Introduzione
III
INTRODUZIONE
Negli anni, diverse strategie di politica monetaria, sono state perseguite
dalle Banche Centrali. Esse si differenziano, sia in termini di obiettivi principali
che si propongono di raggiungere, sia in termini di modalità con cui ottenerli.
Nell’ultimo ventennio, la maggior parte delle Banche Centrali dei paesi
OCSE ha fissato come obiettivo primario la stabilizzazione dell’inflazione, nella
consapevolezza che, eliminando le distorsioni sul livello dei prezzi, si possa aprire
la strada verso la crescita dell’output e la riduzione della disoccupazione.
Sebbene la dottrina sostenga sostanzialmente le scelte dei banchieri
centrali per quel che concerne gli obiettivi, la stessa è profondamente divisa su
quali siano le modalità più opportune per raggiungere tali obiettivi.
Principalmente, esistono due linee teoriche che divergono per la
considerazione del legame tra stabilità dell’economia e conduzione della politica
monetaria. Secondo una di queste correnti, quella che fa riferimento a Friedman,
l’economia è intrinsecamente stabile e manovre monetarie discrezionali sono
sconsigliate in quanto destabilizzanti del sistema. Invece, secondo il filone
contrapposto, quello che fa riferimento a Keynes, l’economia, essendo instabile, è
soggetta a crisi e shock ricorrenti, quindi sono indispensabili manovre
discrezionali.
In particolare, il dibattito si è concentrato su due approcci denominati,
rispettivamente, monetary targeting e inflation targeting.
Nello specifico, il monetary targeting si basa su un obiettivo intermedio
concernente il tasso di crescita dell’aggregato monetario scelto, cioè su variabile
che a differenza del tasso di inflazione è più facilmente controllabile. L’obiettivo
intermedio opera come una regola che l’autorità monetaria è tenuta a seguire.
Al contrario, l’inflation targeting si basa sul perseguimento, da parte della
Banca Centrale, di un tasso di inflazione obiettivo che viene quantitativamente
definito e che cerca di raggiungere senza fare leva su variabili intermedie, ma
utilizzando il tasso di interesse come variabile strumentale. Essendovi
discrezionalità, la Banca Centrale è libera di muovere la variabile strumentale in
Introduzione
IV
risposta ai vari shock che si manifestano nell’economia al fine di mantenere il
livello inflattivo promesso.
Da questa suddivisione si percepisce chiaramente come la scelta tra regole
e discrezionalità è essenzialmente una scelta che si lega ad una assunzione
riguardante la stabilità dell’economia, ed in particolare del mercato monetario.
L’obiettivo di questo elaborato è proprio quello di analizzare le relazioni esistenti
tra il mercato monetario e le scelte di politica monetaria.
In tale ottica, nel primo capitolo di questo lavoro, si effettuerà un’analisi
delle fondamentali teorie sulla domanda di moneta che sono state proposte in
letteratura. Lo studio si soffermerà sulle caratteristiche che la funzione di
domanda di moneta assume nei due apparati teorici, specie in termini di stabilità e
di trasmissione degli impulsi di politica monetaria.
Il solo aspetto teorico-fondamente, seppur essenziale, risulta insufficiente
per far si che i banchieri centrali operino delle scelte reali circa la conduzione
della politica monetaria. Ben noto è che ogni teoria, essendo ottenuta tramite un
processo logico-induttivo, risulta valida sotto certe ipotesi. È quindi importante
per il banchiere centrale capire quale apparato di ipotesi risulta più conforme al
sistema economico-finanziario nel quale opera.
A tal proposito, nel secondo capitolo, verranno esposte alcune tra le
principali metodologie di misurazione empirica della domanda di moneta. Di esse
verranno analizzate analogie e differenze con i modelli teorici, nonché possibili
interpretazioni dei risultati ottenuti alla luce delle stesse assunzioni teoriche.
Obiettivo fondamentale di questa parte di lavoro, è quello di mettere in
evidenza che le analisi empiriche, essendo effettuabili con metodi molti differenti
tra loro, sia per quanto riguarda il rilevamento dei dati e la costruzione del
modello, sia per quel che concerne le metodologie matematiche di estrazione di
alcuni valori caratteristici dai dati, non costituiscono una base univoca per la
scelta di un regime di politica monetaria piuttosto che un altro.
Tale scelta risulta determinata più da questioni di tipo storico-politico-
istituzionale, che da analitiche e tecniche analisi empiriche. Il secondo capitolo si
concluderà infatti con la discussione delle caratteristiche tipiche dei regimi di
monetary targeting e inflation targeting. Di essi saranno analizzate caratteristiche
Introduzione
V
peculiari, applicazioni, fondamenti teorici ed in maniera particolare il ruolo della
domanda di moneta.
Nell’ultimo capitolo, dopo una brevissima analisi storica, verranno
analizzate tutta una serie di problematiche che i modelli classici di inflation
targeting presentano e si vedrà come essi perdano efficacia nel momento in cui
non risultano verificate delle ipotesi forti circa la stabilità dei mercati finanziari e
la distribuzione degli shock.
Come soluzione a questi problemi verrà analizzato un modello ibrido di
politica monetaria proposto da Söderström, che consiste nell’assegnazione ad una
Banca Centrale, operante in regime di inflation targeting, di un obiettivo sulla
crescita della moneta.
