V
indagine difensiva, ne disciplina in modo del tutto peculiare i caratteri fondamentali.
Non deve sorprendere, peraltro, la necessità di approfondire aspetti che sembrerebbero legati alla tipicità del
rapporto avvocato-testimone già nella parte generale; ciò è solo il riflesso del pesante condizionamento che la
struttura dell’atto comporta nei confronti di tutta la materia.
Molti interpreti, infatti, trattando genericamente di indagini difensive hanno sempre come riferimento
mentale il colloquio extraprocessuale con il potenziale testimone e questo, inevitabilmente, non fa che
rendere più incerti i confini tra discorsi generali sulle investigazioni della difesa e disciplina specifica
dell’atto in questione.
Un’ultima considerazione: sul futuro dell’istituto pesa, più che l’incognita su un’eventuale intervento
legislativo, peraltro auspicato da molti (e forse imminente dopo l’elaborazione di un Testo unificato di
riforma da parte della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati , il 21 luglio 1998), il clima di forte
conflittualità che caratterizza questo particolare momento storico della procedura penale in Italia.
Il settore sembra, infatti, avere più che mai bisogno del consolidarsi di una prassi riconosciuta come legittima
da tutti gli operatori: avvocati, pubblici ministeri e giudici, compresi ovviamente quelli per le indagini
preliminari chiamati a valutare il materiale raccolto dalla difesa, tra le altre cose, in sede di concessione e
revoca delle misure cautelari, settore evidentemente delicatissimo.
L’auspicio è che ciò possa presto avvenire per lasciare definitivamente alle spalle nostalgie e recriminazioni
di un mo dello inquisitorio che tanto ha pesato e continua a pesare sulla nostra cultura processuale, forte,
com’è, di una secolare tradizione.
Illudersi che basti un nuovo codice, senza un mutamento di prospettiva culturale di tutti i protagonisti del
processo significherebbe cedere, ancora, di fronte a quella che oggi resta, per molti, una riforma incompiuta.
VI
PARTE PRIMA
LE INDAGINI DIFENSIVE NELL’ORDINAMENTO PROCESSUALE
VII
Capitolo 1
Origini e vicende dell’istituto
1. Le indagini difensive nel modello accusatorio-2. Il principio del contraddittorio-3. Il diritto di <<difendersi
provando>>-4. Accusa e difesa: quale parità?-5. Il giusto processo nella Convenzione Europea dei diritti
dell’uomo -6. Riflessioni sul modello accusatorio all’italiana-7. Precursori delle indagini difensive-8. Verso
un nuovo ruolo per il difensore-9. Spunti comparatistici-10. Il silenzio del codice-11. La discussa sedes
materiae-12. I lavori preparatori e l’articolo 33 del progetto preliminare-13. L’articolo 38 delle disposizioni
di attuazione nella sua formulazione originaria-14. Il ruolo degli investigatori privati e l’articolo 222 delle
disposizioni di coordinamento-15. L’emergere di una forte giurisprudenza limitatrice-16. Verso un nuovo
intervento legislativo.
§1. Le indagini difensive nel modello accusatorio.
L’analisi dei modelli processual-penalistici, accusatorio e inquisitorio1, necessita di una preliminare
considerazione.
In qualunque prospettiva ci si ponga, i lineamenti dell’uno non possono che identificarsi per contrapposizione
con quelli dell’altro, e viceversa: <<entrambi, infatti, rappresentano dei puri tipi ideali collocati agli estremi
di un campo nel quale sono possibili diverse combinazioni secondo modalità differenti e in relazione a
numerose variabili>>2.
Tra i vari tentativi classificatori, che sempre hanno il pregio e il difetto della semplificazione, può essere
interessante metterne in luce alcuni, per le rilevanti implicazioni sul tema delle indagini difensive.
Inquisitorio potrebbe essere definito il metodo che esclude la dialettica tra accusa e difesa, per cui l’indagine,
svolta unilateralmente dal magistrato, procede in modo analitico, senza limiti, e l’acquisizione delle prove è
scritta e segreta; accusatorio, invece, quello basato sul conflitto delle parti in posizione di parità, davanti ad
un giudice non destinato alla ricerca delle prove, nella tendenziale unità di tempo rappresentata dal
dibattimento, sul tema proposto dall’accusa.
Colto nella sua essenza, quindi, <<il sistema accusatorio appare come una contesa tra due parti nettamente
contrapposte, risolta da un organo al di sopra di entrambe, con conseguente, netta distinzione delle tre
fondamentali funzioni processuali: accusa, difesa e giudizio>>3.
1
La letteratura sulla dicotomia accusatorio-inquisitorio è assai ampia: si vedano per tutti CONSO , Accusa e sistema accusatorio (diritto
processuale penale), in Enc. dir. , Milano, Giuffrè, 1958, vol. I, pp. 334 s.; ILLUMINATI , Accusatorio e inquisitorio (sistema), in Enc.
giur. Treccani, Roma, 1988, vol. I. In prospettiva comparatistica si collocano AMODIO, Il modello accusatorio Statunitense e il nuovo
processo penale italiano: miti e realtà della giustizia americana, in AA .VV., Il processo penale negli Stati Uniti d’America, a cura di
AMODIO-BASSIOUNI, Milano, Giuffrè, 1988, p. XI; FINI, Appunti di diritto comparato sul modello accusatorio e inquisitorio , in Arch.
pen., 1965, I, p. 41.
2
Cfr. ILLUMINATI , op. cit., p. 1.
3
CONSO , op. cit., p. 336. L’autore individua anche analiticamente i principi propri del sistema accusatorio puro: <<a) necessità di
VIII
Dalle grandi linee si sviluppano, con sufficiente determinatezza, due differenti modelli culturali: l’uno
portato ad attribuire all’organo pubblico il ruolo prevalente e predominante nella dinamica processuale,
l’altro, invece, più aperto ad un metodo di accertamento caratterizzato dalla parità delle armi tra accusato e
accusatore.
Nella prospettiva delle indagini difensive sono interessanti anche le nozioni di principio dispositivo4 e
adversary system5 che, seppure ricondotte spesso al concetto di accusatorietà non sono ad esso perfettamente
sovrapponibili.
A venire in rilievo in questa terminologia è soprattutto la tecnica di acquisizione probatoria, che vede le parti
come assolute protagoniste della ricerca e della presentazione del materiale probatorio, con tendenziale
esclusione dei poteri di attivazione ex officio in capo all’organo giudicante.
