7
INTRODUZIONE
Con la fine della Seconda guerra mondiale, le relazioni internazionali
vengono condizionate dalla polarizzazione del sistema in due blocchi
contrapposti. L’appartenenza dell’Italia al blocco occidentale euro-atlantico
e la sua posizione geografica di confine con il mondo sovietico ad est, e di
proiezione nel Mediterraneo a sud, hanno offerto al nostro paese la
possibilità di svolgere un ruolo strategico, che tutti i governi repubblicani
succedutisi a Palazzo Chigi hanno provato ad interpretare.
Questa tesi si propone di analizzare la politica estera dell’Italia nel
Mediterraneo, ampliandone l’orizzonte verso il Medio Oriente, a partire
dagli anni Cinquanta: mettendo in luce le debolezze strutturali, i punti di
forza, le ambizioni comuni, la continuità e le differenze delle azioni italiane.
Il mio obiettivo è mostrare e dimostrare come la direttrice mediterranea sia
risultata fondamentale per l’Italia al fine di ritagliarsi un margine di
autonomia dalle strettoie imposte dalle logiche della Guerra Fredda, per far
valere il proprio interesse nazionale cercando di riconquistare un ruolo e un
certo grado di prestigio sul palcoscenico internazionale. Obiettivi che
comunque non hanno mai messo in discussione l’alleanza euro-atlantica, in
particolare con gli Stati Uniti, nei confronti dei quali l’Italia ha tentato
costantemente di conquistarsi un proprio spazio di manovra, trovandovi allo
stesso tempo rifugio nelle situazioni di crisi. Il Mediterraneo e il Medio
Oriente hanno rappresentato il luogo ideale dove concentrare questi sforzi e
la Libia il paese che per storia coloniale, prossimità geografica, interessi
economici, politici e strategici, piø di tutti ha evidenziato le caratteristiche
ed i tratti comuni della politica estera italiana nel Dopoguerra.
La permanenza di Gheddafi al potere per 42 anni e il contemporaneo
susseguirsi di innumerevoli governi sull’altra sponda del Mediterraneo
rendono ancora piø evidenti i limiti, ma anche la continuità dell’azione
italiana. Da una parte la mancanza di strategia e di volontà nel risolvere il
contenzioso relativo al passato coloniale italiano in Libia, con le richieste di
condanna e di risarcimento avanzate da Gheddafi (e quelle relative ai beni
espropriati alla comunità italiana espulsa dalla Libia nel 1970, ancora
irrisolte), che si sono trascinate fino alla firma del Trattato di Bengasi del
2008, condizionando pesantemente le relazioni tra i due paesi. Dall’altra, la
prevalenza dell’interesse economico che ha portato l’Italia a diventare il
principale partner commerciale della Libia e quest’ultima ad essere il primo
fornitore di petrolio e il terzo di gas naturale dell’Italia. L’aspetto energetico
è senza dubbio quello che ha caratterizzato e orientato le politiche italiane
nei confronti dell’ex colonia e degli altri paesi mediterranei e mediorientali,
fin da quando Enrico Mattei rivoluzionò il sistema delle concessioni
petrolifere a metà degli anni Cinquanta. Il trattamento di favore riservato
all’Eni in Libia ha probabilmente contribuito alla ridefinizione dei rapporti
di forza nella regione. Sul suolo libico, infatti, le potenze occidentali hanno
continuato a giocare quella partita per il ristabilimento delle gerarchie
(finalizzata soprattutto al controllo delle risorse), iniziata sul campo
mediterraneo e mediorientale dopo il crollo del sistema bipolare che ha
messo in crisi l’equilibrio internazionale.
L’Italia ha cercato di essere della partita: partecipando, a partire dagli anni
Novanta, a diverse missioni internazionali (ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan,
Libano, Libia) e svolgendo un presunto ruolo di mediatore nel reinserimento
8
della Libia nella Comunità internazionale. Lo stesso aveva tentato di fare
anche in precedenza, ad esempio quando Moro e Fanfani si spesero nella
crisi arabo-israeliana per far guadagnare all’Italia un ruolo di primo piano
come interlocutore dei paesi arabi in Medio Oriente. La ricerca di accrescere
la propria posizione in termini di rango (e per far ciò assumendo un ruolo
talvolta sproporzionato rispetto alla propria forza) ha contraddistinto la
politica estera della Repubblica, che troppo spesso si è dovuta arrendere di
fronte a divisioni interne e crisi di governo che ne hanno impedito un’azione
coerente.
Le relazioni Italia-Libia esprimono la perfetta sintesi del tentativo di
conciliazione tra l’anima occidentale e quella mediterranea dell’Italia.
