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L'ATTUAZIONE DEI PROVVEDIMENTI CAUTELARI
ex 669 DUODECIES
1. Premessa. 1.1 L'attuazione cautelare: unità del provvedimento cautelare. 2. Provvedimenti
anticipatori e conservativi. 3. Ambito applicativo dell'art 669 duodecies. 4. L'attuazione dei
provvedimenti cautelari aventi ad oggetto ordini al pagamento di somme di denaro. 4.1 La
competenza. 4.2 I rapporti con il Libro terzo del codice: la questione del titolo esecutivo e la par
condicio creditorum. 4.3 Segue: la disciplina applicabile. 4.4 La tutela delle parti e dei terzi. 5.
L'attuazione degli obblighi di consegna, rilascio, fare e non fare. 5.1 "Il giudice che ha emanato
il provvedimento cautelare": giudice-persona fisica o giudice-ufficio giudiziario? 5.2 Segue: la
competenza in caso di reclamo. 5.3 Le modalità d'attuazione. 5.4 segue: la reclamabilità del
provvedimento attuativo; altre norme specifiche in tema di modalità di attuazione. 5.5La tutela
delle parti e dei terzi.
1. Premessa
La legge 26 novembre 1990 n. 353 ha introdotto nel nostro ordinamento il
procedimento cautelare uniforme. Così ha soddisfatto finalmente le richieste di
dottrina e giurisprudenza in materia di tutela cautelare, relativamente alla
valorizzazione della tutela cautelare insita nell'art. 24 Cost.
Con questo primo capitolo, si ripercorreranno in primis le premesse fondamentali
sul ruolo svolto nel nostro ordinamento dal provvedimento cautelare, ma
soprattutto si concentrerà l'attenzione sul tema dell'unità del provvedimento
cautelare soprattutto alla luce della riforma del '90.
Successivamente, in modo alquanto analitico, verranno analizzati i due diversi
tipi di attuazione tutela cautelare previsti dall'art. 669 duodecies c.p.c., quali
l'attuazione dei provvedimenti cautelari aventi ad oggetto ordini al pagamento di
somme di denaro, e l'attuazione degli obblighi di consegna, rilascio, fare e non
fare.
1.1 L'attuazione cautelare: unità del provvedimento cautelare
L'articolo 669 duodecies c.p.c., è frutto della riforma legislativa, avvenuta con L.
n. 353 del 1990, che ha introdotto nel nostro ordinamento il processo cautelare
2
uniforme. Esso regola l'attuazione delle misure cautelari, prevedendo che: «Salvo
quanto disposto dagli articoli 677 e seguenti in ordine ai sequestri, l’attuazione
delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme
degli articoli 491 e seguenti in quanto compatibili, mentre l’attuazione delle
misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare,
avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare
il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o
contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti.
Ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito».
Si tratta di una norma complessa, che prevede una triplice modalità di attuazione
a seconda di quello che è l'oggetto del provvedimento, ossia, a seconda che ci si
trovi di fronte ad un obbligo al pagamento di una somma di denaro, ad un
obbligo di consegna, rilascio, fare o non fare, oppure a quei provvedimenti
conservativi che sono i sequestri, per i quali le modalità di attuazione sono
dettate tipicamente nel relativo capo del codice.
La presente indagine non può però prescindere da premesse fondamentali, che
hanno attraversato i decenni, e che si misurano con i grandi temi del diritto
processuale, quali quello dell'esecuzione forzata e della tutela cautelare, dalla
ricostruzione dei quali dipende la nostra indagine.
La disciplina positiva introdotta con la riforma del '90, infatti, non risolve da sola
quelli che sono i problemi che riguardano l'attuazione cautelare, in quanto la sua
formulazione lascia spazio ad ampie interpretazioni, che richiedono necessarie
chiarificazioni.
A riprova dell'evoluzione del dibattito su tale tema, va detto che tale disposizione
si preoccupa di recepire quel concetto di autonomia dell'attuazione cautelare
rispetto alle modalità dell'esecuzione, che assistono la maggior parte dei
provvedimenti non cautelari. Invero, la disciplina positiva, sembra far leva su
quella teoria dell'unità del procedimento cautelare, espressa da LIEBMAN a metà
degli anni cinquanta.