Alle parti, e non al giudice terzo, spettano gli oneri di allegazione probatoria finalizzati all’obiettivo di
convincere, mediante specifici elementi di fatto, il giudice stesso dell’affidabilità della tesi sostenuta.
Già da queste poche considerazioni si evince come proprio nei sistemi che, in un modo o nell’altro, si
ispirano ad una tradizione latu sensu accusatoria, le investigazioni del difensore assumano un ruolo rilevante
nella dinamica processuale.
La disponibilità delle prove implica, ovviamente, la possibilità che le parti siano effettivamente messe nelle
condizioni di ricercare e individuare quelle fonti di prova idonee a garantire sostegno alla propria tesi,
accusatoria o difensiva che sia6.
Altro problema, indubbiamente assai controverso, è se, o meno, il nostro codice abbia recepito nella sua
struttura i caratteri del sistema accusatorio (nonché del principio dispositivo per quanto concerne l’iniziativa
probatoria) e se, di conseguenza, queste riflessioni valgano a pieno titolo per il codice attualmente in vigore.
Vero è che nell’articolo 2 della legge delega 16/2/1987 n. 81 è stabilito che il codice di procedura penale
<<deve attuare nel processo penale i caratteri del processo accusatorio>>, ma poi si precisa che ciò deve
avvenire secondo specifici <<principi e criteri>> indicati peraltro in modo dettagliatissimo nelle 105 direttive
dell’articolo stesso7.
Non si può certo negare come sulle investigazioni difensive non ci sia alcun accenno esplicito8, essendosi
proceduto alla loro regolamentazione solo in sede di disposizioni di attuazione e di coordinamento.
un’accusa proposta e sostenuta da una persona distinta dal giudice; b) pubblicità di tutto il procedimento; c) sua conseguente oralità; d)
parità assoluta di diritti e di poteri tra accusatore ed imputato; e) esclusione di qualsiasi libertà del giudice nella raccolta delle prove sia a
carico che a discarico; f) allegazione delle prove da parte dell’accusatore e dell’imputato; g) libertà personale dell’imputato fino alla
sentenza irrevocabile>>.
4
Si consulti in proposito LIEBMAN, Fondamento del principio dispositivo, in Riv. dir. proc., 1960, pp. 551 s.
5
Secondo ILLUMINATI , op. cit., p. 3, l’espressione può essere considerata <<affine>> a quella di rito caratterizzato dal principio
dispositivo.
6
Cfr. FRIGO, Quale destino per l’indagine difensiva?, in Dif. pen., 1993, n. 41, pp. 21 s.
7
Valgano per tutti le considerazioni di CONSO , Verso un nuovo processo penale-problemi di metodo e scelte di fondo, in Giust. pen.,
1988, I, c. 516; e di FREDAS, Il difensore e gli eventuali testimoni nelle indagini preliminari, in Cass. pen., 1989, p. 2292.
8
Per le opinioni di chi giudica questa lacuna tale da non impedire la realizzazione delle indagini difensive stesse, essendo implicite nel
sistema delineato dal nuovo codice, vedi oltre, §9.
IX
Prima di trarre conclusioni affrettate è, però, assolutamente necessario soffermarsi in via preliminare su
alcuni concetti generali la cui portata va chiarita per consentire un corretto inquadramento sistematico
dell’istituto e comprendere meglio i motivi di un dibattito che resta variegato e complesso.
Si tratta dell’analisi del principio del contraddittorio, del c.d. “diritto alla prova” e della parità accusa-difesa,
tutti elementi essenziali per introdurre la successiva trattazione specifica.
§2. IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO
A tutt’oggi resta ferma la convinzione che lo strumento del contraddittorio costituisca <<il metodo meno
imperfetto per la ricerca della verità nell’ambito dell’attività giurisdizionale>>9.
Si tratta, in sostanza, di riconoscere come solamente lo scontro dialettico delle differenti posizioni sia in
grado di fare sorgere nel giudice dubbi e convinzioni in ordine alla sussistenza o meno di circostanze o
elementi rilevanti ai fini della decisione da adottare10.
Tale metodo è chiaramente fondato sulla definizione classica di dialettica quale <<arte di raggiungere e
cogliere il vero mediante la discussione delle opinioni>>11.
Ma quando può dirsi pienamente integrato il contraddittorio?
Taluni requisiti minimi sembrano essere:
-la conoscenza delle opinioni, argomentazioni e conclusioni altrui,
-la possibilità di manifestare al giudice le proprie, indicandone i presupposti fattuali e giuridici,
-l’opportunità di esercitare un’attività propulsiva del processo attraverso gli strumenti previsti, ad esempio
istanze, richieste, impugnazioni.
Non vi è dubbio che la sede naturale per la realizzazione del contraddittorio sia la pubblica udienza
dibattimentale: l’oralità e la contestualità del confronto garantiscono, infatti, ad entrambe le parti di poter
ascoltare dalla viva voce, e di poter immediatamente controbattere, le asserzioni dell’altra, consentendo così
alla figura terza, connaturata all’idea di contraddittorio, di formare il proprio convincimento nel modo più
diretto e genuino.
Nel nostro ordinamento il principio del contraddittorio trova, secondo l’unanime orientamento dottrinale,
fondamento a livello costituzionale quale corollario del diritto di difesa espresso dall’art. 2412.
Anzi si è sostenuto che proprio il <<contraddittorio è il mezzo fondamentale per l’esercizio>>13 di tale
diritto.
Resta, però, da chiarire se sia o meno possibile richiamare tale principio anche al di là del momento del
giudizio dibattimentale.
9
Così CALAMANDREI, La dialettica del processo , in Opere giuridiche, a cura di CAPPELLETTI , vol. I, Napoli, 1965, pp. 678 s.
10
Sul tema c’é ampia letteratura: si consultino, per tutti, CAVALLARI, Contraddittorio , in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1961, vol. IX, pp.
728-738; GIOSTRA , Contraddittorio (diritto processuale penale), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, vol. VIII, pp. 1-6.
11
Così CAVALLARI, op. cit., p. 729.
12
Tra le voci più autorevoli si segnala ANDRIOLI, Appunti di procedura penale, Napoli, Jovene, 1965, pp. 181 s.; CONSO ,
Considerazioni in tema di contraddittorio nel processo penale italiano, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1966, pp. 405 s.
13
CAVALLARI, op. cit., p. 730.
X
Se, infatti, il modello misto14 vigente fino al 1989 assicurava il rispetto del contraddittorio pressoché
esclusivamente in tale fase, la scelta accusatoria del nuovo codice pare aprire nuovi orizzonti interpretativi.
