INTRODUZIONE
La consapevolezza che la musica sia una categoria carica di senso e, in
quanto tale, non imbrigliabile in una concezione unitaria, rappresenta il
primo gradino del percorso che ho inteso avviare in riferimento a uno
specifico oggetto musicale: l’opera lirica. Il tentativo generale di questo
lavoro, infatti, è stato, inizialmente, quello di fornire, attraverso la lente
sociologica, una chiave d’accesso alla comprensione di un genere musi-
cale che rappresenta un patrimonio immenso di valori culturali, storici,
estetici, morali e sociali. Sulla base di questa premessa ho cercato, suc-
cessivamente, di accostare al discorso sull’opera lirica, un soggetto che,
rispetto a esso, sembra apparentemente allontanarsi: il mondo
dell’infanzia.
In linea, dunque, con l’approccio sociologico alla musica, che conce-
pisce l’oggetto artistico quale indicatore di aspetti extraestetici della so-
cietà [Zolberg 1994, 27], si è indagata l’opera lirica. ¨ stato così possi-
bile constatare, sulla base della direzione inferenziale della sociologia
della musica, che spiega i fenomeni presenti nella società attraverso la
musica in essi prodotta, come l’arte sia socialmente inserita in un siste-
ma di grandezze riconoscibili, se non come funzionali, almeno come “e-
sistenti”, e rilevabili a una certa profondità d’analisi. Dunque, anche
l’opera lirica trova un’adeguata spiegazione solamente se collocata in un
piø ampio discorso che coinvolge strutture istituzionali di sostegno, fe-
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nomeni quali il mecenatismo e la committenza, forme di mediazione so-
ciale (come del resto, criticamente, sottolineò Theodor Wiesegrund A-
dorno nelle sue Vorlesungen, anche se con la commiserazione che si ri-
serva a un fenomeno in declino). Dimensioni, quindi, che testimoniano
come, ad essere indagato, non sia semplicemente il rapporto artista-
prodotto, ma il legame che questo binomio intrattiene, piø o meno age-
volmente, con le istituzioni politiche, sociali, ideologiche che fanno la
società. Sulla base di queste considerazioni, concepite inizialmente co-
me punto di partenza e poi assurte a vero e proprio filo conduttore, ho
deciso di analizzare l’opera nei termini di un ciclo, le cui fasi della pro-
duzione, esecuzione, mediazione e ricezione, rappresentano gli ambiti
all’interno dei quali verificare l’effettivo condizionamento del contesto
sociale. Tracciando una breve panoramica tesa a restituire il percorso
storico che ha condotto progressivamente alla nascita del melodramma,
ho analizzato il rapporto che lega ogni artista al contesto sociale che lo
sostiene (e dunque, inevitabilmente, lo condiziona), sia esso rappresen-
tato dall’ambito ristretto della corte, o dallo spazio pubblico e (relativa-
mente) piø “democratico” del teatro. La descrizione dei luoghi, infatti,
all’interno dei quali muta, contemporaneamente alla forma dello spetta-
colo operistico, anche la collocazione sociale dell’artista, ha rappresen-
tato una tappa obbligata di questo lavoro. Mi sono avvalsa, inoltre, dei
contributi provenienti dal quadro concettuale della comunicazione, che
ha permesso di verificare se la musica possa essere definita una forma di
comunicazione e se, al suo interno, avvenga una condivisione di codici
fra emittente e destinatario. La presenza, infatti, anche nell’ambito
dell’opera lirica, di un emittente (il produttore d’arte o compositore e
l’esecutore), di un messaggio (il testo, nella duplice veste musicale e let-
teraria) e di un destinatario (il pubblico), sembrerebbe non implicare,
necessariamente, una condivisione di significati fra emittente e destina-
tario, entrambi soggetti ugualmente attivi nello scambio comunicativo.
La possibilità, dunque, che l’esecutore, attraverso l’atto interpretati-
vo, possa cambiare paternità all’oggetto musicale, o che il destinatario,
sulla base della propria coscienza musicale o di uno specifico orizzonte
d’attesa, interpreti l’idea originale del compositore secondo differenti
codici sociali oltre che estetici, porta alla consapevolezza che tanto la
produzione, quanto l’esecuzione, la mediazione e la ricezione dell’arte,
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rappresentino espressioni differenti di un medesimo atteggiamento crea-
tivo. Se la produzione dell’arte costituisce il primo livello della com-
prensione musicale, la fruizione ne rappresenta sicuramente il secondo.