Tale autorevole dottrina osservava che: “non si può distinguere, nell’ambito della
tutela cautelare, un processo di cognizione ed un processo di esecuzione” ed
3
inoltre, a spiegazione dell’assunto, che: “le fasi e i momenti in cui l’organo
conosce, e quelli in cui eseguisce si seguono, senza soluzione di continuità, in un
unico procedimento, che è perciò, almeno nella generalità dei casi, un
procedimento misto di cognizione e d’esecuzione: conta soprattutto rilevare che
si tratta di un procedimento unico, tendente direttamente a porre in atto la
cautela, e contenente in se stesso quei momenti di pura cognizione, e quelle
attività di natura decisoria, che sono necessari per verificare l’esistenza, nel caso
concreto, dei requisiti stabiliti dalla legge. Il procedimento è unico e indivisibile,
perché unico e indivisibile è l’interesse ad agire, e viceversa. La tutela cautelare
si compie infatti soltanto con la piena attuazione della cautela, qualunque sia, e
non può frazionarsi in fasi diverse e successive, più o meno indipendenti fra loro,
ma comunque capaci di stare da sé... la cognizione del giudice serve soltanto a
rendere possibile l’attuazione della misura cautelare, della quale verifica e
controlla i presupposti legali”
1
.
Tale tesi stravolse il panorama riguardante i procedimenti cautelari, introducendo
nell'ordine processual-civilistico un tertium genus, distinto da esecuzione e
cognizione.
A conferma di tale approccio, si noti come le modalità di attuazione dei sequestri
e dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., prediligono un'attuazione
diversa rispetto dalle modalità tipiche del codice di rito.
D'altro lato, il dibattito dottrinale si è comunque incentrato più profondamente su
quello che è il rapporto fra "attuazione" cautelare ed "esecuzione", mostrando
l'altra faccia della medaglia, ossia di come non sia sempre così scontata
l'applicazione dell'attuazione cautelare.
Di recente infatti, la giurisprudenza di legittimità ha introdotto un rapporto basato
sulla fungibilità fra le due ipotesi esecutive, concedendo la scelta al beneficiario
della cautela.
In effetti una conferma della tesi dell'unità del provvedimento, si traeva già dalla
stessa non riconducibilità del provvedimento cautelare nell’ambito del titolo
1
E. T. LIEBMAN, Unità del procedimento cautelare, in Riv. dir. proc, 1954, p. 248 ss.
4
esecutivo ai sensi dell’art. 474 c.p.c., in quanto non era stata mai attribuita
espressamente ai provvedimenti cautelari la qualifica di titoli esecutivi.
L'idea che si affermava era che l'attuazione avvenisse secondo modalità dettate
direttamente dal giudice dell'esecuzione, che poteva comunque avvalersi delle
forme dell'esecuzione forzata, ma con esclusione della notificazione del titolo
esecutivo e del precetto Un’ulteriore conferma della soluzione adottata si traeva
anche dalla norma dell’art. 691 c.p.c., la quale, con riferimento ad una misura
cautelare tipica quale la nunciatoria, prevedeva e prevede che sia il giudice
emittente a curare l’esecuzione della misura cautelare
2
.
Dopo un lungo periodo nel quale il problema dell’attuazione-esecuzione delle
misure cautelari era stato affrontato con l’applicazione della soluzione riferita, la
crescente richiesta di pronunce, nell’ambito della tutela ex art. 700 c.p.c. in
materia di lavoro (ma non solo), di provvedimenti cautelari aventi ad oggetto
ordini di pagamento di somme di danaro e la consequenziale esigenza di una loro
esecuzione, stimolò la dottrina ad una verifica della validità di tale soluzione,
particolarmente riguardo all’affidamento al giudice che aveva pronunciato il
provvedimento, della richiamata libertà nell’individuare le forme
dell’esecuzione.
Già nei primissimi anni ottanta autorevolmente si sostenne
3
che, se poteva restare
fermo, per le esigenze di urgenza immanente alla tutela cautelare che anche
quell’esecuzione dovesse sfuggire alle formalità della notificazione del titolo
esecutivo e del precetto, tuttavia, l’esistenza di un modello tipico di operazioni
necessarie all'attuazione coattiva della pretesa alla corresponsione di una somma
di danaro, costituito dal procedimento di espropriazione ex artt. 483 e ss. c.p.c.,
dovesse comportare una sua assunzione a modello necessario di riferimento e ciò
anche rispetto all’autorità preposta alle operazioni di attuazione della misura
cautelare, da individuarsi, pertanto, nel giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art.
16 e 26 c.p.c. .
2
FRASCA, L'attuazione dei provvedimenti cautelari, 1999, Quaderni del CSM n.106., p. 277 ss.
