1
INTRODUZIONE
L’approfondimento della tutela penale della libertà di concorrenza
nelle gare pubbliche rinviene le proprie ragioni di interesse anzitutto
nello speciale rilievo annesso da sempre a questa tematica nel diritto
positivo. La predisposizione sin nell’assetto originale del codice
attualmente in vigore di un apposito apparato repressivo per gli illeciti
commessi negli incanti - formato dal binomio composto dal delitto di
turbativa d’asta di cui all’art. 353 c.p. e da quello di astensione dagli
incanti di cui all’art. 354 c.p. -, insieme alla presenza di fattispecie
analoghe nel codice Zanardelli e, ancora più indietro nel tempo, in taluni
codici preunitari, segnalano la persistente attenzione del legislatore per la
cura di questo determinato settore di operatività dei pubblici poteri.
Attenzione che si è di recente nuovamente manifestata, dimostrando
la sua perdurante attualità, per il tramite dell’intervento novellatore,
dovuto alla legge 13 agosto 2010, n. 136 - intitolata: «Piano straordinario
contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa
antimafia» -, entrata in vigore il 7 settembre 2010, con cui è stato
bruscamente inasprito il carico sanzionatorio collegato al delitto di
turbativa d’asta - se prima era stabilita una pena detentiva non superiore
a due anni di reclusione, l’art. 9 della novella ha delineato una nuova
cornice edittale che prevede ora la reclusione da sei mesi fino cinque
anni - ed è stato introdotto, peraltro all’interno di un titolo del codice già
piuttosto affollato - quale quello dei reati contro la pubblica
amministrazione - il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta
del contraente di cui al nuovo art. 353-bis c.p.
2
Almenocché non si vogliano reputare casuali le scelte effettuate dai
compilatori in epoche anche diverse, si ritiene allora che meritino
adeguata riflessione i motivi per cui si sia inteso riservare questa
particolare considerazione proprio alla salvaguardia degli incanti e non
anche ad altre tipologie di procedimenti amministrativi - si pensi ai
concorsi per l’accesso agli impieghi nello Stato -, analizzando la
funzione assegnata dall’ordinamento ai processi di individuazione dei
contraenti con la pubblica amministrazione in guisa da lumeggiare le
finalità sottese alla loro tutela penale.
Al riguardo, si può sin d’ora sostenere che il legislatore abbia
reputato meritevoli di una specifica guarentigia le gare pubbliche in
quanto tali procedure, e il principio di libera concorrenza che le
impernia, si atteggiano a meccanismi strumentali ad assicurare ai
pubblici poteri una contrattazione giusta e vantaggiosa, di talché la loro
protezione si rifrange direttamente sul perseguimento del fondamentale
interesse a una corretta allocazione delle risorse dello Stato.
D’altro canto, se, come si ribadirà anche più in là, humus culturale
che ha fatto da sfondo alla genesi del codice Rocco, in cui imperava
un’idea pervasiva dello Stato nella vita economica e in cui, quindi, il
concorso del privato alla gestione delle pubbliche ricchezze era giudicato
di scarsa importanza - e da ciò la benevola cornice edittale in principio
disegnata per la violazione dell’art. 353 c.p. -, nell’era contemporanea
balza ancora più evidente la dignità attribuita dall’ordinamento giuridico
in generale al ruolo dei procedimenti in questione e al principio di libertà
di concorrenza su cui i medesimi si fondano.
Infatti, il legislatore, anche in adempimento a obblighi di origine
comunitaria, e al culmine di un processo di riforma della materia le cui
tracce erano già visibili in altri precedenti interventi normativi, ha «rotto
3
qualsiasi indugio», aumentando a dismisura, mediante il varo del decreto
legislativo n. 163 del 2006, contenente il «Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle,direttive
2004/177CE e 2004/18/CE», i casi in cui alla pubblica amministrazione
viene precluso di affidare le proprie commesse in via diretta, senza
avvalersi di sistemi di selezione delle offerte scanditi da regole
predefinite volte a garantire che l’aggiudicazione del contratto sia la
risultante di una sana e libera competizione tra le parti.
