3
Introduzione
“Quando un bene o un servizio è prodotto più economicamente all’estero, ha più
senso importarlo che produrlo domesticamente”
La frase dell’economista Mankiwsopracitata (Mankiw, “Council of
Economic Advisors, Economic Report of the President”, Washington D.C, United
States Government Printing Office, 2004) esprime un concetto semplice, ma è al
contempo la base ditutto ciò di cui parleremo nelle pagine a seguire. L’obiettivo di
questo lavoro è quello di fornire un chiara dimostrazione di come le politiche di
produzione che implicano l’utilizzo di diversi impianti, spesso ubicati in differenti
paesi, per la produzione di un determinato bene/servizio, abbiano implicazioni
positive per alcuni soggetti, ma, allo stesso tempo possano arrecare danni ad altri.
Vedremo come, ai grandi benefici che questi processi possono apportare ai bilanci
aziendali, queste politiche di outsourcing/offshoring comportino dei rischi che
vanno presi in seria considerazione dai vertici delle imprese interessate.
Perseguiremo questo obiettivo focalizzandoci su una nazione rappresentante una
delle mete più ambite da chi vuole spostare la produzione all’estero: l’India;
avvalendoci al contempo di esempi pratici di casi imprenditoriali italiani in
questo paese.
Esiste una sensibile differenza tra il termineoutsourcing, che intende lo
scorporare la produzione avvalendosi di imprese partner esterne, e il termine
offshoring che implica invece lo spostamento di alcuni processi produttivi in
impianti ubicati oltreconfine (Foreign Direct Investment) di cui però l’impresa
madre mantiene il possesso). Tuttavia, la natura di questo lavoro non ci obbliga a
focalizzarci su uno dei due concetti in particolare; ciò che vogliamo dimostrare è
che la frammentazione della produzione di un impresa, attraverso vari impianti
dislocati all’estero, vanta aspetti indubbiamente positivi, ma allo stesso tempo
insidie nascoste delle quali spesso la bibliografia a riguardo tace. Questo obiettivo
4
ci permette di discuterei concetti di outsourcing e offshoring contemporaneamente
e passando dall’uno all’altro con disinvoltura, dal momento che ciò che ci
interessa, considerando la nostra tesi, sono semplicemente le situazioni in cui le
componenti di beni o servizi sono prodotte in diversi paesi, indipendentemente da
chi possiede i mezzi di produzone.
In primis, focalizzeremo la nostra attenzione nel definire i concetti di
outsourcing e offshoring, vedere quali sono le loro caratteristiche e provare a
darne una spiegazione esaustiva e dettagliata. Ci soffermeremo sui pregi, nonchè
sulle insidie nascoste che queste strategiecomportano, tuttavia mantenendoci, in
questo primo capitolo, ad una certa distanza dalle dinamiche più specifiche e dalle
più recenti evoluzioni dell’ outsourcing/offshoring, su cui entreremo nel merito
nei capitoli successivi.
Porremo in questo primo capitolo una maggiore attenzione riguardo al
concetto di outsourcing rispetto a quello di offshoring/FDI che è invece trattato
più approfonditamente nei capitoli successivi. Questo è dovuto al fatto che quello
di offshoring è un concetto che può più facilmente essere analizzato in maniera
autonoma, quindi disgiuntamente dal contesto nazionale in cui è applicato, mentre
quello di offshoring è un concetto molto più sensibile al luogo in cui viene
praticato, quindi, a mio avviso, può essere più agevolmente compreso nei capitoli
2 e 3 riguardanti il caso indiano.
Daremo infine una sintetica dimostrazione empirica, sfruttando i modelli
di Grossman-Hart (G-H) sviluppati da Pol Antràs, di come ricadono le scelte
aziendali quando è tempo di decidere sul ‘come’ esternalizzare. Mettendo quindi
in luce come le imprese decidano sul quanto affidarsi all’outsourcing ‘puro’, di
cui abbiamo parlato all’inizio, oppure all’offshoring.
Nel secondo capitolo, vedremo come i concetti precedentemente trattati
possono essere applicati in casi particolari come il caso indiano.Vedremo come
l’India ha attraversato il processo storico che l’ha portata ad essere la meta più
ambita degli investitori dei paesi sviluppati, e come il mercato indiano abbia
5
peculiarità importanti che lo distingue da quello di altri paesi come la Cina.
Porremo poi l’accento sulla privilegiata posizione indiana rispetto alle evoluzioni
che sono da qualche anno intercorse nel mondo dell’outsoucing/offshoring ed
infine su come questi abbiano ripercussioni sull’occupazione e le retribuzioni sia
in India che nei paesi da dove gli investimenti provengono.
Dopo avere quindi definito outsourcing/offshoring, e dopo avere
successivamente parlato dell’India come sua principale meta, volgeremo il nostro
sguardo su uno dei paesi i cui investimenti maggiormente vi sono presenti:
l’Italia. In questo terzo ed ultimo capitolo descriveremo quindi le dinamiche e
l’evoluzione (divisa in tre fasi distinte) dei rapporti tra India ed investitori italiani
fornendo anche esempi di casi aziendali concreti. Parleremo poi del mezzo più
importante attraverso il quale l’India ha cercato di attrarre gli investitori esteri,
alias le Zone economiche speciali (Zes), e il loro effetto sui capitali italiani.
Infine, per dare un esempio pratico di ciò di cui abbiamo discusso, descriveremo
l’esperienza di offshoring del marchio Lavazza nel mercato indiano e, a seguire,
quella di outsourcing del gruppo Mind Resources.
