Prefazione
Questo lavoro si pone lo scopo di individuare ed analizzare gli strumenti
urbanistici pianificatori consensuali previsti nel nostro ordinamento. Un
simile obbiettivo, pur se espresso con apparente semplicità, presenta notevoli
difficoltà. La normazione urbanistica vigente, vittima del tipico metodo
legislativo all'italiana, fatto di emergenze ed interventi settoriali, costituisce
un sistema poco coordinato e ricco di lacune, stretto fra le istanze della
legislazione nazionale e le previsioni di quella regionale. Dottrina e
giurisprudenza difficilmente presentano ricostruzioni concordi, ed allo stesso
tempo le dinamiche economiche spingono sempre più verso la necessità di
norme chiare e flessibili, capaci di consentire alla Pubblica Amministrazione
il perseguimento dell'interesse pubblico generale in tempi rapidi.
In questo quadro risulta opportuna una analisi razionale, in modo da
distinguere innanzitutto quali siano i principi operanti in materia e come
questi abbiamo trovato applicazione, traducendosi inizialmente nei piani
consensuali di derivazione legislativa nazionale. Si passerà quindi ad una
analisi più accurata delle singole figure, descrivendone le principali
caratteristiche.
A questo punto, una volta padroneggiati i modelli di piano delineati dal
legislatore, si tratterà di analizzare le problematiche legate alla loro natura
giuridica. Gli argomenti centrali di questo capitolo saranno la tipicità
legislativa, caratteristica cardine dell'agire amministrativo, e la
classificazione giuridica da parte di Giurisprudenza e Dottrina (sia in senso
nazionalistico che regionalistico). Infine si valuteranno le potenzialità del
modello consensuale, spinto alla sua massima espansione: l'accordo
urbanistico “a monte”, estremo momento di consensualità nelle decisioni,
anche strategiche, sul governo del territorio. Il tutto sarà inevitabilmente
4
inserito nel contesto delle legislazioni regionali più avanzate, sviluppatesi
diversamente dal modello tradizionale disegnato nel '42.
A conclusione alcune riflessioni su quanto analizzato durante tutto lo
svolgersi del lavoro fin qui descritto, sia sul tema degli accordi urbanistici
fra privati e Amministrazione, sia sul rapporto di essi con gli enti locali ed i
nuovi modelli urbanistici. L'analisi di un caso concreto, con i suoi risvolti
penali, cercherà di indicare le possibili soluzioni per evitare quel vuoto
gestionale e di controlli che tanti danni ha fatto e fa al territorio.
Seppure un simile lavoro rappresenta una goccia nel mare delle trattazioni su
questo argomento, credo sia importante sottolineare fin da subito quanto
bisogno ci sia, nella reale gestione delle amministrazioni comunali, di linee
guida applicabili ed esaurienti, di una pratica formazione professionale in
grado di orientare l'agire dei dirigenti nell'utilizzo di strumenti complessi.
Una necessità anche più impellente della tanto agognata riforma urbanistica.
Buona lettura.
Riccardo Del Lungo
5
Capitolo 1
Inquadramento della problematica dei piani a base consensuale.
L'evoluzione normativa e l'incerto sistema vigente.
Non è possibile affrontare la tematica in esame senza partire da alcune
considerazioni di carattere introduttivo. Anzi, essendo la materia influenzata
da numerose norme costituzionali, e quindi da numerosi interessi pubblici in
gioco, si ritiene indispensabile disegnare, seppure in modo panoramico, i
tratti fondamentali del diritto urbanistico. Chiaramente l'attenzione sarà
focalizzata sugli aspetti maggiormente riguardanti le convenzioni
urbanistiche ed il rapporto privati-amministrazioni comunali.
1.1 Breve profilo storico.
La problematica dell'intervento dei privati nella pianificazione urbanistica è
da sempre presente nell'ordinamento italiano, fin da prima dell'avvento della
legge urbanistica del '42. Prima di allora l'attività edilizia, disgiunta da una
preventiva pianificazione, era regolata dai Regolamenti edilizi e dagli
annessi Piani di espansione. Era in questo generale disinteresse del
legislatore che si affermarono le prime convenzioni urbanistiche, strumenti
di tipo contrattuale nate dalla prassi, che resero possibile per lungo tempo la
realizzazione di importanti urbanizzazioni grazie all'apporto finanziario dei
privati
1
. Si trattava quindi già di contratti con funzioni di piano regolatore
2
: il
privato proponeva l'assetto urbanistico di una certa zona, chiaramente ancora
non interessata da uno sviluppo preciso, e si impegnava a realizzare strade ed
altri impianti pubblici. La conseguente accettazione della amministrazione
riconosceva il nuovo insediamento come ampliamento della città, e ciò
consentiva l'utilizzazione di tutti i servizi pubblici di urbanizzazione primaria
erogati nel centro abitato.
