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CAPITOLO I
POLIMERI E BIOSENSORI
1.1 Introduzione
I polimeri sono sostanze composte da un insieme di macromolecole ottenuta
dall’unione regolare di unità più semplici. Sebbene queste sostanze siano
particolarmente poco solubili e difficilmente purificabili, presentano tuttavia
una notevole leggerezza e resistenza meccanica (tenacità), alta resilienza e
facilità di lavorazione (plasticità). La struttura molecolare è caratterizzata da un
insieme di grandi molecole di forma simile a fili lungi migliaia di Å e di
sezione di qualche Å
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, compenetrati l’un l’altro e, quindi, di difficile
traslazione. Si tratta di legami fisici differenti dai comuni legami chimici
covalenti in cui ciascun atomo di una coppia di atomi contribuisce con un
elettrone per formare la coppia di elettroni. Un aumento della temperatura fa
diminuire questi legami e quindi il materiale acquista la fluidità per essere
lavorato.
L’unità chimica alla base della composizione del polimero è il monomero
(comprendente un certo numero di atomi) che stabilisce un legame covalente
con un successivo ed un precedente monomero realizzando una catena. Tali
catene realizzano delle aggregazioni molecolari che possono essere suddivise
CAPITOLO I Polimeri e Biosensori
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in ramificate, reticolate come illustrato in Fig. 1.1. I polimeri lineari sono
facilmente solubili e fusibili (termoplastici), mentre quelli ramificati
(ramificazioni) hanno una viscosità minore e sono più solubili perché le catene
hanno lunghezza minore. Le reticolazioni riducono la mobilità dei baricentri e
impediscono la completa dissoluzione in solventi.
Fig. 1.1: Tipi di catene polimeriche
In questo contesto è necessario anche considerare una differenziazione tra i
polimeri non solo in base alla loro aggregazione molecolare ma anche alla
tipologia di atomi coinvolti: C, H, O, N. Quando una macromolecola è ottenuta
per ripetizione-riproduzione di un monomero si chiama, più esattamente
omopolimero: infatti se l’unità ripetitiva base è costituita da miscele di più
monomeri si parla di copolimeri. I polimeri sintetici sono molto simili ai
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polimeri naturali e possono essere prodotti sotto forma di fibre, tessuti, film,
barre e liquidi viscosi [1].
Dato il gran numero di polimeri che oggi è possibile utilizzare, è doveroso
effettuare una classificazione dei polimeri non solo in base alla capacità di
lavorazione (termoplastici o termoindurenti) o con riferimento ai materiali cui
danno origine (gomme, materie plastiche e fibre, poliestere, poliuretani), ma
soprattutto alle proprietà cristallografiche. Infatti dal punto di vista
cristallografico possiamo valutare:
Polimeri amorfi: catene con ramificazioni disposte irregolarmente
che non sono in grado di allinearsi ma con ordine sufficiente per
realizzare un cristallo (policarbonati, polistirene atattico,
polimetilmetracrilato);
Polimeri semicristallini: zone amorfe alternate a zone cristalline;
Polimeri cristallini: polimeri regolari che possono formare cristalli
lamellari all’interno dei quali le catene risultano perpendicolari alla
faccia del cristallo (nylon, kevlar, polichetoni). Il grado di
cristallinità del polimero può essere calcolato in base al rapporto tra
il peso della sostanza allo stato cristallino ed il peso totale. Esso
dipende dalla struttura delle molecole componenti e dalla storia
meccanico-termica della sostanza, è molto elevato nei polimeri a
struttura lineare non ramificata e diminuisce fortemente per strutture
reticolate.
CAPITOLO I Polimeri e Biosensori
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Fig. 1.2: classificazione dei polimeri e disposizione delle catene per polimero fibroso e
polimero cristallino
CAPITOLO I Polimeri e Biosensori
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1.2 Materiali e proprietà dei polimeri
1.2.1 Polimeri termoplastici
La struttura molecolare delle materie plastiche è di due tipi: molecole
allungate, lineari o ramificate, e molecole reticolate. I polimeri allungati
presentano gradi di cristallinità differenti a seconda della percentuale di
ramificazione presente; infatti in seguito a riscaldamento tendono ad
ammorbidirsi facilitandone la lavorazione: per questo motivo vengono detti
termoplastici. Una volta stampati, possono essere nuovamente scaldati e
riformati in modo differente senza che la loro struttura e le loro proprietà
chimico-fisiche e meccaniche varino, dal momento che i trattamenti termici
non li degradano, portando alla formazione di sottoprodotti. In Fig. 1.3 è
possibile osservare la curva sforzo-deformazione per questo tipo di materiali
che consente di apprezzare il fenomeno di deformazione in seguito
all’applicazione di una forza esterna. Questo comportamento dipende dal
modo in cui le catene polimeriche si muovono l’una rispetto all’altra in
condizioni di sforzo.
