INTRODUZIONE
La violenza sulle donne non è certo un fenomeno recente, tuttavia a partire dal
movimento femminista lo si guarda come fatto sociale; nello specifico la violenza in famiglia
smette di essere un problema privato per diventare pubblico, poiché secondo le teorie
femministe radicali, proprio nella famiglia si esprime la dominazione e il controllo maschile.
L’ala radicale del movimento femminista sostiene così che la violenza domestica veda
esclusivamente l’uomo nel ruolo di carnefice e la donna nel ruolo di vittima. La violenza
verrebbe perpetuata al fine di dominare e controllare le donne limitandone la libertà e
l’autonomia, questo uso strumentale al controllo sarebbe appreso dagli uomini al’interno di
una società maschilista e patriarcale (Bograd, 1998; Bowker, 1983; Dekeseredy e Schwartz,
1993; Dobash e Dobash, 1979; Martin,1976; Romito, 2005). Questo approccio ha orientato la
costruzione di convenzioni internazionali e leggi nazionali nel contrasto al fenomeno, ma non
solo, la teoria dell’ala femminista radicale ha indirizzato fortemente l’impostazione
dell’intervento sulla violenza contro le donne.
Nel 1979 viene approvata dall’assemblea generale ONU la Convenzione per
l’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne ( Convention on the
Elimination of All Forms of Discrimination against Women, CEDAW
1
): la convenzione
detta una serie di azioni che gli Stati possono mettere in atto al fine di eliminare ogni
discriminazione rivolta alle donne. Così la discriminazione è combattuta anche sul versante
pubblico, attraverso per esempio la partecipazione politica. Nel 1999 alla CEDAW è stata
aggiunta una procedura individuale a finché le donne che subiscono una violazione dei propri
diritti possano rivolgersi direttamente alle Nazioni Unite.
Nel 1993 la Dichiarazione di Vienna
2
, afferma che gli atti di violenza contro le donne
costituiscono una violazione dei diritti umani anche quando avvengano all’ interno della sfera
privata : è la prima volta che la violenza costituisce l’oggetto di intervento delle istituzioni,
che si dovrebbero impegnare a modificare, attraverso l’educazione, i modelli di
comportamento sociali e culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare i pregiudizi;
promuovere studi statistici sull’incidenza della violenza contro le donne e sugli esiti delle
misure preventive adottate.
L’ eliminazione della violenza alle donne è stata anche un nodo centrale della
Conferenza tenuta dalle Nazioni Unite a Pechino nel 1995. La risultante Dichiarazione e
Piattaforma d’Azione sono il prodotto di un lungo dibattito fra circa 5.000 delegate
1
http://www2.ohchr.org/english/law/cedaw.htm
2
http://www.befreecooperativa.org/filetestuali/legislazione/b_progr_az_vienna.pdf
4
governative di 189 Paesi. Il documento sostanzialmente riprende i contenuti della
Dichiarazione ONU sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 che è stata
descritta precedentemente, con alcuni concetti aggiuntivi. I tre concetti chiave sono: genere e
differenza, affinché le politiche valutino il loro impatto sulle reali condizioni di vita di donne
e di uomini, sapendo che esse sono tra loro diverse; il concetto di empowerment inteso come
il potere delle donne, la loro capacità e possibilità di decidere, di essere autonome, di avere
voce in capitolo nella famiglia, nella società e nella politica; infine il concetto di
mainstreaming nel senso di inserire una prospettiva di genere, il punto di vista delle donne, in
ogni scelta politica, in ogni programmazione, in ogni azione di governo.
Nel 1996 nell’Assemblea mondiale della Sanità “Prevenzione della violenza: una
priorità della sanità pubblica
3
” si riconosce da parte dell’OMS il tema della violenza come
problema cruciale per la salute delle donne. Esso quindi va riconosciuto, conosciuto e
combattuto, a livello locale, nazionale ed internazionale: cosa che l’Organismo internazionale
si impegna, con la Risoluzione, a promuovere. Infatti, nel documento si riconosce, che:
- la violenza ha gravi implicazioni immediate, future e a lungo termine per la salute;
- la violenza ha conseguenze crescenti per i servizi di assistenza sanitaria;
- gli operatori sanitari sono spesso tra i primi a vedere le vittime di violenza e inoltre
godono di una speciale posizione nella comunità per aiutare le persone a rischio;
- l’OMS ha la responsabilità di fornire direzione e assistenza agli Stati membri nello
sviluppo di programmi di sanità pubblica per prevenire la violenza inflitta a sé o agli altri.
