5
INTRODUZIONE
La marca rappresenta una delle risorse più preziose a disposizione di
un’impresa, fonte di vantaggio competitivo e fattore chiave per conquistare la
preferenza del consumatore e la sua fedeltà nel tempo (Pastore, Vernuccio,
2008). Il potere della marca di influenzare i consumatori risiede, però, nelle
associazioni che essa evoca (Kapferer, 2008) sia direttamente, attraverso il
contatto diretto con il soggetto, che indirettamente, attraverso la comunicazione
del brand o altre fonti di informazione come, ad esempio, il passaparola.
L’insieme dei significati di varia natura, sia funzionali sia simbolici, che nella
memoria degli individui risultano essere saldamente associati alla marca,
costituiscono la brand image. Essa può essere definita come la
rappresentazione della marca nella mente dei consumatori ed è in grado di
influenzare in modo significativo i giudizi espressi sulla marca, la preferenza
ad essa accordata e la decisione d’acquisto.
Considerata la stretta relazione che lega immagine di marca e performance di
mercato (Park, Jaworski, Macinnis, 1986), lo studio della percezione dei
consumatori e delle impressioni che essi hanno sul brand appare di estrema
rilevanza.
Questo lavoro si propone di indagare l’immagine della marca Mulino Bianco
attraverso la somministrazione di un questionario semi-strutturato a cento
soggetti. Il focus della ricerca non è la marca in sé, bensì il consumatore,
considerato come fattore decisivo per il successo di un brand, e il suo obiettivo
è di tipo esplorativo e consiste principalmente nell’analisi approfondita del
modo in cui la marca viene percepita, ovvero nell’individuazione dei tratti
considerati dagli individui come peculiari di Mulino Bianco e distintivi rispetto
alla concorrenza.
Nello specifico l’elaborato è organizzato in quattro capitoli.
Il primo capitolo fornisce il quadro di riferimento teorico allo studio condotto.
In particolare, dopo l’analisi dell’evoluzione del concetto di marca, delle sue
componenti costitutive e delle funzioni svolte da ciascuna di esse, viene
6
approfondito il tema della brand image. Più precisamente, viene esaminata la
struttura dell’immagine, presentando il modello di Keller (1993) e quello di
Reynolds e Gutman (1984), ed il ruolo che essa assolve nei confronti sia
dell’impresa sia del consumatore. Successivamente, viene analizzato il
rapporto tra le diverse dimensioni che concorrono alla formazione
dell’immagine di marca; si descrive, poi, il modello di gestione dell’immagine
elaborato da Park, Jaworski e MacInnis (1986) ed infine viene proposta una
breve panoramica delle diverse tecniche di analisi dell’immagine.
Nel secondo capitolo viene tracciata la storia di Mulino Bianco, mettendone in
evidenza i momenti salienti a partire dal suo anno di nascita, il 1975, sino ai
giorni nostri, con un costante riferimento al contesto socio-culturale. Segue una
breve descrizione del segmento di mercato nel quale il brand si inserisce,
ovvero quello dei prodotti da forno, e delle strategie adottate per riuscire a
mantenere la posizione di leadership. Successivamente, vengono illustrati
brand identity e posizionamento ricercato per la marca; mentre l’ultima parte
del capitolo è dedicata all’esame del piano di comunicazione sviluppato per
promuovere Mulino Bianco, e, in particolare, al modo in cui i valori, i concetti
e gli attributi che incarnano l’essenza della marca vengono trasmessi attraverso
i differenti strumenti adottati.
Gli ultimi due capitoli - il terzo e il quarto - sono dedicati alla ricerca empirica.
Il terzo verte sugli aspetti metodologici: viene descritto il procedimento di
campionamento, sono esaminate le diverse aree in cui si articola il questionario
e presentate le procedure di analisi dei dati utilizzate; mentre il quarto ed
ultimo capitolo è dedicato alla presentazione e discussione dei principali
risultati dell’indagine.
7
CAPITOLO PRIMO
L’IMMAGINE DI MARCA
1. La marca
1.1 Definizione
Con il termine marca si indica un concetto ampio e multidimensionale, difficile
da definire precisamente. In effetti, un’analisi della letteratura rivela la
moltiplicazione di testi, articoli e libri sulla marca, sulle sue funzioni, sulla sua
gestione strategica e, al contempo, l’assenza di un quadro di riferimento
unitario relativamente a cosa essa sia. Molti studiosi hanno cercato di
specificarne il significato, proponendo definizioni spesso incomplete e limitate.