CAPITOLO I Polimeri e Biosensori
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Fig.1.3: curva sforzo-deformazione per polimeri termoplastici
È possibile inoltre valutare tre regioni corrispondenti ai diversi comportamenti
del materiale:
1° tratto: comportamento elastico. Si verifica grazie alla possibilità dei
legami covalenti nelle catene di stirarsi e distorcersi ma è un fenomeno
temporaneo dipendente dalla forza iniziale applicata: le catene ritornano nella
loro posizione originaria, all’esaurimento di questa forza.
2° tratto: comportamento elastico non lineare (dipendente dal tempo).
Diversamente dal caso precedente, all’applicazione di uno sforzo
maggiore avviene una deformazione di interi segmenti di catena che
tenderanno a tornare nella posizione originaria in tempi più lunghi.
3° tratto: quando la forza applicata supera un certo valore (resistenza di
rendimento), caratteristico per ciascun polimero, è possibile notare il
fenomeno di deformazione plastica permanente. La curva sforzo-
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deformazione presenta quindi un minimo oltre questo valore, per poi risalire
gradualmente. Questo andamento è caratteristico dei materiali polimerici e
dipende dalla loro struttura.
Genericamente le catene polimeriche sono aggrovigliate e sono
interconnesse da forze a corto e a lungo raggio. Affinché sia possibile
modificare la loro disposizione è dunque necessaria una forza molto
elevata che agisce separando le catene raddrizzandole lungo la direzione
della forza (Fig. 1.4 a).
Fig. 1.4: effetto della forza applicata sulle catene polimeriche; a) catena aggrovigliata, b)
catena allungata
Al verificarsi di questo fenomeno, le catene scivolano l’una sull’altra più
agevolmente, guidando il polimero in configurazione allungata: da questo
momento è dunque sufficiente applicare una forza inferiore rispetto alla
configurazione arrotolata per causare una deformazione plastica permanente
superiore nel materiale. Al prolungarsi dello sforzo, le catene lineari si
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dispongono ordinatamente e parallelamente l’una all’altra e possono
avvicinarsi notevolmente fra loro (Fig. 1.4 b): si instaurano così forti legami
di Van der Waals che rinforzano il materiale. Si è costretti nuovamente ad
aumentare l’intensità della forza di trazione per ottenere la deformazione
plastica, fino a raggiungere il valore massimo sopportabile dal materiale
prima della rottura (tensile strength).
Tuttavia la risposta del materiale allo sforzo dipende non solo
dall’intensità della forza applicata, ma anche dalla modalità di applicazione.
Infatti una forza lenta permetterà alle catene di scivolare l’una sull’altra
adattandosi allo sforzo cosi che il polimero ne risulti deformato; se al
contrario la sollecitazione è intensa e veloce, il processo di scivolamento
viene ostacolato e il materiale diventa più fragile, tendendo a fratturarsi (è
quello che accade durante i test meccanici di resistenza all’urto e alla trazione:
per questo i termoplastici presentano bassi valori relativamente a queste
proprietà).
Si può quindi individuare una viscosità o viscoelasticità η del
polimero, definita attraverso il rapporto tra τ intensità dello sforzo di taglio
che causa lo scivolamento delle catene e Δv / Δx gradiente di velocità cioè
misura quanto rapidamente le catene sono fatte scivolare l’una rispetto all’altra.
La variazione di η con la temperatura è descritta da una relazione di tipo
Arrhenius in cui abbiamo un fattore η
0
esponenziale costante ed E
η
energia
di attivazione per il flusso viscoso: questa relazione indica che ad un
aumento della temperatura, il polimero risulta meno viscoso e quindi si
deforma più facilmente.
Dunque la temperatura ha un’influenza così marcata sul
comportamento meccanico dei polimeri termoplastici a causa del suo effetto
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sulla forza dei legami di Van der Waals che agiscono tra le catene.