1 Salvia F., Manuale di diritto urbanistico, Padova, 2008, p. 27.
2 Mazzarelli V ., Le convenzioni urbanistiche, Bologna, 1979, p. 231.
6
Se da un lato l'utilizzo concreto era diffuso, dall'altro la concezione giuridica
dello Stato secondo criteri di stretto diritto amministrativo tendeva invece a
rifiutare l'utilizzo degli strumenti contrattuali
3
. La spiegazione delle
convezioni urbanistiche divenne quella di considerare la proposta dei privati,
contenente un programma costruttivo, come istanza per l'ottenimento di un
provvedimento amministrativo. Il momento consensuale rimaneva così
assorbito all'interno del provvedimento, al quale si imputavano in toto gli
effetti di conformazione del territorio
4
.
Tale impostazione fu mantenuta dalla Legge Urbanistica n. 1150/1942, nel
senso che l'art. 28 menzionava le lottizzazioni come strumento attuativo del
PRG, ma nulla veniva regolato in materia di convenzioni. Ciononostante, nel
periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, il ricorso alle convenzioni
di lottizzazione fu molto ampio, grazie allo sviluppo economico ed alle
necessità espansive delle città. Gli accordi con i privati per la lottizzazione di
aree esterne al centro abitato, zone normalmente non soggette a regolazioni,
costituivano l'unico strumento di pianificazione a disposizione dei Comuni
per limitare, od eventualmente impedire, l'espansione incontrollata
dell'attività edilizia
5
.
Seguente, ed altrettanto fondamentale nell'ottica dell'affermazione delle
convezioni urbanistiche, fu la Legge Ponte n. 765/1967. E' lei a chiudere il
sistema tradizionale immaginato dal legislatore del '42, sancendo all'art. 8
6
il
divieto di lottizzazione per i comuni sprovvisti di piano regolatore,
classificando le stesse come strumenti attuativi.
3 Siamo negli anni compresi fra la legge n. 2359/1865, che riteneva il piano regolatore
comunale uno strumento facoltativo, e la legge urbanistica n. 1150/1942, che per la
prima volta regolerà organicamente la materia per tutto il territorio nazionale.
4 Urbani P., Civitarese Matteucci S., Diritto urbanistico, IV Ed, Torino, 2010, p. 192.
5 Stella Richter P., Profili funzionali dell'urbanistica, Milano, 1984, p. 72.
6 Modificando il precedente art. 28 LU, aggiungendovi 11 commi, in sostituzione dei
primi due.
7
1.2 I principi costituzionali di riferimento ed il “sistema tradizionale”.
Non può affrontarsi alcuna trattazione di diritto senza far riferimento a quelle
che sono le norme costituzionali in materia. Come già è possibile intuire
l'urbanistica affonda le sue radici nell'ordinamento italiano dapprima del
varo della Costituzione. In certi casi alcune materie ispireranno addirittura le
stesse previsioni della Carta Fondamentale
7
. Inoltre, in seguito alla legge di
riforma costituzionale n. 3/2001, notevoli cambiamenti sono stati introdotti
nell'originale sistema previsto nel 1948, e non solo sotto l'aspetto
dell'organizzazione dello Stato. Al fine quindi di comprendere in quale
ambito si muovano gli strumenti pianificatori consensuali è necessario
approfondire brevemente le caratteristiche della pianificazione urbanistica, il
valore dei piani e la concezione della proprietà, nonché l'assetto istituzionale
derivante dal nuovo articolo 117 Cost.
1.2.1 Pianificazione: mediazione fra pluralità di interessi
costituzionali.
Il ruolo della pianificazione urbanistica è quello di ottimizzare
l'utilizzo del territorio, consentendo il pieno svolgimento delle
attività umane che richiedono uno spazio per potersi concretizzare.
