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INTRODUZIONE
La sorpresa dimostrata da giornalisti e politici occidentali di fronte all’inusuale
approccio cinese in Africa è l’ennesima dimostrazione di quanto lontane e diverse
siano le nostre culture. La conoscenza della letteratura orientale permetterebbe di
accorgersi che i cinesi d’oggi continuare a mettere in pratica gli antichi principi
stabiliti da Sun Zi 孫 子 nel suo trattato Sun Zi Bing Fa 孫子兵法: “Una strategia
senza tattiche è il cammino più lento verso la vittoria. Le tattiche senza una strategia
sono il clamore prima della sconfitta
1
”, “Per combattere il tuo nemico, devi prima
offrigli aiuto in modo che lui allenti la sua guardia; per prendere bisogna prima
dare
2
”. Questi sono solo alcuni dei pilastri che il maestro della guerra ha lasciato in
eredità al popolo cinese, che ne ha fatto tesoro, sviluppando un pensiero strategico
applicabile in tutti i settori diplomatici, oltre che alla vita di ogni giorno. Ed è in
questa chiave che dovremmo interpretare la politica di mutuo scambio che si sta
sviluppando in Africa, come frutto di un atteggiamento analitico e ponderato basato
su antichi ma vividi principi culturali.
Un’altra particolarità che sorprende noi occidentali a proposito di questa relazione, è
legata al concetto di cooperazione; infatti siamo abituati a pensare che siano i paesi
con una forte e stabile economia, ad aiutare quelli più deboli. Ma il caso sino-
africano rovescia anche questo standard, perché la Cina e l’Africa sono entrambi in
via di sviluppo, ed è proprio grazie a questa identificazione comune che si accorciano
le distanze tra i due popoli; ricordiamo a questo proposito le parole dell’allora
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Sun Zi 孫子 , L’arte della guerra 兵 法, trad. di Riccardo Fracasso, 1994, (ed. or.: Sun Zi Bing Fa 孫
子 兵法), cap.1: Riflessioni iniziali.
2
Sun Zi 孫 子, L’arte della guerra, trad. di Riccardo Fracasso, 1994, (ed. or.: Sūn Zi Bing Fa 孫 子兵
法), cap.3: Programmare un’offensiva.
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presidente Jiang Zemin 江泽民 durante il FOCAC
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del 2000 svoltosi a Pechino: “La
Cina è il più grande paese in via di sviluppo al mondo, e l’Africa è il continente con
il più alto numero di pesi in via di sviluppo.”
La presenza cinese in Africa ci sorprende nonostante il rapporto tra le due nazioni
abbia radici molto antiche. Infatti le prime notizie riguardo alla presenza dei cinesi in
Africa risalgono al I sec. d.C., quando l’emissario cinese Zhang Qian 张骞, giunse a
sud del Mediterraneo seguendo la Via della Seta per portare pregiati abiti alla regina
Cleopatra. Alcuni secoli dopo, tra il 618-907 d.C., la dinastia Tang fu in diretto
contatto diplomatico con i conquistatori arabi del Medio Oriente e si dice che in
questa occasione alcuni esploratori cinesi attraversarono il Sahara. Grazie al
ritrovamento di monete di quell’epoca in Kenia e Zanzibar, sappiamo che la dinastia
Tang era impegnata in un fruttuoso mercato nell’Africa dell’est e del nord, in
particolare nella vendita di porcellane. La successiva testimonianza di cui
disponiamo è quella di Duan Chengshi 段成式
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, un esploratore del IX secolo, che
descrive la città di Barbera sulla costa della Somalia. Ma è con la dinastia Song (960-
1279) e grazie allo sviluppo di nuove tecniche navali, che i cinesi sviluppano un
commercio su larga scala con Etiopia, Tanzania e Zimbabwe; risale a questo periodo
anche la prima rappresentazione cartografica dell’Africa attribuita al monaco e
geografo Zhu Siben 朱思 本 (1273-1333), in cui il continente appariva come un
triangolo allungato.
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Forum on China-African cooperation
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Duan Chengshi 段成式, You yang za zu 酉陽雜俎 (Cronache Miscellanee),1981.
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Tuttavia la scoperta ufficiale dell’Africa si deve all’ammiraglio Zheng He 郑和, che
nel 1421 viene inviato sul luogo da Yongle 朱 棣, terzo imperatore Ming, per una
visita ufficiale. Eccolo quindi, salpare con le sue trecento navi sull’isola di Lamu,
presso la costa dell’odierno Kenya, alla scoperta delle meraviglie di un fantomatico
nuovo mondo. L’instancabile pioniere per 20 anni esplorò il mare cinese, da Java a
Sumatra, passando per le isole Maluku, e poi Calcutta, India e Ceylon, attraversando
anche il Mar Rosso, la Somalia e la Mecca. I suoi viaggi permisero all’impero Ming
di estendere le sue conoscenze oltre i propri confini e di aprire nuove vie
commerciali, che purtroppo però andarono diminuendo lentamente dopo la sua morte
nel 1533, a causa della politica di isolamento attuata dalla dinastia Qing (1644-1911).