L’intreccio tra diplomazia e affari ha rappresentato una costante della
politica italiana, che alla fine si è però sempre dovuta adeguare alle scelte
dei suoi alleati. Moro, Andreotti, Craxi, Prodi e Berlusconi hanno teso la
mano a Gheddafi nonostante le sue bizzarrie, minimizzandone le sparate
anti-imperialiste e anti-italiane sia all’interno che al di fuori dei confini
nazionali, e cercando di mitigare l’aperta ostilità tra il Colonnello e gli
americani. Malgrado il continuo alternarsi di momenti di tensione e nuove
aperture non scalfiscano l’interscambio commerciale tra i due paesi, sempre
piø interdipendenti sul piano economico e finanziario, su quello politico
l’Italia deve tener conto del clima internazionale: nell’85 è costretta a
sospendere la fornitura di armi alla Libia, nel’92 ad aderire alle sanzioni
Onu imposte da Usa e Gran Bretagna, e nel 2011 a schierarsi con la Nato
nell’intervento militare che condurrà alla destituzione e alla morte di
Gheddafi.
La realpolitik che ha contraddistinto i rapporti tra le nazioni nell’ultimo
mezzo secolo ha prima fatto di Gheddafi un mostro finanziatore dei
terroristi, poi un amico con cui fare affari sotto la tenda, infine un dittatore
da abbattere perchØ nemico della democrazia. Il Colonnello è stato utile nel
contenimento del comunismo durante la Guerra Fredda e per arginare il
fondamentalismo islamico negli ultimi trent’anni; mentre egli utilizzava il
petrolio (le cui esportazioni verso i paesi europei non furono intaccate dalle
sanzioni) come arma di ricatto contro le potenze occidentali e per ergersi a
paladino prima del mondo arabo, poi di quello africano. L’Italia è stata parte
integrante di questo meccanismo, traendone un vantaggio politico-
economico in virtø del rapporto privilegiato con la Libia, ma subendolo nel
momento in cui Usa, Francia e Gran Bretagna hanno deciso di ridefinire i
rapporti di forza nel paese: scalzando Gheddafi, approfittando del consenso
attribuito alla “primavera araba” dall’opinione pubblica mondiale. La
politica incentrata sul “realismo” nel corso dell’ultimo decennio non ha
risparmiato nemmeno la materia migratoria, campo che è andato assumendo
un’assoluta centralità nelle relazioni politico-diplomatiche tra Italia e Libia
ed è stato oggetto di critiche e condanne per le ricadute negative in termini
di violazioni dei diritti umani e dei migranti.
Infine, la posizione defilata assunta dall’Italia durante la rivolta libica del
2011, con la mancata assunzione di un ruolo guida nella gestione della crisi
(sebbene il suo rapporto con la Libia non solo l’avrebbe consentito, ma
anche richiesto), ha fatto riemergere antiche paure di emarginazione, che si
scontrano con il ricorrente sogno di riconoscimento di quel rango di media
potenza che, forse, è destinato a rimanere tale.
9
CAPITOLO 1
LA POLITICA ESTERA DELL’ITALIA REPUBBLICANA:
IL MEDITERRANEO E IL MEDIO ORIENTE
1.1 La linea atlantica ed europeista di De Gasperi e la teoria del “Terzo
cerchio”
La politica estera dell’Italia nel secondo dopoguerra va inquadrata nel
particolare contesto internazionale che per quasi mezzo secolo ha visto il
mondo diviso in due blocchi orbitanti attorno alle due superpotenze, Stati
Uniti e Unione Sovietica, uscite vincitrici dal secondo conflitto mondiale.
Sul versante interno, invece, è da sottolineare la persistente crisi politica e
istituzionale che ha rappresentato una costante storica dell’Italia
repubblicana, dove si sono succeduti ben 61 governi in 16 legislature. Un
dato che ha contribuito ad arrecare alla politica estera del paese una crisi di
credibilità, aggravata dal fatto che quest’ultima è stata spesso subordinata e
strumentalizzata dai partiti per ragioni di interesse sul piano nazionale.
I due cardini della politica estera italiana dopo la Seconda guerra mondiale
si incarnano nell’atlantismo e nell’europeismo. Da subito i governi
repubblicani hanno mantenuto un sostanziale rapporto dialettico tra il
rafforzamento costante dell’integrazione europea, la solidarietà multilaterale
nell’Alleanza Atlantica e i rapporti multilaterali internazionali in genere
1
.
Alla ricerca del consesso multilaterale quale sede per la risoluzione delle
questioni internazionali si è al contempo accompagnata la tessitura di
rapporti bilaterali con paesi considerati prioritari per l’interesse strategico,
economico e per la sicurezza nazionale.
¨ in quest’ottica che si inserisce la teoria del “Terzo cerchio”, come l’ha
definita il professor De Leonardis, della politica estera italiana: quello
mediterraneo o “terzomondista”
2
. I versanti mediterraneo e mediorientale, in
particolare la sponda sud del Mediterraneo, hanno giocato un ruolo storico
di interdizione tra le grandi potenze occidentali, e per l’Italia hanno
rappresentato la possibilità di esercitare un’azione autonoma, in specifici
ambiti e in alcuni momenti, al di fuori delle rigide logiche determinate dal
bipolarismo. Se da un lato l’Italia usciva dalla guerra come nazione sconfitta
e le sue velleità di rimanere seduta al tavolo delle grandi potenze venivano
ridimensionate dal Trattato di pace di Parigi e dall’ostilità della Gran
Bretagna, dall’altro la sua posizione geopolitica gli affidava il ruolo di
baluardo contro l’espansione comunista da est e di proiezione nel
Mediterraneo verso sud. Su questo duplice aspetto fecero leva i governi
democristiani che fin dagli anni ’50 iniziarono a rivendicare un ruolo di
prestigio ed un riconoscimento internazionale per il paese. Già nell’ottobre
del ’51, infatti, il Presidente del Consiglio De Gasperi parlava della funzione
di protagonista dell’Italia in seno al mondo arabo-islamico
3
e, pochi anni
dopo, il Presidente della Repubblica Gronchi “sognava che l’Italia entrasse
in un direttorio delle grandi potenze, esercitasse un’azione mediatrice nel
1
IAI/ISPI, ALIBONI R., “La politica estera del governo Berlusconi”, L’Italia e la politica internazionale, Bologna,
2003.