In linea, allora, con la teoria della ricezione secondo la quale il significa-
to di un testo non deriva soltanto dall’atto della produzione, ma si co-
struisce grazie alla lettura che ne danno i lettori [Garda 1989, 1], ho in-
teso annoverare tra essi soprattutto i bambini. Includere il mondo
dell’infanzia all’interno della categoria “pubblico”, significa, a mio av-
viso, ampliare non soltanto la sfera della ricezione dell’arte, ma in parti-
colar modo quella della mediazione. Questo obiettivo, inoltre, si rivela
tanto piø delicato quando, di fronte alla convinzione che l’opera lirica
rappresenti un genere musicale distante dal vissuto quotidiano dei piø
giovani, ci poniamo il compito di dimostrare: a) che la sua presunta in-
capacità aggregante e socializzante è il risultato di pratiche e atteggia-
menti socio-culturali sedimentati nel tempo, dunque non specifici
dell’oggetto musicale, ma socialmente attribuiti; b) che tale ostacolo può
essere superato grazie all’azione mediatrice di numerose istituzioni so-
ciali, tra cui principalmente la scuola. Dal momento che le istituzioni
sociali di sostegno possono influenzare il tipo e l’entità della musica
fruita al loro interno e al tempo stesso essere influenzate dalla specifica
esperienza musicale che in esse ha luogo, si può constatare come, ancora
una volta, la musica esibisca un significato sociale, anche quando la sua
pratica e la sua mediazione presuppongono e implicano istituzioni e a-
genzie sociali quali la scuola, la famiglia, il gruppo dei pari, le istituzio-
ni pubbliche e private che gestiscono gli spazi della musica [Gasperoni,
Marconi e Santoro 2004, 110]. Tali contesti richiamano alla mente il
processo di socializzazione all’interno del quale il bambino matura il
proprio senso di appartenenza e la propria identità sociale oltre che mu-
sicale. ¨ nell’ambito di questi luoghi che si acquista gradualmente con-
fidenza con un’importante caratteristica della musica, il suo essere rela-
zionale [Del Sordo 2005, 23]. Se la musica, infatti, è relazionale quando
ci consente di entrare in contatto piø stretto con le persone, o quando è
in grado di raccontare piø cose sulla nostra identità, allora anche l’opera
lirica esibisce una forma di relazionalità. PoichØ è sempre piø forte la
consapevolezza che l’esclusione dei giovani dal teatro lirico derivi dalla
mancata conoscenza o confidenza — entrambe figlie di una mancata
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educazione [Delfrati 2003, 2] — si ritiene che, se la musica, nel suo es-
sere relazionale, diviene parte di quella costruzione simbolica che ac-
compagna la nostra quotidianità e che si inserisce nei processi di socia-
lizzazione, allora, anche l’opera lirica, ci permetterà, attraverso i luoghi
che la accolgono, le figure che la mediano e gli spettatori che la inter-
pretano, di entrare in relazione con gli altri. Del resto, se il rischio mag-
giore sollevato dai mediatori sociali è rappresentato dalla condizione di
esclusione che vivono i giovani rispetto al teatro lirico e se la variabile
“titolo di studio” risulta uno dei fattori piø incisivi nell’orientare il con-
sumo operistico, allora si dovrebbe anticipare, nella vita dell’individuo,
il momento in cui lo stock di conoscenze, necessario ad apprezzare il
prodotto musicale, comincia ad accumularsi. PoichØ tale accumulazione
non è certo un fenomeno di breve periodo — e il discorso è valido tanto
per la musica folklorica quanto per quella “colta” («ogni musica è una
musica popolare» [Blacking 1986, 24]) — si è convinti che la dipenden-
za dal consumo operistico si svilupperebbe in maniera piø efficace a-
gendo in età scolare. In un percorso, allora, che vede i piccoli fruitori
assumere la duplice veste di attori e spettatori, i bambini, con riferimen-
to a tutti gli ambiti della cultura, non possono che essere concepiti quali
soggetti dotati di agentività, capaci, cioè, di costruire la propria identità
morale, sociale e culturale [Alanen 2004, 73]. Il nuovo approccio socio-
logico all’infanzia tende, infatti, a sottolineare come i bambini non siano
sprovvisti di capitale culturale, non vadano considerati contenitori pas-
sivi e soprattutto non debbano essere intesi quali becomings, esseri che
diventano, ma beings, esseri che sono [Hengst 2004, 205]. I risultati