Risulta immediatamente palese quanto sia difficile rendere
compatibili tanti interessi confliggenti all'interno del medesimo
territorio. Dal punto di vista Costituzionale serve quindi una lettura
d'insieme, che permetta il perseguimento dei principi inviolabili
degli articoli 2 e 3, della libertà economica e sociale degli articoli 41
e 42
8
, e infine che consenta la tutela del Patrimonio culturale ed
7 Il caso più emblematico riguarda una materia che negli ultimi anni è entrata
prepotentemente nella materia “governo del territorio”: la tutela paesaggistico-
ambientale. Il riferimento del testo è alla divisione delle due materie “paesaggio” e “beni
culturali”, sancita a più riprese dalla Costituzione e in modo generale dall'art. 9. Tale
impostazione deriva da due leggi del 1939, la n. 1497/1939 relativa alle “bellezze
naturali”, e la n. 1089/1939 relativa alle “cose di interesse storico artistico”. L'art. 9
Cost., al comma 2, prosegue l'impostazione tradizionale e stabilisce che la Repubblica
«Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
8 Rispetto questo aspetto cfr. paragrafo 1.2.3, p. 13.
8
ambientale degli articoli 9 e 117
9
. Il tutto deve avvenire, come
sintetizza l'articolo 97 Cost., assicurando «il buon andamento e
l'imparzialità dell'amministrazione».
Il modello di pianificazione oggi prevalente è quello denominato di
“gerarchia di interessi”, che sostituisce quello della “gerarchia di
piani” previsto nel '42
10
. Alla rigidità dello schema verticistico
previsto dai piani della LU
11
si sostituisce il primario e generale
obbiettivo dell'ordinato assetto del territorio, scaturente dalla
composizione degli interessi costituzionalmente garantiti
precedentemente menzionati
12
. E' quindi in primo luogo l'art. 3,
comma 2 Cost. a tracciare la primaria linea guida dell'agire
amministrativo, poiché vincola lo Stato ad intervenire in prima
persona per «rimuovere gli ostacoli di tipo economico e sociale» che
«impediscono il pieno sviluppo della persona umana», attraverso
quindi anche il raggiungimento di trasformazioni dell'assetto del
territorio che mirino a previsioni di equo godimento collettivo
13
. Una
9 La problematica della tutela delle materie “ambiente”, “ecosistema” e “beni culturali”,
riservata dall'art 117 Cost. alla esclusiva competenza statale è di particolare complessità.
Tuttavia, nel caso di questo lavoro, ci si limiterà a segnalare come questi obbiettivi siano
perseguibili anche dalle Regioni e da ogni altro ente facente parte dello Stato, dati gli
ampi poteri previsti dall'art. 9 Cost.. Riguardo la competenza legislativa concorrente l'art.
117 Cost. prevede per le Regioni l'obbiettivo della «valorizzazione dei beni culturali ed
ambientali».
10 Il principio della gerarchia di interessi infatti «consente una permanente adattabilità
della pianificazione esistente alle nuove esigenze (e tendenze) che possono presentarsi e
una costante possibilità di far prevalere un nuovo interesse pubblico, se ritenuto
prioritario rispetto a quello posto alla base della disciplina urbanistica vigente in una
determinata zona». Cfr. Stella Richter P., Profili funzionali dell'urbanistica, Milano,
1984, p. 1-22.
11 Tale legge n. 1150/1042, integrata più volte sia nel testo sia da normative di settore,
prevedeva (e tutt'ora prevede in realtà) un sistema piramidale dove le pianificazioni di
livello inferiore non potevano, di norma, derogare le previsioni dei piani sovraordinati.
Lo schema era quello dei piani di area vasta (Piani territoriali di coordinamento), seguiti
dai piani comunali (PRG) e piani attuativi (Piani particolareggiati di esecuzione).
12 «La finalità è quella di una pianificazione degli usi del territorio e delle sue risorse al
fine di preservare gli interessi generali da iniziative economiche incompatibili con gli
obiettivi della sua conservazione e tutela: presupposto giuridico di tale indirizzo è il
riconoscimento che l'ordinato sviluppo del territorio rientri tra i fini primari dello
Stato». Urbani P., Urbanistica solidale, Torino, 2011, p. 22.
13 Da qui il richiamo di parte della dottrina alle norme costituzionali, attribuendo
all'urbanistica il carattere traente e propulsore verso un nuovo modello di società civile.
