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INTRODUZIONE
Quando per la prima volta ho letto il romanzo di J.M.G. Le Clézio non sono
riuscita a superare le dieci pagine e questo fatto mi procurava della
preoccupazione perché mi stupivo del disinteresse che l’opera di uno scrittore
premio Nobel nel 2008 per la letteratura, considerato il più grande scrittore
francese vivente, suscitava in me. Ancora più clamoroso all’epoca risultò il fatto
che nonostante leggessi e rileggessi le poche pagine, non ero assolutamente in
grado di cogliere un qualsiasi aspetto che mi spingesse ad andare oltre quel
modesto numero di pagine lette.
Oggi ho la risposta che ho cercato a lungo riguardo questo iniziale approccio
fondato soprattutto sull’indifferenza e, sinceramente, anche su una deludente
sensazione di noia.
Il percorso di studi che ho compiuto durante questi cinque anni, mi ha insegnato,
soprattutto nell’ultimo scorcio di carriera, che quando ci si avvicina ad un’opera
letteraria, in particolare il romanzo dato che è stato oggetto della mia analisi,
non bisogna mai fermarsi ad una prima superficiale lettura occorre
necessariamente andare oltre anzi guardare oltre. Il non accontentarsi di ciò che
la realtà nella sua immediatezza ci mostra, è uno dei concetti cardini di questa
tesi e rappresenta allo stesso tempo quello stimolo che ha fatto sì che riprendessi
il romanzo da dove lo avevo interrotto o meglio ricominciassi a leggerlo
dall’inizio.
La prima cosa che mi sono rimproverata è stata l’incapacità iniziale a cogliere
un aspetto che a mio avviso risulta fondamentale, che è la chiave di lettura del
romanzo stesso vale a dire la libertà che Le Clézio si è concesso nell’utilizzo dei
tempi verbali, dietro al quale si cela una concezione ed una gestione del tempo
che sono frutto di una visione totalmente personalizzata. Non è il tempo il
protagonista del romanzo, è l’io della giovane eroina che diventa lo spazio al cui
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interno ha luogo il racconto. È uno spazio interiore, dentro al quale i tempi
verbali non sono altro che uno strumento per comunicare quella visione della
sostanza tempo che se non è reale perché non coincidente con la realtà, risulta
assolutamente vera perché esiste nella coscienza di ciascuno di noi.
Il punto di partenza del mio lavoro è consistito nell’analizzare le ricorrenze dei
diversi tempi verbali, nell’ambito del modo indicativo, in ciascun capitolo
componente il romanzo. Ho ritenuto opportuno partire da un’analisi tecnica del
romanzo per fornire al presente lavoro una base sulla quale costruire una teoria
che fosse il prodotto della fusione di più discipline tra loro; l’abbattimento delle
schematiche ripartizioni a cui i cari manuali letterari ci hanno abituato
rappresenta un timido e modesto tentativo di rendere omaggio innanzitutto
all’opera e, sebbene non lo conosca in maniera approfondita, allo scrittore.
Il romanzo di Le Clézio richiede per essere compreso, non apprezzato perché il
gusto concerne l’intoccabile sfera della soggettività, di andare oltre, nel caso
specifico di varcare i limiti imposti dalla grammatica tradizionale; non nego che
il debutto di questo lavoro ha provocato una sorta di smarrimento nel tentativo
di dare una spiegazione al ricorso dei tempi verbali che superasse i rigidi limiti
della grammatica; la ricerca ha avuto inizio nel campo della linguistica perché il
mio obiettivo era quello di dimostrare l’argomento della tesi attraverso un valido
supporto linguistico e la scoperta illuminante, sorprendente che mi ha arrecato
gioia sta nel nome di un grandissimo linguista francese, Gustave Guillaume, che
mi consentano di dire, con estrema umiltà, coloro esperti del settore, una sola
parola: genio. La sua teoria della psicomeccanica è risultata in maniera
immediata perfettamente calzante nell’analisi dell’utilizzo dei tempi verbali nel
contesto della soggettività che stavo conducendo.
Secondo il linguista francese l’immagine del tempo che offre la grammatica
risulta insufficiente:
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Ciò che essa offre allo sguardo è tempo già costruito nel pensiero, se ci si può
esprimere così, laddove l’analisi richiederebbe che si veda il tempo mentre si
costruisce nel pensiero.
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L’aspetto che più di tutti mi ha colpito di Guillaume risiede nel riconoscere che
la conoscenza del tempo che offre l’analisi grammaticale è puramente
estrinseca, per una sua conoscenza intrinseca occorre seguire minuziosamente la
genesi dell’immagine-tempo nel pensiero. Questa formazione del tempo nella
nostra mente avviene in uno spazio temporale molto breve ma reale che
Guillaume rappresenta su di un’asse denominata asse del tempo cronogenetico,
e cronogenesi il processo ad opera del pensiero che si articola sull’asse. La
formazione dell’immagine-tempo è caratterizzata da tre istanti: iniziale,
mediano, finale.
