Capitolo primo
8
Va sottolineato come, limitatamente al caso Italiano, non esista una
normativa civilistica di riferimento. Il Codice Civile Italiano non cita mai
l’espressione “Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale”, limitandosi a
disciplinare la separazione giuridica tra le attività commerciali e le attività non
commerciali. Il fenomeno è osservabile anche in altri contesti nazionali. Questa
constatazione è alla base delle motivazioni che rendono difficile formulare una
definizione sufficientemente rigorosa di sistema non lucrativo di utilità sociale. Nel
paragrafo 4 ci occuperemo di discutere questo aspetto. Fatte le dovute
considerazioni, il capitolo si concluderà con una definizione del settore non
lucrativo. Questa sarà il risultato della composizioni di diverse caratteristiche
ognuna delle quali finalizzata a caratterizzare strettamente le organizzazioni che
compongono l’universo non profit. Il capitolo e’ costruito facendo i dovuti
riferimenti sia alla letteratura italiana esistente sia alla letteratura internazionale.
Capitolo primo
9
1.2
WELFARE STATE E SISTEMA NON LUCRATIVO
Lo sviluppo delle non profit organizations è fenomeno dell’ultimo decennio.
Una delle possibili giustificazioni della loro crescita può essere individuata nelle
difficoltà palesate dalle istituzioni pubblica nella produzione di beni meritori. Di
contro, una delle risposte del sistema economico e sociale alla crisi del Welfare
State potrebbe essere rappresentata proprio dalle organizzazioni private non
lucrative.
Con il termine Welfare - State, infatti, ci si riferisce ad un sistema politico –
amministrativo che assume come propria funzione la soddisfazione dei bisogni
sociali fondamentali. Il Welfare State si afferma come tentativo di risposta alle
importanti disuguaglianze tra individui generate dal mercato capitalistico. Tutta la
legislazione previdenziale, assistenziale, sanitaria e sociale ha come principio base
la ricerca del eguaglianza sociale tra tutti i cittadini
1
.
E’ possibile studiare i meccanismi allocativi generati dal Welfare State
secondo l’individuazione di un modello di politica sociale corrispondente. Il
modello sperimentato dall’Italia nell’ultimo ventennio può definirsi “modello di
Welfare State di tipo totale”
2
.
1
Per un approfondimento in relazione alle problematiche del Welfare State italiano si veda U.ASCOLI “ Il
Welfare State all’italiana: passato, presente e futuro”. In Politica economica N°3/4 Agosto 1995 , pp. 107-
11l.
2
P. DONATI , Risposte alla crisi dello stato sociale, Franco Angeli, Milano, 1984
Capitolo primo
10
Questo modello è fondato esclusivamente sull’intervento pubblico
produttivo e distributivo di beni e servizi meritevoli di tutela pubblica.
E’ da più parti sottolineata la sensibile crisi che questo modello di politica
sociale si trova oggi a scontare. Si tratta di una difficoltà sia di carattere economico-
finanziario ( crisi fiscale) sia di natura politica.
La crisi fiscale si è principalmente generata dalle estensioni delle funzioni
del sistema amministrativo e dalla contestuale incapacità di finanziare i propri
interventi senza ricorrere all’indebitamento pubblico. Questa difficoltà,
accompagnate con altre, ha implicato un drastico ridimensionamento della spesa
pubblica a fini sociali.
La crisi politica è crisi di legittimità a governare. Essa è alimentata con
l’incapacità dello Stato di provvedere alla fornitura efficiente ed efficace di
prestazioni che lo Stato stesso si era impegnato a garantire. La disattesa della
aspettative pubbliche di assistenza ha prodotto nella collettività un diffuso senso di
sofferenza nei confronti dell’attività amministrativa.
Tuttavia, alla luce dei recenti accadimenti storici
3
, il ridimensionamento dei
livelli di spesa pubblici sembra ineluttabile. Ciò ha, in via principale, provocato la
crescita di bisogni insoddisfatti. Non va trascurata l’ipotesi che il manifestarsi di
nuovi bisogni sia funzionale alla crescita culturale e civile di una collettività. Nelle
società progredite, per diversi motivi, si avvertono sempre più esigenze di tipo
relazionale, culturale e di natura psicologica. La dinamica da cui trae origini il
3
Si pensi all’imminente costituzione formale e giuridica della “Nazione EUROPA”
Capitolo primo
11
settore non profit diviene così tipicamente caratterizzata dai bisogni delle società
civili sempre più mutevoli e sempre meno soddisfatte.