In effetti, molte disposizioni del nuovo codice di rito sottendono l’intento di restituire un pieno
contraddittorio in tutte le fasi procedimentali, dalle indagini preliminari all’esecuzione15.
In questa prospettiva, l’indagine difensiva si propone quale essenziale strumento finalizzato allo sviluppo di
un contraddittorio autenticamente paritario tra le parti, nella ribadita convinzione dell’irrinunciabilità del
metodo dialettico.
La natura dell’investigazione difensiva si svela in modo chiaro quale essenziale momento preparatorio a
garanzia della autenticità dello scontro dialettico dibattimentale.
Per chiarire: un’eventuale assunzione di informazioni da un terzo informato dei fatti da parte del difensore va
riguardata in relazione alla predisposizione della successiva, e ben più decisiva, cross-examination16.
Infine, una considerazione: lo spirito del contraddittorio è rispettato laddove è garantita ad entrambe le parti
la possibilità di raccogliere e ricercare elementi di prova, attraverso autonome attività di investigazione; ma è
altrettanto importante che il materiale di indagine resti tendenzialmente ad uso interno delle parti stesse,
nell’ottica di un’accurata e completa preparazione della causa.
Laddove, invece, le risultanze delle investigazioni siano ampiamente utilizzabili a fini probatori, il rischio
sarà quello di una progressiva svalutazione della dialettica dibattimentale, sommersa da un <<diluvio di
scritti>>17, formulati unilateralmente da p.m. e difensore.
Si finirebbe per contrapporre una difesa monologante ad un’accusa monologante, e, non lo si dimentichi,
<<due monologhi non fanno un dialogo>>18.
§3. IL DIRITTO DI <<DIFENDERSI PROVANDO>>.
Il diritto alla prova19 sancito dall’art. 190 è espressione tipica del nuovo processo penale di impronta
accusatoria ove le prove, nell’ottica della realizzazione del principio dispositivo, sono ammesse, in linea di
14
La dottrina ha da tempo utilizzato il concetto di processo di tipo misto per descrivere tutti quei modelli, peraltro anche molto diversi
tra loro, risultanti dalla combinazione tra i caratteri dell’accusatorio e dell’inquisitorio. A tale categoria si è ascritto anche il processo
vigente nel nostro Paese prima dell’introduzione del nuovo codice; a tal proposito si veda CAVALLARI, op. cit., pp. 729 s.
15
Si fa riferimento all’intervenuta giurisdizionalizzazione del processo esecutivo, a seguito delle dir. 96 e 97 dell’art. 2 della legge
delega.
16
Si prescinde, per ora, dalle pur rilevanti prospettive di utilizzazione del materiale di indagine difensiva in momenti diversi dal
dibattimento, ad esempio nei riti alternativi o nell’ambito dei procedimenti cautelari; su tali temi si veda ampiamente oltre, cap. 2, §5.3.
17
FERRUA, Poteri istruttori del p.m. e nuovo garantismo, una inquietante convergenza degli estremi, in GREVI , Misure cautelari e diritto
di difesa nella legge 332/95, Milano, Giuffrè, 1996, p. 258.
18
GIOSTRA , op. ult. cit., p. 1.
19
La bibliografia sul tema è assai ampia, si ricordano tra gli altri, per la maggiore prossimità al tema delle indagini difensive: CRISTIANI;
Commento all’articolo 38 delle disposizioni di attuazione, in Commento al nuovo codice di procedura penale. La normativa
complementare, vol. I, coordinato da CHIAVARIO, Torino, UTET, 1992, pp. 157 s.; ERCOLANI, L’effettività del diritto alla prova delle
parti private nel nuovo processo , in Crit. pen., 1990, pp. 3-31; NOBILI, Diritto alla prova e diritto di difesa nelle indagini preliminari, in
Giust. pen., 1990, III, cc. 129-137; ID , Prove a difesa e investigazioni di parte nell’attuale assetto delle indagini preliminari, in Riv. it.
dir. e proc. pen., 1994, pp. 398-420; PANAGIA, Il diritto alla prova della difesa tra norme penali e codice di rito , in Riv. it. dir. e proc.
pen., 1991, pp. 1249-1257; PERCHINUNNO, Il nuovo ruolo del difensore nella ricerca delle fonti di prova in Studi vassalli; Evoluzione e
riforma del diritto e della procedura penale, vol. II, Milano, Giuffrè, 1991, pp. 217-232.
XI
massima, solo su richiesta di parte, e ciò sia nella fase dibattimentale, che in udienza preliminare e anche,
eccezionalmente, in sede di incidente probatorio.
Risulta così capovolta la logica inquisitoria, ispirata all’idea dell’iniziativa officiosa del giudice in materia di
prove, e vengono relegati nei confini delle eccezioni <<i casi in cui le prove sono ammesse d’ufficio>> (art.
190 co. 2).
Con il vecchio rito l’iniziativa concernente la ricerca spettava, soprattutto, al giudice istruttore poiché questi,
secondo l’abrogato art. 299, aveva l’obbligo di compiere <<tutti gli atti necessari all’accertamento della
verità>>.
Un confronto analitico sui vari aspetti delle due normative evidenzia chiaramente il grande mutamento di
prospettiva attuato nel 1989.
Sotto il profilo soggettivo i titolari dell’iniziativa sono attualmente il p.m., che può avvalersi anche
dell’operato del personale di polizia giudiziaria, da un lato, l’avvocato e, se specificamente a ciò delegato,
l’investigatore privato, dall’altro.
Per quanto riguarda il profilo oggettivo il riferimento non è più a tutti gli atti, ma, piuttosto, a quanto l’art.
187 individua come thema decidendum, e, parallelamente, come thema probandum.
È cambiata anche la direzione finalistica che non fa più alcun rinvio all’<<accertamento della verità>> ma,
invece, va inquadrata, per quanto concerne il p.m., nella prospettiva dell’esercizio, o meno, dell’azione
penale (art. 326).
Ciò non significa certo che il nuovo codice abbia rinunciato a perseguire l’obiettivo dell’accertamento della
verità, attraverso una effettiva ricostruzione dei fatti della causa, ma piuttosto è l’espressione più lucida di
come nessuna verità sia precostituita al dibattimento, in cui la ricostruzione avverrà sì, ma con la garanzia del
metodo dialettico.
L’art. 190, in sostanza, accollando alle parti l’onere della prova ha definitivamente stabilito che <<ci si
difende provando e si accusa provando>>20, dando così concretezza a una nozione nata da tempo nelle
elaborazioni dottrinali21.