Nel XIX secolo, la presenza occidentale tramutò la Cina in un paese semi-
colonizzato e dal 1880 centinaia di cinesi vennero forzatamente inviati in Africa per
lavorare nelle miniere, e bonificare i territori. Fu solo dopo l’ascesa al potere del
comunismo che i contatti diplomatici tra i due paesi furono effettivamente restaurati
e i cinesi posero le basi per un’innovativa politica estera in Africa.
Dal 1949 la Repubblica Popolare Cinese ha infatti supportato il continente nei suoi
sforzi per guadagnarsi la libertà dalle potenze colonizzatrici. Le ragioni ufficiali di
questo supporto furono ricondotte al semplice dovere morale di offrire aiuto agli
oppressi, ma la Cina cercava anche di raccogliere potenziali voti per guadagnare un
posto nelle Nazioni Unite
5
, e i nuovi stati africani indipendenti sarebbero stati perfetti
5
La Repubblica della Cina fu uno dei membri fondatori delle Nazioni Unite, ma nel 1949 il
Partito Comunista Cinese prese il potere nella Cina continentale e dichiarò la fondazione della
Repubblica Popolare Cinese, sostenendo di aver sostituito la Repubblica della Cina come unico
governo legittimo. Il governo della Repubblica della Cina si ritirò a Taiwan, dove peró Chiang
Kai-Shek 吃 昂凯社 科 continuó a detenere il posto nelle UN fino al 1971. Nel 1971 infatti,
grazie soprattutto all’ausilio degli stati africani venne approvata dall'Assemblea generale la
Risoluzione 2758, che dichiarava che i rappresentanti del Governo della Repubblica Popolare
Cinese erano gli unici rappresentanti legali della Cina alle Nazioni Unite.
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collaboratori in questo progetto. Ma la relazione sino-africana ebbe una notevole
spinta con la Conferenza di Bandung nel 1955, il primo meeting fra gli stati dell’Asia
e dell’Africa: nonostante la maggior parte degli stati africani non fossero ancora
completamente indipendenti, il 22 agosto Pechino riuscì a stabilire un accordo
economico con l’Egitto, il primo paese africano ad avere relazioni con la Cina
comunista. Tuttavia la Cina era strettamente legata all’URSS dall’alleanza del 1950
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e la sua politica estera ne era fortemente condizionata, così fu anche la nascente
posizione indipendente della RPC verso le nazioni emergenti a decretare la rottura
con Mosca agli inizi del 1960.
Tra il 1960 e il 1965 la RPC aveva instaurato relazioni con quattordici nuovi stati
africani indipendenti: Ghana, Mali, Somalia (1960), Zaire (1961), Uganda (1962),
Burundi, Kenya (1963), Benin, Repubblica Centrale Africana, Congo, Tanzania,
Tunisia, Zambia (1964) e Mauritania (1965); tra il 1963 e il 1964, l’allora ministro
degli esteri Zhou Enlai 周恩来, si diresse nel continente per un tour che manifestava
ufficialmente al mondo l’interesse del PRC verso l’Africa.
Nel 1976 venne portata a termine dai cinesi la ferrovia che collegava la Zambia,
priva di uno sbocco sul mare, al porto di Dar es Salaam sull’Oceano Indiano, un
progetto di 2.000 Km che avrebbe consentito di aprire il mercato interno e di
dimostrare al continente, ma soprattutto al resto del mondo, le abilità dei cinesi.
Dopo la morte di Mao Zedong 毛 泽 东 nel 1976 e la turbolenta fine della
Rivoluzione Culturale, il contatto tra Cina e africani comiciò a calare, fino alla
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Il 14 febbraio 1950 la Cina firma con Mosca un trattato di amicizia, alleanza e assistenza
reciproca. Il 25 giugno 1950 c’è lo scoppio della guerra di Corea: è la prima occasione di verifica
dell’alleanza URSS-CINA. L’URSS fornisce assistenza militare ai nordcoreani e Pechino i
volontari cinesi.
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promulgazione delle riforme economiche di Deng Xiaoping 邓小平 a metà anni ’80
che favorivano il mutuo scambio tra servizi e materie prime nel continente. Resta il
fatto che tra il 1956 e il 1987 la Cina aveva già fornito all’Africa 4.783 milioni di
dollari in aiuti economici e assistenza.
