condivisi nei riguardi di determinate policies.
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Rappresentano la modalità attraverso la quale vengono percepite le problematiche in gioco
ed orientano gli obiettivi e la scelta dei mezzi dell'azione politica. Ne è un esempio la
propensione verso la tutela ambientale o la crescita economica, con la conseguente scelta
delle politiche per attuare l'obiettivo da perseguire.
secondary aspects : atteggiamenti e convinzioni condivisi nella coalizione riguardo
problematiche di carattere prettamente tecnico quali le preferenze su aspetti specifici di
regolamenti o di budget.
Riprendendo Sabatier (1998, pp. 112 – 113), la seguente Tabella 1 spiega accuratamente la
gerarchia e la natura della tripartizione dei valori nell'ACF.
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