Alice Bruni Corso di Laurea specialistica in Relazioni Internazionali
Introduzione
Questo lavoro intende ripercorrere le tappe principali del processo
di trasformazione avvenuto nell’ex Unione Sovietica dopo il 1991,
anno di cruciale importanza per il futuro geopolitico non solo di tale
area, ma dell’intero sistema internazionale. In particolare, interessa in
questa sede analizzare l’impatto che tali eventi hanno avuto
sull’Europa, considerata qui nella sua dimensione politica e
istituzionale di Unione Europea, per rilevare in particolare le tappe
che hanno portato all’approfondimento della cooperazione tra i due
soggetti.
La disgregazione dell’Urss e la conseguente nascita della
Comunità degli Stati Indipendenti e della Federazione Russa, infatti,
coincisero con il processo di trasformazione che interessò la Comunità
Europea e che portò alla creazione dell’Unione Europea. Nelle
intenzioni dei suoi membri, questa nacque come una nuova entità
politica oltre che economica, che aspirava a rivestire un ruolo
internazionale di primo piano attraverso una propria politica estera
che fosse in grado di rappresentare la posizione degli Stati membri
sulle questioni internazionali di maggior rilievo con un’unica voce
coesa.
In questo senso, i primi anni novanta possono essere, ovviamente,
ascritti tra i momenti storici e politici più determinanti nella storia
della politica e delle relazioni internazionali. Lo spartiacque fu
indubbiamente rappresentato dalla fine della Guerra Fredda, da cui
scaturirono assetti internazionali nuovi e fluidi che andarono a
caratterizzare un sistema mondiale instabile sul quale si affacciavano
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numerosi attori rappresentanti ciascuno proprie priorità ed interessi,
spesso contrastanti tra loro.
Nel corso della nostra analisi, approfondiremo gli obiettivi
principali della politica estera di Russia e Unione Europea, due
soggetti la cui rilevanza internazionale è andata gradualmente
accrescendosi durante gli anni novanta.
L’obiettivo primario della tesi è rappresentato, in sintesi,
dall’esame dei fattori accomunanti e da quelli divergenti che
costituiscono e hanno costituito, nel periodo preso in considerazione,
la base dei rapporti tra Mosca e Bruxelles. Focalizzeremo l’attenzione
sui primi, per arrivare a dimostrare come per entrambi i soggetti in
questione sia utile valorizzare tali elementi comuni per portare avanti
un dialogo che acquisisca reale efficacia sulle tematiche internazionali
di mutuo interesse e che rafforzi a vicenda i due partner, e come da
questo dialogo sia possibile creare una forza politica capace di
incidere sullo scenario mondiale, ampliandone al contempo le
prospettive di cooperazione e multipolarità.
Le due parti, infatti, hanno dimostrato in più occasioni di essere
accomunate dalla volontà di sostenere un approccio multilaterale alle
relazioni esterne e di dare importanza ai fora e agli organismi
internazionali, anche in modo da arginare, almeno in parte, le velleità
unilaterali ed egemoniche riscontrabili nella politica estera degli Stati
Uniti, che pure rimangono il principale punto di riferimento
internazionale sia per la Russia sia per l’Europa
1
.
1
Cfr. K. Barysch, Whither EU-Russian Relations?, “The Moscow Times”,
21/05/2004, pp. 6-16.
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Nella nostra analisi si procederà, nel primo capitolo, a descrivere i
tratti principali della situazione interna e della politica estera russe in
seguito alla dissoluzione della potenza sovietica e all’elezione di Boris
Elcin
2
alla guida del Cremlino nel 1991, sottolineandone l’evoluzione
e i principali mutamenti in relazione al rapporto con la comunità
occidentale e, soprattutto, con l’Europa fino alla rielezione dell’attuale
Presidente Vladimir Putin del 1999 e ai primi anni del suo secondo
mandato.