Ad alta temperatura, al di sopra della temperatura di fusione T
m
del
polimero, queste interazioni risultano molto indebolite, la viscosità è molto
bassa e il flusso viscoso si verifica anche in assenza di una forza applicata
dall’esterno: il polimero si trova allo stato liquido o viscoso (Fig. 1.5): il
polimero in queste condizioni è pronto per essere plasmato e stampato.
Fig. 1.5: stati di transizione in funzione della temperatura del polimero
È tuttavia necessario evitare di superare la temperatura di degradazione T
d
,
al di sopra della quale i legami covalenti tra gli atomi all’interno delle catene
vengono distrutti e il polimero si degrada (brucia o incenerisce). La T
d
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rappresenta quindi il limite superiore di utilizzo del polimero.
Abbassando la temperatura al di sotto di T
m
si possono verificare due casi:
solidificazione in forma cristallina del polimero: le catene si ordinano nello
spazio in piccoli domini cristallini all’interno di una matrice amorfa
(in percentuali variabili a seconda del tipo di polimero). Si ha una netta
diminuzione del volume specifico dal momento che le catene, disposte
disordinatamente nel liquido, tendono a compattarsi. Le proprietà meccaniche
dei polimeri cristallini non variano a seguito della ulteriore diminuzione
della temperatura.
solidificazione in forma amorfa del polimero: le catene rimangono
disordinate, arrotolate e interconnesse tra loro come erano nel liquido.
In queste condizioni il polimero è nello stato plastico. Una temperatura
inferiore alla T
m
induce il materiale ad acquisire contemporaneamente
caratteristiche sia dei termoplastiche che elastiche: lo sforzo applicato si
traduce in parte in deformazione elastica temporanea (le catene vengono
stirate), in parte in deformazione plastica permanente, dal momento che le
stesse vengono spostate dalla loro posizione iniziale. Una volta cessato lo
sforzo, la deformazione elastica si annulla istantaneamente, ma la forma del
polimero risulta modificata. A temperature più basse, invece, il polimero
diventa più rigido, la viscosità è più bassa, le catene si muovono più
lentamente e la deformazione elastica tende ad annullarsi in tempi sempre
più lunghi. Avvicinandosi alla temperatura di transizione vetrosa T
g
, la
viscosità diventa così bassa che sono possibili solo movimenti estremamente
localizzati di piccoli gruppi molecolari sulle catene. La deformazione
elastica è ora limitata allo stiramento dei legami e richiede l’applicazione
di forze molto intense. Anche la deformazione plastica risulta molto
limitata, dal momento che le catene non riescono più a scivolare l’una
CAPITOLO I Polimeri e Biosensori
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sull’altra. La Fig. 1.6 mostra l’andamento dello stato del polimero in
funzione della temperatura: al di sotto della T
g
il polimero è rigido e
fragile e si comporta come un vetro (stato rigido o vetroso). All’aumentare
della temperatura si passa ad uno stato sempre più fluido fino ad arrivare
allo stato viscoso a temperatura T
m
.
Fig. 1.6: elasticità del polimero in funzione della temperatura.
CAPITOLO I Polimeri e Biosensori
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Le curve sforzo-deformazione mostrano piccole deformazioni plastiche
prima della frattura. In queste condizioni non può essere plasmato nella
forma voluta, ma è molto più rigido e resistente all’allungamento rispetto
allo stato plastico. Le catene lineari ottenute per addizione in genere hanno
T
g
inferiore rispetto alle catene ramificate.
I polimeri cristallini in genere hanno una viscosità maggiore e quindi
risultano più rigidi e resistenti allo scorrimento delle catene anche alle alte
temperature.
La differenza nel modulo di elasticità tra la forma cristallina e quella
amorfa di un polimero è visibile nella Fig. 1.7, dove si può osservare come lo
stato cristallino abbia una dinamica di temperatura più ampia rispetto allo
stato amorfo soprattutto nella regione centrale lineare; questo fa si che un
polimero amorfo sia più sensibile alla temperatura rispetto ad uno cristallino.
E’ possibile fare in modo che un polimero solidifichi con il grado di
cristallinità più alto possibile relativamente alla sua struttura controllando le
modalità con cui viene condotto il raffreddamento al di sotto della T
m
. In
particolare più bassa è la velocità di raffreddamento, più tempo hanno le
catene di riordinarsi e riaggiustarsi, più probabile è ottenere domini cristallini.