2
DE LEONARDIS M., “L’Italia: «Alleato privilegiato» degli Stati Uniti nel Mediterraneo?”, in De Leonardis Massimo
(a cura di) Il Mediterraneo nella politica estera italiana del secondo dopoguerra, Bologna, 2003.
3
Cfr. FERRARIS L.V., Manuale della politica estera italiana (1947-1993), Roma-Bari, 1996, p. 65.
10
Vicino Oriente, acquistasse prestigio, ottenesse riconoscimenti”, come
scriveva il suo Consigliere diplomatico Luciolli
4
.
L’idea che il nostro paese potesse diventare un “mediatore” o “costruttore di
ponti” tra l’Europa e i paesi della sponda sud del Mediterraneo non era
un’esclusiva della Democrazia Cristiana (DC), soprattutto nella sua corrente
di sinistra, ma trovava d’accordo molte forze politiche, in particolare
l’opposizione comunista. Forze che si combattevano all’interno dei confini
nazionali, convergevano invece sul campo della politica mediterranea “sotto
le forme dell’universalismo cristiano nel mondo cattolico, o della solidarietà
umanitaria nelle forze laiche o del collegamento internazionalista con i
movimenti di liberazione del terzo mondo nello schieramento di sinistra”
5
.
1.2 L’Italia e il Mediterraneo nel contesto internazionale
Gli anni ’50 registrano una serie di avvenimenti in campo internazionale che
permettono all’Italia di ritagliarsi uno spazio nel novero delle grandi
potenze. Sul fronte esterno, la morte di Stalin con i seguenti primi accenni di
distensione, l’inizio della decolonizzazione e la crisi di Suez mutano il
tradizionale equilibrio nello scacchiere internazionale. Sul fronte interno, si
assiste alla chiusura del capitolo del Dopoguerra con la risoluzione dello
spinoso problema di Trieste
6
e l’ingresso dell’Italia nell’ONU (1955).
In particolar modo la questione triestina fu l’ultimo residuo della Seconda
guerra mondiale che ancora impediva di delineare un ordine preciso in
Europa e il suo prolungarsi ha creato notevoli attriti tra l’Italia e gli alleati
occidentali. La difficoltà anglo-americana nel chiuderla è da attribuire da un
lato all’allontanamento di Tito dalla casa madre sovietica che consentiva
all’Occidente di guardare alla Jugoslavia come paese-cuscinetto tra Est e
Ovest; dall’altro all’ostilità di Londra che cercava di relegare l’Italia in un
sottosistema Mediterraneo, frenandone le aspirazioni di ricostruire una
politica estera di prestigio. In quel periodo gli Stati Uniti puntavano ancora
sulla Gran Bretagna come nazione in grado di garantire stabilità e sicurezza
nell’area mediterranea e mediorientale, anche se favorirono l’ingresso
dell’Italia nella NATO nel 1949, in funzione strategica come sbarramento a
protezione del Mediterraneo occidentale, sia dal versante marittimo (verso
la penisola balcanica) che terrestre (verso l’Europa danubiana).
D’altra parte, già nel 1947 l’URSS iniziò ad esercitare pressioni su Iran,
Grecia e Turchia, che dovette cedere al trasferimento di navi portaerei e
sottomarini sovietici sul proprio territorio
7
; per contenere l’influenza
destabilizzante russa, Stati Uniti e Gran Bretagna si fecero promotori del
Patto turco-iracheno firmato a Baghdad nel 1955, a cui aderirono
successivamente anche Iran e Pakistan. Con il passare degli anni, il tentativo
4
LUCIOLLI M., “Diciotto mesi al Quirinale con il presidente Giovanni Gronchi”, in E. Serra (a cura di), Professione:
diplomatico, Milano, 1988, op. cit., p. 117.
5
GARRUCCIO L. (pseudonimo di Ludovico Incisa di Camerana), “Le scelte di fondo e il retroterra culturale”, in
Politica internazionale, a. X, n. 2, 1982, op. cit., p. 10.
6
Il Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954 sancisce l’assegnazione dell’amministrazione del Territorio Libero di
Trieste tra l’Italia e la Jugoslavia di Tito, dopo che per nove anni era stato diviso in due zone gestite dagli Alleati anglo-
americani (Zona A passata all’Italia) e dagli jugoslavi (Zona B). Bisognerà attendere il Trattato di Osimo del 1975 per
la conferma del confine.