conseguiti negli ultimi anni da numerosi progetti didattici, nati dalla col-
laborazione fra le scuole e i teatri lirici (tra i cui scopi rientrano anche lo
sviluppo di una cultura musicale, l’educazione all’ascolto consapevole,
lo stimolo alla conoscenza del melodramma e dei suoi linguaggi espres-
sivi, l’incremento del pubblico di domani), hanno convinto gli operatori
e le figure mediatrici, predisposte ad avvicinare i bambini all’opera liri-
ca, che la strategia piø efficace sia quella di non semplificare il prodotto
opera lirica, ma di restituirlo nella sua autentica complessità. Complessi-
tà che non è sinonimo di difficoltà, ma semmai di ricchezza, attributo
indispensabile per accendere lo stupore e l’entusiasmo del bambino. Di
fronte, infatti, ai linguaggi virtuali e alle modalità intertestuali con cui i
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bambini, autonomamente, accedono al mondo che li circonda [Hengst
2004, 198], il teatro, contenitore di uno spettacolo fruito dal vivo, offre
la possibilità di un contatto reale, cioè fisico (e non piø soltanto virtuale)
fra coloro che vi prendono parte, grazie alla consapevole, perchØ prepa-
rata, finzione condivisa [Bricco 2003, 31]. Numerose, infatti, sono,
all’interno del contesto scolastico, le attività laboratoriali che consento-
no al bambino-attore, attraverso un percorso di de-costruzione-
ricostruzione-reinvenzione, di smontare e rimontare il “giocattolo” ope-
ra lirica. Disporre, quindi, di maggiori strategie logico-costruttive, signi-
ficherà, per il bambino-spettatore, poter accedere al teatro (sede
dell’effettivo riscontro del cammino percorso), con un adeguato corredo
preparatorio.
Su questa linea ho scelto, infine, di analizzare uno specifico progetto
che, a mio avviso, rappresenta la summa dei temi affrontati. Opera Do-
mani, avviato ormai alla sua XIII edizione, promosso dall’As. Li. Co. e
dalla Regione Lombardia, nasce infatti nel 1997 con il duplice scopo di
aiutare gli adulti, soprattutto gli insegnanti delle scuole dell’obbligo e i
loro piccoli studenti, a familiarizzare con il linguaggio dell’opera lirica.
Come tanti altri analoghi percorsi, Opera Domani non si sogna di far
cadere innamorati dell’opera lirica i bambini, nØ tanto meno di creare
dei piccoli intenditori. Attraverso un percorso che non mira alla profes-
sionalizzazione ma all’educazione del bambino, e all’interno del quale
non è tanto il prodotto finale a contare quanto il processo, si tratta di fa-
re in modo che le numerose agenzie di mediazione coinvolte, possano
destare, nell’atto dell’esperienza estetica del bambino, lo «stupore» per
l’oggetto fruito [Dallari e Francucci 1998, 15]. Se, infatti, come sostiene
Nathalie Heinich, per mediazione dell’arte si intende tutto ciò che si
frappone fra l’opera d’arte e il suo fruitore, anche nel caso dell’opera
lirica il momento ricettivo sarà il risultato di una serie di interventi che
faranno dell’esperienza estetica il pretesto e l’occasione di un successi-
vo e costante luogo di incontro. L’esperienza dell’opera lirica diviene,
allora, la sede di un piø ampio spazio educativo, la conferma che anche
una forma musicale apparentemente “antiquata” possa costituire
un’occasione di formazione e di verifica delle competenze sociali e della
capacità che si ha di stare insieme agli altri [Gasperoni, Marconi e San-
toro 2004, 109]. Per tali ragioni, gli insegnanti, destinatari di primo li-
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vello di un percorso formativo loro proposto da operatori esterni, an-
dranno a far parte di un’ampia cerchia di mediatori (che comprende e-
sperti, critici, musicologi, registi, psicologi, docenti di storia della musi-
ca, musicisti, drammaturghi, esperti in pedagogia musicale, scenografi,
creativi e sociologi) intenta a rinforzare nei bambini, destinatari di se-
condo livello, la convinzione che il teatro musicale rappresenti lo spazio
del confronto, lo spazio neutrale e lo spazio dell’incontro [Bricco 2003,
36]. PoichØ, inoltre, anche il contesto contribuisce a determinare il tipo
di fruizione musicale, il teatro, mostrando la propria multidimensionali-
tà, ha l’occasione per riconfermare se stesso quale sede privilegiata (se
non esclusiva) di uno spettacolo fruito dal vivo come l’opera lirica.
