Introduzione
Il presente elaborato è il frutto di un’accorta ricerca in merito ad una questione assai
dibattuta nel campo del diritto, e che per secoli ha appassionato gli studiosi ed i
giureconsulti più illustri, la carcerazione preventiva.
L’istituto rappresenta tuttora l’oggetto di numerose dispute, in cui si alternano
opinioni contrastanti: da un lato, vi è chi ne legittima il fondamento, ritenendo questo
uno strumento necessario per garantire le finalità di giustizia a cui è sotteso; dall’altro vi
è chi, invece, ne condanna le modalità di attuazione, sostenendo che queste ultime
vadano ad aggredire un ambito strettamente personale, quello della libertà
dell’individuo, che viene considerato un diritto da proteggere.
In questa sede si è cercato di delineare i tratti più salienti di cui l’istituto della
carcerazione preventiva si connota, con riguardo soprattutto ai lunghi e, spesso, accesi
dibattiti che negli ultimi due secoli si sono attivati intorno al fenomeno di cui si discute.
Lo scopo del seguente lavoro è quello di analizzare il fondamento della misura
cautelare, a partire dalle origini del concetto, che si rinvengono nel diritto romano, in
cui si assiste ad una attività cautelare che si svolge nell’ottica del contemperamento
dell’interesse sociale con quello individuale.
Proseguendo l’indagine nella sua evoluzione, si è rilevata una progressiva presa di
coscienza dell’incidenza dell’istituto nel campo del diritto processuale, e, in particolare,
nella fase istruttoria che caratterizza il processo penale, in cui la carcerazione preventiva
trova la sua piena attuazione.
Le esigenze che il legislatore ha ricondotto alla necessità di far ricorso alla suddetta
misura cautelare si individuano rispettivamente: nella volontà di scongiurare il pericolo
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di alterazione della prova, da parte dell’indagato; nel bisogno di assicurare la presenza
di quello al processo, dopo che sia stata esercitata nei suoi confronti l’azione penale, la
quale si sostanzia nella formulazione dell’imputazione; infine, nella volontà di evitare
che l’imputato possa darsi alla fuga, la quale renderebbe vana la finalità che l’istituto
persegue nella fase istruttoria.
Ed è sulla finalità della carcerazione preventiva che si è discusso lungamente - e
per oltre due secoli -, se si pensa soprattutto all’enorme sacrificio che essa ha
comportato per chi ne è stato sottoposto : la privazione della libertà fisica, per tutto il
tempo necessario alle indagini. Tempo che molto spesso si è protratto oltre alle dovute
limitazioni, e che ha visto tradotti in carcere numerosi individui, non solo indagati,
talvolta, per un reato meno gravoso di quello che la custodia presuppone, ma addirittura
giudicati innocenti in un momento successivo.
Come porre, dunque, rimedio ad errori giudiziari di tale sorta? Come giustificare la
necessità della prevenzione sotto forma di carcerazione, di fronte al rischio che ne può
conseguire?
L’argomento che si è scelto di affrontare viene inquadrato storicamente nel periodo
che intercorre tra l’Ottocento e il Novecento, quando ancora più viva appare la disputa
intorno all’istituto della carcerazione preventiva.
I protagonisti, insigni giuristi e studiosi del tempo, hanno posto, con le rispettive
opinioni, le basi di quella che oggi risulta essere una questione ancora accesa, ma che
per la realtà del periodo in cui si colloca l’indagine, ha rappresentato una
importantissima innovazione, che ha visto il superamento di alcuni canoni appartenenti
ad un sistema processuale – di stampo inquisitorio – non più confacente alle esigenze
della società in evoluzione, e, soprattutto, contrastante con quei principi che troveranno
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pieno riconoscimento solo nella metà del secolo scorso.