Da ciò ne consegue:
- l’affermazione della violenza come problema primario di sanità pubblica a livello
mondiale;
- la raccomandazione agli Stati membri di valutare il problema e di trasmettere all’OMS
le informazioni in loro possesso sul problema e sul loro modo di affrontarlo;
- la richiesta al Direttore generale OMS di attivare interventi di sanità pubblica
indirizzati al problema della violenza (descrizione del fenomeno, valutazione dell’efficacia di
programmi preventivi, divulgazione nei media e gestione delle conseguenze, ricerca sulla
violenza come una priorità della ricerca sanitaria, collaborazione tra OMS e Governi nella
programmazione e monitoraggio dei programmi di prevenzione e cura);
- la richiesta al Direttore generale OMS di presentare un Piano d’azione sulla
prevenzione della violenza nella sanità pubblica
3
http://sociale.regione.emilia-romagna.it/documentazione/pubblicazioni/guide/quaderni-del-servizio-
politiche-familiari-infanzia-e-adolescenza/1.-istituzioni-e-violenza
5
Nel 2002 viene adottata la Raccomandazione REC del consiglio d’Europa che contiene
una chiara definizione del concetto di violenza contro le donne designando con questa
locuzione qualsiasi tipo di violenza fondata sull’appartenenza sessuale, compresa la violenza
domestica. La REC richiama gli stati membri a riconoscere, prevenire e contrastare le forme
di violenza contro le donne. Tra le varie raccomandazioni si esortano le istituzioni come Forze
dell’Ordine e le istituzioni sanitarie ad elaborare piani di azioni coordinati a medio e lungo
termine finalizzate alla prevenzione e alla difesa delle donne vittime di violenza.
Il Rapporto mondiale sulla violenza e la salute (World report on Violence and Health
4
)
pubblicato dall'Oms è la prima analisi su scala globale del problema della violenza. Emesso
nel 2002, il Rapporto guida l'intera campagna globale sulla prevenzione della violenza. La
campagna infatti mira ad aumentare la consapevolezza dell'impatto della violenza sulla salute
pubblica e il ruolo che la salute pubblica può giocare nella prevenzione. Inoltre, la campagna
punta a raccogliere e rafforzare le risorse umane e finanziare in questo settore, nonché a
migliorare l'attuazione di strategie nazionali di prevenzione. Il Rapporto riporta i dati di 48
studi di che hanno come oggetto la violenza da parte del partner e mostrano la diffusione e
l’impatto che essa ha sulla salute delle donne, tuttavia è necessario segnalare che questi studi
assumono come vittima esclusiva la donna, quindi i casi possono riferirsi a realtà di violenza
reciproca nell’ambito delle quali la donna ha subito violenza, pertanto questi casi non
rientrerebbero nella definizione di maltrattamento.
In questi ultimi dieci anni le ricerche ed i progetti di intervento e sensibilizzazione per
combattere la violenza si sono moltiplicati, anche grazie ai fondi dell’Unione Europea che ha
istituito uno specifico programma di finanziamento: Programma di iniziativa comunitaria
Daphne operativo dal 1997
5
con l’obiettivo di sostenere ed incoraggiare la collaborazione fra
le organizzazioni non governative ed altre organizzazioni, comprese le autorità locali attive
nella lotta contro la violenza e promuovere la sensibilizzazione sul tema della violenza e
della prevenzione della violenza contro i bambini, gli adolescenti e le donne, comprese le
vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale.