D’altro canto la struttura del procedimento e la sfera di applicabilità delle disposizioni generali in tema di
prove22 ci portano ad affermare, pur a fronte di una giurisprudenza non sempre lineare sul punto, la necessità
che il diritto alla prova sia garantito, non solo nella pur importante fase di formazione dibattimentale della
prova, ma anche <<in ogni stato e grado del procedimento>>23.
Attività logicamente anteriore all’introduzione della prova è quella della ricerca e individuazione delle fonti;
ciò significa che la disponibilità delle prove va completata attribuendo al difensore anche la possibilità di
20
Cfr. PANAGIA, op. cit., p. 1250.
21
La paternità dell’espressione <<diritto di difendersi provando>> spetta a VASSALLI, Il diritto alla prova nel processo penale, in Riv. it.
dir. e proc. pen., 1968, p. 12. In questo celebre scritto l’autore ricollega tale principio alle implicazioni dell’articolo 24 della
Costituzione che sancisce: <<la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento>>.
22
Ricordiamo il dibattito sull’applicabilità delle disposizioni del libro III del codice di procedura penale intitolato <<Prove>>; dopo
alcune incertezze iniziali, è ormai unanime il consenso sulla generale validità, nei limiti di eventuali disposizioni particolari, di tutte le
norme generali (artt. 187-193). Si veda GREVI , Prove , in CONSO-GREVI , Profili del nuovo codice di procedura penale, Padova, Cedam,
IV^ ed. aggiornata ed ampliata, 1996, pp. 227 s.
23
PERCHINUNNO, Il nuovo ruolo del difensore…, cit., p. 220.
XII
un’autonoma ricerca, individuazione e preventiva delibazione di tali fonti24.
È naturale, infatti, che al soggetto indagato spetti il diritto, nell’ambito della propria difesa di svolgere
indagini e ricerche, nonché di raccogliere informazioni per individuare le proprie fonti di prova (si tratterà
per lo più di testimoni a discarico) e di valutarne consistenza e attendibilità, in vista del momento in cui sarà
opportuno o necessario presentarle per l’escussione25.
Ciò è tanto più importante se riflettiamo, ad esempio, sui meccanismi della cross-examination che richiedono
necessariamente un vaglio del difensore sull’attendibilità e sulle conoscenze del soggetto eventualmente da
includere nelle liste dei testi a discarico26.
Proprio con riferimento alle tecniche di esame dibattimentale va ricordato come tutti i manuali anglo-
americani sull’esame incrociato sottolineino come mai debba essere posta una domanda della quale non si
conosca <<in anticipo il tenore della possibile risposta>>27, cosa che evidentemente implica la conoscenza
nell’esaminante di quanto è noto all’esaminando e di conseguenza la necessità, oltre che la legittimità, di
investigazioni preprocessuali.
In quest’ottica lo strumento dell’indagine difensiva si configura quale espressione, come emerge dallo stesso
art. 38 disp. att., del diritto alla prova in questa ampia accezione, la più coerente con il modello delineato dal
legislatore delegante nel 1987.
§4. Accusa e difesa: quale parità?
Nella direttiva 3 dell’art. 2 della legge delega è previsto che il nuovo sistema processuale debba garantire
<<partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità, in ogni stato e grado del procedimento>>.
Una simile presa di posizione, che richiama i caratteri del processo accusatorio puro, sarebbe di per sé
sufficiente ad assicurare alla difesa quelle facoltà di investigazione che sono parimenti consentite all’accusa.
Ma, come vedremo nel paragrafo successivo, molti dubbi restano sulla possibilità di definire accusatorio puro
il rito che emerge dalle disposizioni del nuovo codice di procedura penale; ecco, quindi, la necessità di
riflessioni più approfondite sulle molteplici implicazioni di questa difficile parità28.
Molte voci, forti e autorevoli, sono intervenute per limitarne in qualche modo la portata, sicuramente
dirompente in un Paese come il nostro, da secoli fedele alla tradizione inquisitoria prima e ad un processo di
tipo misto, ma pur sempre caratterizzato da una forte incidenza unilaterale del magistrato inquirente, poi.
Già in sede di lavori parlamentari si legge che <<la partecipazione di accusa e difesa su basi di parità non
vuol affermare un’ontologica identità di posizione, sia pur in ruoli contrapposti, ma, piuttosto, significa
24
Cfr. BASSI-DE CASTIGLIONE, Investigazioni del difensore e rapporti con i testimoni nel nuovo processo penale, in Giust. pen., 1989,
III, c. 378.
25
Si veda, in tal senso, D’AMBROSIO, Difensore e garanzie difensive nelle indagini preliminari, in Giust. pen., 1990, III, c. 404.
26
Il concetto è esposto con forza da FRIGO, Quale destino…, cit., p. 28; nello stesso senso ZANCAN, Problemi della difesa con
particolare riferimento alle investigazioni private, in Quad. C.S.M., 1990, n. 32, pp. 81-89.
27
Cfr. SCAPARONE, Common Law e processo penale, Milano, Giuffrè, 1974, p. 112, che rinvia a COLMAN, Cross-examination: a
pratical handbook, 1970, p. 78.
28
Sull’argomento si consulti FRIGO, Difensore, in AMODIO-DOMINIONI, Commentario del nuovo codice di procedura penale, Milano,
Giuffrè, 1989, p. 573.
XIII
utilizzazione dello strumento tecnico del contraddittorio nel modo più esteso possibile e terzietà dei giudici
più trasparente possibile>>29.
Va segnalata anche l’opinione di chi ha subito precisato che con il nuovo processo penale si vuole instaurare
<<una dialettica paritaria>>, e non <<un’impossibile parità tra accusa e difesa nel dibattimento e
nell’acquisizione di ogni atto di rilevanza probatoria>>30.
Emblematica la posizione di chi ha addirittura sostenuto che la struttura del nuovo rito <<non consente di
parlare di parti finché non siano esaurite le indagini preliminari e non sia avvenuta la loro costituzione nel
procedimento>>31; <<nella fase delle indagini non si è affatto inteso prescindere dalla obiettiva diversità…
delle funzioni del p.m. e della difesa>>32.
Secondo questi interpreti, in sostanza, il principio di parità sarebbe limitato al solo momento dibattimentale,
escludendo pertanto qualsiasi possibilità di richiamo delle indagini difensive nell’ambito dello stesso.
Pur riconoscendo la legittimità di simili prese di posizione, che si inquadrano in una specifica lettura di tutta
la riforma, si ritiene di poter accogliere conclusioni differenti.