L’istituto della carcerazione preventiva deve, ad un certo punto, essere inquadrato
alla luce della Carta Costituzionale, la quale, in vigore dal 1948, ha inciso fortemente
sull’ordinamento giuridico italiano, promuovendo il riconoscimento di una serie di
diritti e di principi dai quali non si può prescindere, ai fini dell’applicazione del diritto
sostanziale e processuale: tra questi, rilevano il diritto alla libertà individuale, e il
principio della presunzione di non colpevolezza fino alla pronuncia della sentenza
definitiva divenuta irrevocabile.
Quest’ultimo principio, sancito all’articolo 27, 2° comma della Costituzione, sarà
oggetto - come si vedrà - di un acceso dibattito: da un lato, vi è chi ha ritenuto che la
carcerazione preventiva dovesse essere applicata nell’ottica di una presunzione di
innocenza da parte dell’indagato; dall’altro, vi è chi, al contrario, ha sostenuto la tesi
secondo la quale la presunzione dovesse essere intesa nel senso della non colpevolezza
dell’indagato o imputato di reato, non potendosi spiegare altrimenti il ricorso ad una
misura cautelare così restrittiva nei confronti del medesimo, e prima ancora di averne
accertata l’effettiva responsabilità.
Il metodo utilizzato per disquisire sull’argomento si fonda su un’analisi delle fonti
rinvenute, le quali, essendo costituite da monografie e da riviste di natura giuridica,
risultano indispensabili per inquadrare l’istituto, innanzitutto sotto il profilo storico – al
fine di comprenderne il fondamento e la sua lenta ma progressiva evoluzione - , e poi
sistematico - con cui si cerca di spiegare la natura e lo scopo che lo stesso ha assunto
all’interno del processo penale. Per comprendere, poi, quale sia stata la ratio su cui si è
fondata la decisione del giudice, ai fini dell’applicazione della carcerazione preventiva
nella fase istruttoria, si è fatto ricorso allo strumento delle pronunce giurisprudenziali, in
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cui si è articolata l’attività medesima, che meglio di ogni altra ha potuto fornire esempi
di pratica utilità.
Il capitolo primo contribuisce, dunque, a dare un’idea dell’istituto della
carcerazione preventiva nel suo aspetto, ancor prima che evolutivo, originario:
affondando le sue radici nel diritto romano, l’attività cautelare viene ricondotta al
concetto di coercitio, che altro non è se non una manifestazione della pena propriamente
intesa, la quale risulta dalla combinazione di due forze : l’ imperium del magistrato e
l’actio del privato. Solo con l’introduzione della Lex Valeria (intorno al 500 a.C.) , si
assisterà alla limitazione della sfera di azione della coercitio per opera della iurisdictio,
intesa quest’ultima come il potere dei magistrati di impostare in termini giuridici la
controversia che essi sono chiamati a dirimere.
Questo sistema verrà, nel corso dei secoli, applicato con modalità sempre più
aspre, fino al Medioevo, quando, oltre alla suddetta misura, si farà ricorso anche al
mezzo della tortura, che costituisce una sorta di involuzione rispetto ai propositi sperati.
E, solo negli ultimi anni del XVIII secolo, si abbandoneranno definitivamente le
sanzioni corporali, che saranno sostituite da quella detentiva, la quale sarà
accompagnata dal rispetto di forme e di regole processuali meno autoritarie e più
arbitrarie.
Dopo aver analizzato gli aspetti più salienti del sistema processuale in cui opera
l’istituto, sotto un profilo prevalentemente storico, e le modalità con le quali si svolge
l’istruttoria del giudice – il quale conduce delle investigazioni che hanno tutt’altro che
l’impronta dell’ indipendenza e dell’imparzialità - , si passano in rassegna una serie di
proposte di riforma (si veda, in particolare, lo Schema – Progetto di Legge
dell’Onorevole Lucchini, del 1872) , riguardanti la prevenzione sull’uso ed abuso delle
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carceri giudiziarie, le quali serviranno a dare un contributo notevole alle leggi che
saranno poi approvate, e all’impostazione dei codici di rito per l’applicazione della
legge penale.