7
LURAGHI R., “L’Italia nel fronte sud della Nato”, in Il Mediterraneo nella politica estera italiana del secondo
dopoguerra, Bologna, 2003.
11
inglese di portare ordine e stabilità nella regione con la cosiddetta “pax
britannica” andava scontrandosi con una serie di problemi che ne
decretarono il fallimento. La Lega Araba organizzata dalla Gran Bretagna
all’indomani della guerra finì ben presto nelle mani di Nasser che divenne il
leader del nazionalismo pan-arabo in chiave anti-imperialista. Nasser,
raggiunto il potere nel 1952 con la Rivoluzione degli Ufficiali Liberi che
rovesciò la Corona, diviene leader assoluto dell’Egitto nel ’54, e già l’anno
seguente tenta la prima sperimentazione di Unione Araba tra Egitto, Siria,
Arabia Saudita e Yemen. Il pericoloso fermento nell’area, seguito alla crisi
iraniana e al primo shock petrolifero del’51 (provocato dal contrasto del
Ministro degli Esteri iraniano Mossadeck nei confronti dell’Anglo-Iranian
Oil Company) costrinse gli Usa a un ripensamento della propria politica nel
Mediterraneo orientale e nel Golfo, spingendoli ad un intervento diretto
nelle faccende arabe e islamiche.
Come prima mossa, gli americani installarono basi militari in Libia e in
Arabia Saudita, appoggiarono negoziati tramite l’Onu e puntarono
sull’assistenza finanziaria ai paesi di neo-indipendenza. Sono anni dove si
gettano le basi per il processo di decolonizzazione che culminerà nei primi
anni Sessanta e dove vengono alla luce gli immensi giacimenti petroliferi
nei paesi arabi.
In questo periodo emergono sempre piø marcati gli antagonismi e le
diversità strategiche tra Usa e Regno Unito che diverranno incolmabili con
la crisi di Suez del 1956.
1.3 La crisi di Suez e la nuova politica mediterranea
La decisione di Nasser di finanziare la costruzione della diga di Assuan con
la nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez provocò
l’intervento militare di Francia, Inghilterra e Israele che in un primo
momento occuparono l’area, per poi essere dissuasi e costretti al ritiro dalle
persuasioni sia degli Usa che dell’Urss, per la prima volta unite per timore
di un allargamento del conflitto. L’esito della vicenda, oltre a costituire una
indubitabile vittoria per Nasser, sempre piø leader panarabo ed esempio di
resistenza contro l’imperialismo occidentale (e che fu il modello e
l’ispiratore del primo giovane Gheddafi), rappresentò il tramonto della
supremazia europea in Medio Oriente. L’antica diplomazia di potenza e di
forza anglo-francese che per secoli gli garantì l’egemonia e il ruolo di
grandi potenze indiscusse sul palcoscenico mondiale, subì quel colpo
mortale che portò gli Stati Uniti a recitare un ruolo da protagonista
nell’area: da quel momento il Golfo Persico diventò un interesse vitale per
gli Usa
8
, che si trovarono anche a dover gestire in prima persona gli inizi
delle rivoluzioni e dei colpi di stato militari nelle ex colonie europee.
L’Italia prende le distanze dall’iniziativa franco-anglo-israeliana del ’56 e
partecipa logisticamente alle Forze d’urgenza delle Nazioni Unite nel Sinai
(UNEF 1 - First United Nations Emergency Force); due anni dopo sarà
presente anche nel gruppo di osservatori Onu in Libano (UNOGIL - United
Nations Observation Group In Lebanon). L’adozione dell’opzione
multilaterale e la scelta di schierarsi contro la soluzione militare
consentirono all’Italia di guadagnare crediti e simpatie da parte del mondo
8
Cfr. PIACENTINI V., “La politica estera italiana, i paesi arabi e il mondo musulmano”, in Il Mediterraneo nella
politica estera italiana del secondo dopoguerra, Bologna, 2003.
12
arabo e di consolidare l’alleanza con gli Stati Uniti: «[…] Mai prima, alla
fine della Seconda guerra mondiale – scrive Di Nolfo – l’intesa italo-
americana
9
era stata piø completa sul piano diplomatico». E continua
sottolineando l’importanza della «convergenza di interessi italo-americani
nel tenere aperta un’opzione costruttiva rispetto al mondo arabo» che
permette all’Italia di giocarsi le sue carte per ritagliarsi un ruolo nella
regione, venendo «meno il problema dell’ambivalenza tra le sue ambizioni
mediterranee e la coerenza con gli impegni continentali o atlantici»
10
.