Il chiarissimo dettato della legge delega, (che non è tale da lasciare spazio a interpretazioni restrittive, in
difetto di norme espresse in contrario33) dispone che la parità debba, invece, manifestarsi <<in ogni stato e
grado del procedimento>>. Si tratta di prendere atto che il nuovo codice ha introdotto profonde innovazioni:
invece <<se si vuole isterilire la formula legislativa alla sola area dibattimentale vien fatto di chiedere in che
cosa consista la novità del nuovo rito penale in quanto una parità può essere realizzata in giudizio anche
mediante le semplici garanzie del contraddittorio nella pubblica udienza>>34.
Uno degli argomenti più forti di coloro che puntano ad una relativizzazione del principio della parità delle
armi, sta nell’analisi della direttiva 37 dell’articolo 2 della legge delega, tradottasi nell’articolo 358 che
afferma il potere-dovere del pubblico ministero di accertare anche fatti e circostanze a favore della persona
sottoposta alle indagini.
Ciò infrangerebbe inevitabilmente la parità teorica tra organo dell’accusa e difensore, del tutto svincolato
dalla necessità di segnalare elementi a carico, per ovvie ragioni.
Ma possiamo davvero dirci soddisfatti di una simile argomentazione? Innanzitutto la circostanza che al p.m.
sia stato riconosciuto il potere di svolgere indagini che in un processo accusatorio puro spetterebbero alla
difesa, <<non significa ancora che si sia inteso proibirle a quest’ultima>>35.
29
On. CASINI nella relazione della IV Commissione permanente della Camera dei deputati.
30
COCO , Relazione sul disegno di legge delega per il nuovo codice di procedura penale, in Cass. pen., 1987, p. 447.
31
L’opinione è di FREDAS, L’avvocato e il testimone nel nuovo processo penale, in Cass. pen., 1989, p. 318. Analoghe considerazioni
sono proposte da GIACALONE, I soggetti del nuovo processo penale-Il pubblico ministero , in Corr. giur., sez. professione giurista, n. 5,
1990.
32
Così BRANCACCIO, La riforma del processo penale, in Cass. pen., 1988, p. 1293.
33
Tale argomentazione è proposta da BASSI-DE CASTIGLIONE, op. cit., c. 388.
34
Così RAMAJOLI, I rapporti difensore-testimone, in Riv. Avv. Milano, 1988, n. 3, p. 16.
35
BASSI-DE CASTIGLIONE, op. cit., c. 388. Nello stesso senso FRIGO, Obiettivi e mezzi di una tutela politica del diritto di difesa , in Cass.
pen., 1995, pp. 458-468.
XIV
E possiamo veramente pretendere che l’indagato, fiducioso nell’affidabilità del p. m., rimanga inerte durante
tutta la fase delle indagini preliminari, aspettando di giocare le sue carte solo in dibattimento?
<<Ogni investigatore… non parte professionalmente orientato sulla ricerca della prova a discarico; chi
volesse pensare una cosa di questo genere, chi la volesse immaginare o pretendere per il futuro, o anche solo
per il passato…sarebbe fuori dalla realtà... Chi conduce un’indagine giudiziaria, per spinta quasi naturale, per
professionalità, per esigenze del tema di indagine che gli è proposto, è almeno tendenzialmente orientato
nella ricerca della prova a carico>>36.
Prevedere questo potere-dovere non significa che il codice abbia voluto ritornare alle vecchia
caratterizzazione inquisitoria di un pubblico ministero <<quasi giudice>>37, il cui operato resta fuori da
qualsiasi connotazione di parte38.
Tramite l’art. 358 si è presumibilmente voluto raggiunge tutt’altro scopo: escludere dal nuovo rito uno degli
eccessi della struttura accusatoria; quella sporting theory tra le cui espressioni vi è la facoltà del prosecutor di
non fornire all’avversario nemmeno gli elementi di prova raccolti in suo favore.
Dunque l’obbligo di svolgere indagini a favore dell’indagato va inteso come <<metodo di verificazione delle
proprie tesi per il pubblico ministero , non come obbligo di sostituirsi alle indagini della difesa>>39.
Nessun dubbio, dunque, che il p. m. che nel suo itinerario di ricerca della prova a carico si imbatta in fatti
favorevoli alla persona sottoposta alle indagini, non solo non possa nascondere tali fatti, ma non li possa
nemmeno dimenticare40, svolgendo su di essi tutti gli accertamenti necessari per l’esercizio dell’azione
penale.
Riteniamo di poter dire, quindi, che nonostante i diversi doveri professionali che caratterizzano i ruoli di p.m.
e difensore, l’uno organo pubblico con il compito di <<vegliare sull’osservanza delle leggi e promuovere la
repressione dei reati>>41, l’altro legato a mandato fiduciario con l’indagato nel cui unico interesse deve
svolgere la propria attività, il principio di parità non possa essere confinato solo all’area dibattimentale.
Ciò non può certamente far perdere la consapevolezza circa il diverso onere probatorio che grava sulle parti
processuali: al p. m. il compito di raggiungere un grado di probabilità al di là di ogni ragionevole dubbio
sulla colpevolezza dell’imputato, al difensore, invece, la possibilità di ottenere l’assoluzione anche grazie
all’insinuazione di un solo dubbio nella mente del giudice42.
Se, dunque, il concetto di parità non può che aprire la strada alla presenza dell’istituto dell’indagine
difensiva, su di esso non pare invece possibile fondare un’eventuale garanzia di identici strumenti di indagine
36
DOMINIONI, Le investigazioni del difensore ed il suo intervento nella fase delle indagini preliminari, in Dif. pen., 1989, p. 24-25.
37
Sul punto si veda, ampiamente, il §14.
38
L’espressione è di NOBILI, Diritti difensivi, poteri del pubblico ministero durante la fase preliminare e legge 8 agosto 332/1995,
(relazione svolta al XX Convegno di studio <<E. DE NICOLA>> su Il diritto di difesa dalle indagini preliminari ai riti alternativi,
Cagliari 29 settembre-1 ottobre 1995) in Cass. pen., 1996, pp. 353 s.
39
Così FOCARDI-TONINI, Utilizzabili nel procedimento cautelare le dichiarazioni raccolte dal difensore, in Dir. pen. e proc., 1998, n. 8,
pp. 997 s, nota a sent. Cass., 111 luglio 1997, Lutfija e altro, pp. 994-997.
40
DOMINIONI, Le investigazioni del difensore…, cit., pp. 25-26.
41
Sono queste alcune delle funzioni che l’art. 73 del R.D. 12/41 <<Ordinamento giudiziario>> attribuisce al pubblico ministero,
nell’attuale assetto del sistema giudiziario.