Il mezzo della carcerazione preventiva trova la sua attuazione oltre il confine
italiano, essendo largamente diffuso anche negli altri paesi europei : per tale motivo, si è
tentato di operare un’ analisi comparativa - fornita nel secondo capitolo - dell’istituto
menzionato, così come viene accolto da alcuni dei più progrediti ordinamenti giuridici
del tempo. Da questi si è evinto un recepimento più o meno accentuato dell’istituto, a
seconda del tipo di sistema giuridico vigente nel Paese in cui esso è stato accolto.
La concentrazione si dirige, poi, verso l’evoluzione che la carcerazione preventiva
ha avuto sulla libertà del cittadino, con riferimento al sistema dello scomputo della pena
sofferta durante la stessa, ai fini dell’applicazione della condanna divenuta esecutiva (a
cui si aggiunge una lunga riflessione sulla cd. ‘teoria dei sistemi’, formulata dal Carrara,
proprio in ordine allo scomputo) , e all’ eventuale diritto all’indennità per gli errori
giudiziari. Il tutto viene analizzato sempre sotto il profilo comparatistico, essendo una
questione che interesserà le legislazioni più progredite, e che proseguirà fino al
Novecento, quando l’entrata in vigore della Costituzione darà luogo alla definizione
delle basi per concepire la materia del diritto, alla luce dei principi che tutelano
l’individuo in tutti i suoi aspetti essenziali, e a cui l’istituto della carcerazione
preventiva non può inevitabilmente sfuggire.
Si avverte la necessità di contemperare gli interessi della società con quelli della
persona, essendo, i primi, fondamentali per preservare l’ordine ed il vivere civile; i
secondi, indispensabili per custodire quell’aurea di rispetto per la dignità umana, che
mai dovrebbe superare la soglia di tollerabilità. Il criterio della ‘ingiusta’ necessità - di
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cui si discorre nel capitolo terzo - finisce per rappresentare la risposta alle crescenti
esigenze di ordine pubblico, che si va sempre più affermando nella società
contemporanea, la quale promuove la difesa sociale, e ritiene che per essa la
carcerazione preventiva debba rappresentare in tal senso una funzione di epurazione
preventiva della società organizzata (questo è ciò che sarà affermato in particolar modo
dalla Scuola Positiva, nata nell’Ottocento, che ha rappresentato il secolo di
affermazione delle cosiddette scienze empiriche – psicologia, antropologia, sociologia
– , in cui i suoi fautori affronteranno lo studio dell’azione criminale sotto il profilo
biologico e sociologico degli autori del reato).
Nell’ambito dei diritti dell’individuo, si inserisce l’indagine relativa alle condizioni
dell’imputato presso gli istituti di prevenzione e di pena : questi, considerati da molti
giuristi una vera e propria scuola di delinquenza - in cui i grandi si confondono con i
piccoli, e i malfattori con gli sfortunati - , diventano il luogo per affinare l’arte della
delinquenza, o per impartire lezioni a coloro che, entrati in carcere per attendere la
decisione del giudice, finiscono per subire il condizionamento dei recidivi. Se si pensa,
poi, alle conseguenze che la carcerazione preventiva ha sulla reputazione di un uomo il
quale, fermato anche solo per il semplice sospetto, viene condotto nei luoghi in cui si
trova chi, invece, una pena la sta già scontando, si capisce perché talvolta la condotta
degli onesti si trasforma in un atteggiamento criticabile, caratterizzato dalla cattiva
condotta e da inique azioni. A ciò va ad aggiungersi la circostanza che, quasi sempre,
chi è detenuto preventivamente, finisce per subire il giudizio dell’opinione pubblica,
venendo ‘giudicato’ ancor prima dell’intervento della decisione del giudice.