Vista la difficoltà di denominazione, ritengo sia utile ripercorrere
quell’articolato percorso che la marca ha compiuto a partire dalla sua comparsa
sino ad oggi, per cercare di delineare gli aspetti salienti del fenomeno con
riferimento ai suoi molteplici aspetti.
L’American Marketing Association (AMA) definisce la marca come (cit. in
Pastore et al., 2008, p. 160):
«un nome, un termine, un simbolo, un design o una combinazione di questi
elementi che identifica i beni o i servizi di un venditore o di un gruppo di
venditori e li differenzia da quelli dei concorrenti».
La marca è perciò considerata come segno distintivo, il cui scopo è quello di
identificare i prodotti/servizi di una certa azienda e differenziarli da quelli dei
concorrenti (Minestroni, 2010). Il focus è su elementi identificativi visuali,
dunque tangibili, come nome, logo, design. In questa accezione, la nozione di
8
marca sembra essere sovrapponibile a quella di marchio
1
. È evidente che si
tratta di una nozione piuttosto restrittiva e, proprio per questo, oggi accettata
solo in parte. In effetti, essa può essere applicata alla descrizione delle prime
marche comparse tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, periodo in
cui la marca è semplicemente un nome da apporre su un prodotto per
identificarlo e differenziarlo.
Se il significato della marca di inizio secolo può essere racchiuso nel concetto
di marchio, cercare di interpretare la marca moderna in un’ottica puramente
identificativa non consente di afferrarne l’ampiezza di significato. Già a partire
dal secondo dopoguerra, infatti, la natura e il ruolo del brand subiscono un
grande cambiamento. Questa è la fase della marca-funzionale che si offre come
mezzo per soddisfare i bisogni basilari del consumatore (Lombardi, 2005).
Inoltre, a fronte della crescente standardizzazione qualitativa dei prodotti, la
marca viene usata dalle aziende per rendere più appetibile l’offerta,
incrementarne la notorietà, facilitarne la promozione e la commercializzazione
(Lombardi, 2005). Contemporaneamente si assiste allo sviluppo della
comunicazione pubblicitaria, strumento principe di diffusione delle marche. La
pubblicità, infatti, ponendo l’accento sulla funzionalità, sulla performance, sui
benefit oggettivi dei beni, persegue l’obiettivo di rendere familiari i nuovi
prodotti industriali.
Negli anni Sessanta si assiste alla comparsa dei primi grandi supermercati: dal
rapporto diretto con il bottegaio che consiglia i clienti e li aiuta nelle scelte
d’acquisto, fornendo descrizioni accurate dei prodotti e confrontandoli tra loro,
si passa a relazioni impersonali, alla logica del self-service. Non è più
1
La parola marchio deriva dal verbo francese marchier, che significa contrassegnare (Pastore
et al., 2008). In tutte le civiltà del passato è stato fatto uso di segni identificativi sia sui beni,
per indicarne la provenienza e la proprietà, che sul corpo umano, come elemento di stigma
sociale o per comunicare l’appartenenza delle persone a uno specifico gruppo etnico, tribù,
comunità (Minestroni, 2010). Oggi il termine marchio, o trademark, è utilizzato in ambito
tecnico-giuridico per indicare «un segno, suscettibile di essere rappresentato graficamente,
idoneo a distinguere e difendere legalmente i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle
altre» (Minestroni, 2010, p. 44). Si tratta, quindi, di un emblema distintivo che contrassegna i
beni, ne indica la provenienza e, al contempo, protegge l’azienda produttrice da eventuali
contraffazioni, in quanto il marchio è sua proprietà esclusiva e l’imitazione è vietata per legge
(in Italia, R.D. 21 giugno 1942, n° 929. Testo delle disposizioni legislative in materia di marchi
registrati).
9
necessario il negoziante di fiducia, ora è la marca che parla dei prodotti, che
guida il consumatore e al contempo struttura l’offerta (Minestroni, 2010).
