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1. LO SVILUPPO DELLE ENERGIE RINNOVABILI
Il significato etimologico della parola energia risale ai termini greci ενέργεια, che
significa “attivo”, ed ἔργον che significa “opera”, indica cioè in termini fisici l’attitudine
di un sistema a compiere un lavoro: ogni volta che si svolge un lavoro, lo si fa
consumando energia. Per questo parlare di energia significa parlare nel senso piø ampio
dell’attività umana e la modalità migliore per individuare, ricavare, organizzare e gestire
l’energia è la premessa indispensabile per creare una società umana che funzioni e per
avviare condizioni di sviluppo equilibrate.
Proprio la grande disponibilità di energia ha consentito, dalla rivoluzione industriale in
poi, uno sviluppo economico e sociale pressochØ ininterrotto, soprattutto grazie
all’efficienza derivante dall’utilizzo di fonti energetiche di origine fossile.
Tuttavia negli ultimi anni si sono presentati due rischi che mettono a repentaglio la
prosecuzione della crescita economica così come è stata intesa finora.
Il primo rischio è rappresentato dall’incertezza relativa alla reale disponibilità delle
riserve di idrocarburi, quali petrolio e gas naturale che, secondo la valutazione svolta da
diversi studi scientifici, ai ritmi attuali di estrazione potrebbero diventare sempre piø
carenti o con un costo estrattivo sempre maggiore creando difficoltà alle economie in
situazioni di maggiore dipendenza energetica dall’estero.
La dipendenza energetica indica la misura delle importazioni che è finalizzata alla
soddisfazione del fabbisogno energetico di un Paese (cioè il rapporto fra le importazioni
nette e la somma del consumo interno lordo di energia) e rappresenta quindi un indicatore
importantissimo per l’autonomia e lo sviluppo di un paese.
Un elevato livello di dipendenza energetica condiziona infatti l’andamento di tutto il
sistema economico di un Paese, perchØ la necessità di importare energia e quindi la
soggezione all’andamento dei prezzi e delle quantità di energia disponibile, incide
direttamente e indirettamente sui costi di produzione delle imprese, sull’equilibrio di
finanza pubblica e sulle scelte di politica economica.
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I grafici di seguito riportati sintetizzano l’indice di dipendenza energetica nei Paesi
dell’Unione Europea nell’anno 2009 e l’andamento dello stesso in Italia negli anni 1998-
2009.
Grafico 1. Indice di dipendenza energetica nei Paesi UE, valori percentuali – anno 2009.
Fonte: Eurostat, Renewable Energy Statistics, 2010.
Grafico 2. Indice di dipendenza energetica in Italia e UE27, valori percentuali – anni
1998-2009.
Fonte: Eurostat, Renewable Energy Statistics, 2010.
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L’Italia, che nel 2009 si colloca fra i Paesi europei con il maggiore livello di dipendenza
energetica dall’estero, molto al di sopra di Paesi come Francia, Germania, Regno Unito e
Spagna, presenta un valore dell’indice costantemente superiore all’80%.
Un secondo rischio che può mettere a repentaglio le prospettive di crescita ha carattere
globale e transfrontaliero ed è rappresentato dal fenomeno del cambiamento climatico che
ha tra le sue cause principali proprio l’uso di combustibili fossili destinati alla produzione
energetica. Questi ultimi, nei processi di lavorazione, emettono nell’atmosfera quantità di
gas serra che includono l’anidride carbonica (responsabile del 60% dell’effetto serra), il
metano, il protossido di azoto, gli idrocarburi fluorati e perfluorati e l’esafluoruro di zolfo.
Tali gas hanno innescato un processo di irreversibilità del riscaldamento del clima le cui
conseguenze hanno implicazioni tali da compromettere la possibilità di garantire nel
futuro il processo di sviluppo.
Il problema globale, e di portata epocale che tutti i Paesi devono affrontare, è quindi
quello di trovare una modalità valida a soddisfare il fabbisogno energetico che possa
garantire il livello dei consumi sia dei Paesi industrializzati sia di quelli in via di
industrializzazione, garantendo però dei percorsi di sviluppo diversi dal passato e cioè
sostenibili nel corso del tempo.
I rischi collegati all’innalzamento delle temperature globali sono oramai risaputi da anni e
sono da tempo oggetto di attenzione internazionale.