La somma dei bisogni non più soddisfatti dall’operatore pubblico con i
bisogni generati dalla crescita civile di una collettività offre lo spazio economico
per l’affermazione di un settore nuovo, di una “terza dimensione” dell’economia
qual’ è quella del volontariato, dell’associazionismo e della cooperazione sociale.
1.3
UNA DEFINIZIONE COMPLESSA: MOTIVAZIONI
Definire un quadro concettuale all’interno del quale si possa collocare tutto il
settore non profit non e’ cosa semplice. Non esiste ancora una consolidata
tradizione di studi sull’argomento ed ancora minori sono i contributi dal lato della
teoria economica. E’ difficile stabilire confini precisi in questo settore in rapida
evoluzione e definire il rilievo economico d’attività con forti contenuti sociali, etici
o politici, in cui il volontariato svolge un ruolo centrale. In realtà già dall’analisi
concettuale delle due parole “TERZO” e “SETTORE” si riceve la semplice idea di
un settore economico a se’, governato dalle sue leggi, che diviene terzo non a
seguito di una competizione, ma in virtù della distinzione (economica e sociale) che
si vuol dare al settore non profit rispetto al settore pubblico (PRIMO) ed al settore
privato (SECONDO). In altre parole, la qualità terzo davanti alla parola settore offre
l’idea di un’alternativa alle forme classiche d’allocazione delle risorse, di
produzione e distribuzione di beni e servizi. Si tratta dunque di un’alternativa
economica, una sorta di compromesso tra capitalismo e pianificazione.
Capitolo primo
12
Ma proprio l’astrattezza dei concetti su esposti contribuisce alla nascita di
sospetti circa il ruolo concreto del terzo settore che, secondo le critiche più aspre
4
,
potrebbe finire ulteriormente con l’indebolire la funzione sociale dello Stato o
condurre verso una “concorrenza sleale” con le imprese private lucrative. E’ proprio
questa visione di subalternità che non deve affascinare lo studioso.
In realtà “ the third sector ” non e’ terzo per i timori palesati e su espressi
bensì perché si pone come fenomeno economico capace di porre rimedio al
fenomeno dei bisogni sociali insoddisfatti in rapporto ed in contrasto con le attività
tipicamente svolte dallo stato e dal mercato dove, a volte, si realizzano delle
inefficienze (si veda il capitolo 2, paragrafi 2.2 e 2.3)
5
.
E’ chiaro che la dimensione economica di queste richieste può essere
sintetizzata in termini di rivendicazione di una diversa qualità e quantità dei beni e
servizi forniti dal settore pubblico e dalle imprese private
6
.
Già alla luce di queste prime considerazioni si spiegano alcune delle ragioni
della difficoltà intrinseche alla formulazione di una definizione rigorosa del sistema
non profit.
4
Si veda PIANTA M. e MARCON G. in “Lavori Scelti ” Edizioni Lunaria (1997) pp. 11-30
5
Vedremo nel prossimo capitolo come il sistema non profit si discosti dai sistemi in cui dominano
asimmetrie informative ed i consumatori hanno notevoli svantaggi in sede di contrattazione.
6
In questi ultimi segmenti dell’economia si realizzano delle inefficienze che la letteratura evidenzia
dimostrando altrettanti fallimenti sia dello stato sia del mercato nella allocazione delle risorse. Per una
rassegna esaustiva si veda FIORENTINI G. “ I contributi della teoria economica ai processi di
privatizzazione nei servizi sociali” in “non-profit e sistemi di Welfare” a cura di BORZAGA C. NIS, Roma,
1996, op. cit. pg. 71 –104
Capitolo primo
13
In primissima approssimazione possiamo affermare che le organizzazioni
senza fine di lucro che compongono il variegato mondo del terzo settore, sono enti
vincolati dal divieto di distribuire utili agli agenti che esercitano il controllo
sull’ente stesso. In altre parole la caratteristica necessaria (ma non sufficiente) e
principale del settore non profit è il divieto di distribuire utili sotto forma di
dividenti. Questa caratteristica non è facilmente osservabile dal ricercatore e non è
sufficientemente precisa per una convincente definizione del terzo settore.
E’ tuttavia opportuno fin d’ora operare una precisazione. Con il termine utili
s’intendono i guadagni in eccesso una volta che sono stati pagati i compensi per
ogni tipo di servizi resi; un’organizzazione non profit è dunque libera di remunerare
chiunque abbia offerto capitale e lavoro. Ed alla luce di quest’ottica sembra svanire
ogni dubbio sulla “economicità” del settore non profit.
7
Di conseguenza, il vincolo
di non distribuzione degli utili non implica l’assenza di un profitto, dal momento
che un’impresa non profit può ugualmente ottenere un profitto che, non potendo
essere ridistribuito tra i soci, deve essere interamente reinvestito per finalità
istituzionali o statutarie.