In letteratura sono stati proposti altri metodi per risolvere i problemi dei
modelli di pure inflation targeting che ad esempio mirano al livellamento dei tasso
di interesse, al raggiungimento di un target sul livello dell’output, al
mantenimento di un livello inflattivo medio. In questa sede è stato scelto di
analizzare il modello di Söderström, successivamente esteso in maniera più
analitica da Goodhart (2007), fondamentalmente per due motivi.
La prima motivazione trova la sua spiegazione nell’obiettivo principale di
questo lavoro. Volendo cercare le relazioni che legano il mercato monetario alla
politica monetaria, si è individuato nel modello di hybrid inflation targeting una
equa commistione tra i modelli recanti il solo target inflattivo o il solo target
monetario, che da il giusto ruolo al mercato della moneta, un ruolo che era stato
dimenticato e ignorato nei modelli di inflation targeting e a cui era stato dato un
peso quasi eccessivo nei modelli di monetary targeting.
La seconda motivazione risiede nel fatto che la fin dall’inizio del suo
operato la Banca Centrale Europea ha agito con un framework di politica
monetaria con caratteristiche simili al modello di inflation targeting che assegna
un ruolo importante agli aggregati monetari. A questo proposito, questo lavoro di
tesi si concluderà con un’analisi della strategia monetaria adottata dalla BCE
focalizzando l’attenzione sulle similitudini e sulle differenze esistenti con il
modello di Söderström e soprattutto sulle motivazioni che hanno spinto la stessa
BCE ad alcuni cambiamenti all’interno del suo framework operativo.
Teoria sulla domanda di moneta
CAPITOLO 1
TEORIE SULLA DOMANDA DI MONETA
Secondo la definizione dell’economista istituzionalista North, le istituzioni
possono considerarsi “come una serie di regole o contratti stabiliti dall’uomo che
strutturano l’interazione politica, economica e sociale, e che includono regole
informali e regole formali”
1
. Esse, solitamente, permettono la risoluzione dei
problemi posti soprattutto dai costi di transazione (costi per la ricerca della
controparte, per la misurazione delle caratteristiche, per la protezione dei diritti e
degli accordi). La moneta può essere inquadrata come una di queste istituzioni,
emersa spontaneamente ai fini di ovviare ai problemi legati ad un sistema di
scambi come il baratto.
Menger (1892) sviluppò un modello nel quale la moneta è l’inintenzionale
risultato dell’evoluzione e della crescita degli scambi commerciali fra individui.
La tesi, che il modello mengeriano sostiene, è che il processo di monetizzazione
scaturisce dal fatto che, poichè il baratto indiretto è meno costoso del baratto
diretto, la merce “più liquida” finisce con l’affermarsi come moneta-merce. Essa
viene scambiata cioè, per il semplice fatto che permette di acquistare più
facilmente i beni di cui si ha bisogno.
Superata la fase della moneta-merce, nei moderni sistemi finanziari, il
concetto di moneta si estende non solo al circolante (moneta-segno) ma anche a
tutti gli strumenti finanziari, quali depositi in conto corrente, depositi a risparmio
(moneta bancaria), che, dotati di caratteristiche e funzioni particolari, si
differenziano da tutti gli altri strumenti disponibili sul mercato.
Moneta, quindi, è un qualsiasi mezzo che, godendo di fiducia e
riconoscibilità, viene generalmente accettato negli scambi.
Friedman a tal proposito fornì l’esempio, tanto paradossale quanto
significativo di una popolazione di un’isola che usava come moneta delle grosse
pietre. Una di queste cadde in mare ad una profondità irraggiungibile ma gli
1
NORTH, D. (1994), Istituzioni, Cambiamento Istituzionale, Evoluzione dell'Economia. Bologna: il
Mulino.
Teoria sulla domanda di moneta
abitanti continuarono a trasmetterne la proprietà, continuando ad utilizzarla come
moneta.
I moderni sistemi bancari si fondano proprio sullo stesso principio: la
fiducia nella convenzione è cruciale, si accetta moneta perché si ritiene che in
futuro, prossimo o remoto che sia, essa possa essere accettata come contropartita
di un flusso reale.
Pur non condividendo una definizione univoca di moneta, la dottrina ha da
sempre attribuito alla moneta tre funzioni essenziali: quella di unità di conto,
quella di mezzo di pagamento e quella di riserva di valore.
La moneta, quale unità di conto, rappresenta un’unità di misura rispetto
alla quale viene determinato il valore di scambio dei beni. Essa permette di ridurre
il numero dei rapporti di scambio e quindi i costi di informazione.
In quanto mezzo di pagamento, la moneta consente di effettuare lo
scambio di beni disobbligando del tutto il compratore nei confronti del venditore
avendo essa la capacità di estinguere l’obbligazione sorta a seguito della
compravendita.
Infine, la moneta svolge la funzione di riserva di valore se consente di
trasferire nel tempo il potere d’acquisto senza costi aggiuntivi.
Gli studi economici hanno dapprima enfatizzato le sole funzioni di unità di
conto e mezzo di pagamento dando vita al filone neoclassico della teoria
quantitativa della moneta. Solo successivamente, con Keynes si è dato risalto alla
moneta nel senso di riserva di valore.
L’obiettivo di questo primo capitolo è quello di analizzare similitudini e
differenze tra le fondamentali teorie di questi due filoni.