Nonostante i cambiamenti intervenuti a livello socio-economico, la marca
continua ad essere concepita, in questi anni, come una variabile accessoria. Se
ne riconosce il ruolo in quanto creatrice di valore per l’azienda in termini di
profitto economico: è intesa come il supplemento di prezzo che il cliente è
disposto a pagare per acquistare un prodotto firmato piuttosto che un suo
omologo che non lo è. La logica sottostante tale modello è la seguente: in una
situazione di accesa concorrenza, un bene di marca può essere venduto con
facilità e ad un prezzo elevato (Semprini, 1996). Se l’approccio finanziario
appena descritto si concentra unicamente sul bonus in termini di prezzo che la
marca garantisce, quello industriale, anch’esso diffusosi negli anni Sessanta, ne
sottolinea un aspetto diverso ma, per certi versi, complementare: la marca è
intesa come un contrassegno di qualità. È bene ricordare che, in Italia, questo è
il periodo del boom economico e la funzione della marca è quella di
sottolineare la superiorità dei nuovi prodotti industriali rispetto a quelli
artigianali e, al tempo stesso, di rassicurare i consumatori spaesati di fronte ai
cambiamenti generati dal passaggio da una cultura rurale ed arcaica alla nuova
società urbana.
Le definizioni della marca appena ricordate sono numerose (marca come
elemento identificativo e distintivo, strumento di promozione del prodotto,
differenziale di prezzo, garanzia di qualità), ma appaiono tutte piuttosto
riduttive.
È negli anni Ottanta che la marca diviene protagonista di un mutamento
decisivo: ad essa è attribuito il ruolo di risorsa più preziosa a disposizione di
un’azienda. Si assiste ad un aumento della concorrenza, all’incremento del
numero dei prodotti immessi sul mercato, al superamento dei valori della
tradizione, all’abbandono (fittizio) dell’idea del consumo di massa e
all’emergere di gruppi con caratteristiche sociali e culturali ben distinte. In un
contesto di questo tipo, viene enfatizzata l’importanza della comunicazione nel
raggiungimento del vantaggio competitivo, in quanto capace di rendere i
prodotti reclamizzati esclusivi e desiderabili attribuendo ad essi un’ “anima”.
10
Tutto ciò, però, è possibile solo facendo leva sulla marca. Gli ingenti
investimenti in pubblicità determinano lo sviluppo di una comunicazione di
marca vera e propria, con lo scopo di fare del brand un’entità autonoma, con
un linguaggio ed una personalità propri. Questi sono gli anni della pubblicità-
spettacolo, per come è intesa da Jacques Séguéla, e delle provocatorie
campagne che Oliviero Toscani realizza per Benetton, gli anni della marca
superstar che attribuisce a prodotti indistinguibili il prestigio e il fascino dei
divi hollywoodiani (Codeluppi, 2001). Se finora la marca era vista come
un’etichetta da applicare al prodotto, ora il peso dei due fattori della relazione
muta: essa diviene protagonista e la sua forza è tanto maggiore quanto più
riesce a rompere l’associazione simbiotica con un prodotto specifico (Semprini,
1996).
La visione pubblicitaria della marca, tipica di questo periodo, ha due corollari:
1) il riconoscimento del ruolo dei consumatori nel successo di un brand: il
paradigma comunicazionale fa sì che, per la prima volta, si rivolga
l’attenzione al consumatore, non più considerato come recettore passivo
di messaggi pubblicitari;
2) l’identificazione delle valenze simboliche della marca: si assiste alla
progressiva dematerializzazione di marche e prodotti e alla loro
trasformazione in fenomeni pubblicitari. La pubblicità non è più
incentrata sugli attributi oggettivi dei beni, ma su valori emozionali, su
significati intangibili.
Con l’arrivo degli anni Novanta si verificano ulteriori cambiamenti, sia nei
modelli di consumo che nel modo di intendere la marca. Consumatori più
esigenti e selettivi, attenti non più soltanto alle immagini pubblicitarie, ma
anche alla qualità e al prezzo dei prodotti, determinano un ritorno agli aspetti
materiali dei beni. Diviene evidente che, se puntare l’accento solo sulla
prestazione e la tecnologia significa attribuire alla marca un ruolo statico e
limitato, anche trasformarla in un dispositivo di natura puramente comunicativa
è altrettanto sbagliato.