3
CHIARLONI Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, p. 8 ss.
5
La strada intrapresa riconduce quindi gli obblighi di pagamento di somme di
denaro a quelle che sono le modalità di esecuzione forzata, attraverso un
inquadramento di tali adempimenti nella schiera degli adempimenti coattivi
dell'obbligazione pecuniaria.
Infatti, mentre una prestazione di "facere-dare" è suscettibile di protezione solo
tramite una misura cautelare, il pagamento sarebbe sempre satisfattivo.
E' per questo che non possiamo considerarlo estraneo a quelle che sono le forme
di espropriazione forzata, e si presenta automatico dedurre anche che l'attuazione
di una misura cautelare relativa ad un pagamento di denaro incide sulla par
condicio creditorum ex 2741 c.c; che il modello con cui viene garantita tale
attuazione coattiva è quello del concorso nel procedimento espropriativo; che tali
forme sono funzionali ad assicurare l'art. 2741 c.c.; e che non è ipotizzabile
l'attribuzione ad un creditore di una sorta di prelazione, in danno degli altri
creditori.
A conferma di ciò, un' autorevole dottrina confutò che "quali che siano la causa
4
o la natura del credito, la funzione del danaro o le qualità soggettive delle parti,
l’espropriazione forzata ex art. 2910 c.c. costituisce lo strumento esclusivo di
realizzazione coattiva del diritto al pagamento di una somma di danaro” e che:
“in ogni caso il debitore, e il terzo responsabile per debito altrui, sono tenuti a
subire l’espropriazione dei propri beni, ai sensi degli artt. 2740 e 2910, comma 1°
e 2°, c.c.; e questo giova non soltanto al creditore procedente, ma anche a quelli
concorrenti, secondo l’ordine delle cause di prelazione, ai sensi dell’art. 2741”
5
.
Questa nuova concezione ha segnato una svolta in quelle che sono le modalità di
attuazione, delineando da un lato un'attuazione con le forme del terzo Libro del
c.p.c. per gli ordini di pagamento in denaro, e dall'altro una piena libertà del
giudice nelle altre forme. Certo è che tale concezione non si sottrasse alle
critiche, soprattutto insite nella coesistenza di due modelli esecutivi totalmente
diversi all'interno della potestà cautelare da parte di coloro ancora legati alla
concezione del LIEBMAN, o all'opposto, da chi ritenne più garantiste per la
4
FRASCA, L'attuazione dei provvedimenti cautelari, 1999, Quaderni del CSM n.106, p. 283.
5
G. COSTANTINO, Le espropriazioni forzate speciali - Lineamenti generali, Milano, 1984, p. 317 e ss.
6
tutela delle parti e dei terzi quelle che sono le modalità di tutela
dell'espropriazione forzata, soprattutto riguardo le opposizioni esecutive ex 615
c.p.c.
La contraddizione è evidente, ed è per questo che opposte concezioni tendono
comunque ad un risultato comune, in cui l'attuazione cautelare e l'esecuzione di
un provvedimento giurisdizionale, siano caratterizzati da identità funzionale, in
quanto comune è la possibilità di non essere necessari ove ci sia un adempimento
spontaneo; comune è la concedibilità della tutela sulla base di una delibazione; e
comune è la produzione di risultati reversibili per entrambe.
Di conseguenza tale identità comporta, anche per l'attuazione del provvedimento
cautelare, l'applicazione inderogabile, di quella che è la par condicio creditorum,
e la necessità di assicurare il contradditorio e il diritto di difesa.
Tale concezione è sembrata andare troppo oltre gli schemi, quasi a considerare
tutti i provvedimenti cautelari come titoli esecutivi, senza però escludere
l'attuazione di forme più consone a seconda dell'urgenza. Non si può allora non
verificare questo rapporto con l'esecuzione, ed una sua "possibile equiparazione".
Se, invero, si valuta con maggior attenzione la par condicio creditorum, ci si
accorge che non è realmente applicabile a tutte le situazioni soggettive, sia in
quanto è quasi totalmente limitata alla fase fallimentare o espropriativa (non c'è
traccia né nel giudizio di ottemperanza, né nell'esecuzione specifica ex 2932
c.c.), sia perché esce ridimensionata da uno approfondito studio
6
, per cui l'art
2741, e quindi la par condicio creditorum, non è il riflesso dell'art. 3 Cost, poiché
sembra insostenibile ammettere che i creditori siano tutti uguali fuori e dentro il
processo, vista la necessità del titolo esecutivo (tranne per determinati
privilegiati), e la mancata notifica della pendenza del processo ad esempio ai
creditori intervenienti.