Nella fase iniziale la cronogenesi è ancora in una condizione di potenza, ossia
può operare ma ancora non ha messo in atto questa possibilità; l’immagine
tempo derivante da questa prima fase è il tempo in posse.
Nella fase intermedia la cronogenesi ha cominciato ad operare e l’immagine-
tempo che ne deriva, si presenta in corso di formazione nella mente. Il tempo in
questa fase è detto in fieri.
Nell’istante finale l’operazione della cronogenesi ha terminato di operare,
l’immagine-tempo è compiuta ed è chiamata tempo in esse.
Da questa operazione scaturiscono tre profili dell’immagine-tempo: in potenza,
in divenire, in realtà che nel processo di formazione mentale sono detti assi
cronotetici. Ciascuna operazione di pensiero che si sviluppa sui tre assi, nel loro
insieme danno vita alla cronotesi.
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G. Guillaume, Temps et verbe, théorie des aspects, des modes et des temps, edizione italiana a cura di Alberto
Manco, pag. 85
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Per quanto riguarda il movimento attraverso il quale nel processo di formazione
l’immagine-tempo si porta da un asse ad un altro, è indicato con il termine visée.
Questa operazione realizza sia il tempo che il verbo, in altre parole il processo di
formazione dell’immagine-tempo e l’operazione di realizzazione del tempo
avvengono contemporaneamente; di conseguenza anche il verbo si realizza
lungo i tre assi cronotetici: in posse, in fieri, in esse, vale a dire lungo i tre profili
caratteristici della formazione dell’immagine-tempo.
Da ciò deriva che tutte le forme verbali appartengono ad un unico ordine
temporale; per cui l’aspetto, il modo ed il tempo non rappresentano, come
sostiene la grammatica fenomeni di natura differenti ma rientrano tutti nella
cronogenesi.
Il tempo di conseguenza non è più considerato da Guillaume come un fenomeno
esterno alla mente umana, al soggetto piuttosto come un’immagine che risiede in
lui; ed in questa particolare scoperta che dimora il primo motivo che mi ha
subito convinta a scegliere la teoria del linguista francese come base di partenza
per spiegare quella curiosa struttura dei tempi verbali che caratterizza il romanzo
di Le Clézio.
Il concetto d’immagine ritornerà sovente, analizzato da diverse prospettive:
linguistica, letteraria e infine attraverso un timido ma significativo intervento
dell’estetica. L’obiettivo che mi sono posta è stato quello di dare una possibile
spiegazione dell’utilizzo del tempo passando per la sfera soggettiva
dell’individuo attraverso una ricognizione che partisse da una base scientifica
per sfociare poi nella pienezza di quella soggettività che pervade la letteratura e
che non può essere assolutamente trascesa soprattutto nell’ambito del romanzo.
Immagine diventa l’intera opera, attribuendo al concetto d’immagine diversi
piani semantici:
Abbiamo visto prima di tutto l’immagine del tempo così come si forma
nella nostra mente e l’operazione di pensiero che ne deriva;
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Il concetto d’immagine in quanto rappresentazione di un mondo altro
attraverso quella disobbedienza, caldamente raccomandata da Jauss,
rispetto all’apparenza della realtà immediata che caratterizza l’esperienza
estetica;
L’immagine, ancora, intesa come istantaneizzazione di un momento e
della sua incapsulazione in una cornice che funge da barriera contro un
prima e un dopo che non possono valicare quei limiti rendendo il
momento un presente eterno;
Immagine in quanto rappresentazione visiva tramite il linguaggio degli
elementi costitutivi di una fetta di realtà, rielaborata e tradotta in una
visione eterna in cui ogni elemento fa un percorso temporale che si ripete;
Ed infine immagine in quanto rappresentazione di un oggetto
appartenente al passato o di un fatto passato rielaborati attraverso quella
facoltà, di radice affettiva, che è l’immaginazione.
Si noti come da queste diverse accezioni emergano con forza gli atti del vedere e
del guardare in quanto operazioni primarie dell’approccio di ognuno di noi alla
realtà.
Definirei il tempo come prima immagine presente nella mente, attraverso la
quale la realtà è filtrata, poiché il linguaggio umano smetterebbe di funzionare
se mancasse di quella parte predicativa corrispondente alla categoria del verbo la
cui operazione nella psiche è contemporanea a quella della formazione
dell’immagine tempo, che rappresenta il motore di qualsiasi esperienza umana.