Peraltro, tali iniziative legislative hanno positivizzato una tendenza
già molto in voga nella prassi dove l’amministrazione, seppure a suo
piacimento e nell’esercizio dei suoi ampi poteri discrezionali, si serviva
comunque spesso di una qualche forma competitiva di valutazione dei
candidati anche in caso di ricorso a congegni (pensiamo alle trattative
private) a cui, a differenza dei pubblici incanti e delle licitazioni private,
era teoricamente estraneo il concetto di «gara».
Proprio questa circostanza ha esaltato ulteriormente la funzione
repressiva assolta dalle disposizioni in commento, inducendo la
giurisprudenza, a cominciare dagli anni ’70 del secolo passato, a
incrementare alquanto la loro operatività, dilatandone il raggio d’azione a
sistemi di ricerca del contraente ivi non espressamente citati, con
un’operazione fortemente sospetta, come si vedrà, di tradursi in una
aperta violazione del divieto di interpretazione analogica in malam
partem.
Se lo scopo ultimo implicito alle gare pubbliche è quello di
consentire una gestione efficace e produttiva delle finanze della
comunità, allora si intuisce agevolmente la ratio istitutiva del
microcosmo normativo oggetto della nostra ricerca e la progressiva
rilevanza ascritta al medesimo anche in sede applicativa.
4
CAPITOLO I
INDAGINE STORICA E IL BENE GIURIDICO
TUTELATO
1.1 Indagine storica. Da reato contro la fede pubblica a reato
contro la pubblica amministrazione.
La fattispecie della turbata libertà degli incanti di cui all’art. 353 c.p.
trova il suo diretto precedente storico nell’art. 299 dell’abrogato codice
Zanardelli, secondo cui «chiunque con violenza o minaccia, doni,
promesse, collusioni o con altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la
gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto delle
pubbliche amministrazioni ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con
la reclusione da tre a dodici mesi e con la multa oltre le lire cento. Se il
colpevole sia la persona preposta dalla legge o dall’autorità agli incanti
o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa
non inferiore alle lire cinquecento. Colui che per denaro o per altra
utilità, data o promessa a lui o ad altri si astiene dal concorrere a detti
incanti o licitazioni è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la
multa da lire cento a duemila».
A sua volta il codice Zanardelli aveva attinto dal codice penale
sardo-italiano del 1859, ove agli artt. 402 e 405 erano separatamente
previste tre forme di condotta di turbativa: quella posta in essere con
l’uso di violenza o minaccia; quella realizzata mediante offerta di denaro;
e quella, infine, consumata con frode. Ivi era indicato, altresì, l’oggetto
degli incanti, tassativamente individuato nella «proprietà, usufrutto,
5
locazione di mobili ed immobili, imprese, appalti, coltivazioni ed opere
qualunque».
Rispetto all’attuale previsione normativa, il precedente art. 299 non
prevedeva l’ipotesi della licitazione privata per conto di privati ed era
inserito tra i delitti contro la fede pubblica
1
nel cui ambito la norma
tutelava la fiducia che lo Stato poneva sugli incanti e licitazioni
2
. Le
ragioni della diversa collocazione sistematica sono evidenziate
chiaramente da Lorusso Caputi
3
secondo il quale, dalla lettura dei lavori
preparatori, emergerebbe con chiarezza che l’incanto era considerato il
sistema più sicuro per individuare l’esatto valore dei beni ceduti, purché,
però, realizzato nel rispetto dei principi di correttezza nella concorrenza e
nell’aggiudicazione delle vendite, laddove tanto la frode che la violenza
inficiavano tali garanzie frustrando tanto le aspettative del singolo che
quelle più generali del «diritto sociale al commercio». E appare utile
sottolineare che, sempre dalla relazione ministeriale al codice Zanardelli,
emerge come il bene giuridico della pubblica fede fosse tutelato,
all’interno della disposizione de qua, in tre differenti angolature: come
interesse dello Stato al regolare svolgimento delle gare, come interesse
della società al rispetto della libertà economica e, infine, come interesse
del singolo cittadino-offerente alla determinazione del c.d. prezzo giusto.