1.1 Le energie rinnovabili come risposta al cambiamento climatico
La Conferenza di Stoccolma sullo sviluppo umano del 1972 ha rappresentato il primo
contesto internazionale in cui è stato sottolineato il collegamento fra l’ambiente e lo
sviluppo globale. Successivamente, dopo vari passaggi, nel 1992, con la Conferenza di
Rio sull’ambiente e lo sviluppo, si consolida l’interesse per l’applicazione di politiche
internazionali interessate alla tutela ambientale. Tale interesse trova progressiva
realizzazione in una serie di incontri internazionali culminanti nel 1997 con la firma del
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Protocollo di Kyoto: i Paesi firmatari si impegnarono a ridurre in media, per il periodo
2008-2012, il totale delle emissioni di gas ad effetto serra almeno del 5,2% rispetto ai
livelli del 1990. Ad esso seguirono numerosi vertici globali su questioni ambientali, fino
agli accordi di Copenaghen nel 2009, Cancun nel 2010 e Durban nel 2011.
L’impegno dei governi è stato sollecitato nel corso di questi anni da numerosi studi e
analisi di organismi nazionali e internazionali che hanno effettuato valutazioni sulle
trasformazioni delle caratteristiche ambientali planetarie dovute all’impatto
antropogenico.
Di seguito verranno passati in rassegna gli studi che ebbero una risonanza particolarmente
forte a livello mondiale.
Stern Review on the Economics of Climate Change 2006
Il cosiddetto Rapporto Stern è un’analisi economico-scientifica commissionata dal Tesoro
britannico che richiama l’attenzione sulla pericolosità delle conseguenze dovute ad un
innalzamento della temperatura e sottolinea l’assoluta urgenza di politiche e strategie di
mitigazione e di adattamento climatico di lungo periodo per affrontare i rischi connessi al
riscaldamento globale a livello internazionale. In particolare lo studio effettua una
dettagliata valutazione dei costi economici oltre che di quelli fisici che le economie
mondiali dovrebbero sostenere per affrontare le conseguenze del global warming e per
stabilizzare la concentrazione di gas serra a fine secolo su livelli che contengano
l’incremento della temperatura media terrestre a circa due gradi (soglia oltre la quale si
prevedono conseguenze catastrofiche a livello mondiale).
Secondo tale rapporto, la stabilizzazione delle emissioni di gas serra corrisponde ad un
valore di emissione degli stessi pari a 500-550 ppm CO2eq (la CO2eq è l’unità di misura
del potenziale dell’effetto serra di un determinato gas) e i costi per il raggiungimento di
tale obiettivo corrisponderebbero ad un valore pari a circa il 2% del PIL globale,
comunque inferiori a quelli di un’eventuale inazione che si collocherebbero tra il 5% ed il
20%.
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UNEP (United Nations Environment Programme) – Analysis of Trends and Issues
in the Financing of Renewable Energy 2011
L’UNEP ha sottolineato come la realizzazione di politiche che orientino il 2% del PIL
verso investimenti in dieci settori chiave della green economy (fornitura di energia,
efficienza energetica, agricoltura, costruzioni, pesca, foreste, industria, trasporti, turismo,
gestione rifiuti e acqua), fra le quali le fonti energetiche rinnovabili, possano innescare un
processo di transizione verso una politica low carbon che favorisca lo sviluppo di una
economia sostenibile, efficiente e di progressivo sradicamento della povertà mondiale. Il
valore degli investimenti ammonterebbe a circa 1.300 miliardi di dollari l’anno e
porterebbe ad una crescita economica piø armoniosa e meno soggetta a shock. Orientare
gli investimenti in direzione della green economy favorirebbe sia i Paesi industrializzati
sia i developing countries, dove il depauperamento del capitale naturale provoca maggiori
rischi e conseguenze. Occorrerebbe quindi reindirizzare quel valore dell’1-2% del PIL che
attualmente viene destinato a politiche di sostegno per l’uso dei combustibili fossili (circa
600 miliardi di dollari l’anno) e per il sostegno di modalità insostenibili di crescita in tutti
i settori produttivi.
Il processo di transizione verso una economia sostenibile sarebbe accompagnato da
iniziali perdite di lavoro in alcuni settori tradizionali, ma nel tempo queste perdite
sarebbero piø che compensate dalla riqualificazione della forza lavoro, dalla crescita del
reddito pro-capite e dalla riduzione dell’impatto ambientale dell’economia.