Dopo la fine delle dimostrazioni di piazza Tienanmen nel 1989 il Regno di Mezzo
cominciò a guardare l’Africa con altri occhi: la Cina infatti cercava di riemergere
dall’ostracismo dimostratogli dalla comunità internazionale tramite il rinnovamento
delle sue relazioni diplomatiche e l’Africa, oltre ad essere stata a fianco della Cina
dopo il massacro di Piazza Tienanmen, costituiva un quarto dei voti nell’assemblea
generale delle Nazioni Unite. Da quel momento in poi l’Africa acquisì una rinnovata
importanza per la Cina e le relazioni tra le due nazioni cominciarono ad avere una
notevole portata economica: nel 2000 i progetti di infrastrutture in Africa ricevevano
il completo supporto dal governo e dalle banche cinesi. Ed è proprio a ottobre del
2000 che a Pechino venne organizzato il primo Forum di Cooperazione Cina-Africa,
a cui sarebbero seguiti quello del 2003 a Addis Abeba, quello del 2006 a Pechino e
quello del 2009 a Sharm el-Sheik. In questi incontri si stabilirono i termini in cui i
rapporti tra le nazioni si sarebbero sviluppati e gli accordi di cooperazione e mutuo
rispetto che governano tuttora le relazioni tra Cina e stati africani.
La scelta di approfondire questo argomento deriva da un mio particolare interesse
verso la diplomazia cinese in territorio africano, ritenendola un aspetto molto
accattivante nel panorama internazionale, risultato di una fusione tra filosofia e
strategia in un contesto assolutamente attuale. La politica della Cina in Africa è
basata sulla cooperazione senza intervento, e mira a trattare gli stati Africani come
eguali, senza interferire negli affari domestici e rispettando le scelte dei singoli stati
nei loro approcci allo sviluppo, nel bene e nel male.
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Quello che si è instaurato tra i due paesi è un rapporto di vantaggio reciproco, perché
la crescente economia cinese crea un mercato per garantire un benessere all’Africa,
la quale può tradurre questa opportunità in uno sviluppo a lungo termine. Infatti la
compatibilità tra le economie di questi paesi sta proprio nella capacità della Cina di
esportare manufatti, parallelamente alla sua necessità di ricevere dall’Africa materie
prime, le stesse che l’Africa invia volentieri in Cina in cambio di prodotti che
incrementino il mercato interno. La Cina vende i suoi beni sul mercato africano a
prezzi economici, ricostruisce strade, ferrovie, edifici, dighe in Congo, Sudan e
Etiopia e aiuta l’Egitto nel suo progetto di miglioramento del sistema di energia
nucleare. Il Regno di Mezzo attualmente si sta espandendo in tutta l’Africa, e quando
i governi locali chiedono aiuto, i cinesi sono lieti di costruire ospedali, cliniche e
orfanotrofi. L’approccio cinese nei confronti del continente nero e la cooperazione
che ne deriva, appaiono sorprendentemente innovativi agli occhi degli occidentali
che nei rapporti con l’Africa hanno da sempre agito da colonizzatori. Pechino invece,
per aiutare l’Africa nei suoi bisogni e ricevere in cambio materie prime, offre una
persuasione amichevole come vero e proprio strumento diplomatico, invece che
sanzioni, ammonizioni e interferenza diretta, come spesso è accaduto con diplomazie
occidentali.
Il mio studio vuole essere un’analisi critica attuale di quello che dal punto di vista
strategico e cooperativo questo rapporto ci può insegnare, focalizzando l’attenzione
sulle motivazioni storiche, filosofiche e sociologiche che conducono all’anti-
egemonia, allo sviluppo pacifico e alla non interferenza adottate dalla Cina in Africa,
per poi concentrarmi sulla cooperazione che ne deriva, ufficializzata nei quattro
Forum di Cooperazione Cina-Africa.
Nel terzo e ultimo capitolo ho deciso di concentrarmi su un caso specifico che mi
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permettesse di mostrare l’applicazione effettiva della politica cinese in Africa nel
bene e nel male: l’esempio dello Zimbabwe dove la Cina, pur avendo fornito un
grande apporto di assistenza economica, ha chiuso gli occhi di fronte al regime
dittatoriale di Mugabe mi è parso il più rappresentativo. L’aspetto curioso della
relazione tra Cina e Zimbabwe si manifesta nell’atteggiamento apparentemente poco
trasparente, principalmente per quanto riguarda il rifornimento di armi e
l’esportazione di merci a basso costo e di scarsa qualità, che paradossalmente non ha
fatto comunque perdere a Pechino la sua coerenza diplomatica, che risponde al
principio della non interferenza. A questo proposito sarà interessante affrontare
l’argomento dei diritti umani e della differenza nella loro percezione e applicazione
tra Occidente e Cina.