Ma proprio la forte varietà dei modelli organizzativi che s’incontrano
nell’esplorare il terzo settore e la scarsa forza definitoria del “Vincolo di non
distribuzione”, non fa che alimentare i dubbi.
7
Una qualsiasi attività viene, anche giuridicamente, ritenuta economica non già se vi è la manifestazione di
un surplus finanziario bensì è sufficiente che il flusso dei ricavi sia tale da permettere almeno il pareggio dei
costi. Per un dibattito sull’economicità degli enti non lucrativi si veda SCHLESINGER P. “ Categorie
dogmatiche e normative in tema di non profit organizations ” in PONZANELLI G. pp 273-282 op. cit.
Capitolo primo
14
1.4
UNA DEFINIZIONE DEL SETTORE NON LUCRATIVO
Il sistema apparentemente più rigoroso per definire il settore non profit e’
quello fornito dalla legislazione del paese. Viene cosi considerato non profit ciò’
che e’ espressamente dichiarato dal legislatore.
Diversamente da ciò che accade in altri paesi
8
, nella legislazione Italiana
manca un esplicito riferimento al settore non-profit. Questo vuoto legislativo
sembra testimoniare la scarsa attenzione che, fino ad oggi, ha caratterizzato in
particolare il settore non lucrativo italiano. In realtà, osservano alcuni autori
9
,
“l’esperienza del non profit, nella produzione privata di servizi del Welfare, è già
stata fatta in Italia; essa e’ stata fatta come se non si trattasse di produzione di
servizi che dovessero essere in qualche modo efficiente ma delle ruote di scorta o
della Chiesa o dei partiti politici ”.
Tuttavia, di recente sulla scorta dell’ampio dibattito sulla crisi dello stato
sociale e della riforma del Welfare state, il legislatore ha rivolto la sua attenzione in
modo particolare sul trattamento fiscale delle ONLUS
10
. L’importanza del
riconoscimento legislativo consiste non già nel disciplinare un settore già
8
Per esempio gli Stati Uniti D’America. Per una migliore specificazione del settore non lucrativo americano
si veda SALAMON –ANHEIER “In search of the non profit sector: the problem of classification”. Working
paper of “ The John Hopkins Comparative Non profit sector project”, N°3, 1994.
9
Pasquini Giancarlo : “Cooperazione e attività non-profit ” in Politica ed Economia N°1/2 Aprile 1995.
Pp.86-88
10
Si veda il decreto legge recante : disciplina tributaria delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale,
N° 1043/97
Capitolo primo
15
ampiamente presente nella realtà economica del paese, bensì nel considerare le
ONLUS soggetti economici attivi, la cui funzione di indirizzo sociale debba, in
qualche modo, essere incentivata e tutelata.
Molti Studiosi hanno offerto un qualche criterio per distinguere tra le varie
organizzazioni economiche, quali potevano ragionevolmente far parte del settore
non lucrativo e quali no.
11
Si tende, perciò, a riconoscere una organizzazione appartenente al settore
non profit quando in essa si evidenziano alcune particolari caratteristiche
12
.
A) COSTITUZIONE FORMALE
L’organizzazione deve essere formalmente costituita, deve cioè essere
dotata di uno statuto o di un atto costitutivo che consenta una soglia organizzativa
minima.
B) NATURA GIURIDICA PRIVATA
La scelta della forma privata sembra esclusivamente essere un criterio di
esclusione. Si vuol, in altre parole, escludere ogni forma di organizzazione pubblica
dall’universo del non profit
13
. Tuttavia, il questa caratteristica sembra essere
11
Per una descrizione dettagliata dei criteri e degli autori si veda BARBETTA 1996 “Senza scopo di Lucro”
pp 41-73 e SALAMON – ANHEIER opera già citata alla nota 8
12
Almeno il recente decreto legislativo in materia di trattamento fiscale delle ONLUS sembra incontrarsi
completamente con le definizioni teoriche formulate.
13
Si pensi alle IPAB, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Idealmente saremmo portati a
considerare le IPAB come tipica espressione di organizzazioni non lucrative sebbene di natura pubblicistica.
Capitolo primo
16
funzionale alla definizione di uno spazio economico nuovo esclusivamente di natura
privata. Si chiarirà nel seguito di che tipologia di spazio si tratta.
C) ATTIVITA’ SVOLTA CON FINALITA’ DI SOLIDARIETA’
SOCIALE
14
Un ulteriore criterio di esclusione è rappresentato dall’attività svolta dalle
organizzazioni non lucrativa. Queste per essere qualificate tali devono svolgere
attività indiscutibilmente volta a fini di solidarietà sociale. Vengono così escluse
tutte quelle attività che se pur formalmente dichiarate non profit non perseguono
obiettivi di solidarietà.