Nel secondo capitolo verrà, dunque, approfondito quest’ultimo
aspetto delle relazioni con l’Unione Europea, che costituisce il tema
principale della tesi. Partendo dai primi passi della cooperazione tra i
due soggetti, ne seguiremo poi l’evoluzione che ha portato alla
formulazione del concetto di “Spazi Comuni” nel 2003, strategia che
costituisce tutt’ora la base delle relazioni tra Russia e Unione
Europea. Particolare attenzione è stata rivolta all’importanza del
Partnership and Cooperation Agreement (PCA), documento firmato
dalle due parti nel 1994 ed entrato in vigore poi alla fine del 1997.
Tale accordo costituì il principale quadro di riferimento nel processo
di cooperazione analizzato, e svolge ancora oggi questa sua funzione,
indicandoci i punti essenziali e i principali mezzi di realizzazione del
partnernariato euro-russo. Proprio grazie a questa sua finalità, il PCA
costituisce un ottimo strumento di analisi e valutazione dei progressi e
delle lacune caratterizzanti gli esiti della collaborazione tra Mosca e
Bruxelles, racchiudendo in sé molte delle contraddizioni che è ancora
2
Utilizzeremo la dizione semplificata dei termini e dei nomi propri in lingua
russa, comunemente adottata a livello internazionale e consigliata anche
dall’Unione Europea, come indicato nel documento Dizione generale della
traduzione, Commissione Europea, Bruxelles, Vol. 27, “Interalia”, 02/2004
(http://ec.europa.eu/transaltion/reading/periodicals/interalia/interalia27.pdf).
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oggi possibile riscontrare in tale processo, oltre che esplicandone le
finalità di maggiore interesse per il futuro.
Il terzo e ultimo capitolo è, infine, dedicato ad un altro importante
aspetto della posizione internazionale sia di Mosca sia dell’UE,
rappresentato dai rapporti degli stessi con i Paesi dell’area che
componeva un tempo lo spazio vitale dell’Unione Sovietica. Le
istituzioni europee hanno, infatti, recentemente iniziato a rivolgere
un’attenzione maggiormente mirata verso tali Paesi, soprattutto a
seguito del processo di allargamento ai Paesi dell’Europa centro-
orientale, che ha esteso i confini esterni dell’Unione Europea fino a
Paesi storicamente legati a Mosca sia sul piano politico sia su quello
economico. Il risultato principale di questo accresciuto interesse nei
confronti di tale area è costituito dall’elaborazione della Politica
Europea di Vicinato, che dal 2003 pone le basi per un rapporto amplio
e duraturo tra i soggetti cui si rivolge e l’UE.
Prenderemo in esame l’applicazione di tale strategia verso tre
Paesi chiave della CSI: Ucraina, Moldavia e Bielorussia. Senza
perdere di vista l’obiettivo finale del nostro studio, analizzeremo
dunque i riflessi e le implicazioni che tali politiche hanno avuto sulla
partnership euro-russa, tracciando un quadro sia delle opportunità sia
delle problematiche che da esse possono scaturire e che sono in grado
di incidere sulle relazioni tra Unione Europea e Russia.
Nella realizzazione della tesi le fonti principali sono state fornite
da documenti ufficiali dell’Unione Europea inerenti ai rapporti con
Mosca, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale UE, da papers, analisi e
studi storico-politici e geopolitici sullo stesso tema realizzati da riviste
specializzate, istituti di ricerca italiani e stranieri.
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1. La Politica Estera e il ruolo internazionale della Russia
dal 1991 a oggi
Il 25 dicembre del 1991 Michail Sergeevic Gorbaciev, l’uomo che
più di ogni altro ha rappresentato il tentativo di riformare l’Unione
Sovietica, rassegnò ufficialmente le proprie dimissioni da presidente
dell’Urss. Questo atto segnò la fine della speranza espressa dalla
perestrojka di apportare mutamenti fondamentali agli assetti politico-
istituzionali ed economici dell’Unione Sovietica, avvicinando il Paese
al tenore di vita e al sistema politico ed economico occidentale, senza
rinnegare le basi del socialismo e la natura socialista dell’entità statale
sovietica e mantenendo in vita la costruzione federale dell’Urss.