11
Per ciò che concerne il consumatore, si ha la legittimazione del suo ruolo,
come dimostrato dall’adozione di un approccio consumer-oriented alla
gestione strategica del brand. L’attenzione al consumatore conduce ad un
ulteriore ampliamento del significato della marca: Brown la definisce come «la
somma di tutte le connessioni mentali che le persone hanno su di essa» (1992,
cit. in Wood, 2000, p. 665) e Keller come «un set di associazioni mentali,
possedute dal consumatore, che si aggiungono al valore percepito di un
prodotto/servizio»
2
(1998, cit. in Kapferer, 2008, pag. 10). Ambler sostiene
che gli attributi che caratterizzano una marca possano essere «reali o illusori,
razionali o emozionali, tangibili o intangibili» (1992, cit. in Wood, 2000, p.
664), in ogni caso essi sono creati e trasmessi attraverso tutti gli elementi del
marketing mix e sono soggetti a interpretazione da parte del consumatore.
Riconoscimento dell’importanza del consumatore, enfasi sul ruolo delle attività
di marketing nella costruzione del brand, valorizzazione della dimensione
simbolica oltre che di quella funzionale: Ambler sembra riuscire a catturare
l’essenza della marca in modo più puntuale. Semprini, invece, si sofferma sul
ruolo del brand come vettore di senso, motore semiotico che associa un
insieme di significati al prodotto, veicola valori socio-culturali e li ancora a
mondi possibili (Semprini, 1996). La marca, infatti, propone universi
immaginari attraenti, rispetto ai quali sollecita l’adesione e l’accettazione
(Semprini, 2002) attivando processi di identificazione e/o proiezione
(Minestroni, 2010). È, però, riservata al singolo la scelta di condividere o meno
i valori proposti, dimostrando la propria fedeltà alla marca.
Alla luce di quanto emerso dall’analisi dell’evoluzione che la marca ha subito
nel corso del XX secolo, essa può essere intesa come un «costrutto percettivo,
frutto della combinazione soggettiva di aspetti materiali e immateriali, in
grado di rendere l’offerta distinta nella mente del consumatore» (Pastore et al.,
2008, p. 161) e di partecipare alla costruzione e all’espressione dell’identità
individuale (Siri, 2004). Il brand, da questo punto di vista, può essere
considerato come un mezzo di comunicazione sociale: le persone si
2
La definizione di Keller è focalizzata sull’incremento di valore percepito del prodotto grazie
all’aggiunta della marca. Si parla di effetto alone per descrivere l’influenza che la percezione
positiva del brand esercita sulla valutazione delle caratteristiche di un bene (Kapferer, 2008).
12
appropriano dei discorsi di marca, degli attributi simbolici conferiti
dall’azienda ai prodotti e li trasformano in significati utili alla definizione del
proprio sé. In effetti fare acquisti implica la considerazione sia dell’aspetto
tecnico che del simbolismo insito nei beni, al fine di individuare quelli che
maggiormente si armonizzano con obiettivi, sentimenti, personalità del
consumatore (Levy, 1959). Le intuizioni di Levy, seppur datate, appaiono
quanto mai attuali: la congruenza tra marche acquistate e immagine di sé è
tuttora considerato un fattore motivazionale di primaria importanza nelle scelte
di consumo (Costabile, Raimondo, 2006).
1.2 Struttura e funzioni
La marca è un’importante risorsa che fornisce valore sia all’impresa, in quanto
ne incrementa i profitti, sia al consumatore, vista la sua capacità di semplificare
i processi di valutazione, scelta e consumo che impegnano il soggetto
abitualmente (Pastore et al., 2008). Il brand, infatti, rappresenta una sorta di
bussola nell’ambito delle decisioni di acquisto: orienta le aspettative in merito
alla qualità dei beni; riduce i costi di ricerca, i rischi percepiti e il tempo da
destinare agli acquisti; rende significativa la relazione con l’oggetto selezionato
(Minestroni, 2010).
Nello specifico, la struttura della marca si articola in tre componenti, ciascuna
delle quali svolge funzioni specifiche nei confronti del consumatore,
offrendogli vantaggi di tipo funzionale, simbolico o relazionale: la componente
identificativa, quella valutativa e quella fiduciaria. Tali componenti non sono
indipendenti l’una dall’altra, ma sono strettamente interconnesse; infatti, è dal
loro sviluppo congiunto che dipende la brand equity, ossia il valore aggiunto
apportato dalla marca al prodotto (Pastore et al., 2008).
Componente identificativa
La prima componente è quella identificativa ed è composta da tutti i segni
distintivi della marca (nome, logo, slogan ecc.), nonché dai valori ad essi
sottostanti, così come sono stati definiti dall’azienda (Pastore et al., 2008).