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Introduzione
Lo scopo di questa tesi è indagare come si è evoluto il rapporto fra
l’uomo e la macchina nella narrativa del secolo appena trascorso,
vedere come sono state percepite le innovazioni tecnologiche e
constatare il modo in cui si è cercato di integrare l’artificiale nella
vita e nella società dell’uomo.
Il concetto di macchina è di per sé ampio e variegato: può
andare dal generico riferimento alla tecnica fino allo specifico dei
prodotti più sofisticati della moderna tecnologia.
Massimo Negrotti definisce la tecnica «l’arte di inventare
beni tecnici e cioè mezzi materiali d’azione o di comunicazione con
l’ambiente fisico o sociale […], l’insieme di quelle pratiche che
permettono agli uomini di trarre il miglior partito dalle risorse
naturali esistenti allo scopo di soddisfare i loro bisogni materiali e i
loro ideali collettivi»
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, ed è tenendo presente questo assunto che
metterò in evidenza l’impiego delle macchine nei testi che
esaminerò.
Questo tema è trattato estesamente in opere utopiche,
distopiche e fantascientifiche.
Ho deciso di utilizzare per il mio lavoro opere appartenenti a
questi generi letterari per potermi avvalere della loro potente
capacità straniante e mettere così in evidenza dei temi che
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Massimo Negrotti, Sociologia dell’ambiente tecnico. Saggio sull’equilibrio futuro del
sistema cultura-tecnica, Franco Angeli Editore, Milano 1975, p. 56.
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altrimenti, in altri generi letterari, verrebbero sottaciuti o
passerebbero inosservati.
Tutti questi generi letterari suindicati muovono dal medesimo
stimolo intellettuale, che Trousson identifica nel metodo utopico, il
quale
consiste nella facoltà di immaginare, dunque di modificare la realtà
attraverso l’ipotesi, di creare una struttura distinta dal reale, parallela alla realtà
dei fatti. Con questa azione immaginaria si modificano le costanti assiologiche
del reale, si immagina ciò che sarebbe accaduto se le cose fossero diverse da
quello che sono. Si tratta quindi di un esercizio mentale sui possibili laterali. In
altre parole, il metodo utopico è un metodo di pensiero assai diffuso […]. Fino
ad un certo punto il procedimento dello scienziato e quello dell’utopista
coincidono: entrambi applicano infatti un ragionamento ipotetico-deduttivo,
con la sola differenza che lo scienziato utilizza l’esperienza mentale per
accedere ad una verità oggettiva di cui l’utopista non si preoccupa.
2
Utopia e distopia forniscono quindi delle varianti al nostro
presente, di solito ampliando determinate sue caratteristiche, per
mostrarci un’alternativa auspicabile la prima, un possibile pericolo
da scongiurare la seconda.
Le opere fantascientifiche svolgono un ruolo non meno
importante. Come osserva Carlo Pagetti:
anche nei suoi scrittori meno validi, la ‘science fiction’ rivela una
funzione fondamentale. Essa filtra gli enormi materiali della tecnica moderna, i
miti che l’immaginazione popolare costruisce intorno ad essi, comincia a dare a
2
Raymond Trousson, Viaggi in nessun luogo. Storia letteraria del pensiero utopico,
Longo Editore, Ravenna 1992, pp. 17-18.
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questi materiali una prima, sia pure ancora rozza, dimensione narrativa,
recuperando per l’uomo contemporaneo il senso del meraviglioso.
3
Attraverso la limitazione temporale che mi sono imposto e la
particolarità dell’argomento trattato, non è stato difficile individuare
quali opere distopiche utilizzare per la mia indagine.
Ben diverso è il discorso riguardo alle opere fantascientifiche.
Pur applicando queste limitazioni al mio campo d’indagine,
esso risulterebbe comunque eccessivamente vasto, poiché la natura
“popolare” del genere fantascientifico comporta una incontrollata
proliferazione di testi.
La maggior parte di queste opere non riesce a sollevarsi oltre
il livello di narrazioni d’appendice, ma anche considerando solo i
capolavori del genere, il loro numero rimane comunque elevato.
All’interno del genere letterario della fantascienza il concetto
di macchina, il modo in cui la si concepisce e ci si interagisce, può
servire a classificare un racconto in un sottogenere piuttosto che in
un altro.
Per questo motivo è necessario procedere ad una ulteriore
delimitazione del mio campo d’indagine.
Nel corso della storia il genere umano, attraverso il suo
ingegno e aiutato dagli strumenti della tecnica in continua
evoluzione, è riuscito a plasmare il mondo secondo le sue necessità
e i suoi desideri.
3
Carlo Pagetti, Il senso del futuro. La fantascienza nella letteratura americana,
Edizioni di storia e letteratura, Roma 1970, p. 153.