Tale ruolo sarebbe esaltato dalla funzione sociale della proprietà e dalla possibilità di
9
simile impostazione risulta coerente con la scelta del legislatore
effettuata con la LP n. 765/1967, la quale pone in essere il passaggio
agli effetti conformativi del PRG, abbandonando la precedente
caratterizzazione di mero atto ablatorio: è così infatti che sarà
possibile per l'amministrazione locale controllare ab initio le
trasformazioni urbanistico-edilizie del territorio, precedentemente
non sottoposte a pianificazione obbligatoria
14
.
I soggetti preordinati all'esercizio delle funzioni amministrative, ex
art. 118 Cost.
15
, sono i Comuni. Il principio autonomistico qui
manifestato riconosce quest'ultimi come i veri protagonisti del
“governo del territorio”
16
, ribadendo i limiti alla potestà legislativa di
Stato e Regione in fatto di attribuzione di funzioni in materia
urbanistica
17
. Ciò per altro non rappresenta una novità. Anche prima
della riforma del 2001 infatti erano vigenti vincoli all'attività
legislativa degli organi istituzionali superiori, come nel caso delle
modifiche d'ufficio al PRG: esse sono legittime solo secondo precise
espropriarla per motivi di interesse generale (art. 42, comma 2 della Costituzione). Cfr.
Predieri A., Pianificazione e Costituzione, Milano, 1963, p. 41.
14 E' in questo momento infatti che si sostanzia l'inversione del rapporto fra piano e
proprietà: «L'urbanistica nasce figlia dell'espropriazione per pubblica utilità e il piano
regolatore come atto ablatorio, privo di effetti conformativi. […] La fissazione di limiti
rigorosi di edificabilità nei Comuni sprovvisti di piano [fu] la provvidenziale misura di
salvaguardia del territorio non pianificato, e al tempo stesso la causa del ribaltamento
del rapporto fra proprietà fondiaria e piano regolatore. Quest'ultimo era stato infatti
sempre visto come fonte di limitazioni amministrative al diritto di proprietà, in principio
del tutto libero, e aveva quindi dato luogo a resistenze da parte dei proprietari di suoli
che avevano spesso impedito l'approvazione del piano regolatore; ora invece il diritto
stesso ha in origine una facoltà di trasformazione limitatissima e il proprietario ha
quindi interesse all'approvazione di un piano da cui può derivare un ampliamento di tale
facoltà». Stella Richter P., Evoluzione della legislazione urbanistica postunitaria, Rivista
Giuridica Pausania.it, 5 dicembre 2011.
15 «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne
l'esercizio unitario, siano conferite a Provincie, Città Metropolitane, Regioni e Stato,
sulla base dei principi di sussidiarietà,differenziazione ed adeguatezza». Art.118,
comma 1 Cost.
16 La locuzione è prevista all'interno del nuovo art. 117 Cost., successivo alla legge
costituzionale 3/2001, come materia legislativa concorrente fra Stato e Regioni. Il
contenuto viene pacificamente fatto coincidere con la precedente locuzione di
“urbanistica”, rispetto la disciplina dei piani regolatori, più l'edilizia ed alcuni aspetti
particolari come l'edilizia residenziale pubblica e le espropriazioni per urbanizzazioni.
17 Per una breve esame della struttura istituzionale si rimanda al paragrafo 1.2.4, p. 15.
10
condizioni predefinite dalla legge, non potendo essere giustificate da
generici interessi pubblici superiori
18
.
Tutto questo, inevitabilmente, influenza ogni aspetto del rapporto
privato-Pubblica Amministrazione, rappresentando per i Comuni una
vera sfida riuscire a destreggiarsi fra la tutela degli interessi coinvolti
e le varie fattispecie di piani possibili.
1.2.2 Gli effetti conformativi dei piani comunali.
Ad una pluralità di principi costituzionali fa da contraltare una
pluralità di tipologie di piano, nel senso che le amministrazioni
possono adottare gli strumenti pianificatori in base agli effetti
giuridici desiderati, anche in modo settoriale e graduale, all'interno
del medesimo territorio. Chiaramente ciò può comportare diverse
previsioni che possono influenzare il godimento presente o futuro
delle singole proprietà, comportando conseguenze sul piano
strategico
19
o sul piano concreto
20
. La distinzione fondamentale degli
effetti dei piani regolatori
21
è sintetizzabile nella divisione fra
“conformazione del territorio” e “conformazione della proprietà”
22
.