Nonostante la citata collocazione sistematica, però, era ben chiaro
che il bene protetto restava quello della libertà della gara, intesa come
tutela del sistema di conclusione dei pubblici incanti e delle licitazioni
1
Cfr. MAJNO, Commento al codice penale italiano, vol. III, Torino, 1924, p. 118.
2
Così BARBARO, Turbata libertà degli incanti, in Mondo Giudiziario, n. 20, del 13
maggio 1996.
3
Cfr. Le società fittizie nel delitto di turbata libertà degli incanti, in Ann. dir. proc.
pen., 1935, pp. 211-219.
6
private. In particolare, il Crivellari
4
sostenne che la fattispecie tutelava «i
fatti delittuosi che attentano la libertà degli incanti»; mentre, in termini
più chiari, il Pessina
5
individuò nella fattispecie de qua una forma «di
lesione al principio di libera concorrenza economica». Ed è interessante
notare che l’espressione «libertà della gara» scompare soltanto con
l’approvazione del codice Zanardelli, mentre sopravvive in tutti i progetti
di codificazione succedutisi dopo la formazione dello Stato Unitario.
Secondo il Campo
6
, la ragione di tale scelta normativa risiedeva nella
convinzione che «detti articoli distinguevano due eventi: la turbativa
della libertà della gara e l’allontanamento degli offerenti ciascuno dei
quali doveva essere realizzato per integrare l’ipotesi delittuosa di una
particolare condotta del soggetto agente e, precisamente, il primo era
punibile se realizzato con violenza o minaccia, il secondo se provocato
con promesse doni, denaro, collusioni o altri mezzi fraudolenti».
Senonché, ci si rese conto che «la libertà della gara può essere anche
turbata ed impedita con i mezzi fraudolenti sopra indicati, mentre
l’allontanamento degli offerenti può anche essere la conseguenza di
violenze e minacce, si che, più correttamente il codice del 1889 - imitato,
poi, dall’attuale - riunificò l'elemento oggettivo del reato per quanto
concerne la condotta del soggetto agente»
7
.
1.2 Evoluzione normativa della fattispecie criminosa.
La predisposizione sin nell’assetto originale del codice attualmente
4
Il codice penale per il regno d'Italia, vol. VII, 1986, p. 314.
5
Manuale del diritto penale italiano, II, 1899, p. 234.
6
Cfr. sul delitto di turbata libertà degli incanti, in Arch. pen., 1966, II, p. 279.
7
Nello stesso senso cfr. IMPALLOMENI, Il codice penale italiano, 1891, vol. III, p.
49.
7
in vigore, di un apposito apparato repressivo per gli illeciti commessi
negli incanti - formato dal binomio composto dal delitto di turbativa
d’asta di cui all’art. 353 c.p. e da quello di astensione dagli incanti di cui
all’art. 354 c.p. -, insieme alla presenza di fattispecie analoghe nel codice
Zanardelli e, ancora più indietro nel tempo, in taluni codici preunitari
8
,
segnalano la persistente attenzione del legislatore per la cura di questo
determinato settore di operatività dei pubblici poteri.