A partire dal 2000, in Italia molti enti locali ed istituzioni sanitarie hanno inserito nella
loro programmazione azioni specifiche contro la violenza verso le donne ed i minori, dal
rapporto URBAN 2006
6
emerge che i Pronto Soccorso sono i servizi meno sensibili al tema
della violenza domestica, nello specifico, i risultati ottenuti mostrano che la maggior parte
4
http://whqlibdoc.who.int/publications/2002/9241545615_ita.pdf
5
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32000D0293:IT:HTML
6
http://www.retepariopportunita.it/Rete_Pari_Opportunita/UserFiles/Pubblicazioni/rapporto_urban_06.pdf
6
degli operatori ritiene che l’incidenza dei fenomeni della violenza non dichiarata dalle donne
sia bassa (sotto il 19%). E solo la metà, pur di fronte a evidenti sospetti, pensa sia utile
approfondire il caso. E’ solo quando sono presenti evidenti segni di violenza che una parte
degli operatori agisce: informando la donna dell’esistenza di Centri antiviolenza (57,2%), o
informando la polizia (19,8%). Rimane una quota del 16% che, pur in presenza di segni
evidenti, pensa sia meglio non fare nulla perché la donna avrà i suoi motivi per negare o
perché la donna è maggiorenne. Infine, il referto con cui viene descritta la violenza viene
ritenuto importante per la vittima nella maggioranza dei casi (79,%).
Dal nostro punto di vista invece, l’accesso al Pronto Soccorso può essere il momento in
cui s’individua una storia di maltrattamento e l’occasione per poter iniziare un percorso di
fuoriuscita dalla violenza, per questo, il fenomeno violenza domestica deve essere definito
come prioritario nell’attività del Pronto Soccorso, ed il personale sanitario
deve essere sensibilizzato all’argomento ed addestrato al riconoscimento ed alla gestione
dello stesso.
In America ad esempio, da almeno due decenni sono attivi programmi specifici negli
Emergency Department, programmi chiamati DV programms che definiscono delle linee
guida di intervento per gli operatori e aiutano a far emergere casi di violenza sommersi che le
donne non hanno il coraggio di dichiarare. L’ AMA (American Medical Association, 1992) e
diverse organizzazioni professionali hanno raccomandato la creazione e l’utilizzo di linee
guida per educare gli operatori sanitari per riconoscere e trattare la violenza domestica
(Flitcraft, 1992).
Conseguentemente a ciò molti ospedali hanno adottato nei propri Pronto Soccorso
programmi di screening e di advocacy (Krasnoff, & Moscati, 2002; Muellerman & Feighny,
1999; Taliaferro, 2003), tuttavia Pochi studi hanno dimostrato l'efficacia di questi interventi
(Anglin e Sachs, 2003; U.S. Preventative Services Task Force, 2004; Wathen, & MacMillan,
2003). L’utilizzo di protocolli di intervento specifici per le vittime di violenza domestica è
finalizzato anche alla riduzione dei costi medici elevati per curare le conseguenze fisiche e
psicologiche della violenza (Loring, & Smith, 1994).
Il pronto soccorso è spesso il luogo giusto per avere un contatto iniziale con i servizi
che si occupano di tutela delle vittime di violenza domestica, per questo è importante per le
donne maltrattate essere riconosciute dal personale sanitario; tuttavia gli ostacoli per uno
screening e un intervento efficace sono molteplici e riguardano sia il personale sanitario, sia le
vittime di violenza, sia l’organizzazione della struttura ospedaliera.
7
Rispetto ai medici e agli infermieri essi possono prendere le distanze dalla vittima, non
indagando sulle cause delle ferite laddove si abbia sospetto di violenza per non sentirsi
sopraffatti dalla situazione, (Tilden, 1989), sia per una carenza di formazione, sia perché gli
operatori provano sentimenti di frustrazione sapendo che molte donne dopo aver curato le
ferite fisiche tornano dal partner abusante (Mc Farlane, 1989); ma anche la mancanza di tempi
appropriati per approfondire il colloquio con la donna caratterizza i dipartimenti di
emergenza, costituisce una barriera per l’intervento (Roberts, & Roberts, 1990; Gerbert,
Johnston, Caspers, & Bleecker, 1996).