In un brevissimo lasso di tempo questo Paese subì degli enormi
sconvolgimenti politico-istituzionali, oltre che sociali e territoriali:
la modifica costituzionale dell’ottobre del 1988 che sostituiva il
Soviet supremo con il Congresso dei deputati del popolo,
un’assemblea parlamentare con rappresentanti eletti per un terzo a
suffragio universale dalla popolazione;
l’abolizione dell’art. 6 della Costituzione adottata da Leonid Ilic
Breznev nel 1977 che poneva termine alla supremazia degli organismi
del Pcus nei meccanismi decisionali di tutte le istituzioni;
la dissoluzione definitiva del Partito Comunista Sovietico
avvenuta nel novembre dello stesso anno;
le trattative con i leader degli altri Stati componenti il territorio
sovietico per la revisione del patto federale, i cui progetti di riforma
crollarono poi insieme alla struttura sovietica con la firma, nel
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dicembre del 1991, del Trattato di Minsk
1
, che dava vita a un’intesa
limitata a Ucraina e Bielorussia, estesa poi, tra il 1991 e il 1993, a tutti
gli Stati già federati nell’Urss, a eccezione di Lituania, Lettonia ed
Estonia. Tale documento entrò in vigore con la firma del Trattato sulla
Federazione da parte delle Repubbliche sovrane nel marzo del 1992
successivo, che sancì la nascita della Comunità di Stati Indipendenti
(CSI).
Questi sono solamente alcuni degli eventi maggiormente
significativi che travolsero l’Unione Sovietica, la sua popolazione e la
sua classe dirigente in seguito al crollo del muro di Berlino. Il 31
dicembre 1991 l’Unione Sovietica fu legalmente dissolta, e il suo
seggio alle Nazioni Unite passò alla Federazione Russa.
Il successore di Gorbaciev si trovava a ereditare una situazione
politica, economica ed istituzionale caratterizzata da una fortissima
incertezza, cui si sommava lo scontento in rapida crescita di una
popolazione sconvolta e smarrita. Fu Boris Nikolaevic Elcin a
prendere in mano le redini dello stato nel giugno del 1991, quando
venne eletto presidente della Federazione russa con più del 57% dei
voti. Elcin suscitò l’entusiasmo della popolazione russa proponendosi
come leader del cambiamento, punto di riferimento per le componenti
più aperte e riformistiche del Paese che chiedevano mutamenti
radicali e un taglio netto con il passato e con il riformismo cauto e
graduale intrapreso dal suo predecessore. Per marcare la distanza che
intendeva prendere dal passato, Elcin si dimise dal Partito Comunista
già nel 1990, inimicandosi le simpatie dell’ampia schiera di
conservatori presente al suo interno. Il nuovo presidente russo si
1
Cfr. F. Benvenuti, Storia della Russia contemporanea 1853-1996, Roma,
Laterza, 1999, pp. 230-310.
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mostrò fin dall’inizio deciso a consolidare le proprie prerogative. Lo
scontro tra potere presidenziale e assemblea parlamentare, che
culminò nell’ottobre 1993 con l’assalto al parlamento russo da parte
dell’esercito ordinato dallo stesso presidente, si concluse con la
vittoria di quest’ultimo. Elcin recuperò il controllo della situazione, e
nonostante i metodi poco democratici utilizzati in questo come in altri
frangenti, la popolazione russa e il mondo occidentale appoggiarono il
presidente come l’unica figura capace di mantenere l’ordine e salvare
la fragile democrazia russa dalle facili tentazioni autoritarie e dai
tentativi di ritorno al passato che caratterizzarono inevitabilmente
questa prima fase della “nuova” Russia.
Se Gorbaciev viene ricordato in occidente come colui che per
primo ha avuto il coraggio di indirizzare il Paese verso mutamenti
considerati inevitabili per la super potenza sovietica in evidente
declino già dal periodo brezneviano, fu a Elcin che i leader
occidentali, guidati dagli Stati Uniti, diedero un maggiore aiuto in
termini politici ed economici per sostenere le riforme e la transizione
cui avrebbe dovuto mettere mano, e soprattutto per assicurarsi che
portasse a termine il processo di smantellamento della struttura statale
sovietica
2
.