Attenzione che si è di recente nuovamente manifestata, dimostrando
la sua perdurante attualità, per il tramite dell’intervento novellatore,
dovuto alla legge 13 agosto 2010, n. 136 - intitolata: «Piano
straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di
8
In particolare, nel codice del Regno delle due Sicilie del 1819 i reati in esame erano
classificati, nel titolo IV, tra quelli contro l’amministrazione della giustizia e la
pubblica amministrazione. L’art. 222 recitava: «Coloro che negli incanti delle
proprietà dell’usufrutto, della locazione delle cose immobili o mobili, o di un appalto
o oblazione qualunque ne turbino la libertà, arrestando o allontanando gli oblatori
con minacce, doni, promesse o producendo offerte supposte, saranno puniti col primo
grado di prigionia, e coll’ammenda». A sua volta, l’art. 223 recitava: «Gli ufficiali
pubblici, o altri agenti o incaricati dal Governo, complici de’ reati menzionati
nell’articolo precedente, saran puniti cola rilegazione». Anche nel codice Sardo-
Italiano del 1859 erano contenute disposizioni che delineavano fattispecie poste a
protezione dei pubblici incanti. Gli articoli da 402 a 405 erano inseriti nel capitolo III,
concernente i reati relativi alle sussistenze militari e ai pubblici incanti. L’art. 402
recitava: «Coloro i quali, sia prima, sia nell’atto degli incanti delle proprietà,
dell’usufrutto, o della locazione di cose mobili od immobili, di una impresa, di un
appalto, di una coltivazione, o di un’opera qualunque, avranno impedito o turbato la
libertà degli incanti, o delle oblazioni, con vie di fatto, violenze, o minacce, saranno
puniti col carcere da quindici giorni a sei mesi, oltre ad una multa da lire cento a
duemila». L’art. 403 recitava: «Incorreranno nella stessa pena coloro che avranno
allontanati gli oblatori con offerta di denaro, o con promesse qualunque, o con altri
mezzi di frode. Le convenzioni che si facessero a questo effetto sono nulle di pien
diritto. Il deliberamene, che fosse seguito a favore di alcuno il quale abbia avuta
parte in tali convenzioni, potrà essere annullato ad istanza di chi vi ha interesse».
L’art. 404 recitava: «Se i reati preveduti nei precedenti articoli 402 e 403 saranno
commessi dagli ufficiali preposti agli incanti, la pena del carcere non potrà essere
minore di mesi sei, né la multa potrà esser minore di lire duecentocinquanta oltre alla
sospensione dei pubblici uffizi». L’art. 405 recitava: «Le pene del carcere e della
multa stabilite nei tre precedenti articoli potranno essere imposte separatamente, a
seconda dei casi».
8
normativa antimafia» -, entrata in vigore il 7 settembre 2010, con cui è
stato bruscamente inasprito il carico sanzionatorio collegato al delitto di
turbativa d’asta - se prima era stabilita una pena detentiva non superiore
a due anni di reclusione, l’art. 9 della novella ha delineato una nuova
cornice edittale che prevede ora la reclusione da sei mesi fino cinque
anni - ed è stato introdotto, peraltro all’interno di un titolo del codice già
piuttosto affollato - quale quello dei reati contro la pubblica
amministrazione - il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta
del contraente di cui al nuovo art. 353-bis c.p.
Il legislatore ha reputato meritevoli di una specifica guarentigia le
gare pubbliche in quanto tali procedure, e il principio di libera
concorrenza che le impernia
9
, si atteggiano a meccanismi strumentali
9
Già la dottrina che si era occupata della disciplina contenuta nel codice Sardo-
Italiano del 1859, seppure con accenti e sfumature diverse, aveva individuato la libera
dialettica economica tra le obiettività giuridiche protette dalle disposizioni previste a
tutela degli incanti. In particolare, secondo S. LORUSSO CAPUTI, Le società cit., p.
712, giacché nel titolo sesto erano comprese le falsità propriamente dette e
prescrizioni normative deputate alla tutela della pubblica fede industriale e
commerciale, si doveva inferire come anche i delitti in esame presidiassero la pubblica
fede da un triplice punto di vista: i) come interesse dello Stato alla regolarità degli
incanti e delle licitazioni; ii) come interesse sociale alla libertà economica; iii) come
interesse privato alla determinazione del giusto prezzo. Altri avevano individuato
l’obiettività giuridica protetta dai reati in questione esclusivamente nella libera
concorrenza in campo economico. Così, E. PESSINA, Elementi di diritto penale, vol.