Non ho voluto quindi trascurare neanche l’altra faccia della medaglia della strategia
cinese che la stampa e i pareri occidentali tendono a enfatizzare, impauriti dall’idea
di un futuro cambiamento negli equilibri internazionali con una probabile
indipendente cooperazione sud-sud, che rappresenta già una realtà in via di sviluppo.
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PRIMO CAPITOLO
I. LA DIPLOMAZIA CINESE IN AFRICA
La tradizione culturale cinese vanta un radicato rispetto per alcuni principi cardine
diventati ormai parte del senso comune, i quali costituiscono gli essenziali precetti
per la condotta di ognuno, disciplinando anche gli organi a capo della società stessa.
I concetti di cui tanto oggi si discute a proposito della diplomazia cinese, 'ascesa
pacifica', ‘sviluppo pacifico', 'antiegemonia', perseguimento delle 'tre armonie', 'non
interferenza', 'politica del buon vicinato', non sono altro che antichi insegnamenti
cinesi filosofici e religiosi che la Cina ha coltivato e incentivato, riuscendo a farne
principi cardine di una politica inusuale e strategica agli occhi di noi occidentali.
Analizzando la storia cinese, la politica di pacifica coesistenza con i paesi vicini era
già ampiamente sfruttata dalle dinastie Han (206-220 a.C.) e Tang (618-907 a.C.)
tramite i contatti diplomatici e l'invio di doni che promuovessero la pace e lo
scambio culturale tra i popoli: pensiamo a Zheng He 郑 和 che con i suoi viaggi
promosse importanti contatti diplomatici tra Africa e Cina, o alla Via della Seta che
permise preziosi scambi tra Occidente e Oriente in un rapporto di reciproco beneficio.
Il concetto di armonia era promosso anche dai classici confuciani, come guida per
l'interazione sociale e mezzo per lo sviluppo di una nuova struttura politica basata
sulla collettività che, grazie al mantenimento dell'equilibrio fondato sull'armonia,
avrebbe aiutato attivamente il regnante nel suo ruolo di amministratore del popolo.
Zi Si 子 思 (483-402 a.C.), filosofo e nipote di Kong Fuzi 孔夫子, identificava
l'armonia con la fondazione di un'interazione politica di successo, mentre Meng Zi
孟 子 (372-289 a.C.) parallelamente, definì l'unità sociale come mezzo
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imprescindibile per una corretta via politica. Xun Zi 荀子 (313-238 a.C.) sosteneva
che l'armonia sociale fosse l'incentivo di supporto al sovrano per i cittadini nel buono
e nel cattivo tempo, mentre l'insegnamento non violento impartito da Lao Zi 老子,
fu integrato al principio di 'governo con virtù' per costruire relazioni pacifiche con i
paesi vicini. La Grande Muraglia stessa rappresenta l'ideologia difensiva cinese come
elemento di rilievo nell'ideologia di stato, mentre la tradizione dei matrimoni come
mezzi di pace, combinati con i leader degli stati confinanti, sono una storica
testimonianza degli sforzi messi in atto dai cinesi per promuovere l'armonia
7
.
I.1 I principi della politica estera cinese e l'interesse per i paesi in via di
sviluppo
In seguito alla conclusione della Guerra Fredda il cambio degli equilibri
internazionali ha permesso lo sviluppo di un cosmopolitismo strategico del tutto
nuovo per la Cina, dettato dallo sviluppo pacifico sotto la guida di Deng Xiaoping 邓
小 平
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e della sua politica economica di apertura a confronto diretto con la
supremazia degli Stati Uniti. Ciò ha suscitato non poche preoccupazioni sul piano
internazionale, dovute a quella che veniva stigmatizzata come scarsa trasparenza e
ambiguità dei leader cinesi, attribuita ad un aspetto peculiare della loro cultura che
affonda le sue radici nella diffidenza verso gli stranieri.
7
Garth Shelton, Farhana Paruk, The Forum of China Africa Cooperation-a strategic opportunity,
2008, pp. 16-17.
8
Deng Xiaoping 邓小平 (Zerbolò, 22 agosto 1904 – Pechino, 19 febbraio 1997) è stato segretario
generale del Partito Comunista Cinese (PCC) dal 1956 al 1966 e ha governato la Cina dal 1976 al
1993. Sotto il suo controllo l’economia cinese comiciò il suo percorso in rapida crescita.