Capitolo primo
LA LENTE SOCIOLOGICA E IL MONDO DELL’OPERA
Si può?... Si può?...
Signore! Signori!... Scusatemi
se da sol mi presento.
Io sono il Prologo.
Ruggiero Leoncavallo, Pagliacci [Prologo].
1. Un primo sguardo
1.1. Origini del melodramma
Se l’obiettivo del presente lavoro vuole essere quello di affrontare un
discorso su uno specifico oggetto musicale, quale il mondo dell’opera
lirica, la chiave d’accesso piø appropriata sembra, allora, a mio avviso,
quella di un discorso sull’arte. Seguendo, perciò, le riflessioni di Vera
Zolberg, in merito all’oggetto artistico, ritengo opportuno prendere le
mosse dai due punti di vista da lei stessa sollevati. PoichØ è difficile de-
finire in maniera univoca cosa sia arte, e piø in particolare cosa si inten-
da per musica, il tentativo sarà quello di abbandonare l’idea di una loro
concezione unitaria, per restituire entrambe le categorie alla complessità
interna di cui sono espressione. Così, se da un lato, la natura problema-
tica dell’arte influisce sul modo in cui questa viene studiata, dall’altro,
le discipline da cui provengono gli studiosi, suggeriscono loro percorsi
differenti. Facendo quindi nostra la distinzione della Zolberg tra un ap-
proccio endogeno, proprio degli umanisti ed uno esogeno, proprio dei
sociologi, ho tentato di capire in che modo la sociologia possa contribui-
re all’analisi di una categoria così carica di senso. Il primo dei due punti
di vista farebbe derivare il valore dell’opera dal fatto che l’artista è indi-
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visibile dall’oggetto artistico creato, così che ogni opera d’arte appare
come «un’unica e significativa espressione dell’animo del suo creatore»
[Zolberg 1994, 23].
Nel prestare attenzione al creatore, questi studiosi implicitamente ritengono che la
personalità e la psicologia dei singoli artisti siano intrinseche alle loro opere o al loro
stile, considerati come espressioni spontanee del genio individuale. In base a questo mo-
do di vedere le cose, sarebbero tali geni ad essere responsabili dei capolavori che godo-
no di una grandezza universalmente riconosciuta, e ciò risulta evidente quando ci si rife-
risce a un quadro come a «un Rembrandt» o «un Van Gogh», a un’opera come a
«un’opera di Mozart» o quando il nome di un artista viene aggettivato e applicato a uno
stile particolare, come in «motivi wagneriani» o «epifanie joyciane» [ibid.].
Ciò che dunque rappresenterebbe per gli umanisti una perdita di uni-
cità è, al contrario, ciò su cui lavora la sociologia. La regolarità e la tipi-
cità dell’oggetto di studio sono non solamente contemplate, ma ammes-
se a pieno titolo; rappresentano, anzi, il contesto nel quale l’opera d’arte
viene collocata e analizzata. Ed è proprio la contestualizzazione dell’arte
ciò che non può mancare secondo l’approccio esogeno. Un’opera d’arte
è
un momento all’interno di un processo che prevede la collaborazione di una pluralità
di attori che lavorano grazie a certe istituzioni sociali, seguendo tendenze storicamente
riscontrabili. Dal momento che essi sostengono che l’arte, al pari di qualsiasi altro fe-
nomeno sociale, non può venire compresa a pieno se estrapolata dal suo contesto sociale
e dato che, qualsiasi cosa sia, l’arte ha un valore monetario, i sociologi accettano che il
valore che le viene attribuito derivi non solo da qualità estetiche intrinseche all’opera
stessa, ma anche da condizioni esterne […] [ivi, 27].