Una volta ammesso che tale par condicio non è regola generale, si cerca di
ricostruirla in chiave codicistica, e alla luce della teoria di LIEBMAN.
LIEBMAN affermando il concetto di tertium genus riguardo al processo
cautelare, non si riferisce alla commistione fra cognizione ed esecuzione ma ad
6
DELLE DONNE, L'attuazione dei provvedimenti cautelari, Roma, 2005, p. 234 ss.
7
un istituto processuale capace di realizzare l'interesse ad agire che l'illustre
Autore richiama nel suo scritto
7
.
Rispetto ai suoi predecessori, oltre all'enucleazione del concetto di specialità
nella cognizione del giudice, pone l'accento sulla necessarietà di tale specialità,
per evitare possibili e rischiose confusioni col processo di cognizione. E ciò
soprattutto, visto il requisito richiesto del periculum in mora come "danno da
ritardo del provvedimento definitivo di cognizione"
8
.
Ma LIEBMAN pone le basi anche per quella che sarà la corretta visione
dell'esecuzione cautelare, ed anche se non arriva alla conclusione, la distinguerà
da quella ordinaria; la dottrina successiva "non sfrutterà la scia" lasciata da
LIEBMAN, e non spingerà mai l'indagine oltre a quelle che sono le differenze
funzionali, incurante di quelle strutturali. A riprova di ciò, le differenze che
dovrebbero esistere fra tutela esecutiva e cautelare non sembrano delle remore
insormontabili, anche alla luce delle similitudini fra le due, come dimostra
l'attuazione cautelare degli obblighi di pagamento.
Si può quindi facilmente obiettare sulla natura di congegno anticipatorio nel
tempo del provvedimento cautelare, rispetto all'esecuzione ordinaria, ma a
diverse conclusioni si può arrivare se si analizza la struttura concretamente
assunta dai processi esecutivi, e se ne verifica la sua esportabilità ad altri istituti
processuali.
Così se l'esecuzione per consegna o rilascio sembra presentarsi necessitata in
relazione al contenuto del comando, problemi sorgono sugli obblighi di fare o
non fare e sugli ordini di pagamento. Per i primi, i problemi sono già insiti
nell'art 612, e derivano dalle scelte legislative frutto del momento in cui sono
state adottate. Complicata è la possibile appellabilità dell'ordinanza esecutiva,
così come la presenza delle opposizioni esecutive, in quanto frutto di una scelta
legislativa che voleva la cognizione distinta dalla esecuzione in senso stretto, con
la possibilità quindi di riverificare la portata della condanna. Lo stesso istituto
7
Impostazione già presente in vari autori: CALAMANDREI Introduzione allo studio sistematico dei
provvedimenti cautelari, Padova, 1936; CARNELUTTI Diritto e processo, Padova, 1936; ALLORIO Per
una nozione del processo cauelare in Riv. Dir. Proc. 1936.
8
DELLE DONNE, L'attuazione dei provvedimenti cautelari, Roma, 2005, p. 235.
8
presenta enormi limiti quando tratta obblighi più complessi, come l'obbligo di
consegna dei minori, o relativi alla reintegrazione del posto di lavoro.
Per quanto riguarda gli ordini di pagamento, i profili cognitivi non mancano
nelle opposizione esecutive (che inaugurano fasi a sfondo cognitivo), né nelle
controversie distributive, né nella sospensione dell'esecuzione. L'unica fase di
realizzazione coatta dell'obbligo rimane la vendita forzata, con tutti i risvolti che
porta con sé, senza togliere, che la soddisfazione di tutti i creditori intervenienti
risulta ormai utopica.
Tale impostazione è frutto del dibattito dottrinale, che da tempo ruota attorno
all'articolo 111 Cost., anche alla luce dell'art. 6 della Convenzione Europea.
E' importante notare come la Corte di Giustizia Europea abbia parlato di
esecuzione di una sentenza, di qualsiasi giurisdizione, come parte integrante del
processo, infatti: "Execution of a judgement given by any court must therefore be
regarded as an integral part of the trial for the purposes of art. 6 CEDU"
9
.