All’immagine del tempo, segue l’immagine della realtà sensibile attraverso la
visione degli occhi; ed infine succede l’immagine della realtà rielaborata grazie
a quell’azione del guardare, così bene descritta da Starobinski, che permette di
andare oltre l’apparenza sensibile e di cogliere tutto ciò che di celato c’è e che
costituisce un mondo altro, quale proiezione piena della nostra soggettività e di
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conseguenza non reale ma vero perché presente nella nostra mente e soprattutto
inquadrato in coordinate temporali, che sebbene non coincidano alla
progressione cronologica esterna, risultano comunque veriterie perché derivanti
non direttamente dal tempo ma dall’immagine che di esso si formula dentro di
noi.
Ed è proprio grazie a quell’immagine che si può giocare con il tempo, uscire
fuori dai rigidi limiti posti da una grammatica troppo legata ad un processo di
esternazione del tempo, sfuggire alla noia di una consequenzialità temporale
impostaci dalla nascita, che ci constringe in rigidi schemi in cui tutto si dipana
lungo un percorso che prevede un prima e un dopo passando attaverso un
fuggevole presente che mortifica quel dono concesso alla mente umana che non
è la ragione ma l’immaginazione e spingendoci ancora oltre i severi limiti
temporali può sfociare in quella zona in cui tutta la realtà è capovolta e
reinventata, rappresentata dalla fantasia.
Ancora una volta l’intervento illuminante di Guillaume con la sua teoria della
psicomeccanica si è rivelato fondamentale nel processo di realizzazione delle
operazioni sinora trattate.
Il tempo è movimento, ma in quanto immagine che si produce nella nostra
mente, l’individuo può gestire quel moto in quel santuario che è la nostra
soggettività.
Di conseguenza i percorsi di incidenza e decadenza rispetto al presente che
rappresenta il punto esercitante una forza centripeta nell’immagine tempo
possono essere continuamente stravolti e reimpostati. Il passato nelle vesti
dell’imperfetto e del passato remoto può interrompere il percorso decadente,
vale a dire di allontanamento dal presente per risalire verso di esso e dare vita a
quel processo di istantaneizzazione che se nella realtà non trova possibilità di
concretizzazione nella mente può essere riscontrato.
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Lo stesso vale per il futuro attraverso il quale posso ipotizzare rispetto alla realtà
un avvenire che non si realizzerà mai, ma che in rapporto alla mia mente
mantiene in sé sia la percentuale dell’ipotesi che della realtà perché nello spazio
soggettivo può prendere vita; il percorso è identico a quello del suo opposto
ossia il passato che tenta di risalire verso il presente con lo stesso risultato: nella
realtà il riscontro manca ma nella nostra immaginazione questo percorso
incidente di raggiungimento verso il presente arriva a termine.
Tutto questo nel romanzo si svolge in quello spazio rientrante sempre nella
soggettività che è il ricordo e che ho denominato macrostruttura perché
costituisce l’area più estesa dentro la quale l’azione si dipana; al suo interno
però scaturisce un’area più piccola che corrisponde all’immaginazione e che
rappresenta il contesto in cui ha luogo la rielaborazione del passato attraverso
l’utilizzo dei tempi verbali che produce un nuovo mondo; l’immaginazione
confonde e rimescola futuro e passato dando vita ad una dimensione virtuale che
non riproduce ne il presente del passato ne il presente della realtà attuale; essa è
quel nuovo mondo scaturito da un’ innovativa visione di ciò che è stato nel
contesto della ricerca della verità, che pur non essendo reale è vero.
Dove risiede allora la verità nella successione cronologica degli eventi a noi
esterni o nello spazio della soggettività in cui il tempo trova una nuova
immagine?
Questo è stato il motivo che in un primo momento mi ha fatto desistere dalla
lettura del romanzo di Le Clézio e che successivamente ha portato alla nascita di
questo lavoro.
Il romanzo dello scrittore nizzardo rappresenta quell’esperienza estetica portata
alla sua estremizzazione, perché non si presenta come una semplice raccolta di
memorie quanto come una rielaborazione del passato alla luce del presente che
ha dato vita ad un mondo nuovo grazie all’atto del guardare oltre la realtà
apparente e sensibile, e soprattutto per merito dell’immagine tempo la visione
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dello stesso di carattere cronologico è stata surclassata da una visione soggettiva
che può rimettere in gioco passato, presente e futuro.
Solo dopo l’analisi condotta, oggi posso affermare il motivo del mio disinteresse
iniziale che risiedeva in un attaccamento della rappresentazione della realtà a
schemi temporali troppo rigidi che si scontravano con una non apparente
progressione temporale del romanzo in cui procedendo per immagini si crea una
superficiale staticità che sembra fermare l’evoluzione dell’azione. Riflettendo
sulla nostra vita ci rendiamo conto che si caratterizza per l’accostamento
d’immagini temporali ossia momenti quasi mai legati tra di loro; si configura
come un mosaico di attimi tratti da contesti differenti ma che continuano a
vivere per la loro particolare intensità. E non è forse più vera questa realtà che
quella raccontataci dai diari e dalle raccolte di memorie in cui l’autenticità del
momento si perde a causa di una necessaria ma non veritiera concatenazione
degli eventi, frutto di un’esigenza soprattutto tecnica?