42
Ciò si ricostruisce dall’analisi del combinato degli artt. 530-533.
XV
per entrambe le parti, soluzione evidentemente sbilanciata proprio in virtù del diverso onere probatorio delle
stesse.
Sulle modalità tecniche dell’investigazione difensiva, sui limiti e le prospettive di utilizzazione, il dibattito
resta pertanto aperto, alla ricerca di un difficile, e forse sempre precario, punto di equilibrio.
§5. Il giusto processo nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
I principi cui si è fatto riferimento trovano autorevole legittimazione anche nel dettato della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali43, e nell’interpretazione che,
sulla base della stessa, si è sviluppata grazie alla giurisprudenza evolutiva della Corte Europea dei diritti
dell’uomo 44.
Ciò assume una rilevanza peculiare anche alla luce di quanto disposto nella parte iniziale dell’art. 2 della
legge delega, che recita testualmente: <<il codice di procedura penale deve... adeguarsi alle norme delle
convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona ed al processo penale>>.
Non vi è alcun dubbio, quindi, che il sistema delineato dalla Carta in esame possa essere riguardato come uno
dei motivi ispiratori della riforma del 1989.
In particolare, l’art. 6 della Convenzione configura il c.d. diritto al giusto processo45, attraverso previsioni
che, pur rimanendo, e non potrebbe essere diversamente, estranee ad una prospettiva di specificazione
analitica, ripropongono quegli stessi temi che abbiamo già segnalato costituire il fondamento
dell’investigazione difensiva.
Non pare decisivo in senso contrario l’argomento per cui nessun riferimento esplicito all’istituto si ritrova né
nella Convenzione né nella giurisprudenza della Corte46; ciò non impedisce di certo di intraprendere la strada
dell’analisi sistematica di questo settore, più che mai importante quantomeno per evidenziare il rilievo
sovranazionale dei principi suesposti.
Né va dimenticata l’influenza diretta della Convenzione nel nostro ordinamento; la disciplina dell’equo
processo, e l’insieme dei principi che lo caratterizzano, oltre all’evidente importanza dal lato puramente
ideale, assume concretezza a fronte della previsione che lo Stato contraente, irrispettoso di tali linee-guida,
sia condannato dalla Corte europea per violazione del dettato della Convenzione.
43
La Convenzione Europea per la salvaguardia dei dirit ti dell’uomo e delle libertà fondamentali è stata firmata a Roma il 4 novembre
1950, ed è stata ratificata dall’Italia e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 48.
In generale sul sistema delineato dalla Convenzione si veda CHIAVARIO, La convenzione europea dei diritti dell’uomo nel sistema delle
fonti normative in materia penale, Milano, Giuffrè, 1969.
44
Si tratta dell’organo che controlla, insieme alla Commissione europea dei diritti umani, il rispetto della Convenzione. È formata da un
numero di giudici pari a quello dei membri del Consiglio d’Europa e scelti tra giureconsulti di riconosciuta esperienza o persone che
posseggano i requisiti richiesti per l’esercizio delle più alte funzioni giudiziarie (art. 39 Conv.).
È competente a conoscere dei ricorsi presentati dalla Commissione o dagli Stati contraenti, nonché, secondo il Protocollo del 6
novembre 1990, dal singolo individuo leso (art. 48 Conv.).
Sulla giurisprudenza della Corte si consulti AA . VV., L’interpretazione giudiziaria della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, a
cura di FACCHIN, II^ ed., Padova, Cedam, 1990.
45
Sul punto, ampiamente, DELMAS-MARTY , Verso un’Europa dei diritti dell’uomo. Ragion di Stato e diritti umani nel sistema della
Convenzione europea, Padova, Cedam, 1994, pp. 174 s; UBERTIS, Diritto alla prova nel processo penale e Corte Europea dei diritti
dell’uomo, in Riv. dir. proc., 1994, pp. 489 s.
46
Così FREDAS, Il difensore e gli eventuali testimoni.., cit., p. 2293.
XVI
Le decisioni della Corte, vincolanti per lo Stato cui si rivolgono, comportano di norma che sia lo Stato stesso
a porre rimedio per la violazione compiuta: in via eccezionale, peraltro, è previsto che laddove una
riparazione in tal senso non sia possibile con gli strumenti di diritto interno, sia la Corte medesima a
procedere direttamente <<all’equa soddisfazione nei confronti della parte lesa>> (art. 50 Conv.).
Si propongono alcuni cenni sulle tematiche più rilevanti.
Per quanto concerne il diritto alla prova è vero che il riferimento ad esso è piuttosto implicito e limitato
letteralmente alla sola prova testimoniale (art. 6, co. 3 lett. d)47, ma è altrettanto vero che la giurisprudenza
della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ormai da tempo chiarito come il precetto sia da intendere alla
stregua di una <<disciplina concernente un aspetto particolare ed esemplificativo della più lata nozione di
giusto processo, comunque applicabile ad ogni tipo di prova ed incardinato sul rispetto della dialettica
probatoria>>48, e pertanto sull’autentica tutela del contraddittorio.
Non è casuale inoltre che, nonostante l’assenza di riferimenti testuali, la Corte abbia più volte colto
l’occasione, di fronte a singole questioni, di affermare il principio della parità delle armi, quale necessario
corollario di un processo equo49 che postula una piena ed effettiva partecipazione di entrambe le parti alle
vicende processuali.
Particolare attenzione merita, infine, l’elaborazione giurisprudenziale relativa ai concetti di imparzialità e
terzietà del giudice; la giurisdizionalizzazione è senz’altro presupposto imprescindibile perchè il
contraddittorio possa realizzarsi appieno, di fronte ad un soggetto in grado di tutelare e garantire sia le
esigenze dell’accusa che quelle della difesa, proprio perchè svincolato da qualsiasi rapporto con entrambe,
oltre che con l’oggetto della causa50.
Un accenno, almeno, è d’obbligo per alcuni altri grandi temi che sono riconducibili al concetto di giusto
processo, anche se marginali rispetto alla prospettiva dell’investigazione della difesa: la durata ragionevole
del procedimento penale, il principio di pubblicità delle udienze, il limite massimo di durata della custodia
cautelare in carcere51.
47
L’articolo 6, co. 3 recita: <<Ogni accusato ha diritto a... d) interrogare o fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere la
convocazione e l’interrogazione dei testimoni a discarico, nelle stesse condizioni dei testimoni a carico>>.
48
Cfr. UBERTIS, op. ult. cit., p. 489.