Inoltre, l'art. 111 Cost. consente un'ampia interpretazione, attribuibile ad ogni
processo, e vari studi dimostrano come sia attuato anche in esso il contradditorio,
sia tramite notificazioni, sia per l'obbligo del giudice di sentire le parti; certo, si
tratta di un contradditorio attenuato, che però, come abbiamo già ricordato
diviene pieno attraverso le opposizioni esecutive. Anche il giudice è terzo e
imparziale, "limitatamente" a quelle che sono le sue funzioni in tal processo.
In conclusione tale sviluppo dottrinale vuole dimostrare che il processo esecutivo
sembra quindi ricalcare il giusto processo regolato da legge, che la nostra
Costituzione richiama, frutto di una visione critica che spazza via il campo dai
tentativi di ridurre l'esecuzione ad jurisdictio in sola notione consistit.
10
Altra considerazione che determina una distinzione dall'attuazione cautelare è,
come abbiamo prima accennato, il periculum in mora.
Non sempre la tutela ordinaria riesce a soddisfare l'attuale pregiudizio subito dal
sofferente, anzi quasi sempre rinvia ad una tutela sì ordinaria, ma futura, che
9
Numerose e recenti sono le pronunce in cui tali rilievi sono stati formulati. A titolo esemplificativo si
vedano: sent. 13.3.97 Hornby c. Grecia; sentenza 28.7.99 Immobiliare Saffi c. Italia.
10
TARZIA in Il giusto processo civile in Riv. dir. proc 2002, p. 330 ss.; L'articolo 111 Cost. e le
garanzie europee del processo civile in Riv. dir. proc., 2001, p. 1 ss.; sent. Hornsby c. Grecia del 13
marzo 1997; ZIINO, Esecuzione forzata e intervento dei creditori, Palermo, 2004, p. 187 ss.
9
consiste in un risarcimento, che non è terreno della tutela cautelare che consta di
pregiudizi non solo patrimoniali, e che solo mediatamente può essergli
ricondotta. Invero, il punto chiave della tutela cautelare è il periculum in mora,
come pericolo di lesione dell'interesse del ricorrente, il cui protrarsi può
determinare un pregiudizio irreparabile, sia che si pronunci successiva sentenza
definitiva, e quindi esecuzione, sia che vi sia adempimento spontaneo successivo.
Gli esempi a testimonianza dei profili del periculum in mora son da ricercare, ad
esempio, nello status di prestatore di lavoro.
In questa normativa il caso più frequente ed esemplificativo è il provvedimento
di reintegra, concesso anche a prescindere dall'aspetto retributivo.
Questo avviene quando è riconosciuto a tutela della dignità professionale del
lavoratore, l'esistenza del periculum come: a) nell'aggravamento delle condizioni
di depressione del lavoratore
11
; b) nell'uso della Cassa Integrazione straordinaria
come compressiva dei diritti di libertà
12
; c) nella tempestiva regolarizzazione
dello status di cittadino/a in Italia, nel caso di concessione del permesso di
soggiorno per motivi di lavoro
13
.
Di questi esempi, tratti dalla giurisprudenza di merito, ve ne sono numerosissimi,
non solo nel campo del Lavoro ma anche ad esempio nel campo del diritto alla
salute, e testimoniano come tali obblighi di diritto sostanziale mantengano le loro
potenzialità satisfattive solo se realizzati in tempi rapidi.
Nell'esempio della violazione degli obblighi datoriali nel caso di licenziamento
illegittimo, la tutela cautelare si affianca alla tutela reale costituita dalla reintegra
nel posto di lavoro. La tutela cautelare agisce immediatamente al verificarsi
dell'inadempimento, mirando a realizzare l'interesse del ricorrente a prescindere
dalla volontà dell'obbligato, e fuori da una tutela ordinaria che lo limiterebbe al
solo risarcimento del danno.
Una volta scelta la strada della cognizione, l'utilità che ci viene riconosciuta
avviene tramite esecuzione forzata, che comunque lascia un margine di
insoddisfazione, in quanto il processo esecutivo si caratterizza per complessità
11
T. Roma 14 ottobre 2003.
12
P. Milano 5 giugno 1987.
13
T. Milano 27 marzo 2004.
10
puramente tecnicistiche, in parte lontane da quelle prerogative che pretendono di
adattare il comando alla realtà effettuale.
Come ci ha dimostrato anche l'utilizzo della tecnica del giudizio di ottemperanza
nel ramo del processo amministrativo, è l'effettività che caratterizza tali tipi di
tutele, ed è questo il corollario che deriva dall'art. 24 Cost. alla luce della
valorizzazione del processo cautelare. Senza effettività la tutela cautelare
risulterebbe inutile, ma soprattutto illegittima costituzionalmente.