La sfida di Le Clézio a mio parere è stata questa, comunicare il ricordo non nella
sua realtà ma nella sua verità che ha provocato un’apparente mancanza di
movimento temporale definibile col sostantivo staticità.
Il guardare oltre mi ha rivelato il movimento di un continente sotterraneo
continuamente sottoposto a moti che si muovono lungo due direzioni l’una
decadente e l’altra incidente attratti da un polo magnetico centrale, comportando
una dinamicità che forse solo nella conclusione del romanzo si concede un
attimo di sosta.
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CAPITOLO PRIMO
ANALISI DELLE OCCORRENZE VERBALI
Il romanzo di Le Clézio è diviso in cinque grandi parti ciascuna delle quali ha un
titolo:
Prima parte: Hélène
Seconda parte: Esther
Terza parte: Nejma
Quarta parte: L’enfant du soleil
Quinta parte: Elizabeth
Ogni parte, a sua volta, è divisa in capitoli curiosamente non numerati. Il primo
dato che ho ritenuto opportuno verificare concerne proprio la distribuzione dei
tempi verbali appartenenti al modo indicativo, nelle diverse parti che
compongono il romanzo.
I CAPITOLO
In questo primo capitolo sono presenti duecentoventisei imperfetti, trentadue
trapassati prossimi, ventidue passati prossimi e tre passati remoti. Per meglio
comprendere, rappresentiamo tramite un diagramma a torta queste proporzioni:
imperfetto
trapassato prossimo
passato prossimo
passato remoto
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II CAPITOLO
In questo secondo capitolo la presenza degli imperfetti diminuisce, ne troviamo
circa centoventiquattro, con ventisette trapassati prossimi, cinque passati
prossimi, quattro presenti e nessun passato remoto.
Nell’ultima pagina, subito prima del presente troviamo il passato prossimo,
notiamo che il suo utilizzo è legato ai verbi di movimento, in un lasso di tempo
fatto di minuti o addirittura di secondi:
Ensuite Esther est ressortie. Elle a marché sur la place, un peu à l’écart de son
père et de sa mère. Quand elle est passée devant les arbres, ella vu Tristan, et
dans ses yeux noirs il y avait une flamme, comme de colère, ou de dédain, une
flamme violente qui a fait battre trop fort le coeur du garçon. Il a réculé. Il
voulait dire, vous êtes belle, je ne pense qu’à vous, je vous aime
2
.
2
J.M.G. Le Clézio, Étoile errante, Éditions Gallimard, p.30
imperfetto
trapassato prossimo
passato prossimo
presente
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III CAPITOLO
In questo capitolo abbiamo trecentonovantadue imperfetti, no
vanta trapassati prossimi, nessun passato remoto, ben novantotto passati
prossimi e un solo presente. La presenza del passato prossimo è forte e come nei
due capitoli precedenti in cui vi è un passaggio repentino dall’imperfetto al
passato prossimo nelle scene degli incontri che possiamo definire ravvicinati:
nel primo abbiamo la visita di Esther al signor Ferne, nel secondo sempre Esther
che incontra Tristan, il ragazzo per il quale nutre un dolce sentimento, nel
presente capitolo Esther incontra Rachel, verso la quale prova una grande
ammirazione e con cui desidera diventare amica; inoltre ha il suo primo
appuntamento con Gasparini. Ancora una volta nell’utilizzo del passato
prossimo prevalgono i verbi di movimento: remonter, marcher, rester, venir, se
lever, retourner, questi sono i verbi che troviamo nell’incontro di Esther con
Rachel. All’appuntamento invece di Esther con Gasparini ecco quali sono i verbi
che predominano: venir, descendre, arriver, se tourner, entrer, rester, s’écarter,
imperfetto
passato prossimo
trapassato prossimo
presente
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retourner, aller, marcher, reculer, s’arrêter, revenir, s’approcher, quitter, se
pencher, sauter, courir.
IV CAPITOLO
Ancora una volta l’azione nell’intero capitolo si fonda sull’alternanza tra
imperfetto e passato prossimo, il primo registra centoquattro presenze il secondo
trentaquattro, sono assenti passati remoti e il trapassato prossimo conta solo
dodici presenze. Il passato prossimo domina nell’ambito di un altro incontro
ravvicinato quello con il partigiano Mario, e quindi nell’introduzione di un
nuovo personaggio. Si ripete così la prevalenza dei verbi di movimento:
marcher, s’arrêter, arriver, se retourner, frissonner, rester, retomber, glisser .
impperfetto
passato prossimo
trapassato prossimo