In quest'ultimo caso le conseguenze del piano sono immediatamente
identificabili: le prescrizioni puntuali del PRG, al pari dei piani
attuativi, determinano le facoltà del proprietario sul bene, sia per la
18 Cfr. Corte Cost., sent. n. 13/1980.
19 Come la pianificazione di area vasta, di accordi di programma o, in parte, di Piano
strutturale (per i nuovi modelli); tutti strumenti comunque che possono vincolare le
future previsione dell'amministrazione locale piuttosto che, direttamente, i singoli
cittadini.
20 Come ad esempio i vincoli di inedificabilità, derivanti potenzialmente sia dal PRG che
dai piani attuativi.
21 Il riferimento è valido in primo luogo per i Comuni, protagonisti delle scelte urbanistiche
e soggetti dell'analisi in corso, ma può valere anche per i Piani di area vasta utilizzati da
Regione, Provincia, Città Metropolitane od altri enti minori come le Comunità montane.
22 «La disciplina della pianificazione è, nel nostro ordinamento, una disciplina
prevalentemente di procedimenti, piuttosto che di contenuti. Ciò comporta un'ampia
discrezionalità nel dare al piano, di qualsiasi tipo esso sia, uno od un altro tipo di
contenuto e, conseguentemente, di affetto; altrimenti detto, l'efficacia del piano dipende
più dalla tecnica con cui è redatto, e quindi dalla volontà dell'autorità che lo adotta, che
non dalla normativa che lo prevede». Stella Richter P., Diritto urbanistico, Milano,
2010, p. 22.
11
sua trasformazione sia per la sua destinazione d'uso, regolando il
godimento della singola particella immobiliare. Ciò genera in capo al
privato un diritto soggettivo, il quale rileva nei confronti degli altri
proprietari entro i limiti stabiliti.
Più complessa la spiegazione della prima figura menzionata. La
conformazione del territorio, senza interessamento diretto delle
singole proprietà, deriva dal potere del Comune di autodisciplinarsi.
Il Comune, attraverso la pianificazione territoriale, stabilisce dei
risultati da raggiungere mediante poi l'adozione di altri atti
amministrativi. Tali prescrizioni si indirizzano verso i proprietari, ma
rappresentano i parametri di un intervento provvedimentale
successivo
23
. Per questo la situazione giuridica dei proprietari, in
questo caso, è quella di interesse soggettivo e non di diritto
soggettivo. La confusione degli effetti dei piani è diffusa poiché sia il
PRG di derivazione nazionale che i Piani destrutturati di derivazione
regionale possono liberamente contenere entrambe le tipologie di
effetti
24
. Individuare il procedimento di formazione della volontà
amministrativa, nei casi di urbanistica consensuale, risulta di
primaria importanza al fine di valutare la generale correttezza dei
provvedimenti.
La finalità della mera conformazione del territorio, e non anche delle
singole proprietà, è quella di attuare la razionalizzazione dell'uso del
territorio con previsioni flessibili, senza precludersi la possibilità di
ulteriori specificazioni che comporterebbero scelte già ben precise,
concretizzando ad esempio un vincolo di inedificabilità. Ed è qui che
si apre la questione degli strumenti pianificatori consensuali: il
ricorso ad essi non solo può evitare situazioni gravose come i
23 Parametri che potranno essere utilizzati per valutare la legittimità e la conformità alla
legge dell'agire amministrativo.
24 «Il piano regolatore generale può legittimamente determinare le linee essenziali di
assetto di una determinata area anche con previsioni di dettaglio, rendendo in tal modo
non necessaria per essa la successiva adozione di uno strumento attuativo». Cons. Stato,
Sez. IV , sent. n. 5147/2008
12
vincoli, o concordare su costi e realizzazioni delle urbanizzazioni,
ma anche decidere in modo condiviso lo sviluppo urbanistico della
città.
1.2.3 La proprietà: riserva di legge e funzione sociale.
I trascorsi sul tema della proprietà dimostrano come la nozione di
tale diritto può influenzare le scelte amministrative in materia
urbanistica
25
. In questo paragrafo si intende sottolineare due aspetti:
la riserva di legge prevista dalla Costituzione e l'impostazione attuale
emergente dalla riforma costituzionale del 2001.