Il riconoscimento, sul piano costituzionale, dei diritti umani, ha sollevato di non
poco la situazione in cui si versava nel periodo precedente alla loro promulgazione :
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tant’è che, da quel momento in particolare, si è entrati in un’ottica così garantista, da
propendere per l’idea di difendere la posizione dell’indagato, presumendolo innocente
fino alla sentenza di condanna definitiva. Tuttavia, ben presto, questo concetto, divenuto
l’oggetto di una lunga disputa, ha determinato un’ inversione di tendenza, meno
garantista in tal senso, diretta alla difesa dell’indagato presunto come ‘non colpevole’
fino alla sentenza di condanna : ciò è stata ritenuta una forma più consona, e soprattutto
meno contrastante, alla condizione di un individuo a cui sia stata imposta una misura
cautelare, restrittiva della propria libertà, in attesa di accertare il suo status.
L’analisi, da ultimo, si svolge in senso più tecnico. Il capitolo quarto offre una
visione abbastanza chiara dell’istituto della carcerazione preventiva, inteso nei suoi
elementi essenziali: natura giuridica, scopo, durata della custodia in carcere ; ancora,
decorrenza dei termini, computo, proroga dei medesimi. Un aspetto particolare, che
viene trattato, è quello che concerne gli effetti dell’infermità di mente sopravvenuta
dell’imputato sul corso dei termini di carcerazione preventiva, per cui si è affermato che
la perdita sopravvenuta della capacità processuale non fa venire meno nell’imputato la
capacità di essere parte : restando questa intatta dalla nascita alla morte dell’individuo,
si è desunto che, in una tale circostanza, si operi la sospensione del procedimento, fino
alla sua riassunzione (il cui presupposto è il riacquisto della capacità processuale
dell’indagato o imputato di reato) , momento a partire dal quale i termini riprenderanno
a decorrere.
Segue la rassegna delle cause di cessazione della custodia preventiva, a cui si
riconduce la mancanza di prove sufficienti, e la scarcerazione automatica per decorrenza
dei termini; a queste ipotesi si aggiunge quella della cosiddetta libertà provvisoria -
quando ne sussistano i presupposti - , con i relativi obblighi e garanzie da parte di chi vi
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è sottoposto. Violando quelli, chi ne usufruisce perde il beneficio, prevedendosi nei suoi
confronti l’applicazione ex novo della custodia in carcere. Si discute della natura della
carcerazione preventiva, e della sua – da più parti affermata – tendenza ad anticipare gli
effetti della pena - viste le modalità con le quali essa viene applicata, e le stesse
condizioni dell’indagato, che finiscono per essere non dissimili da quelle di un
condannato. Il tema del diritto all’indennità, per colui che sia stato custodito
preventivamente in carcere, conseguente agli errori giudiziari, viene ripreso nei suoi
aspetti attuali, se si pensa ai tanti errori riscontrati nel corso, o addirittura a conclusione,
di molti processi italiani . Il problema di cui si discute è quello di stabilire su chi debba
gravare il peso del rischio, dell’assoluzione e della condanna, essendo la tendenza degli
ordinamenti moderni – secondo alcuni - quello di spostare sullo Stato, anziché
sull’imputato, il rischio del processo penale.
L’esposizione si conclude con una breve rassegna di quelle che sono state le novità
apportate dal legislatore all’istituto della carcerazione preventiva, nel regime transitorio
al codice di procedura penale vigente : in essa si colgono le fasi più rilevanti, che hanno
fatto sì che l’istituto sia giunto fino ai nostri giorni, rinnovato in certi suoi aspetti, in
senso formale e sostanziale.
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CAPITOLO I
La carcerazione preventiva tra
storia ed evoluzione
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I.I. Cenni storici. Origini del concetto di carcerazione preventiva.