Il punto di vista sociologico, allora, tende a lavorare sull’oggetto arti-
stico come indicatore, come tramite per arrivare a comprendere aspetti
extraestetici della società [ibid.]. Balzano in primo piano tutta una serie
di dimensioni quali le strutture istituzionali, le forme di preparazione
professionale, fenomeni quali il mecenatismo e analoghe forme di so-
stegno che evidenziano come, contrariamente all’approccio endogeno,
ciò che qui si analizza non è piø solamente il rapporto tra l’artista e il
suo prodotto, ma tra queste due figure e le istituzioni politiche, sociali,
ideologiche che fanno la società. PoichØ l’arte è socialmente strutturata,
attraverso di essa possiamo cogliere la complessità del contesto sociale
LA LENTE SOCIOLOGICA E IL MONDO DELL’OPERA
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in cui è inserita. Chiara allora la distanza fra la direzione inferenziale
della sociologia della musica e quella della storia sociale della musica;
mentre la seconda spiega la musica attraverso la società che la contiene
o la produce, la prima spiega la società attraverso la musica che ne è sta-
ta prodotta.
Raccogliendo così le preoccupazioni della Zolberg circa i limiti dei
due approcci, se applicati separatamente allo studio dell’oggetto artisti-
co, cercherò di restituire, nell’analisi del teatro d’opera, una prospettiva
che tenga conto di entrambe le dimensioni, quella endogena e quella e-
sogena. Consapevole che la nascita, la stabilità e il mutamento nelle
forme d’arte e in questo caso del genere “opera in musica” siano forte-
mente legate alla struttura sociale di sostegno, riconoscimento e control-
lo, dalla quale dipendono gli artisti, proverò a tracciare le origini e gli
sviluppi di quelle forme musicali antecedenti al teatro d’opera, a rappre-
sentare i “luoghi-istituzione” che videro crescere e maturare questa for-
ma di spettacolo, a descriverne le strutture di sostegno.
Il teatro ha avuto un posto di primo piano tra le arti barocche, anche
se in Italia, con l’eccezione della commedia dell’arte e delle forme con-
nesse, come la commedia, non esisteva un vero e proprio teatro in prosa
tragico (anche se ci sono le ben note eccezioni), il cui ruolo, come forma
di intrattenimento destinata alle classi sociali in un certo senso “alte”,
venne assorbito dal melodramma. Un duplice elemento fu all’origine
della nuova forma d’arte da cui si svilupperà l’opera lirica: musicale,
cioè l’avvento della monodia e letterario, cioè il gusto intellettuale e
umanistico del ritorno al teatro antico, classico. Il sogno degli umanisti
era quello di riportare sulla scena i testi greci e latini per far rivivere
quella che si riteneva fosse la forma di teatro piø completa: parola canta-
ta e azione scenica. Ma l’eredità dei classici, con i dogmi delle tre unità
aristoteliche, divenne presto un vincolo per ogni libera invenzione e finì
con il rallentare in Italia la nascita di un vero teatro nazionale [Busnelli
1984, 18].
Anche se consideriamo l’opera come un dramma che combina in-
sieme monologhi, dialoghi, impianto scenico, azione e musica, non si
può certo dire che questo rappresentasse una novità. L’unione di dram-
ma e musica risale all’antichità, ed è ormai lecito credere che le trage-
die, seppur non cantate nella loro interezza, fossero caratterizzate da dia-
CAPITOLO PRIMO
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loghi realizzati con una sorta di declamato, mentre le parti corali, canta-
te, consistevano in monodie, melodie in cui vi era una perfetta corri-
spondenza tra nota e sillaba, accompagnate da strumenti come la cetra o
l’aulos [Grout 1985, 26-27]. Della storia del teatro profano durante il
Medioevo, a eccezione delle farse popolari e di tutto il repertorio di atto-
ri girovaghi in cui è forse possibile rintracciare elementi della commedia
romana, si sa molto poco, contrariamente a quello religioso, il cui svi-
luppo avvenne all’interno della liturgia della Chiesa, e di cui in Occi-
dente ricordiamo il dramma liturgico e i misteri. ¨ con il Rinascimento
che crebbe l’interesse per tutte le forme di musica profana, la quale di-
venne elemento centrale durante ricevimenti di corte, festeggiamenti,
tornei, banchetti. Anche se questo tipo di musica non può ancora essere