Inoltre il rapporto rileva come, investendo un po’ piø dell’1% nello sviluppo dello
sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili (che nel futuro andrebbero a coprire quasi il
30% della quota di domanda globale di energia primaria
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) e dell’efficienza energetica, si
potrebbe ridurre la domanda globale di energia primaria dal 9% del 2020 a circa il 40%
entro il 2050; il conseguente risparmio del capitale e dei costi di carburante
ammonterebbe in media a circa 760 miliardi di dollari all’anno nel periodo compreso fra
il 2010 e il 2050.
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L’energia primaria è quella prodotta o estratta direttamente dalle risorse naturali.
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La crescita degli investimenti in energie rinnovabili è stata negli ultimi anni
particolarmente intensa e ha raggiunto un record nel 2010 di 243 miliardi di dollari grazie
soprattutto alle economie emergenti quali Brasile, Cina e India.
UNEP-Bloomberg – Global Trends in Renewable Energy Investment 2011
Questo rapporto conferma le previsioni di crescita degli investimenti nelle fonti
energetiche rinnovabili. Nel corso dell’ultimo anno sono stati investiti 211 miliardi di
dollari in energie rinnovabili contro i 219 investiti per i combustibili fossili.
Complessivamente hanno destinato maggiori risorse alle rinnovabili i seguenti Paesi: Cina
(48,9 miliardi), Germania (41 miliardi), Stati Uniti (29,6 miliardi), Italia (5,5 miliardi) e
Francia (2,7 miliardi). Uno degli aspetti piø significativi è che questi investimenti hanno
interessato soprattutto gli impianti di piccole dimensioni, del mini-solare e del mini-
eolico.
IEA (International Energy Agency) – Energy Technology Perspective 2010
L’agenzia sottolinea gli aspetti finanziari che dovranno essere presi in considerazione in
futuro per contrastare i cambiamenti dovuti al climate change. In particolare pone
l’attenzione sull’importanza della diffusione di tecnologie avanzate a basso consumo di
carbonio, soprattutto nei developing countries e ipotizza due prospettive. La prima
implica previsioni piø devastanti in quanto considera il raggiungimento di un picco delle
emissioni di gas serra fra il 2020 e il 2030, al quale dovrebbe seguire una progressiva
stabilizzazione fino al 2050. La seconda ipotesi invece tiene conto dell’avanzamento
tecnologico che porterebbe ad un livellamento delle emissioni di carbonio entro il 2010
seguito da una progressiva riduzione delle stesse entro il 2050. Questa visione piø
ottimistica è condizionata alla realizzazione di una maggiore efficienza nella produzione
ed uso dell’energia e prende in considerazione la diffusione delle fonti energetiche
rinnovabili, ma anche dal nucleare e dall’introduzione di tecnologie CSS (Carbon
Capture and Storage). Le previsioni di questa analisi, tuttavia, considerano la possibilità
che i governi destinino un ammontare di fondi tra le due e le cinque volte superiori ai
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livelli attuali ai programmi di ricerca e sviluppo per l’innovazione tecnologica, ma
soprattutto, l’aumento delle risorse finanziarie per rivelarsi efficace dovrà essere
accompagnato da strategie politiche mirate sia a livello internazionale che nazionale.
IEA – World Energy Outlook 2011
In questo studio l’IEA afferma che la domanda di energia da fonti fossili rimane ancora
molto sostenuta. Ma secondo l’agenzia, nel consumo mondiale di energia del 2035, oltre
alla domanda di petrolio che attualmente supera i 4 miliardi di tonnellate equivalenti,
aumenterà in particolare la richiesta di gas naturale, che è ora di circa 2,5 miliardi di
tonnellate equivalenti di petrolio, e che potrebbe arrivare a coprire nel 2035 il 25%
dell’energia totale, cioè circa 4,3 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio. Ciò
dipenderà a livello mondiale soprattutto dall’incremento di consumi della Cina, che
potrebbe raggiungere il livello di consumi dell’intera Unione Europea.
Le altre fonti energetiche in un modo o in un altro presentano delle criticità differenti. La
fonte energetica nucleare, soprattutto dopo l’evento di Fukushima, è stata messa in
discussione in vari Paesi per problemi di sicurezza e di gestione delle scorie, ma ciò non
ha compromesso la progettualità e la ricerca che sta cercando nuove soluzioni
tecnologiche avanzate per risolverli.
Il carbone, sebbene sia ancora disponibile in grandi quantità, produce effetti di
inquinamento elevatissimi in termini di emissioni di gas serra in atmosfera; le fonti
rinnovabili, invece, stanno ricoprendo un’importanza crescente, ma ancora presentano dei
costi di produzione molto alti e richiedono politiche di sostegno piø consistenti.
Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – Special Report on
Renewable Energy Sources and Climate Change Mitigation 2011
Questo rapporto ha sottolineato i vantaggi ambientali e sociali che potranno derivare dallo
sviluppo della produzione di energia rinnovabile nei prossimi anni. Lo studio rileva come
quasi l’80% delle forniture di energia del mondo potrebbe essere coperta da fonti
rinnovabili entro la metà del secolo, se sostenute da adeguate politiche pubbliche,
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utilizzando anche solo il 2,5% del potenziale energetico disponibile e le tecnologie che
sono già attualmente in uso. La crescita degli investimenti nel settore dell’energia eolica e
solare sta infatti favorendo la progressiva riduzione dei costi ponendo le basi per una
ulteriore espansione nel settore delle rinnovabili.
Come si evidenzia dal grafico di seguito riportato, nel 2008, a livello mondiale, le energie
rinnovabili coprivano il 12,9% del totale dell’offerta di energia primaria. Il contributo piø
significativo è stato dato dalla biomassa e dall’idroelettrico mentre le rimanenti fonti
pulite coprivano una quota di appena lo 0,4%.
Grafico 3. Quota delle FER sull’offerta globale di energia primaria, anno 2008.
Fonte: IPCC 2011.
La capacità da energie rinnovabili è cresciuta molto rapidamente negli anni piø recenti:
nel 2009 rispetto all’anno precedente la potenza eolica è cresciuta del 32% (32 GW in
piø), l’idroelettrico del 3% (31 GW in piø), il fotovoltaico del 53% (7,5 GW in piø), la
geotermia del 4% (0,4 GW in piø), il solare per il riscaldamento dell’acqua del 21% (31
GW in piø). Nel grafico seguente, che illustra l’incremento delle fonti rinnovabili a livello
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mondiale dal 1972 al 2008, è possibile rilevare l’accelerazione degli investimenti nella
produzione di energia da fonti rinnovabili.
Grafico 4. Incremento delle fonti rinnovabili nel mondo – anni 1972-2008.
Fonte: IPCC 2011.
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Appare dunque chiaro che per perseguire l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile della
società e dell’economia moderna e al contempo per contrastare l’effetto serra e le
conseguenze da esso provocate, lo strumento piø efficace è proprio quello dell’utilizzo
sempre piø intenso e diffuso delle fonti rinnovabili di energia.
La prima occasione in cui si è consolidato l’interesse per gli investimenti nelle rinnovabili
si può far risalire alla crisi energetica del 1973, quando i Paesi arabi produttori di petrolio
ne fecero aumentare improvvisamente il prezzo, lo stesso petrolio che nel 2008,
raggiungendo il prezzo record storico, spinse le economie occidentali in una profonda
recessione.
In suddetto finale quarto di secolo cominciarono così ad affermarsi i concetti di energie
alternative a quella prodotta da combustibili fossili e rinnovabili perchØ non accumulate in
forma di stock e quindi inesauribili, alle quali appartengono l’energia solare, l’eolica,
l’idraulica, delle biomasse, delle onde e delle correnti marine, oltre a quella geotermica.
La prerogativa delle fonti rinnovabili è quella di garantire un impatto ambientale piø
contenuto rispetto alle fonti tradizionali perchØ durante il processo di produzione non
emettono in atmosfera quantità ingenti di CO2 e non sono passibili di esaurimento. Inoltre
consentono una maggiore autonomia energetica a livello locale e una migliore gestione e
sviluppo del territorio. L’unica possibile e complessa risposta al cambiamento climatico
sta proprio nel reindirizzare il meccanismo di approvvigionamento energetico verso
queste fonti rinnovabili di energia, che non sono soggette ad esaurimento e che non
provocano rischi eccessivi di inquinamento atmosferico al pari dei combustibili fossili,
oltre che nell’attivare misure di risparmio energetico.
Lo sviluppo economico è sempre stato fortemente correlato con la crescita delle risorse
energetiche e la crescita delle emissioni di gas serra. Questa correlazione può essere
interrotta proprio dal ricorso alle fonti energetiche rinnovabili. Oltre al beneficio relativo
al calo delle emissioni inquinanti e alla mitigazione del cambiamento climatico, le energie
rinnovabili presentano infatti il vantaggio di poter contribuire ad innescare un modello di
sviluppo economico e sociale diverso, favorendo l’accesso all’energia, la sicurezza degli