Le donne dal canto loro, sono riluttanti nel chiedere aiuto per varie motivazioni: in
primo luogo, provano sentimenti di vergogna per quello che stanno subendo (Bohn, 1990), si
sentono in colpa e responsabili delle violenze (Frieze, _Hymer, & Greenberg, 1987); non da
meno la paura di ritorsioni le inibisce nel rivelare la vera causa delle lesioni (Bohn,1990;
Foster, Veale, e Fogel, 1989; Gerbert et al. 1996). Dobbiamo considerare anche il fatto che lo
stato traumatico in cui le donne a volte si trovano costituisce un ostacolo (Bohn, 1990),
insieme alla percezione da parte delle pazienti che gli operatori sanitari siano disinteressati ai
loro bisogni (Gerbert et al., 1996). In ultimo lo stato di shock conseguente ai maltrattamenti è
simile a quello osservato nei vittime di catastrofi (Bohn, 1990); o sottoposte a traumi
(Herman, 1992).
Da quanto detto finora la formazione e lo screening da parte degli operatori sanitari sono
considerati elementi fondamentali per individuare e combattere la violenza domestica
partendo dai Pronto Soccorso (Ernst, & Weiss, 2002). Uno studio di Inoue e Armitage (2006)
ha valutato la conoscenza degli infermieri riguardo la violenza domestica e ha rilevato la
necessità di una formazione ciclica e l’uso di un protocollo al quale ci si possa affidare per
rispondere in modo strutturato in casi di violenza domestica.
Altri studi hanno valutato l’efficacia di programmi di formazione per gli operatori
sanitari; Boursnell e Prosser (2010) hanno somministrato un questionario prima e dopo la
formazione per migliorare le competenze nella identificazione e nella risposta alla la violenza
domestica. I risulati suggeriscono che la formazione incrementa la comprensione da parte
degli infermieri sul problema e migliora la qualità dell’intervento. Anche lo studio di Roberts
(1997) conferma questi dati, difatti prima del corso di formazione gli infermieri avevano una
conoscenza sul fenomeno della violenza domestica pari al 61,6% di risposte corrette, mentre i
medici 63,4%. Dopo il corso di formazione infermieri rispondono correttamente al 71,5%
degli items e i medici al 72,4%.
8
Per quanto riguarda invece programmi di screening nonostante il Dipartimento della
salute degli USA promuova lo screening di routine al pronto soccorso, solo alcuni ospedali li
mettono in atto (Murphy & Ouimet, 2008). Rispetto agli strumenti usati i più noti sono:
Partner Violence Screen (PVS) (Feldhaus, Koziol-McLain, Amsbury, Norton, Lowenstein &
Abbott, 1997), che si sviluppa su quattro domande proprio per facilitarne l’uso al pronto
soccorso, indaga su episodi di violenza subiti nell’arco della propria vita sia da parte del
partner che da altri; ricordiamo anche The Conflict Tactics Scale (CTS) (Straus, 1979)
composta da 19 items, può essere usata da entrambi i partner, valuta episodi di violenza
verbale, fisica e sui minori. C’ è anche la versione revisionata CTS2, composta da 39 items
(Straus, Hamby, Boney-McCoy, & Sugarman, 1996) che valuta la frequenza delle violenze
nell’anno passato; un altro strumento di screening è l’ Abuse Assessment Screen (AAS)
(McFarlane, Parker, Soeken, & Bullock, 1992), indaga sulla violenza subita nell’ultimo anno
da qulcuno di vicino al soggetto, non necessariamente il partner, attraverso la
somministrazione tre domande stimolo ed è stato creato per la valutazione delle donne in
gravidanza. Ricordiamo infine The Index of Spouse Abuse, ISA (Hudson, & Mcintosh, 1981)
che si compone di 30 items valutati su una scala likert a 5 punti e misura gli abusi fisici e
psicologici subiti dal proprio partner.
In Italia il coinvolgimento degli ospedali nella lotta alle violenze è un’acquisizione
recente, è stato istituito all’interno di alcuni pronto Soccorso un percorso di emergenza per
donne e minori vittime di violenza : il codice rosa, ovvero un percorso alternativo, che parte
dal momento del triage, che tiene conto della delicatezza del problema e del disagio fisico e
psicologico della vittima. La paziente che arriva al pronto soccorso viene identificata da un
codice particolare, il codice rosa, che prevede la prestazione immediata di cure mediche e
sostegno psicologico, oltre all'avvio delle indagini delle forze dell’ordine per l’identificazione
degli autori delle violenze.