definita ”drammatica” in quanto non serve ad accompagnare l’azione di
un dramma, è comunque propedeutica alla nascita dell’opera, la quale
trarrà ispirazione proprio da questi spettacoli di corte che riunivano ele-
menti molto distanti tra loro, come il canto, la musica strumentale, la
danza, la scenografia. La riscoperta del teatro profano ebbe luogo presso
le corti di molte città italiane come Ferrara, Roma, Firenze, Mantova e
Venezia, attraverso la rappresentazione di testi nuovi in latino o in ita-
liano. In essi la musica era piø o meno presente, ma sempre in funzione
subordinata e decorativa. Ne è un esempio una delle forme di spettacolo
con musica piø in voga nel Rinascimento: l’intermedio, che veniva ese-
guito, come suggerisce il nome, tra gli atti di una commedia e che consi-
steva in una forma di intrattenimento teatrale basato sulla musica, il bal-
lo, il canto e la declamazione. Vi prendevano parte i nobiluomini e le
nobildonne, nonchØ, talvolta, gli stessi sovrani. Una delle sue caratteri-
stiche era l’annullamento della linea di confine che normalmente separa
gli spettatori dagli attori [Burke 2007, 146]. Erano chiamati non appa-
renti se eseguiti fuori scena o apparenti se veniva data loro una qualche
sorta di rappresentazione. Tutto ciò che nel cambio di scena poteva di-
strarre e divertire gli spettatori era ammesso. Ben presto, da spettacolo
riempitivo, sarebbe divenuto l’evento teatrale piø atteso. Facile immagi-
nare come il pubblico si lasciasse attrarre piø da questi spettacoli che
non dal testo teatrale vero e proprio. Come afferma il critico letterario e
poeta inglese John A. Symonds in The Renaissance in Italy (1877):
LA LENTE SOCIOLOGICA E IL MONDO DELL’OPERA
11
Per la maggioranza del pubblico le danze e il fasto delle scenografie rappresentava-
no la principale attrattiva. Quindi non ci si deve stupire che il dramma, pur considerato
uno dei vertici dell’arte poetica, fosse soffocato dalla crescita spropositata dei suoi ele-
menti accessori [cfr. Grout 1985, 45].
L’avvento dell’opera non rappresentò certo la fine di questa forma di
spettacolo, che continuò ad essere proposta nelle corti italiane anche nel
Seicento, e che rappresentò un’importante anticipazione dell’opera per-
chØ mantenne viva nei poeti e nei musicisti italiani l’idea di una possibi-
le interazione tra teatro e musica. In questo senso il madrigale, fra le
forme sperimentali della fine del Cinquecento, rappresenta il tentativo di
adeguarsi alle necessità del teatro, ricercando un unione fra testo e mu-
sica. Differenziandosi sempre piø dalle sue prime formulazioni, si svi-
luppa, nel secolo XVII, un tipo di madrigale a carattere comico-realistico
e d’impianto dialogico in cui l’uso di piø voci (5 o 6) corrisponde alla
presenza dei vari personaggi. La rappresentazione del sentimento viene
resa da tecniche musicali che suggeriscono i sospiri, i pianti, le risa. Ca-
polavoro di questo genere è l’Amfiparnaso, “comedia armonica” di Ora-
zio Vecchi eseguito per la prima volta a Modena nel 1594. Escludendo
la messa in scena o ogni altra forma di rappresentazione, i madrigali si
ispiravano alle situazioni della commedia dell’arte o erano basati sulla
caricatura o sull’imitazione della realtà quotidiana. Nel suo prologo,
Vecchi afferma che «tale spettacolo si mira con la mente, dov’entra per
le orecchie e non per gli occhi» [Busnelli 1984, 20]. Tuttavia questi la-
vori non costituirono mai musica teatrale e il contributo che possono a-
ver dato alla nascita dell’opera consiste nell’aver provato
l’inadeguatezza di questa forma ai fini di una resa prettamente teatrale
[Grout 1985, 51]. AffinchØ, allora, il sodalizio fra teatro e musica si
consolidasse in una forma unitaria erano necessarie due cose: un genere
teatrale che tollerasse un uso continuo della musica e un genere di musi-
ca che raggiungesse l’espressività drammatica. Per la prima si ricorse
alla favola pastorale, per la seconda al recitativo monodico dei composi-
tori fiorentini [ivi, 47].
Il dramma pastorale era una trasposizione teatrale di quel filone della
letteratura classica che rappresentava in maniera idealizzata la vita agre-
ste e che riconosceva negli “idilli” dialogati di Teocrito e poi di Virgilio
i suoi predecessori. Fu proprio questo l’impegno dei primi autori di fa-