L’affermazione di tale principio si ritrova in C. eur. dir. uomo, 6 maggio 1985, Bonisch c. Austria, cui hanno fatto seguito tutta una serie
di pronunce orientate nello stesso senso: cfr., in particolare, C. eur. dir. uomo, 26 marzo 1996, Doorson c. Paesi Bassi, in Dir. pen. e
proc., 1996, n. 7, pp. 816 s.; C. eur. dir uomo, 20 settembre 1993, Saïdi c. Francia; C. eur. dir. uomo, 19 febbraio 1991, Isgrò c. Italia; C.
eur. dir. uomo, 19 dicembre 1990, Delta c. Paesi Bassi; C. eur. dir. uomo, 20 novembre 1989, Kostovski c. Paesi Bassi; C. eur. dir uomo,
27 settembre 1990, Windisch c. Austria.
49
Di parità della armi si occupano molte sentenze, tra cui indichiamo le più significative: C. eur. dir. uomo, 18 marzo 1997, Foucher c.
Francia, in Dir. pen e proc., 1997, n. 7, pp. 814-815; C. eur. dir. uomo, 26 settembre 1996, Miailhe c. Francia, ivi, 1996, n. 12, pp. 1463-
1464.
50
Alla Corte il merito di aver elaborato criteri certi sui concetti di imparzialità oggettiva e soggettiva del giudice: tra le sentenze più
recenti sul tema, si segnalano: C. eur. dir. uomo, 24 settembre 1997, Coyne c. Regno Unito, in Dir. pen. e proc., 1997, n. 12, p. 1462; C.
eur. dir. uomo, 25 febbraio 1997, Findlay c. Regno Unito, ivi, 1997, n. 6, pp. 690 s.; C. eur. dir. uomo, 7 agosto 1996, Ferrantelli e
Santangelo c. Italia, ivi, 1996, n. 10, pp. 1211-1212; C. eur. dir. uomo, 10 giugno 1996, Pullar c. Regno Unito, ivi, 1996, n. 10, p. 1209;
C. eur. dir. uomo, 23 aprile 1996, Remli c. Francia, ivi, 1996, n. 8, p. 964.
51
Sulla durata ragionevole del procedimento penale: C. eur. dir. uomo, 25 novembre 1997, Zana c. Turchia, in Dir. pen. e proc., 1998, n.
3, pp. 302 s.; C. eur. dir. uomo, 27 giugno 1997, Philis c. Grecia, ivi, 1997, n. 9, p. 1088; C. eur. dir. uomo, 21 novembre 1995,
Acquaviva c. Francia, ivi, 1996, n. 3, p 305, C. eur. dir. uomo, 18 luglio 1994, Venditelli c. Italia, ivi, 1995, n. 1, pp. 105-106; C. eur. dir.
uomo, 26 febbraio 1993, Messina c. Italia.
Sul principio di pubblicità dell’udienza: C. eur. dir. uomo, 24 novembre 1997, Szucs c. Austria, in Dir. pen. e proc., 1998, n. 2, pp. 201-
202; C. eur. dir. uomo, 29 ottobre 1991, Fejde c. Svezia; C. eur. dir. uomo, 22 maggio 1990, Weber c. Austria.
XVII
Resta, nel complesso, la soddisfazione di poter ritrovare anche in campo europeo una grande attenzione per le
stesse tematiche cui si è accennato nei paragrafi precedenti e su cui si ritiene di poter fondare la
legittimazione, seppur indiretta, dell’indagine difensiva52.
§6. Riflessioni sul modello accusatorio all’italiana.
Come si è visto, parità accusa-difesa ed elaborazioni intorno al diritto alla prova consentono di dare un primo
quadro sistematico al ruolo delle investigazioni difensive nell’attuale sistema normativo.
Di certo, però, sull’approccio complessivo alla materia gioca la diversa prospettiva con cui gli interpreti
hanno letto la riforma del biennio 1988/89.
È innegabile che un traghettamento diretto verso il modello accusatorio puro non sia avvenuto53; piuttosto
che indagarne le ragioni in questa sede è sufficiente limitarsi a prenderne atto a fronte di alcuni dati
quantomeno problematici.
A livello costituzionale è tuttora cardine del sistema processuale penale il principio dell’obbligatorietà
dell’azione penale, mentre è noto che i modelli adversary privilegiano la discrezionalità della stessa54.
Ci si riferisce, inoltre, alla riconfermata centralità, di fatto anche se, forse, non di diritto, del p. m. durante le
indagini preliminari55, anche alla luce della conclamata debolezza della nuova figura del g.i.p., spesso
accusata di <<appiattirsi>>, nelle proprie decisioni, sulle richieste dell’inquirente56.
Da segnalare, poi, le prese di posizione delle sezioni unite della Cassazione, autorevolmente confermate
anche dalla Corte Costituzionale, che legittimano tuttora un’iniziativa probatoria d’ufficio da parte del
giudice57, da taluni lette in insanabile contrasto con il principio di disponibilità delle prove, cui pure si
Sulla durata ragionevole della detenzione provvisoria: C. eur. dir. uomo, 17 marzo 1997, Muller c. Francia, in Dir. pen. e proc., 1997, n.
7, pp. 813-815; C. eur. dir. uomo, 18 dicembre 1996, Scott c Spagna, ivi, 1997, n. 5, p. 564; C. eur. dir. uomo, 13 luglio 1995, Van der
Tang c. Spagna, ivi, 1995, 12, pp. 1429 s.; C. eur. dir. uomo, 29 novembre 1988, Brogan c. Regno Unito, in AA. VV. L’interpretazione...,
cit., p. 30.
52
Il sistema di controllo instaurato dalla Convenzione costituisce senza dubbio un’esperienza eccezionale nella tutela internazionale dei
diritti umani, campo in cui gli stati sono ancora restii non tanto ad obbligarsi convenzionalmente quanto a sottoporsi ad accertamenti
vincolanti di organi internazionali. Ad esso si sono ispirate, per molti aspetti, sia l’esperienza della Convenzione americana sui diritti
dell’uomo, firmata a San José de Costarica il 22 novembre 1969 ed entrata in vigore nel 1978, che il recente Tribunale Penale
Internazionale per la ex-Jugoslavia, istituito dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la risoluzione 827/1993 a cui è annesso lo Statuto
del Tribunale stesso (riprodotto in Riv. dir. int., 1994, pp. 249 s.).