Se, infatti, negli anni del centrismo monocolore di De Gasperi (tra il 1947 e
la metà degli anni ’50) le priorità della politica estera italiana si rivolsero
quasi esclusivamente verso la dimensione euro-atlantica, per tutelate
l’interesse nazionale di stabilizzazione e sicurezza garantito
dall’integrazione politica ed economica con la nascente Comunità europea
da un lato, e dalla centralità che le questioni europee assurgevano per gli
Stati Uniti dall’altro; con l’uscita di scena del grande statista e l’incalzare
degli eventi internazionali la situazione iniziò a mutare. Fatto salvo
l’ancoraggio al blocco occidentale, dalla metà degli anni ’50 agli inizi degli
anni ’60 la discussione all’interno del mondo politico e culturale italiano
vide emergere la volontà di avviare una politica estera di maggiore respiro e
con piø ampi margini di autonomia, che si concretizzò nell’”opzione
mediterranea”. Già l’Italia pre-unitaria, grazie all’attivismo diplomatico del
Conte di Cavour per conto del Regno di Sardegna durante il conflitto di
Crimea, aveva manifestato interesse per l’Oriente medio e asiatico, gettando
un ponte per la costruzione di quei legami culturali che furono ripresi negli
anni Cinquanta con l’avvio di una serie di iniziative: creazione di organismi
per favorire i contatti con i paesi arabi (Accademia del Mediterraneo, Centro
per le relazioni culturali italo-arabe, Centro per la cooperazione
mediterranea, Associazione per il progresso e l’indipendenza dei popoli dei
territori coloniali); missioni storico-archeologiche; centri culturali e borse di
studio. La naturale collocazione geopolitica della Penisola e la sua rinuncia
ad ogni pretesa coloniale, con la firma del Trattato di pace di Parigi (10
febbraio 1947)
11
, assicuravano all’Italia il gradimento delle popolazioni
arabe rispetto a una piccola/media potenza che, chiusi i conti con il passato
coloniale e parzialmente sganciata dalle rigide contrapposizioni tra i
blocchi, potesse fornirgli buona tecnologia ed eccellente know how senza
alti prezzi politici e, allo stesso tempo, contribuire alla ricerca delle radici
culturali e all’affermazione di una identità nazionale proprie.
In questo clima, torna in auge la vocazione mediterranea dell’Italia che
vuole sfruttare la debolezza internazionale di Francia e Inghilterra innescata
dalla crisi di Suez per riappropriarsi di quello status di media potenza che gli
è stato sottratto dalla sconfitta nella Seconda guerra mondiale. La politica
mediterranea, per un verso, animava le ambizioni di quanti sognavano un
9
Sulle questioni fondamentali, in quegli anni l’Italia rimase alleato agli Stati Uniti. Secondo Di Nolfo, tra il 1956 e il
1962, l’Italia divenne il piø vicino collaboratore della politica mediterranea degli Usa. DI NOLFO E., “Italia e Stati
Uniti: un’alleanza diseguale”, in «Storia delle relazioni Internazionali», VI (1990), n. 1, op. cit., p. 27.
10
DI NOLFO E., “La «politica di potenza» e le formule della politica di potenza. Il caso italiano (1952-1956)”,
in DI NOLFO E., RAINERO R. H., VIGEZZI B. (a cura di) L’Italia e la politica di potenza in Europa (1950-1960),
Milano, 1992, p. 721.
11
Nel primo comma dell’articolo 23, Il documento precisava che l’Italia rinunciava «a ogni diritto e titolo sui
possedimenti territoriali italiani in Africa, e cioè la Libia, l’Eritrea e la Somalia italiana». Le decisioni successive
sancirono, a parte l’affidamento all’Italia della tutela decennale sulla Somalia decisa nel 1949, lo smantellamento
dell’apparato coloniale italiano.
13
ritorno della grande Italia in termini nazionali, ma, per un altro verso,
fungeva da impulso per quanti, soprattutto nel mondo socialista e nei partiti
laici minori, ma anche nella sinistra della DC, accarezzavano progetti
terzaforzisti
12
. Questo anelito di rendere l’Italia meno dipendente da rapporti
di sudditanza nei confronti di soggetti esterni trova espressione nel
cosiddetto “Neoatlantismo”, termine coniato da Giuseppe Pella
13
nel 1957, e
applicazione di una rinnovata politica estera marcata da una maggiore
autonomia nel Mediterraneo e in Medio Oriente.
1.4 Il Neo-atlantismo
Il Neoatlantismo fu un fenomeno nel quale si mescolavano un «pacifismo
atlantico» e un «nazionalismo mediterraneo» e che divenne una sorta di
punto di coagulo di iniziative eterogenee le quali avevano in comune «la
ricerca, sovente velleitaria, di un’azione originale nella condotta della
politica estera». Fu inoltre uno strumento utilizzato da «una parte
consistente del mondo politico ed economico italiano»
14
. Ne furono i
principali interpreti Giovanni Gronchi, Enrico Mattei e Giorgio La Pira, che
rappresentavano tre strategie, diplomatica, economica e culturale al servizio
di una stessa politica
15
.
Gronchi, Presidente della Repubblica dal 1955 al 1962, nella prima parte del
suo settennato al Quirinale, fece diverse discusse incursioni nel campo della
politica estera, tra le quali è rimasto celebre, per le polemiche che comportò,
il tentativo di inviare nel 1957 una lettera, poi bloccata dal Ministro degli
Affari Esteri Gaetano Martino, all’allora presidente americano Dwight D.