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E davvero per diverso tempo nessun ostacolo sembrava in
grado di opporsi all’avanzata del progresso.
Gli scrittori di cui parlerò, consapevoli del passato e sensibili
alle promesse insite nel presente, hanno capito che l’unico nemico
rimasto al genere umano è l’uomo stesso, una creatura dotata di
infinite capacità ma non libera da un certo istinto autodistruttivo.
Istinto che nelle opere di questi autori può manifestarsi
attraverso l’operato diretto degli uomini o attraverso le azioni delle
macchine da essi create.
Il fascino, il sottile potere di inquietudine provocato in noi
dalla possibilità di perdere il controllo sulle nostre creazioni, di
scoprire tragicamente quanto siamo umani, e quindi fallibili,
piuttosto che onnipotenti come il progresso scientifico può far
credere, è una condizione che ci è nota fin dal 1818, quando Mary
Shelley scrisse il suo Frankenstein.
Da allora questo topos è stato sfruttato innumerevoli volte e
intere legioni di creature artificiali si sono ribellate ingrate contro i
propri creatori, foriere di distruzione.
Spesso a queste macchine si attribuisce una forma di pensiero
autonomo, una intelligenza artificiale più o meno elaborata che
finisce con l’entrare in conflitto con gli esseri umani, magari
semplicemente per autodifesa.
Malgrado siano state scritte opere molto valide su questo
argomento, questa tesi non parlerà principalmente di intelligenze
artificiali, e solo in un caso saranno presenti delle macchine che
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hanno sviluppato forme evolute di intelligenza sfocianti in una
personalità determinata, e nel libero pensiero.
L’argomento principale di questa tesi non saranno nemmeno
automi, robot o replicanti
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, anche se in alcuni dei testi presi in
esame compaiono dei robot.
Verrà tuttavia posto l’accento sulla forma di avvicinamento
estremo tra uomo e macchina che è rappresentato dai cyborg, in cui
all’interno del corpo umano sono presenti innesti tecnologici più o
meno estesi o visibili allo scopo di potenziarne le capacità e
adattarlo a nuove esigenze.
Verranno esclusi i romanzi appartenenti al filone della
cosiddetta “space opera” e i testi incentrati sui viaggi nel tempo.
Questa tesi analizzerà principalmente il modo in cui la
meccanizzazione, l’automazione e la tecnica hanno influenzato (o
meglio potrebbero influenzare) la vita dell’uomo così come è stata
profetizzata nei romanzi presi a campione.
Verranno indagate le conseguenze sociali, i cambiamenti nei
valori fondamentali, il rapporto con la natura, il mutamento nella
spiritualità e nel sistema di conoscenza. Si vedrà come il mondo si è
adattato alle esigenze dell’uomo e come l’uomo stesso spesso si sia
adattato per vivere all’interno della macchina.
Pur con tutte queste limitazioni tematiche, il numero di opere
contenenti i requisiti giusti per questa tesi risulta ugualmente
vastissimo e qualsiasi scelta da parte mia di un gruppo di romanzi
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Per una distinzione fra i vari tipi di uomini artificiali, si rimanda al testo di Renato
Giovannoli, La scienza della fantascienza, Bompiani, Milano 1991, p. 22.
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campione potrebbe inevitabilmente prestare il fianco a critiche circa
la sua arbitrarietà, parzialità o non perfetta distribuzione nel tempo.
Ho tentato, fra tutti i romanzi di mia conoscenza, di scegliere
quelli più rappresentativi e noti, tenendo conto anche della loro
reperibilità.
Si tratta di un piccolissimo numero di testi, di cui confido si
capisca il carattere rappresentativo.
I titoli delle opere vengono citati in lingua originale con
traduzione italiana tra parentesi la prima volta che ricorrono, e
quindi solo in traduzione.
Seguendo l’ordine cronologico di pubblicazione, il primo
romanzo che ho preso in considerazione è Erewhon, or Over the
Range (Erewhon) di Samuel Butler
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, edito nel 1872.
Si tratta di una satira che utilizza procedimenti utopici, in cui
il protagonista, biondo bello cristiano e colonizzatore, lascia la
patria per trasferirsi in una colonia con lo scopo dichiarato di far
soldi e trovare anime da convertire alla vera religione.
Dopo aver superato una vasta catena montuosa e gigantesche,
mostruose statue diroccate il protagonista si trova nel paese di
Erewhon (chiaro anagramma di nowhere, nessun luogo).
Il protagonista entra in contatto con una strana popolazione e
si convince che essi siano i discendenti di una delle dieci tribù
perdute d’Israele; ed è proprio attraverso la descrizione della loro
società che si attuano gli scopi satirici di Butler.
5
Samuel Butler, Erewhon, or Over the Range, Trübner, London 1872. Edizione
Italiana: Erewhon, Adelphi, Milano 1993.