Fin dall’antichità gli uomini si sono misurati con l’idea della pena, e soprattutto con
la finalità a cui essa dovesse tendere: ad ogni azione che fosse causa di sofferenze
fisiche, contraria alla morale e all’etica, o lesiva di un pubblico interesse, doveva
corrispondere una pena prevista dalla legge del tempo.
E, affinchè il reo potesse essere assicurato alla giustizia, e scontare la sua pena, si
cercò di ricorrere ai mezzi più idonei allo scopo da raggiungere.
Il carcere
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fu dai più considerato lo strumento più adeguato per tutelare la società
dai criminali - in quanto mezzo privativo della libertà fisica del soggetto che vi era
sottoposto - , ma anche un tentativo per tendere alla rieducazione del condannato, che
così avrebbe potuto redimersi dai ‘peccati’ che, per le più varie ragioni, aveva
commesso.
Ma a questa misura, utilizzata come pena afflittiva, si fece ricorso innanzitutto per
un intento di natura cautelare, prima ancora cioè di indagare sulla scoperta della verità, e
di accertare le reali cause e responsabilità dei reati commessi.
Ed è in questo quadro sintetico che è possibile introdurre quello che per secoli è
stato un istituto assai discusso, che ha coinvolto in numerosi dibattiti i tanti studiosi,
giuristi, uomini di cultura, ma anche la gente comune, la carcerazione preventiva.
Quando si pensa al gran numero di persone che viene sottoposto ad una misura
così restrittiva della propria libertà, e ancor prima che intervenga una sentenza definitiva
che ne accerti la responsabilità, ci si chiede se è giusta questa misura cautelare, e in
nome di quale diritto la società imponga al cittadino un sacrificio tanto grande.
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Il termine càrcere deriva dal latino càrcer – recinto, chiuso e quindi prigione che gli antichi
deducono da àrceo (greco arkèo), serrare, rinchiudere, trattenere, impedire l’adito; ma si
dice anche alla latina ‘per Luogo’ o ‘Cancellato’, da cui nel circo i cocchi escono per
gareggiare nel corso, e dove, finita la corsa, ritornavano (dal Vocabolario Etimologico della
Lingua Italiana, a cura di Ottorino Pianigiani).
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In questo modo, infatti, si rischia di privare la persona, a partire dal semplice sospetto
o da un indizio ancora da accertare come valido-, di uno dei beni più preziosi, la libertà
personale; e per tutto il tempo che occorre allo svolgimento delle indagini (non di rado
lunghissimo) , un cittadino si trova a scontare una pena anticipata.
Quest’ultima il più delle volte si rivela irragionevole, ingiusta, risolvendosi anche
in dei casi di veri e propri errori giudiziari, per cui un individuo, sottoposto per lungo
tempo al carcere preventivo, e condannato al cospetto dell’opinione pubblica, viene poi
giudicato innocente.
L’enormità di un tale provvedimento, e i gravi danni che ne sono seguiti, hanno
perciò più volte richiamato l’attenzione degli scrittori sull’istituto della carcerazione
preventiva, soprattutto col proposito di ricercarne la giustificazione giuridica di fronte
alle prevalenti dottrine di diritto penale.
Alle critiche più aspre si sono contrapposte le energiche difese dell’istituto: le une
muovendo innanzitutto dal rispetto verso la libertà del cittadino e la presunzione
d’innocenza fino alla pronuncia della sentenza di condanna definitiva; le altre, invece,
dalla necessità di difendere la società dai delinquenti, i quali avrebbero potuto
approfittare dello stato di libertà loro concessa dopo la prima azione criminosa, per
reiterare la stessa, per ostacolare le indagini da parte dell’Autorità, per eludere con la
fuga gli effetti del provvedimento di condanna.
Nella lotta tra i principi menzionati, nel corso dei due secoli precedenti, ciò che ha
prevalso è stato il bisogno di giustizia e di tutela della collettività, in luogo dei diritti
dell’individuo.
