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1. Inquadramento del turnaround financing nel Private Equity
Il termine private equity viene definito dall’AIFI (Associazione Italiana del Private
Equity e Venture Capital) “attività di investimento nel capitale di rischio di imprese
non quotate, con l’obiettivo della valorizzazione dell’impresa oggetto di investimento
ai fini della sua dismissione entro un periodo di medio-lungo termine”
1
.
Secondo la letteratura classica, l’attività di private equity può essere classificata in
relazione alla fase del ciclo di vita in cui si trova l’impresa finanziata. Inizialmente si
finanzia una attività di ricerca tesa a sviluppare un’idea imprenditoriale (Seed
financing), la fase successiva è la creazione di una nuova impresa che necessita
capitale per diventare operativa e sostenere le prime vendite (Start up e Early stage
financing), quindi la crescita della produzione e il consolidamento della posizione di
mercato (Expansion financing). Una volta matura, il finanziamento può essere
utilizzato per modificare la compagine azionaria e l’assetto proprietario (Replacement
e Buyout financing) o per sostenere il gap finanziario creato dal declino della crescita
(Turnaround, Rescue e Vulture financing o Special Situation acquisitions). Infatti in
ogni fase il fabbisogno finanziario varia, in quanto i tipi di investimenti e gli interventi
da effettuare sono differenti. Di conseguenza anche le competenze necessarie agli
investitori di private equity, per operare nei diversi momenti della vita di un’impresa,
risultano essere specifiche. Questo accade a causa dell’elevato coinvolgimento
dell’investitore nella gestione dell’azienda.
Tuttavia con la crescita della complessità aziendale e delle differenze nelle
problematiche esistenti tra i diversi settori, risulta talvolta difficile ricondurre le
operazioni di private equity a questa classificazione in maniera precisa. Perciò,
seguendo un altro approccio, i finanziamenti possono essere classificati in due
macro cluster: venture capital e buy-out, intendendo con il primo il finanziamento
dell’avvio e dello sviluppo, mentre con il secondo il finanziamento del cambiamento
1
Dalla delibera del Consiglio Direttivo di AIFI del 22 luglio 2004
4
dell’impresa. Il turnaround financing si può inquadrare in questa seconda categoria.
1.1 Caratteristiche del turnaround financing
Il turnaround financing presenta alcune caratteristiche che lo portano a distinguersi in
modo netto dagli altri investimenti effettuati dagli operatori di private equity. Infatti
l’investimento avviene in imprese in declino o caratterizzate da forti tensioni
finanziarie e ciò comporta un’attenzione maggiore da parte dell’investitore rispetto ad
interventi in altre fasi della vita aziendale. I provvedimenti che devono essere presi,
necessitano di essere molto più incisivi e in grado di creare una discontinuità tale da
permettere un ritorno alla crescita. La partecipazione dell’investitore non si limita
perciò a fornire capitale, ma a porre in essere alcuni interventi strutturali senza i quali
l’impresa rischia il fallimento.
In questo contesto per ottenere risultati positivi è imprescindibile essere in grado di
indirizzare le scelte dell’impresa, avendo cura di bloccare le resistenze al
cambiamento, perciò gli investitori tendono ad acquisire il controllo dell’impresa. Si
tratta quindi di operazioni a maggioranza in cui il nuovo assetto proprietario permette
di identificare i responsabili del declino, sostituirli con nuove persone in grado di
gestire la situazione e così orientare l’azienda verso il cambiamento. Queste
caratteristiche sono ben sintetizzate da F. Sattin nella sua definizione di turnaround
financing inteso come: “finanziamento della ristrutturazione di imprese in perdita e/o
in crisi finanziaria mediante investimenti nel capitale o in strumenti finanziari
assimilabili a investimenti in equity, unitamente al cambiamento del gruppo
proprietario e manageriale”
2
.
Nel mondo accademico e professionale sono spesso utilizzate altre terminologie che
possono essere ricondotte all’attività di investimento in aziende dissestate: distress
investing, special situation acquisitions, vulture financing. Distress investing è
particolarmente utilizzato nel contesto statunitense e viene generalmente inteso
2
Gervasoni A e Sattin F. (2008), Private Equity e Venture Capital Manuale di investimento nel capitale di rischio,
4ᵃ Edizione, Milano, Guerini e Associati, p. 169
5
come la partecipazione al processo di ristrutturazione tramite l’acquisto di titoli di
debito delle società in crisi. Le special situation acquisitions trattano invece l’acquisto
di aziende che “pur trovandosi in difficoltà o crisi, mantengono alcuni punti di forza
che si configurano come potenziali leve di ritorno alla creazione di valore
3
”. Infine il
vulture financing che deriva dal nome con cui vengono spesso chiamati gli investitori
di questo settore.