53
L’on. VASSALLI da Presidente della Commissione giustizia del Senato ebbe a proporre addirittura l’eliminazione dal testo della legge
delega della parola accusatorio, per la sua genericità inadatto, a suo dire, ad un testo normativo, in AMODIO-BASSIOUNI, Il processo
penale negli Stati Uniti d’America, cit., p. 252.
54
Peraltro gli interpreti preferiscono evitare di considerare la discrezionalità dell’azione penale quale elemento essenziale del modello
accusatorio ricollegando piuttosto tale caratteristica dell’ordinamento statunitense al fenomeno della giustizia contrattata, o plea
bargaining, cfr. ILLUMINATI , Accusatorio..., cit., p. 4.
55
Si parla tuttora del p.m. come <<dominus>> delle indagini preliminari, cfr. NEPPI MODONA, Indagini preliminari e udienza
preliminare, in CONSO-GREVI , Profili..., cit., p. 405.
56
A tal proposito si segnalano le interessanti riflessioni di DE LALLA, Idee per un completamento istruttorio del giudice nelle indagini
preliminari, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, p. 64; si consulti anche PERCHINUNNO, Il giudice per le indagini preliminari e le scelte
relative all’azione penale, in Giust. pen., 1994, III, cc. 577-583.
Una proposta più articolata su un <<nuovo g.i.p.>> si deve a NOBILI, Prove a difesa ..., cit., p. 420: l’autore propone <<a) una revisione
non superficiale dell’assetto delle indagini preliminari, b) una revisione delle competenze di tale giudice, a cui servono poteri adeguati a
soddisfare le varie esigenze probatorie immediate della difesa, c) il mantenimento del principio per cui il g.i.p. interviene solo a
domanda di parte, prevedendo però che egli possa rispondere senza assurdi limiti di poteri e limiti alla cognizione di atti, d) una ben
precisa differenziazione dal p.m., per evitare il noto errore pendolare di un giudice che diviene il giudice-pubblico ministero...>>.
XVIII
richiama la prima parte dell’art. 190, e come riaffermazione di modelli propri del rito inquisitorio.
Peraltro, la previsione di una limitata iniziativa probatoria d’ufficio non è di per sé sufficiente ad escludere
l’accusatorietà di un determinato modello processuale, e ben potrebbe giustificarsi alla luce dell’impossibilità
che il giudice si pronunci con un non liquet e di conseguenza all’opportunità che siano comunque a lui
riservati taluni poteri di impulso, anche nel settore probatorio.
Infine la possibilità che parte cospicua del materiale di indagine, soprattutto dopo la novella del 1992
58
, sia
direttamente utilizzabile dal giudice ai fini della decisione finale, allontana il nostro processo dal sistema
delle c.d. inchieste di parte e pone, per le indagini della difesa grossi problemi di documentazione e
utilizzazione delle stesse, sconvolgendo inoltre il principio per cui la formazione della prova dovrebbe
avvenire esclusivamente in dibattimento, con tendenziale inutilizzabilità del materiale raccolto nella fase
delle indagini
59
.
Di fronte a questi rilievi, in relazione ai quali è stata coniata la felice espressione di modello <<accusatorio
all'italiana>>
60
, si è scatenato però un forte contrasto interpretativo.
Vi è chi esalta il nuovo sistema imperniato sul tentativo di trovare una mediazione con la nostra tradizione e
che quindi è disposto a valorizzare questi aspetti di stampo latu sensu inquisitorio quali dati caratterizzanti di
una nuova procedura
61
.
Vi è chi, invece, auspicando un più deciso superamento dei vecchi modelli, vi vede solo il tentativo del
sistema precedente di conservarsi e sopravvivere a se stesso, nonostante gli ideali fortemente innovatori che
hanno ispirato la legge delega e la versione “originale” del codice del 1988
62
.
Non si può negare che siano proprio questi ultimi a dedicare maggiore attenzione alle indagini difensive,
viste come banco di prova, per saggiare le capacità di rinnovamento della nostra cultura processuale.
Per questo motivo privilegeremo talora le loro opinioni, pur mettendo in guardia, ove occorra, da quegli
eccessi della sporting theory che la tradizione italiana ha comunque già chiaramente dimostrato di
considerare inaccettabili.
57
Cfr. Cass., 2 dicembre 1992, Di Fonzo, in Arch. nuova proc. pen., 1994, p. 259 e Cass., 6 novembre 1992, Martin, ivi, 1992, pp. 685-
689: la Corte di Cassazione ha chiarito che il potere di supplenza del giudice in tema di prove trova spazio anche nel caso in cui non vi
sia stata in precedenza alcuna acquisizione probatoria. La Corte Costituzionale, successivamente, ha confermato tale orientamento
specificando che tale potere è sì suppletivo, ma non a carattere eccezionale (C. Cost., sent. 111/93, in Giur. cost., 1993, pp. 901 s., con
note di SPANGHER, L’articolo 507 del codice di procedura penale davanti alla Corte Costituzionale, ulteriore momento nella definizione
del <<sistema accusatorio>>compatibile con la Costituzione, pp. 919 s. e di VALENTINI REUTER, La Corte Costituzionale alle prese
con l’art. 507 c.p.p., ovvero: ritorno al futuro , pp. 922-939; e in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, pp. 1057 s., con nota di FERRUA, I poteri
probatori del giudice dibattimentale: ragionevolezza delle Sezioni Unite e dogmatismo della Corte Costituzionale, pp. 1065 s.)
58
Il riferimento è alla nota sentenza 255/92 della Corte Costituzionale e alla nuova formulazione dell’art. 500, che in relazione all’esame
testimoniale ha consentito la possibilità di acquisire le dichiarazioni rese nella fase delle indagini laddove sussistano altri elementi di
prova che ne confermino l’attendibilità in caso di difformità con le dichiarazioni rese in dibattimento, ponendosi in contrasto, secondo
molti con il principio della formazione dibattimentale delle prove. Sulla “permeabilità” tra indagini preliminari e dibattimento ed i
riflessi in tema di indagini difensive si veda oltre, §15.
59
Cfr. FRIGO, La formazione della prova nel dibattimento: dal modello originario al modello deformato , in Giur. it., 1993, IV, pp. 312 s.
60
L’espressione è utilizzata da NOBILI, Prove a difesa…, cit., p. 401.
61
È il caso di FREDAS, Il difensore e gli eventuali testimoni…, cit.; e di CONSO, Verso un nuovo processo…, cit.
62
Tra le voci più autorevoli BASSI-DE CASTIGLIONE, op. cit., c. 389; FRIGO, Un avvocato nuovo per un nuovo processo penale, in Cass.
pen., 1987, pp. 2063 s.