Eisenhower, lettera con la quale auspicava un nuovo partenariato italo-
statunitense per il Medio Oriente
16
. Mentre il democristiano Gronchi, infatti,
durante la crisi di Suez assunse una posizione filo-araba e conciliante verso
l’Egitto con l’obiettivo di avvicinarsi agli Usa, considerati il partner naturale
dell’Alleanza, il liberale Martino era allineato alle tesi americane ma senza
voler «incrinare l’alleanza con Francia e Gran Bretagna»
17
, come emerse
durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a cui l’Italia partecipava
per la prima volta. Anzi, il Ministro degli Esteri compì un grande sforzo
12
Osservano in proposito Mammarella e Cacace: «Sullo scenario italiano gli effetti del nuovo clima internazionale si
manifestano in maniera particolarmente acuta e significativa. La posizione di chi – come, ad esempio, il ministro
Martino e una parte consistente del gruppo dirigente democristiano – rimane convinto che la politica estera nazionale
debba essere rigorosamente ancorata ai due principi fondamentali dell’atlantismo e dell’europeismo entra in
rotta di collisione con un altro indirizzo, destinato a consolidarsi, che cerca margini di autonomia tra le strettoie della
politica atlantica attraverso iniziative sovente originali e improvvisate; una linea che si intreccia sul versante interno con
i primi timidi tentativi di “apertura a sinistra” attraverso il dialogo tra i cattolici e i socialisti nenniani. Una linea che si
rafforza con il superamento della fase di emergenza della ricostruzione postbellica e grazie all’accelerazione dello
sviluppo economico del paese» (MAMMARELLA G., CACACE P., La politica estera dell’Italia. Dallo Stato unitario
ai giorni nostri, Roma-Bari, 2010, op. cit., p. 203).
13
Pella è stato deputato all’Assemblea Costituente dal 1946 al 1948, deputato dal 1948 al 1968 e senatore dal 1968 al
1976. Inoltre fu Presidente del Consiglio dei ministri nel periodo dal 17 agosto 1953 al 18 gennaio 1954 e piø volte
ministro.
14
MAMMARELLA G., CACACE P., op. cit., 206-207.
15
ANSALDO G., “Il colloquio mediterraneo” nelle sue giuste proporzioni, in «Esteri», 15/10/1958, op. cit., pp.9-11.
16
BEDESCHI MAGRINI A., Spunti revisionistici nella politica estera di Giovanni Gronchi Presidente della
Repubblica, in DI NOLFO, RAINERO, VIGEZZI (a cura di). La lettera di Gronchi ad Eisenhower trattenuta dal
Ministro degli Esteri italiano è pubblicata da WOLLEMBORG L. J., Stelle, strisce e tricolore. Trent’anni di vicende
politiche fra Roma e Washington, Milano, 1983, pp. 583-586.
17
Cfr. ACS, Verbali del Consiglio dei Ministri, sub data; L’Italia alle Nazioni Unite. Dicembre 1955-Marzo 1957, a
cura dell’Ufficio Studi dell’ISPI, Milano, 1957, Cap. II.
14
diplomatico per ricucire i rapporti tra i tre alleati occidentali, ottenendo un
successo che in seguito gli venne riconosciuto sia dagli inglesi che dai
francesi.
Tra i rappresentanti delle forze laiche, il Vice presidente del Consiglio
Giuseppe Saragat
18
(PSDI – Partito Social Democratico Italiano), e il
repubblicano Giovanni Spadolini
19
erano preoccupati di non rompere la
solidarietà con Parigi e Londra. Anche molti esponenti della DC, tra cui il
Presidente del Consiglio (1955/1957 e 1959/1960) Antonio Segni
20
, Taviani
e Rumor (appartenenti alla principale corrente democristiana “Iniziativa
Democratica”) erano contrari a incrinare il consenso europeo e
denunciarono il comportamento di Nasser. Del tutto diverso fu
l’atteggiamento del leader della corrente e del partito Amintore Fanfani.
Egli era favorevole all’apertura agli arabi e ad instaurare un rapporto
privilegiato con gli Usa per trarre benefici nella gerarchia atlantica a scapito
di Gran Bretagna e Francia. Presidente del Consiglio per diversi mandati tra
gli anni ’50 e la prima metà degli anni ’60 (e per altri due negli anni
Ottanta), Fanfani auspicava una conciliazione tra l’anima occidentale e
quella mediterranea dell’Italia per una piena parificazione con i suoi alleati.
Per tale motivo nutriva verso gli Stati Uniti «il massimo di fedeltà con il
massimo di indipendenza»
21
. In realtà, «il “terzomondismo” italiano
(almeno quello della politica estera e commerciale) − secondo Ilari − non ha
mai avuto connotazioni anti-americane, ma semmai anti-britanniche e anti-
francesi»
22
, proprio per approfittare del declino delle due ex potenze
coloniali.