II, Napoli, 1883, p. 378. Per quanto riguarda la disciplina contenuta nel codice
Zanardelli, la dottrina aveva ritenuto che la sua collocazione tra i reati in materia di
frodi nei commerci, nelle industrie e negli incanti fosse dovuta al fatto che, come si
legge nei lavori preparatori, l’incanto era visto come il mezzo più sicuro per
individuare l’esatto valore dei beni ceduti, purché, però, realizzato nel rispetto dei
principi di correttezza della concorrenza e dell’aggiudicazione delle vendite; principi
pregiudicati sia dalla frode che dalla violenza, che frustrano tanto il diritto individuale
quanto il diritto sociale del commercio che senza la libertà di concorrenza non
potrebbe esprimersi. Così, in particolare, S. LORUSSO CAPUTI, Le società cit., p.
712. Altri hanno sottolineato come dalla relazione ministeriale emergesse che la
pubblica fede era tutelata in tre differenti direzioni: i) come interesse dello Stato al
regolare svolgimento delle gare; ii) come interesse della società al rispetto della libertà
economica; iii) come interesse del singolo cittadino offerente alla determinazione del
giusto prezzo. Hanno riportato questo dato V. MORMANDO, La tutela penale dei
9
volti ad assicurare ai pubblici poteri una contrattazione giusta e
vantaggiosa, di talché la loro protezione si rifrange direttamente sul
perseguimento del fondamentale interesse a una corretta allocazione
delle risorse dello Stato.
Il legislatore, anche in adempimento a obblighi di origine
comunitaria ha aumentato a dismisura, mediante il varo del decreto
legislativo n. 163 del 2006, contenente il «Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle,direttive
2004/177CE e 2004/18/CE», i casi in cui alla pubblica amministrazione
viene precluso di affidare le proprie commesse in via diretta, senza
avvalersi di sistemi di selezione delle offerte scanditi da regole
predefinite volte a garantire che l’aggiudicazione del contratto sia la
risultante di una sana e libera competizione tra le parti.
Peraltro, tali iniziative legislative hanno positivizzato una tendenza
già molto in voga nella prassi dove l’amministrazione, seppure a suo
piacimento e nell’esercizio dei suoi ampi poteri discrezionali, si serviva
comunque spesso di una qualche forma competitiva di valutazione dei
candidati anche in caso di ricorso a congegni (pensiamo alle trattative
private) a cui, a differenza dei pubblici incanti e delle licitazioni private,
era teoricamente estraneo il concetto di «gara».
Non si può certo trascurare l’importanza che la libera concorrenza
pubblici incanti, Padova, 1999, p. 13, alla nota n. 1; V. MANZINI, Trattato di diritto
penale italiano, vol. VI, Torino, 1922, p. 339, alla nota n. 3. A ulteriore conferma del
fatto che l’interesse primario sotteso alle norme poste a presidio degli incanti è sempre
stato individuato nell’esigenza di preservare la sana competizione tra le parti, O.
CAMPO, Sul delitto di turbata libertà degli incanti, in Arch. Pen. 1966, II, p. 279 ha
sottolineato come tutti i progetti per un nuovo codice penale che si sono succeduti
dopo la creazione dello Stato unitario avessero impiegato la locuzione «libertà degli
incanti». Lo stesso A. ha tenuto a puntualizzare che l’abbandono di questa espressione
nel testo definitivo dell’art. 299 del codice Zanardelli sarebbe stato ascrivibile a un
mero fatto tecnico e non alla volontà di identificare l’interesse tutelato in un bene
diverso dalla libertà degli incanti.