Alcuni ospedali che non hanno attuato il “codice rosa” come codice di classificazione al
triage, ma hanno comunque attivato dei percorsi per le donne vittime di violenza finalizzati a
condurre politiche di informazione, ricerca e formazione nonché collaborazione con le
strutture territoriali per un intervento congiunto e multidisciplinare regolato spesso da
protocolli di intesa.
Nello specifico la Regione Lazio dal 2009, si impegna a finanziare interventi volti a
prevenire e contrastare ogni forma e grado di violenza morale, fisica e psichica di natura
9
sessuale nei confronti delle donne; in particolare sostiene strutture ed aziende sanitarie per la
creazione e l’implementazione di centri di aiuto alle donne
7
.
La nostra ricerca si propone di indagare il modello di intervento che guida l’azione di
quattro sportelli antiviolenza all’interno di altrettanti ospedali Romani
8
; i servizi sono
profondamente diversi tra loro sia per la formazione ricevuta dagli operatori sanitari sia per l’
equipe che lavora allo sportello. Abbiamo svolto una ricerca di tipo qualitativo proprio per
cogliere le caratteristiche di ognuno e rilevare i vantaggi e le carenze dei diversi modelli di
intervento. Come anticipato nell’apertura di questo paragrafo l’ala femminista radicale spiega
la violenza sulle donne attraverso la teoria del patriarcato, questo modello teorico ha
influenzato l’intervento con le donne vittime di violenza configurandosi come approccio
massimalista (Langher, & Ricci, 2009a), riferendosi a una tipologia di donna definita a priori:
vittima non solo del proprio uomo ma vittima della sovrastruttura culturale eretta sul modello
patriarcale. Questa rappresentazione stereotipata della donna che subisce violenza, taglia fuori
tutta la dimensione personale e soggettiva della violenza, non lascia spazio all’esplorazione
della variabili storiche, culturali, psicologiche che intervengono nel produrre e subire
violenza. Tale tipo di approccio non si concilia con donne che non hanno una domanda di
aiuto, quali possono essere per esempio quelle che giungono al pronto soccorso a causa delle
lesioni fisiche provocate dall’abusante e non per iniziare un percorso di uscita dalla violenza.
Un intervento fondato esclusivamente sulle premesse del modello patriarcale sarebbe in
questo caso destinato a fallire poiché non esisterebbe una condivisione di obiettivi e ideali tra
le donne che subiscono violenza e le operatrici che lavorano in questi servizi ospedalieri
antiviolenza. Abbiamo voluto verificare l’aderenza a tale modello da parte dei servizi oggetto
della ricerca, tenendo in considerazione il fatto che in un caso l’intervento è gestito da una
cooperativa femminista e nell’altro è fondato sulla formazione avuta da un’associazione
femminista che tra l’altro opera all’interno del servizio coadiuvando l’equipe che lavora allo
sportello. Abbiamo inoltre esplorato il modello di intervento caratterizzante ogni servizio
mettendo in luce criticità e punti forza, nonché differenze, che possono dar spunti di
riflessione volti ad un miglioramento del servizio e alla strutturazione di nuovi sportelli
antiviolenza all’interno dei contesti ospedalieri.
7
Si veda http://www.regione.lazio.it/binary/consiglio/consiglio_wordpress/violenza_donne.pdf
8
In questo lavoro mi sono occupata di due servizi, per gli altri due si faccia riferimento al lavoro della
Dott.a Francesca Marroni, con la quale la ricerca è stata ideata: la fase della costruzione del disegno di ricerca e
della raccolta dati è stata svolta congiuntamente, mentre l’analisi dei dati è avvenuta separatamente.
10
.