All'epilogo di questo discorso, si può affermare come il "ruolo" del processo
esecutivo nel cautelare non sia esclusivo, e come "l'attuazione cautelare sia
distinta dall'esecuzione forzata, e speciale al pari della cognizione cautelare", ed
è questa la sua forza, recepire soprattutto da istituti già codificati.
2.Provvedimenti anticipatori e conservativi
Prima di addentrarci nella disciplina specifica riguardante l'attuazione cautelare,
ci preme effettuare una distinzione che lo stesso art. 669 duodecies contiene al
suo interno: la distinzione tra provvedimenti anticipatori e conservativi.
Piero CALAMANDREI, teorizzò una fondamentale distinzione tra
provvedimenti conservativi ed innovativi, indicando con i primi, i provvedimenti
tesi a conservare uno stato di fatto in vista del provvedimento definitivo, e con i
secondi, i provvedimenti che operano in via anticipata, che se differiti, possono
essere inutili
14
.
Ogni provvedimento si riconduce ad una sola delle tipologie addotte.
14
CALAMANDREI Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, p.
27. Solo CARRATTA espresse il suo dissenso in Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino,
1997. Secondo questo autore, l'anticipatorietà non si può riferire ai provvedimenti cautelari se non in
maniera impropria. Ciò perché l'accertamento che avviene in fase cautelare non è pieno come lo è invece
nella tutela dichiarativa che si vorrebbe anticipare; ed inoltre in quanto il provvedimento anticipatorio in
senso stretto, che deve avere la stessa struttura del provvedimento anticipato, non la possiede, anche se
riproduce gli effetti , e questo in quanto strumentale al provvedimento definitivo che lo rende "inidoneo"
ad essere definitivo.
La dottrina maggioritaria è consapevole della correttezza di queste affermazioni, anch'essa è consapevole
che riferire tale anticipatorietà in senso lato, vuol dire accomunare sotto essa i più svariati provvedimenti;
ma per quel che a noi serve, la utilizzeremo per indicare il diverso atteggiarsi del periculum in mora, a
seconda dei diversi provvedimenti cautelari.
11
I provvedimenti d'urgenza ex art 700 c.p.c in quanto misure idonee ad assicurare
provvisoriamente gli effetti della decisione nel merito, possono contemplare
entrambe le forme, sia nei casi di pericolo da ritardo sia per pericolo
d'infruttuosità, e quindi potranno avere una sostanza sia conservativa che
anticipatoria
15
.
Nonostante le critiche di alcuni giuristi, per cui i provvedimenti d'urgenza
innominati sono principalmente anticipatori, e assumono carattere conservativo
solo negli spazi lasciati liberi dai provvedimenti tipici, va dato atto che esistono
misure pronunciate ex 700 c.p.c. che sono genuinamente conservative, in quanto
si tratti di controversie o ipotesi concrete non riconducibili all'art 670 c.p.c., ossia
al sequestro conservativo.
Di certo la tutela atipica cautelare non può definirsi omogenea, ma è
caratterizzata da un duplice ordine di pronunce: quelle puramente conservative, o
quelle che perseguono tale finalità con modalità anticipatorie (scelta
maggiormente privilegiata per le sue caratteristiche, in quanto pare che il
legislatore abbia costruito la disciplina dell'attuazione dei provvedimenti
cautelari guardando in modo esclusivo al problema dei provvedimenti d'urgenza).
Diffusa, inoltre, è la convinzione che il giudice possa pronunciare misure
cautelari volte ad anticipare gli effetti di qualsiasi sentenza di cognizione, e con
particolare riferimento ai provvedimenti d'urgenza, si ammette tale possibilità
non solo per i provvedimenti di condanna, ma anche per le sentenze di mero
accertamento e per quelle costitutive. Per quanto riguarda le prime occorre
distinguere, da un lato gli effetti derivanti dall'accoglimento di domande
accessorie al provvedimento dichiarativo, in cui il problema neanche si pone, in
quanto l'anticipazione riguarda solo il contenuto della condanna su domande
connesse alla principale; dall'altro lato l'anticipazione dell'effetto dichiarativo
della sentenza, come anticipazione di "quel bene della certezza dei rapporti
giuridici che è conseguibile con le sentenza di mero accertamento"
16
, su cui però
la dottrina è fortemente contrastante, alla luce dei dubbi che derivano dal giudizio
15
VULLO, L'attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2001, p. 10.