Sebbene l’acquisto di società in declino venga effettuato anche da operatori
industriali, esistono sostanziali differenze rispetto agli investitori di private equity.
Infatti l’acquirente industriale può avere interessi non meramente finanziari, quali il
presidio di determinati mercati, il controllo di particolari assets o la promozione di
strategie di diversificazione. Un investitore di matrice finanziaria invece ha come
unico scopo ottenere un capital gain dalla dismissione della partecipazione, oltretutto
con lo svantaggio di non poter sfruttare sinergie industriali.
Nelle operazioni di turnaround financing inoltre, i mezzi per creare valore risultano
essere inferiori anche rispetto agli altri interventi di private equity. Infatti negli
investimenti di capitale di rischio sono identificate tre strategie che permettono la
creazione del valore: l’utilizzo della leva finanziaria, l’espansione dei multipli e
l’incremento della performance operativa (Ebitda expansion o operational
improvement). Aumentare il grado di indebitamento della venture-backed company
accresce il valore della partecipazione solo in presenza di due fattori: una situazione
patrimoniale solida e un cash flow capiente, in grado di rimborsare gli interessi. In
società in dissesto finanziario e con la redditività in declino, se non negativa, queste
due condizioni non sono presenti.
L’espansione dei multipli invece è fortemente correlata alla situazione del mercato
finanziario e all’andamento del settore di riferimento, oltre che alle prospettive di
crescita dell’impresa. Risulta perciò essere una leva raramente utilizzabile in quanto
3
Cenciarini R. e Conca V.(2010), Le acquisizioni in special situation, Airoldi G. Brunetti G. Corbetta G. e
Invernizzi G. (a cura di), Economia Aziendale & Management. Scritti in onore di Vittorio Coda, Milano, EGEA, p.
2203
6
le aziende in crisi spesso operano in settori maturi con poche prospettive di sviluppo.
Inoltre l’esito di questa strategia è in gran parte subordinata agli umori del mercato
ed ai suoi cicli. L’unica strada percorribile è perciò l’ Ebitda expansion che promuove
una crescita organica e la ricerca dell’efficienza. Di tutte le tre leve per la creazione
del valore quest’ultima è la più complicata poiché, oltre a richiedere uno sforzo
fortemente time-consuming ed energy-absorbing, necessita di competenze peculiari
nella gestione del turnaround.
Come conseguenza a tutto ciò il turnaround financing risulta molto rischioso, perciò
questo tipo di investimento è meno diffuso e necessita di operatori specializzati.
1.2 Storia e diffusione dei Vulture Investors
Gli investimenti in società in dissesto hanno origine nel mercato statunitense a
seguito della crollo di Wall Street nel 1929. Il pioniere del settore è considerato Max
Heine che riuscì a sfruttare il differenziale di valore tra il prezzo dei titoli di una
società e il valore dei sui assets. Il mercato si allargò nel 1970 con il fallimento della
Penn Central, una grande compagnia ferroviaria caratterizzata da $ 3,6 bilioni di
debito. Nonostante la divisione ferroviaria sia stato presto scorporata dall’intervento
del governo, la società mantenne nell’attivo assets di grande valore, in particolare nel
campo immobiliare. Alcuni credettero nel turnaround riuscendo ad guadagnare molto
grazie al rimborso completo di bond acquistati ad un decimo del loro valore
nominale.
Inizialmente gli investimenti erano meramente guidati dalle opportunità di arbitraggio,
tuttavia negli anni ‘80 diversi fattori contribuirono a modificare il mercato del distress
investing, promuovendo anche la partecipazione attiva nei processi di
ristrutturazione. Nel 1978 venne riformata la legge fallimentare americana,
incoraggiando la riorganizzazione delle imprese in crisi rispetto alla loro liquidazione
e fornendo nuove opportunità agli investitori con la partecipazione al comitato dei
creditori. Inoltre la turbolenza dei settori dell’acciaio e dell’energia, insieme al
7
diffondersi delle operazioni leveraged buy-out, permisero lo sviluppo di un vero e
proprio mercato dei titoli in dissesto, meglio definiti junk bonds. In questo contesto
molti operatori entrarono nel mercato aumentando la concorrenza e riducendo così le
possibilità di arbitraggio. Ciò spinse alcuni veterani del settore ad utilizzare i loro
capitali e il loro network per influenzare il processo di turnaround.