1.5 Penetrazione dell’ENI in Nord Africa e Medio Oriente
Queste “aspirazioni mediterranee” trassero ulteriore alimento dagli
indiscutibili successi economici registrati da alcune imprese italiane. A
svolgere un ruolo fondamentale nell’area fu senza dubbio l’ENI (Ente
Nazionale Idrocarburi), costituita nel 1953 da Enrico Mattei, il quale venne
inizialmente incaricato di liquidare le attività dell’Agip. Invece scelse di
disattendere questa indicazione, per conseguire un obiettivo che riteneva
fondamentale: garantire al Paese un’impresa energetica nazionale
23
. Il suo
attivismo in campo internazionale fu sostenuto dal Presidente Gronchi e
ancor di piø dal Presidente del Consiglio Segni e dal suo successore Fanfani
(che deteneva anche la carica di Ministro degli Esteri). Mentre le alte
cariche istituzionali vedevano nel Presidente dell’Eni la figura in grado di
restituire all’Italia un peso in politica estera e l’assicurazione
dell’approvvigionamento energetico tramite politiche economiche autonome
e sganciate dall’ingerenza dei grandi paesi occidentali, che appoggiavano i
“cartelli” costituiti dalle proprie compagnie petrolifere, queste ultime mal
sopportavano l’atteggiamento spregiudicato e la concorrenza dell’Eni che
18
Saragat, Presidente della Repubblica dal 1964 al 1971, fu favorevole alla prima coalizione di centro-sinistra che andò
al governo nel 1963.
19
Spadolini è stato piø volte ministro e, tra il 28 giugno 1981 e il 1º dicembre 1982, il primo Presidente del Consiglio
dei Ministri non democristiano nella storia dell’Italia repubblicana.
20
Segni fu Presidente della Repubblica dal 1962 al 1964, quando si dovette dimettere causa malattia.
21
ROMANO S., Guida alla politica estera italiana. Da Badoglio a Berlusconi, Milano, 2004.
22
ILARI V., Guerra civile, Roma, 2001, op. cit., pp. 106-107.
23
Dalla storia di Mattei raccontata sul sito dell’Eni: www.eni.com/it_IT/azienda/storia/enrico-mattei/enrico-
mattei.shtml.
15
andava scardinando il loro monopolio sul petrolio. Grazie alla libertà
d’azione accordata a Mattei, che lo svincolava dal controllo governativo
(fatto che a piø riprese ha suscitato reazioni e critiche dei partner alleati,
specie gli americani, ai piø alti livelli), dalla fine degli anni ’50 l’Eni
concluse importanti accordi economico-commerciali con Iran, Marocco,
Libia, Tunisia, Egitto, Algeria e perfino con l’Unione Sovietica
24
. Si trattava
di accordi che, prevedendo la cessione del 75% dei profitti al Paese dove si
effettuavano le ricerche petrolifere, si rivelarono assai favorevoli per questi
Stati, dal momento che si offriva loro la possibilità di svincolarsi dalla
morsa delle principali compagnie multinazionali occidentali
25
, la cui attività
era sempre piø spesso vista come uno sfruttamento. Il primo accordo del
genere fu siglato il 14 marzo 1957 tra Eni e Nioc (National Iranian Oil
Company)
26
. In seguito fu creata la Società Italo-Marocchina (26 luglio
1958), e l’11 ottobre 1960 fu firmato l’accordo tra Eni e Urss per la
fornitura di petrolio russo a prezzi vantaggiosi in cambio di tubi saldati
(prodotti a Taranto) per la costruzione di oleodotti nel paese sovietico. Il
lavoro di Enrico Mattei creò notevole fastidio alle compagnie multinazionali
petrolifere anglo-americane, le quali intravedevano il pericolo di una
destabilizzazione dell’approvvigionamento petrolifero dal Medio Oriente e,
soprattutto, il rischio di indebolimento della propria posizione di cartello. Il
lavoro di Enrico Mattei e dell’Eni iniziò a diventare una minaccia per
l’ordine mondiale uscito vincitore dalla Seconda guerra mondiale e quasi
totalmente in mano agli interessi americani. Dallo stesso governo di
Washington furono avanzate molte pressioni al governo italiano per evitare
l’accordo Eni-Iran. L’accordo fu soltanto una delle sfide lanciate da Mattei
alle Sette Sorelle. Mattei morì il 27 ottobre 1962 in un incidente aereo, per
molti versi oscuro.
1.6 La politica di stabilizzazione degli anni Sessanta
A tutto ciò si aggiungevano le suggestioni religiose e culturali di Giorgio La
Pira, fervente cattolico e Sindaco di Firenze (1951/1958 e 1961/1965),
promotore dei “Colloqui mediterranei”, cui si deve il ripensamento del
Mediterraneo come spazio di confronto tra le principali religioni
monoteiste
27
. La Pira, come Martino e i diplomatici meno legati alle
esperienze del passato, vedevano con favore l’indipendenza e lo sviluppo
dei paesi coloniali al fine di propiziare la pace e la stabilità nell’area e al
contempo promuovere la crescita politica ed economica dell’Italia. Così
cercarono di stabilire rapporti proficui e paritari con i PVS (Paesi in Via di
Sviluppo), puntando a sottrarli alla sfera di influenza comunista e avviando
24
Su Mattei Cfr. MAUGERI, L’arma del petrolio. Questione petrolifera globale, guerra fredda e politica interna nella
vicenda di Enrico Mattei, Firenze, 1994. Si veda anche il volume di BAGNATO, Petrolio e politica. Mattei in
Marocco, Firenze, 2004.