Riguardo il primo aspetto l'articolo 42 Cost, nei commi 2 e 3, è
molto chiaro
26
: spetta alla legge fissare i contenuti del diritto di
proprietà. Tale riserva però non è assoluta, non pretende il necessario
intervento del legislatore, bensì ha carattere relativo
27
, potendo essere
integrata e realizzata attraverso atti di organi amministrativi, nel
nostro caso di pianificazione urbanistica. Il carattere relativo della
riserva di legge risulta, secondo la Corte Costituzionale, dal carattere
di specificazione dell'attività amministrativa rispetto le indicazioni di
legge, essendo la discrezionalità degli enti (specialmente comunali)
esercitata «entro determinati confini di carattere obbiettivo» e
«delimitata nella libertà di apprezzamento». L'attività dei Comuni
risulta quindi «condizionata da elementi di valutazione di carattere
tecnico», orientata dalla legge in modo chiaro e programmatico «per
25 Il riferimento è alla questione, tuttora attuale, dei vincoli di inedificabilità, e soprattutto
al tentativo della legge 10/1977 di scorporare lo ius aedificandi dalla proprietà del bene
immobiliare. Fu la sentenza Corte Cost. n. 5/1980 a bloccare l'introduzione del nuovo
regime dei suoli nel sistema italiano, classificando la “concessione edilizia” come atto
autorizzatorio, ancorché oneroso, e mantenendo la relazione inscindibile fra diritto ad
edificare e proprietà del bene.
26 «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di
acquisto, di godimento, e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di
renderla accessibile a tutti». «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla
legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale». Comma 2 e 3
dell'art. 42 Cost.
27 Cfr. Sorace D., in AA. VV ., Materiali per un corso di diritto urbanistico, Torino, 1999,
p. 7.
13
dare disciplina unitaria, su scala nazionale, ad una materia che, in
precedenza e in tempi diversi, aveva formato oggetto di una
legislazione differenziata»
28
.
Rimarcare questi aspetti appare importante perché, nell'ottica di
contrattare i contenuti pianificatori con i privati, deve essere sempre
chiaro quali siano le basi e le prerogative dell'agire amministrativo.
Un problema centrale infatti, posto che le istituzioni pubbliche
debbano sempre perseguire l'interesse generale nel rispetto di legge e
Costituzione, è quello di stabilire (o riconoscere) i criteri di
individuazione dell'interesse pubblico
29
. Intanto, in rapporto alla
concezione del diritto di proprietà, rileva l'espressa menzione della
sua “funzione sociale”. Questa funzionalizzazione spinge sia dal lato
della tutela delle facoltà del privato cittadino, sia dal lato degli
obbiettivi solidali dell'azione dello Stato. Nel primo caso il singolo
soggetto non può vedere compresso ingiustificatamente il proprio
godimento del bene senza, ad esempio, un indennizzo, salvo
specifiche previsioni di legge concretizzabili attraverso atti
amministrativi
30
. Nel secondo caso è la stessa Costituzione, articolo
3, comma 2, ad affermare che lo Stato deve intervenire in prima
persona non più solo assecondando il libero godimento della
proprietà privata
31
.
Un'evoluzione del concetto c'è stata a seguito della riforma della
legge Cost. 3/2001. Originariamente la proprietà, inserita nel titolo
dei “Rapporti economici”, espressamente funzionalizzata, ed
indennizzata in modo parziale
32
per le espropriazioni di pubblica
28 Corte Cost., sent. n. 38/1966.
29 Sul tema vedi il capitolo 3, paragrafo 3 in questa tesi, p. 56.
30 Il riferimento è alle storiche sentenze della Corte Cost. n. 55 e 56 del 1968 dove,
attraverso una interpretazione estensiva dell'art. 42, comma 3 Cost., si ritenne che
l'obbligo di indennizzo è previsto anche per le cosiddette “espropriazioni anomale” (sent.
55/1968). Al pari si ritenne che, essendo la legge ordinaria a definire il contenuto della
proprietà, essa è in grado di escludere a priori lo ius aedificandi da determinate categorie
di beni.
31 Urbani P., Urbanistica solidale, Torino, 2011, p. 22.
32 La misura dell'indennizzo è una delle questioni più spinose del diritto urbanistico,
14