Con l’accumularsi dell’esperienza si diffusero investitori specializzati nelle operazioni
di turnaround che hanno assunto col tempo un ruolo fondamentale nel contesto
economico. Infatti, acquistando distressed securities, forniscono liquidità al mercato,
inoltre, dipendendo il loro guadagno dal successo della ristrutturazione, stimolano un
rapido risanamento della società a vantaggio dei suoi stakeholder. Questa strada
tuttavia è perseguita solo quando il valore di un’impresa è considerato maggiore se
resta in attività rispetto ad una sua liquidazione. Nel caso contrario l’investitore è
maggiormente stimolato alla vendita degli assets e a spingere la società verso una
liquidazione, anche se un risanamento è possibile ma con costi maggiori. Per questo
motivo gli investitori in titoli in dissesto vengono anche definiti vulture investors,
rapaci speculatori pronti a cibarsi delle carcasse delle società in difficoltà.
Per molti anni il fenomeno del distress investing è stato appannaggio quasi esclusivo
del contesto americano, negli ultimi 10 anni l’80% dei capitali raccolti dai fondi di
private equity che operano in questo mercato, provenivano dal Nord America
4
.
Una delle motivazioni principali è da attribuire alla grandezza high-yeld market
americano, il quale è anche utilizzato come modello per studiare il fenomeno. I dati
mostrano che il mercato delle distressed securities è negativamente correlato al ciclo
economico con grande sviluppo nei periodi recessivi, come a seguito delle grandi
operazioni a debito degli anni ‘80 o della bolla internet di inizio millennio
5
.
In Europa non si è mai sviluppato un grande mercato di junk bond, limitando così la
diffusione dei vulture investors. Solo negli ultimi anni diverse società di private equity
4
Fonte : Preqin
5
Altman E.I. e HotchKiss (2006), Corporate Financial Distress and Bankruptcy, third edition, New Jersey, John
Wiley & Sons, Inc., 184
8
si sono mostrate interessate al settore, perciò hanno iniziato a diffondersi fondi
specializzati nel vecchio continente, passando dai $ 0.2 bilioni del 2003 ai $ 7 bilioni
del 2008
6
.
6
Fonte : Preqin
9
2. L’investimento in turnaround
2.1 La definizione di crisi
Prima di effettuare l’investimento occorre comprendere in modo chiaro quali
dinamiche interessano l’impresa target e definire in quale fase della crisi versa
l’azienda. Si possono identificare quattro stadi
7
essenziali del processo di
deterioramento: l’incubazione, la maturazione, la fase delle gravi ripercussioni sui
flussi di cassa e sulla fiducia e lo stadio che lede in modo evidente gli interessi degli
stakeholders. Le prime due fasi caratterizzano lo stadio di declino nel quale iniziano
a manifestarsi segni decadenza, come perdita economica e decadimenti dei flussi
reddituali non transitori, ma strutturali. Senza un intervento questi fattori conducono
ad uno stato di crisi le cui manifestazioni si palesano prima con problemi di liquidità e
di fiducia dei creditori, poi con l’insolvenza e il dissesto.
Le cause che comportano il declino sono molteplici e sia la letteratura che i
pratictioners concordano nell’impossibilità di classificarle tutte in modo completo, in
quanto spesso risulta difficile distinguere quali siano realmente le cause e quali gli
effetti senza cadere nel paradosso retorico dell’uovo e la gallina
8
. Tuttavia è possibile
tracciare quali siano gli elementi che principalmente comportano una stato di crisi.
Innanzitutto occorre distinguere fattori esogeni da quelli endogeni, in modo da
comprendere se le cause derivano dall’andamento del contesto economico esterno o
se si possono rintracciare all’interno dell’impresa stessa. I fattori esogeni possono
fare riferimento alla struttura del settore come ad elementi macroeconomici: tra
questi si annoverano i cambiamenti della domanda di mercato, la variazione delle
forze competitive, gli avversi movimenti dei prezzi delle commodities e dei tassi
d’interesse, le politiche governative sfavorevoli e i cambiamenti radicali nelle
tecnologie.
7
Guatri L. (1995), TURNAROUND. Declino, crisi e ritorno al valore, Milano, Egea, 111ss
8
Slatter S.(1984) e Masciocchi (2007)