D’altro canto, è possibile anche raffreddare il liquido molto velocemente
(processo detto quenching) ottenendo domini cristallini numerosi ma
molto piccoli in una matrice amorfa e poi sottoporre il solido ad una ricottura
a T < T
m
per permettere ai cristalli di nucleare e crescere. Infine, è anche
possibile sottoporre il polimero ad una lenta deformazione lineare durante il
raffreddamento tra T
m
e T
g
: ciò causa uno stiramento delle catene nella
direzione della forza applicata e fa sì che esse si dispongano parallelamente
l’una all’altra, favorendo la struttura cristallina.
CAPITOLO I Polimeri e Biosensori
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Fig. 1.7: Variazione del modulo viscoelastico con la struttura: 1) polimero amorfo lineare
2) polimero cristallino 3) polimero a struttura tridimensionale 4) elastomero
A temperatura ambiente i termoplastici tendono a deformarsi
permanentemente (mantengono la nuova forma conferita) o semplicemente a
rompersi quando sottoposti ad eccessivo allungamento; in genere
resistono alla deformazione meglio degli elastomeri; si stampano e
CAPITOLO I Polimeri e Biosensori
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formano meglio di altri materiali. Al di sotto della temperatura di
transizione vetrosa i polimeri plastici sono rigidi e fragili, al di sopra di
questo valore sono flessibili e plasmabili. Per abbassare la T
g
di un polimero
e quindi renderlo più flessibile e plasmabile si può usare un plastificante: si
tratta di una piccola molecola che reagendo si posiziona tra le catene
polimeriche e le distanzia una dall'altra, producendo un aumento del
volume libero. Quando questo processo si verifica, le catene possono
scivolare una vicino all'altra più facilmente e si possono muovere
liberamente a temperature inferiori rispetto a quelle necessarie senza
plastificante.
1.2.2 Materiali termoindurenti
I polimeri reticolati o resine presentano molti legami trasversali tra le varie
catene,che portano alla formazione di una struttura tridimensionale rigida e
irregolare. Un campione di questi materiali consta praticamente di un’unica
gigantesca molecola; il riscaldamento non lo rende morbido ma al contrario
provoca la formazione di altri legami trasversali tramite condensazione e di
conseguenza l’indurimento del materiale. Per questo motivo questi polimeri
sono detti termoindurenti. Questa “continuazione” del processo di
polimerizzazione in seguito a riscaldamento è spesso accompagnata dal
processo di stampaggio che dà forma al prodotto. Questi polimeri non possono
essere riscaldati e riprocessati una volta formati, dal momento che si
indurrebbero ulteriori reazioni di condensazione, con variazione della struttura
e della composizione del materiale per eliminazione di sottoprodotti.
CAPITOLO I Polimeri e Biosensori
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Generalmente i termoindurenti sono commercializzati sotto forma di due
sostanze separate: il polimero a catena lineare e l’agente reticolante. La loro
miscelazione (a freddo o a caldo) dà il via alla reticolazione con formazione del
materiale voluto. Alcuni termoindurenti reticolati sono:
resine epossidiche: Sono ottenute dalla reazione tra poli - diepossido (un
polimero a basso peso molecolare con un gruppo epossidico alle due estremità
della catena) e diammina (i due componenti da miscelare per ottenere la
resina);
polidiciclopentadiene: É utilizzato per realizzare in un pezzo unico oggetti
molto grandi come per esempio le cabine dei trattori, le antenne paraboliche
satellitari, i serbatoi per lo stoccaggio di reflui chimici pericolosi. Il primo
impiego però è stato lo stampaggio delle scocche per motoslitte, anche queste
realizzate in un solo pezzo. Questo polimero ha infatti una buona resistenza
all'urto a basse temperature, quando molti altri polimeri diventano fragili;
policarbonato: é usato per fabbricare lenti leggere e infrangibili per
occhiali;
gel polimerici: i polimeri reticolati possono essere anche utilizzati come
rivestimenti, adesivi e per realizzare componenti elettronici. Non si possono
sciogliere nei solventi, in quanto tutte le catene polimeriche sono legate
insieme da legami covalenti, però possono assorbire i solventi. Un materiale
reticolato che ha assorbito molto solvente viene detto gel. Un tipo di gel molto
familiare è la poliacrilammide reticolata, impiegata per realizzare lenti a
contatto morbide.