Nel campo della politica estera, di cui andremo a occuparci, è
possibile individuare maggiore continuità tra Elcin e il suo
predecessore. Il neo eletto presidente russo portò avanti le linee
fondamentali tracciate in politica estera da Gorbaciev, accettando con
realismo il fatto che la Russia non rivestisse più quel ruolo di
superpotenza che aveva condiviso con gli Stati Uniti durante tutto il
2
M. Bowker, Russian Foreign Policy and the End of the Cold War, London,
Ashgate, 1997, p. 205.
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periodo della guerra fredda. La realtà internazionale su cui si
affacciava la Russia dopo il 1991 era profondamente cambiata, e ciò
imponeva un serio ripensamento del proprio ruolo all’interno di tale
scenario da parte della classe dirigente al potere. Il disastroso stato in
cui versava l’economia, accompagnato dalla debolezza politica e
istituzionale e dalla crisi sociale del Paese, non permetteva illusioni
sul rapporto che l’ex potenza sovietica avrebbe potuto instaurare con
l’occidente, suo primo interlocutore internazionale.
Nonostante già dalla fine degli anni ottanta la Russia avesse
rivolto maggiore attenzione a migliorare e intensificare le proprie
relazioni con Stati Uniti ed Europa, apparve subito chiaro come queste
non potessero svilupparsi su un piano di parità. Mosca non poteva
prescindere dall’aiuto economico occidentale, senza possedere il peso
politico necessario per permettersi di contrattare le condizioni di tale
aiuto; l’Occidente, d’altro canto, appariva ben consapevole della
debolezza internazionale e della fragilità interna della Russia, e
considerò come naturale contro partita all’aiuto economico offerto il
supporto quasi incondizionato di Mosca sul piano internazionale.
Da queste premesse partì la collaborazione tra la Russia post-
sovietica, da una parte, e Stati Uniti ed Europa dall’altra.
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1.1) La presidenza Elcin: 1991-1999
La maggior parte della bibliografia descrive Elcin come un
presidente poco interessato alla politica estera
3
. Il suo primo Ministro
degli Esteri, Andrei Kozyrev, ebbe dunque ampio spazio di manovra
nel delineare la direzione da seguire per rappresentare la Russia sulla
scena internazionale post-sovietica e tutelarne gli interessi nazionali.
Kozyrev apparteneva come Elcin a quella schiera di politici riformisti
che si presentarono come entusiasti sostenitori dell’avvicinamento
della Russia al modello liberal-democratico occidentale.
Il punto di partenza restava l’impostazione gorbacieviana del
“Nuovo Ordine Mondiale”, il cui obiettivo principale era il
superamento della logica della guerra fredda di contrapposizione con
il mondo occidentale
4
. Tale approccio che aveva caratterizzato la
politica estera sovietica per decenni andava progressivamente
sostituito da un clima di cooperazione reciproca pacifica e costruttiva
in ogni campo, a cominciare da quello fondamentale degli armamenti.
Fu questa la logica con cui Gorbacev accettò il crollo del muro di
Berlino, la conseguente riunificazione della Germania, il processo di
disarmo unilaterale del proprio arsenale atomico, l’espansione a Est
della Nato e le richieste d’indipendenza degli ex Stati satelliti
sovietici, ritenendo che tale scelta garantisse un maggiore appoggio
internazionale allo sforzo di riforma intrapreso con la perestrojka.
La visione dei nuovi rapporti tra Est e Ovest delineata da
Gorbaciev era caratterizzata da una forte dose di idealismo, al cui
3
Bowker, Russian Foreign Policy…, cit., p. 206.
4
L. Marcucci, Dieci anni che hanno sconvolto la Russia, Bologna, Il Mulino,
2002, pp. 15-22.