METODO
Strumenti
Abbiamo scelto la metodologia della ricerca qualitativa poiché ci consentiva di
analizzare le caratteristiche del servizio nella sua globalità e complessità; oltretutto, la
tipologia di servizio indagata, è un’acquisizione recente delle strutture sanitarie, risulta quindi
un fenomeno nuovo e poco conosciuto, di conseguenza la ricerca qualitativa ci consentiva un
massimo grado di esplorazione e descrizione del servizio (Cicognani, 2002). Abbiamo voluto
reperire quanti più dati possibile rispetto al funzionamento dei servizi. Ci interessava che
emergessero sia le procedure con le quali il servizio metteva in atto l’intervento, sia il
significato che i partecipanti alla ricerca attribuivano al loro contesto lavorativo e alla
violenza sulle donne. Ci siamo avvalse pertanto dell’intervista semi-strutturata come
strumento sia nel racconto dei casi, sia nell’intervista generale, per dare la possibilità agli
intervistati di esprimere il più liberamente possibile il loro punto di vista. Abbiamo fissato dei
temi chiave che ci interessava indagare come: le procedure che guidano l’intervento, il
rapporto con i servizi coinvolti nell’intervento, gli obiettivi e la verifica di questi, la
rappresentazione della violenza sulle donne e i ruoli della donna e dell’uomo, il ruolo della
psicologa nei servizi. Per la griglia delle interviste si rimanda all’ appendice.
La scelta di effettuare dieci interviste sui casi specifici deriva dal voler individuare scelte
ripetute, eventi ricorrenti, che denotassero un modello di intervento quanto più vicino
possibile alla realtà.
Laddove le risposte non risultavano esaustive, sono state proposte delle domande
stimolo, volte ad approfondire o a reindirizzare il discorso sui temi prefissati.
Partecipanti
Nel primo servizio analizzato hanno partecipato alla ricerca tutti gli operatori dell’equipe
psicosociale composta da quattro assistenti sociali di cui un uomo e tre donne e una
psicologa. All’intervista generale erano presenti tutti tranne la psicologa che era impegnata in
un intervento, mentre per i casi ognuno di loro ci ha parlato di due storie che aveva seguito
personalmente.
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Nel secondo servizio preso in esame il personale è composto da operatrici di una
cooperativa impegnata nel contrasto alla violenza e alle discriminazioni, che gestisce lo
sportello antiviolenza all’interno dell’ospedale; è stata intervistata un’operatrice, durante
l’intervista generale; rispetto ai casi invece ha risposto alle nostre domande un’altra operatrice
che aveva seguito personalmente i casi.
Procedure
Per la selezione dei servizi da analizzare è stata compiuta una ricerca preliminare su tutti
gli ospedali di Roma ponendo particolare attenzione a quelli a cui era stato assegnato negli
anni 2007-2010 il “bollino rosa”. Il “Programma Bollini Rosa” è dal 2007 un programma
speciale di valutazione degli ospedali basato sul loro livello di “women friendship”, cioè sul
grado di attenzione posta non solo nei confronti dei campi della medicina dedicati alle
patologie femminili, ma anche verso le esigenze specifiche delle donne ricoverate.
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Abbiamo
contattato la direzione sanitaria degli ospedali attraverso una mail di presentazione della
ricerca e abbiamo chiesto la partecipazione alla nostra indagine. In seguito alle risposte, sono
stati selezionati quattro ospedali; il criterio che ha guidato la scelta è stato l’eterogeneità dei
servizi analizzati, sia rispetto all’ equipe, sia rispetto al contesto di provenienza, sia rispetto
alla formazione ricevuta sulla violenza di genere, con l’intento di esplorare il senso di queste
diversità e come esse potessero influire sul modello di intervento.
Si ricorda che nel mio lavoro verranno descritti due servizi, per l’analisi degli altri due si
rimanda alla ricerca della dott.ssa Francesca Marroni. Gli incontri con gli operatori si sono
svolti all’interno dei servizi analizzati, in accordo con i principi della ricerca qualitativa.
Dopo aver ottenuto il consenso alla partecipazione alla ricerca da parte della direzione
sanitaria, abbiamo riservato il primo incontro con gli operatori per spiegare meglio gli
obiettivi della ricerca e gli strumenti utilizzati e abbiamo chiesto di fornirci una panoramica
generale del servizio che è servita per la costruzione della griglia tematica delle interviste.
Il secondo incontro è stato dedicato all’intervista generale e i successivi all’esplorazione
dei casi.
Abbiamo lasciato agli intervistati la scelta dei casi da esporci, con l’ipotesi che anche
questa poteva darci degli indizi rispetto alle rappresentazioni degli operatori sul loro lavoro e
sulla violenza stessa.
9
www.bollinirosa.it
12