Tuttavia si è assistito ad una costante tendenza di tutte le legislazioni a restringere
l’applicazione del carcere preventivo al minor numero possibile di casi.
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Nell’affrontare questa tematica non si può prescindere dalla stretta connessione
che questo istituto ha con il diritto costituzionale, il quale propone il criterio attraverso il
quale giudicare il grado di rispetto accordato alla libertà civile di un popolo.
E presso i popoli più antichi si assiste al riconoscimento della libertà dell’individuo
più ampia rispetto a quella che le civiltà più moderne concepiscono.
Ad Atene, ad esempio, la procedura con la quale si svolgeva il giudizio non
prevedeva l’istituto della carcerazione preventiva: il rispetto della libertà del cittadino
era così pieno da non soffrire alcuna restrizione nemmeno nell’ipotesi in cui l’accusa
nei confronti dello stesso avesse il sapore della verità; costringere in carcere un
cittadino, prima della pronuncia della sentenza, non sembrava conforme ai principi sui
quali poggiava la costituzione ateniese.
Né dovrebbe sorprendere, poiché la prima ragione fondamentale perché si ammetta
e si giustifichi l’istituto, come poi si vedrà, è la necessità di impedire la fuga del reo;
presso gli Ateniesi, come presso la maggior parte dei popoli antichi, il vivere lontano
dalla patria costituiva la più grande e temuta delle punizioni.
Non vi era, dunque, alcun motivo per impedire un misfatto che l’accusato, per suo
personale interesse, si sarebbe ben guardato dal compiere.
Presso i Romani l’esilio era concepito in modo quasi identico, così che l’ipotesi
che il soggetto da giudicare si sottraesse con la fuga alla pena inflittagli era quasi
inconcepibile.
Tuttavia l’istituto dell’arresto preventivo ebbe presso i Romani una più larga
applicazione.
Se l’accusa proveniva dal magistrato (per i delitti rivolti contro lo Stato o contro le
sue finanze), l’imputato poteva essere condotto in carcere in attesa di giudizio; non era
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solo la gravità dell’accusa che giustificava un tale procedimento, quanto il fatto che,
l’essere stati incolpati da una tale autorità, doveva quasi necessariamente poggiare su
basi così sicure da rendere quasi inevitabile la condanna.
Quando invece l’accusa era rivolta da un cittadino all’altro, la presunzione di
colpevolezza non era in alcun modo concepibile, e la legge proteggeva in modo uguale
sia i diritti dell’accusatore sia quelli dell’accusato
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.
Quest’ultimo non solo non poteva essere privato della sua libertà durante il periodo
istruttorio, ma – anzi - aveva la facoltà di seguire il suo accusatore in tutte le ricerche,
controllandone gli esiti; aveva addirittura la facoltà di nominare un ‘addetto’ che, stando
al passo dell’accusatore, avesse costantemente notizia dell’andamento dell’istruttoria
che questi andava compiendo.
Ma con la progressiva decadenza delle istituzioni repubblicane, andò
affievolendosi anche il rispetto per la libertà del cittadino; si cominciò a fare un uso
spasmodico della carcerazione preventiva, che divenne strumento di vendetta sia
pubblica che privata, e utilizzato addirittura come mezzo per estorcere ai ricchi somme
vistose come cauzione per la libertà recuperata.
Presso i popoli germanici, invece, l’accusa non autorizzava mai ad emettere un
ordine di arresto contro l’accusato; quest’ultima si svolgeva liberamente tra privati, a
cospetto del giudice, che non aveva altra autorità se non quella di valutare l’efficacia e
la validità delle prove raccolte.
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Tuttavia accadeva che, anche di fronte ad una accusa privata, fosse lecito ordinare la
preventiva cattura dell’accusato: ciò succedeva quando egli avesse confessato la sua
colpevolezza: Si confessus fuerit reus, donec de eo pronuntiaretur, in vincula publica
conjicendus est ( Leg. 5, Dig., XLVIII, 3).
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