6
1) Che cosa si intende per
outsourcing/offshoring?
1.1) Definire i concetti di outsourcing e offshoring
Le teorie della new economy sostengono che tutto ciò che non fa parte del
core business, ovvero l’attività per cui l’azienda è stata creata, deve essere portato
al di fuori dell’azienda se l’esame costi/benefici dimostra conveniente
esternalizzare certi settori aziendali. Il passaggio di questi ultimi nelle mani di
“specialisti” avrebbe l’effetto di accrescere i benefici tramite la fornitura di servizi
migliori di quelli ottenibili dalla stessa casa madre oltre ad una sensibile riduzione
dei costi.
Il termine outsourcing, sinonimo di esternalizzazione, deriverebbe dalla
contrazione delle parole outside e resource, cioè l’avvalersi di risorse collocate
all’esterno dell’azienda.Ovviamente, l’outsourcing di interesse per questo
progetto è quello che implica l’avvalersi di risorse collocate non solo all’esterno,
ma all’estero.
Quali sono i motivi che hanno reso questa politica aziendale così
attraente? Tra i motivi che spingono le aziende verso l’outsourcing (o
esternalizzazione) ci sono la possibilità di disporre di una maggiore liquidità
(derivante dalle capitalizzazioni eliminate perchè affidate a soggetti terzi) da
reinvestire nelle attività di core business e una semplificazione della gestione del
personale sia dal punto di vista contrattuale/sindacale che da quello formativo.
Altri motivi di esternalizzazione derivano dalla possibilità per le aziende di
estendere i settori in cui possono operare e usufruire della manodopera estera a
7
basso costo,che spesso è inserita in contesti ove il mercato del lavoro è
scarsamente tutelato.
Diamo ora una chiara definizione di questo affascinante fenomeno,
“l’outsourcing è:
a fronte di un contratto, l’uso e l’influsso di risorse, beni e competenze di
terzi;
con livelli garantiti in termini di criteri e misurazione della qualità, della
flessibilità e del value-to-cost;
per fornire servizi in precedenza forniti internamente;
coinvolgendo all’occorrenza il trasferimento del personale esistente al
fornitore di servizi;
e/o la trasformazione o il rinnovamento del processo e della tecnologia di
supporto all’attività”
(Bravardet al., I vantaggi dell’outsourcing, Milano, Pearson Education,
2007, p.3).
Tutto questo non riguarda solamente il settore industriale, al contrario
negli ultimi anni si è visto un crescendo vertiginoso di esternalizzazioni nel settore
terziario come l’offshore application management (outsourcing di risorse e servizi
informatici), soprattutto in paesi come l’India in cui è alto il background
tecnologico essendo da molti anni un esportatore di tecnici informatici.L’apertura
di nuovi impianti in paesi in via di sviluppo porta inoltre alla creazione di nuova
domanda proveniente dal consumo in mercati prima inesistenti.
Il mercato odierno richiede continui adattamenti e vede un ciclo di vita dei
prodotti e servizi sempre più brevi, la conseguenza di questo è la grande
flessibilità e fulminea capacità di adattamento a condizioni variabili di cui le
aziende non possono più fare a meno; la chiave per raggiungere questa flessibilità
è proprio la frammentarizzazione:
8
questo fa sì che i due terzi delle imprese mondiali si sia già rivolta all’outsourcing
e che di esso vengano date definizioni quali “one of the greatest organizational
and industry structure shifts of century” [...] se fino a qualche anno fa lo slogan
“piccolo è bello” veniva rivolto alle piccole imprese [...] oggi questo motto viene
rivolto alle imprese medio-grandi per convincerle a snellirsi perchè più si è agili e
veloci ad adattarsi ai cambiamenti, più si ha la possibilità di sopravvivere e
conquistare nuovi mercati: questo lo hanno imparato anche i dinosauri sulla
propria pelle! (Ventricelli, Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?,
Milano, Etas, 2004, p.4).
I protagonisti dell’outsourcing sono:
l’outsourcer, il quale si offre perla realizzazione di prodotti e servizi in
precedenza prodotti internamente all’azienda;
l’outsourcee (committente), è colui che si avvale di quanto prodotto
dall’outsourcer;
il cliente finale, che è colui che usufruisce in ultima istanza dei
prodotti/servizi realizzati in outsourcing;
Il cliente finale può, in alcuni casi, essere lo stesso committente, in questo caso gli
attori in gioco si riducono a due.
In generale, le società che ricorrono all’outsourcing sono quelle che si
sono ritrovate ad affrontare situazioni finanziarie difficili, e vedono
nell’outsourcing una conveniente via d’uscita dai loro problemi.
Le cause scatenanti possono essere diverse: l’indebitamento, i flussi di cassa, le
tradizionali ‘mucche da mungere’ che improvvisamente vengono spazzate via
dalla concorrenza coreana o da una tecnologia emergente meno costosa. Le
matricole del mercato sono soggette a pochissimi (talvolta, a nessuno) dei costi
generali o delle procedure burocratiche, così profondamente radicate, che
caratterizzano invecele società storiche: costi e procedure che pertanto non
rallentano l’innovazione di questi nuovi arrivati, ma che spesso consentono loro di
occupare quote di mercato prima ancora che le aziende tradizionali possano
reagire, ristrutturarsi o ricapitalizzarsi in termini di nuove tecnologie, procedure
operative, tecniche di distribuzione e capacità di incrementare i tempi di
commercializzazione(Bravard, op. cit., p.10).