16
VULLO, ibidem, p. 12.
12
di verosimiglianza che avviene nella concessione del provvedimento cautelare
che si presenta molto più attenuato della sentenza di mero accertamento (che ne
costituisce l'essenza). Nonostante ciò si tende ad assicurare tale possibilità a
questi provvedimenti, con qualche accorgimento, così come dottrina e
giurisprudenza ammettono, l'anticipazione cautelare anche riguardo alle sentenze
costitutive. Anche qui i dubbi sulla possibilità di anticipazione tramite
provvedimenti atipici sono sempre esistiti, ma sono eludibili, almeno in via
teorica, in quanto "non è tanto il diritto potestativo ad essere minacciato, ma è
l'utilità stessa della sentenza producente il mutamento giuridico ad essere
suscettibile di pregiudizio"
17
. Va però sottolineato che sul piano pratico, l'azione
costitutiva si cumula con le domande di condanna, e così come nel mero
accertamento, ciò che si anticipa sono più che altro gli obblighi consequenziali ad
essa.
In conclusione, non sarà ammissibile una tutela cautelare anticipatoria per quei
provvedimenti che non necessitano di una successiva fase di esecuzione; così
sarà per le sentenze di mero accertamento o costitutive nei casi in cui,
rispettivamente, si tratti di dichiarare l'esistenza o l'inesistenza di un diritto, o
autorizzare ad esercitare le facoltà del diritto in costituzione, nient'altro che le
caratteristiche di tali sentenze. Certo è, come abbiamo già rilevato, che ove
riguardi obblighi ad essi consequenziali, il problema non si porrà, in quanto non
saranno gli effetti principali della sentenza ad essere anticipati.
Soltanto riguardo ai provvedimenti strumentali ad una decisione di condanna si
porrà il problema dell'attuazione delle misure cautelari anticipatorie.
3. Ambito applicativo dell'art. 669 duodecies
La riforma del 1990, oltre a contemplare l'attuazione cautelare, naturalmente ha
introdotto il processo cautelare uniforme - come da tempo si auspicava - , ed ha
17
VULLO, L'attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2001, p.27.
13
delimitato la portata di tale processo uniforme grazie all'art. 669 quaterdecies,
che si pone come norma di portata tendenzialmente generale per determinare
l'ambito applicativo della materia.
Ciò non toglie che l'art 669 duodecies non si applica a qualunque manifestazione
di cautela, ma prevede che determinate modalità di esecuzione continuino ad
essere regolate da norme speciali; e ci riferiamo ai sequestri, le cui modalità
applicative sono dettate dagli articoli 677, 678 e 679.
Fuori da tali ipotesi contemplate nel capo relativo ai sequestri, l'area applicativa
del art. 669 duodecies ricalca l'art. 669 quaterdecies, e quindi ci converrà
cominciare ad analizzare direttamente quest'ultimo articolo.
L'art. 669 quaterdecies determina l'applicazione della disciplina cautelare
uniforme, e così recita: "Le disposizioni della presente sezione si applicano ai
provvedimenti previsti nelle sezioni II, III e V di questo capo, nonché, in quanto
compatibili, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal Codice civile e dalle
leggi speciali..[...]", ossia ai sequestri (ma sappiamo già cosa dice l'art. 669
duodecies), ai provvedimenti nunciativi, ed ai provvedimenti d'urgenza atipici ex
700 c.p.c. In secondo luogo si applica a quei provvedimenti che, in quanto
compatibili, siano contemplati in leggi speciali, o nello stesso codice. Su questo
punto un illustre autore ha voluto porre le basi per identificare tali tipi di
provvedimenti, attraverso una doppia indagine, sia sulla manifestazione della
tutela cautelare, sia verificando che l'applicazione del rito uniforme non sia
incompatibile con la misura cautelare speciale (parliamo in questo caso di
clausola di compatibilità).
Due sono le tesi che si sono espresse per definire un provvedimento "a natura
cautelare" : la prima legata alla concezione classica, soprattutto del
CALAMANDREI, in cui si ha un occhio di riguardo più che alla funzione, alla
struttura del provvedimento, ossia, non risulta necessario che pervenga un
pregiudizio, ma che non abbia attitudine al giudicato, e sia destinato a perdere
efficacia qualora il processo a cognizione piena non venga instaurato, oppure ove
14
iniziato il giudizio, questo si estingua.