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Il paesaggio è simile in tutto e per tutto a quello di un
qualsiasi villaggio europeo di qualche secolo fa, tuttavia si riscontra
il totale e sistematico rovesciamento di ogni legge, morale
sentimentale o pratica. La salute è la virtù maggiore, la malattia un
crimine perseguito dalla legge.
Ma ciò che più ci interessa nel libro è la critica che Butler
muove al macchinismo. «Butler preferisce l’umano al materialismo
meccanicista del suo tempo. Partendo dall’idea che l’uomo è una
sorta di macchina, egli suggerisce curiosamente che la macchina è
un uomo in potenza e che l’evoluzione potrebbe renderla padrona
dell’umanità»
6
.
Il secondo libro che ho analizzato è The Machine Stops (La
macchina si ferma) di Edward Morgan Forster
7
, pubblicato per la
prima volta in rivista nel 1909.
Il dramma di un’umanità schiava si concretizza in
quest’opera in cui da secoli l’uomo vive nel sottosuolo all’interno di
una colossale e complessa macchina che provvede a tutti i suoi
bisogni.
Distopia catastrofica e visionaria, l’opera di Forster pone
interrogativi sulla natura stessa dell’uomo, sacrificata per realizzare
il suo desiderio di una condizione di vita migliore e materializza
tutte le paure legate alla meccanizzazione della vita umana che si
sono intraviste in Erewhon.
6
Raymond Trousson, op. cit., p. 164.
7
Edward M. Forster, The Machine Stops, Oxford and Cambridge Review, 1909.
Edizione italiana: La macchina si ferma, Editrice Nord, Milano 1985.
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In quest’opera la pervasività della macchina è pressoché
totale e la contrapposizione tra il meccanico e l’umano si intreccia
con il tema dell’uomo di genio, dell’artista ribelle che rifiuta di
conformarsi alla società cui appartiene.
Player Piano (Piano meccanico) del 1952 è il primo romanzo
pubblicato di Kurt Vonnegut
8
.
In questo romanzo si torna ad una ambientazione più
familiare, quella dell’America del dopoguerra.
Caratterizzato da un forte taglio sociologico, quest’opera
indaga la ricaduta sulla vita quotidiana della meccanizzazione e
dell’automazione portata avanti incessantemente in ogni campo.
Nel romanzo è opinione comune che l’ultima guerra sia stata
vinta grazie al know how tecnologico. Finita la guerra, visto il
risultato sull’economia generale del paese, si decide di mantenere il
sistema produttivo meccanizzato e la società risulta divisa
principalmente in due tronconi: da una parte dirigenti e ingegneri,
dall’altra la gente comune, impiegata nell’esercito o nel Corpo di
Ricostruzione e Risanamento.
Il credo fondamentale di questa società è l’efficienza,
l’economia è sostenuta dalla produzione di massa garantita dalle
macchine, si cercano continuamente nuovi mercati in cui esportare i
prodotti finiti e un computer centrale calcola nei minimi dettagli
tutto ciò che viene prodotto per evitare la sovrapproduzione e lo
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Kurt Vonnegut, Player Piano, Dell Pubblishing, New York 1952. Edizione italiana:
Piano meccanico, «Urania» 1393, Mondadori, Milano 2000.
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spreco, oltre a calcolare lo stipendio di sussistenza di cui vive la
maggior parte della popolazione.
È questa la parte centrale dell’opera: per garantire una sempre
maggiore efficienza le macchine sostituiscono gli uomini in quasi
ogni tipo di lavoro; gli uomini, come controvalore, ottengono uno
standard di vita agiato e qualche spicciolo da spendere, ma non
hanno più uno scopo.
Senza più un lavoro a nobilitarli, senza la dignità di potersi
guadagnare da vivere con le proprie abilità, si sviluppa una rivolta
contro le macchine. Rivolta palliativa, perché ormai il sistema è
troppo esteso e radicato.
The Caves of Steel (Abissi d’acciaio) di Isaac Asimov
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fu
pubblicato originariamente dalla rivista «Galaxy» in tre puntate a
partire dall’ottobre 1953, per essere poi pubblicato in volume l’anno
successivo.
In un futuro imprecisato e remoto la città di New York è
molto diversa da quella attuale. È una megalopoli con oltre venti
milioni di abitanti pensata all’insegna della razionalità e per
combattere gli sprechi. La città è divisa in settori, gli abitanti
vivono in immensi condomini con bagni comuni, si mangia nelle
mense, la distribuzione di energia, calore e luce è centralizzata.
Anche in questo romanzo lo sviluppo tecnico comporta la
perdita del lavoro di molte persone in favore dell’efficienza portata
dalla meccanizzazione.
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Isaac Asimov, The Caves of Steel, Galaxy, ott.-dic. 1953. Edizione italiana: Abissi
d’acciaio, Mondadori, Milano 1986.