25
La nuova spinta nazionalista spinse i governi produttori alla rivendicazione dei diritti sullo sfruttamento degli
immensi giacimenti di petrolio. La disparità esistente iniziò a generare attriti tra i governi sauditi e le compagnie
occidentali, finchØ nel 1950 si trovò l’accordo sulla base della regola del “fifty fifty”, grazie a cui i paesi produttori
beneficiavano del 50% dei profitti in cambio del rilascio delle concessioni di estrazione alle compagnie straniere.
26
L’8 settembre 1957 le due società fecero nascere la Sirip (Società Irano-Italienne des PØtroles), società al 50%, la
quale avrebbe riconosciuto il 50% delle royalties allo Stato iraniano ed il restante 50% diviso equamente tra l’Eni e il
Nioc. Di fatto, essendo la Nioc un’azienda di Stato, lo Stato iraniano beneficiava del 75% dell’accordo.
27
CIAVATTINI F. (a cura di), “L’Europa e il Mediterraneo nella visione di Giorgio La Pira”, Atti dell’incontro
internazionale del 10 e 11 maggio 2002, Arezzo, 2002.
16
una cooperazione politica, economica e culturale che si esplicò nel Piano
Pella del 1957. Il programma prevedeva di fornire assistenza e sviluppo ai
paesi mediorientali tramite i capitali dovuti agli stati europei dagli Stati
Uniti. In questo modo l’Europa avrebbe rafforzato i legami con il mondo
arabo e l’Italia sarebbe riuscita ad avviare il piano, tanto caro a Mattei, di
unire la valorizzazione delle risorse energetiche del Medio Oriente
all’industrializzazione dell’Italia meridionale. La bocciatura americana del
programma evidenziò con chiarezza che alcune esigenze politico-
economiche fondamentali del nostro paese, come l’apertura e l’attivismo nei
confronti dei paesi arabi e la volontà di muoversi autonomamente nel campo
delle concessioni petrolifere, entravano in profondo contrasto con gli
interessi del suo principale alleato.
Tuttavia, non si fecero attendere altre iniziative politiche e diplomatiche.
Nel 1960, per esempio, Segni e Fanfani si recarono per la prima volta in
Marocco in visita ufficiale. Fu un evento di rilievo per i risultati concreti che
ne derivarono (come l’Accordo sulla pesca nel Canale di Sicilia), ma anche
per l’avvio ufficiale, da parte italiana, di una “politica della comprensione”
verso i Paesi di nuova indipendenza. Politica che permise non solo di far
guadagnare spazi operativi all’Italia, ma anche di favorire l’incontro tra
democristiani e socialisti che proprio sul terreno internazionale, con un
approccio simile al processo di decolonizzazione, trovarono quell’accordo
che gli consentì di formare il primo governo organico di centrosinistra della
storia repubblicana
28
.
1.7 La stagione del Centro-sinistra: il conflitto arabo-israeliano
Dopo due anni di trattative serrate tra il PSI di Pietro Nenni e la DC di
Amintore Fanfani, nell’autunno del 1960 quest’ultimo formò un governo
con l’astensione dei socialisti. Nel febbraio del ’62, ebbe inizio la stagione
del Centro-sinistra quando un nuovo governo Fanfani, con la partecipazione
di DC, PRI e PSDI, ebbe l’appoggio parlamentare dei socialisti, i quali
entrarono effettivamente al governo il 5 dicembre del 1963, con il governo
presieduto da Aldo Moro. Iniziava allora la quarta legislatura e la stagione
piø difficile per i governi di Centro-sinistra. Alla base di un evidente
rallentamento della spinta riformatrice, acuita dall’interrompersi del boom
economico che aveva visto la grande crescita dal paese dal 1958 al 1963, nei
cinque anni successivi vi fu lo scontro fra la DC e il PSI sulle questioni
economiche e politiche. In particolare la politica estera, dove la convergenza
di vedute sembrava essere maggiore, fu teatro di dissidi e conflitti.
Inizialmente il Centro-sinistra, fortemente osteggiato dalla destra politica e
imprenditoriale, dalle gerarchie clericali e dagli alleati americani, venne
percepito come un momento di svolta anche per la collocazione
internazionale del Paese. Fedele alla scelta euro-atlantica, l’Italia dei primi
anni Sessanta sembrò aspirare a un ruolo piø attivo sullo scacchiere
internazionale, immaginandosi come ponte sia tra Est e Ovest sia tra Nord e
Sud del mondo. Proprio lungo questa seconda direttrice si collocò la politica
mediterranea e mediorientale che il Presidente del Consiglio Moro e il
Ministro degli Esteri Fanfani (che nel ’67 si recò a Mosca con l’intento di
avviare contatti per arrivare a una conferenza sulla sicurezza europea da
28
PERFETTI F., “Mediterraneo e Medio Oriente nella politica estera italiana”, La Comunità Internazionale, Rivista
trimestrale, Vol. LXVI, secondo trimestre 2011 n.2, pp.185-202, Editoriale scientifica srl.