18
Non manca però una visione opposta, in
cui la funzione non può essere messa in disparte, in cui la tutela cautelare oltre ad
essere provvisoria, sia finalizzata ad assicurare i diritti soggettivi e i rapporti
giuridici sottoposti a pregiudizio.
La risoluzione di questo problema risulta alquanto problematica, e dipende dalla
distinzione fra tutela sommaria cautelare e non cautelare, che sarà diversa a
seconda di quali delle due concezioni vengano scelte.
In sintesi, all’interno della normativa sul processo cautelare uniforme si
distinguono due grandi blocchi di norme, espressione di una concezione
"funzionale" o "strutturale" ( a quest'ultimo si rifanno le norme sul procedimento,
sul contraddittorio, condanna, spese e ritardi). Tale distinzione ci sarà utile per
colmare, per analogia iuris et legis, le lacune di procedimenti sommari dalla
disciplina normativa scarna.
Di conseguenza la normativa sull'attuazione cautelare si applicherà ai
procedimenti in camera di consiglio, certamente in tutti i casi in cui il
provvedimento non costituirà titolo esecutivo, e quindi sicuramente negli ordini
di pagamento di una somma di denaro
19
.
Ulteriore problema è sollevato dalla clausola di compatibilità ex 669
quaterdecies c.p.c., e quindi a quali misure cautelari sia estendibile la "nuova"
disciplina uniforme.
Generalmente nel nostro ordinamento le clausole di compatibilità, operano sia
una funzione abrogatrice delle norme speciali, sia una funzione estensiva della
disciplina. Le due tesi che si sono esplicate su tale tema prevedono una
compatibilità globale ad una compatibilità relativa; senza addentrarci nella prima,
appoggiata da una dottrina minoritaria
20
, concentriamo la nostra attenzione sulla
seconda, che contempla un valutazione integrale dell'applicabilità delle
18
e ciò anche per PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1992, p.230; ancora
TARZIA, Il nuovo processo cautelare,Padova, 1993, p.21 ss.
19
CIVININI, I procedimenti sommari in camera di consiglio, Torino, 1994, p. 580 ss.; PETANGELO,
L'attuazione dei provvedimenti cautelari in Quaderni del CSM n.106, 1999, p. 249 ss.
20
CHIARLONI, Prime riflessioni sui valori sottesi alla novella del processo civile in Riv. Dir Proc.,
1991, p. 657 ss..; MANDRIOLI, Diritto processuale civile XII ed.. La compatibilità globale prevede una
completa compatibilità fra tutela extravagante e disciplina cautelare uniforme, in cui la mancanza anche
solo di un punto di contatto , determina l'impossibilità di applicare la normativa generale.
15
disposizioni, ma che ammette anche inserimenti parziali. Questa tecnica definita
da alcuni studiosi come bricolage processuale
21
, si prospetta come la più
impegnativa, ma anche come la più equidistante a garantire l'applicazione del
nuovo rito.
Se la dottrina si presenta contrastante sui confini della tutela cautelare, non si può
dire che la giurisprudenza sia da meno, ma l'incertezza e la contraddittorietà di
tali pronunce ci spinge ad andare oltre, puntando gli occhi su quegli istituti su cui
ci sentiamo più sicuri ad esprimere un giudizio di valore
22
.
Anzitutto la norma è sicuramente applicabile per l'attuazione dei provvedimenti
di reintegra del possesso, e ciò è confermato da un doppio richiamo, oltre che nel
669 quaterdecies anche nell'art. 703 c.p.c.: "...il giudice provvede ai sensi del 669
bis e seguenti". Tale allargamento è il frutto di un'interpretazione che predilige
per tale procedimento possessorio un carattere di specialità cautelare, piuttosto
che ricondurlo alle norme sull'esecuzione forzata degli obblighi di fare.
Dubbi in dottrina furono posti per quanto riguarda i procedimenti nunciatori,
vista la permanenza dell'art. 691, il quale già determina un procedimento snello
di attuazione.
21
CHIARLONI, Prime riflessioni sui valori sottesi alla novella del processo civile in Riv. Dir Proc.,
1991, p. 659 ss.; VULLO, L'attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2001, p. 139 ss..
22
Ci si riferisce ai problemi sorti riguardo all'art. 146 l. fallimentare, alle ordinanze presidenziali nei
giudizi di separazione e divorzio, ed alle inibitorie ed i provvedimenti di concessione di provvisoria
esecutorietà, tema trattato da VULLO, L'attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2001, p.145 ss.