L’aderenza delle organizzazioni non lucrative a questo criterio è
fondamentale per la delimitazione del campo di operatività del sistema non profit.
D) AUTOGOVERNO
L’organizzazione non deve essere controllata, nello svolgimento dei propri
processi decisionali, da altre organizzazioni facenti parte del settore pubblico o
facenti parte del settore delle imprese lucrative. La verifica del rispetto di tale
criterio viene principalmente dall’osservazione della composizione dei consigli di
amministrazione. Nel concreto le ONLUS si caratterizzano per la loro capacità di
14
Questa caratteristica, al contrario delle altre, non si riscontra nelle altre fornite dalla letteratura. Essa è,
tuttavia presente, come carattere decisivo, nella definizione di ONLUS inserita all’interno del decreto legge
in materia di trattamento fiscale già citato.
Capitolo primo
17
creare una struttura organizzata su base democratica impostata sul principio una
testa un voto. Ciò comporta l’attribuzione del diritto di voto a tutti gli associati e la
possibilità dei medesimi di ricoprire cariche amministrative interne.
Tuttavia, le due caratteristiche che sembrano maggiormente caratterizzare e
differenziare le organizzazioni non lucrative dalle altre organizzazioni economiche
sono :
E) NON DISTRIBUZIONE DEL PROFITTO
Il vincolo di non distribuibilità dei dividenti è la caratteristica che dona a
questa tipologia di organizzazione economica la qualifica di organismo non
lucrativo. Come già evidenziato ciò implicanze sull’eventuale possibilità di
conseguire utili di esercizio.
Si pone, in questo contesto, il delicato problema del controllo dell’aderenza
di questa caratteristica alla fattispecie concreta. E’ possibile che l’eventuale utile
conseguito venga ridistribuito in forma indiretta ( nel capitolo terzo si vedrà come
questo aspetto possa eventualità possa essere considerata come “stimolo” all’attività
economica non lucrativa). Questa ipotesi può concretizzarsi con l’erogazione da
parte dell’organizzazione di salari o stipendi più elevati rispetto alla media delle
retribuzioni in altri settori, oppure con l’erogazione di fringe benefits non dichiarati
esplicitamente.
Capitolo primo
18
F) PRESENZA DI LAVORO VOLONTARIO
Una fondamentale caratteristica delle organizzazioni non profit consiste nella
possibilità di utilizzare, nelle proprie strutture produttive interne, lavoratori che, per
qualche motivo, prestano la propria attività gratuitamente o pagati da altra
istituzione. I volontari possono svolgere sia funzioni operative sia di indirizzo o
dirigenziali.
Si Tratta di soggetti che comunque operano senza ottenere un corrispettivo
diretto in contropartita. Come verrà successivamente meglio specificato (si veda il
Capitolo terzo, paragrafo 3.3.1), la possibilità di sfruttare questa opportunità può
consentire alle imprese non lucrative di ottenere considerevoli riduzioni di costo per
la produzione di beni e servizi di utilità sociale. Questi sei caratteri dovrebbero
essere presenti, anche se con pesi variabili, all’interno di ogni organizzazione che
voglia definirsi non profit.
Capitolo primo
19
1.5
CONCLUSIONI
Le considerazioni sulla crisi che investe il sistema di Welfare ha permesso di
evidenziare sommariamente la tipologia di “spazio” economico nella quale può
essere resa operativa l’attività delle non profit organizations. L’evoluzione e la
crescita di “bisogni” che non vengono soddisfatti né dallo Stato né dal mercato
pone la premessa per un intervento risolutivo differente. Si può pensare alla
costituzione di un mercato fatto di leggi economiche proprie e distinto rispetto al
mercato capitalistico.
Sulla base di queste considerazioni si è tentato di offrire una definizione di
organizzazione non lucrativa e , di conseguenza, del settore non profit.
Queste sono state definite sulla base della loro aderenza ad almeno 6
caratteristiche tipizzanti l’attività economica non profit. La conclusione principale a
cui si perviene consiste nel definire le organizzazioni non lucrative come organismi
economici con finalità particolari e con il divieto di distribuire gli utili conseguiti,
ma per il resto abilitati a svolgere attività economica con lo stesso titolo e con gli
stessi mezzi delle imprese lucrative. A ben vedere, tuttavia, alcuni criteri inseriti
nella definizione sembrano di difficile applicazione se non altro per le difficoltà di
monitorare l’effettiva aderenza della realtà al principio. Si pensi, in questo senso, ad
esempio, alle possibilità di eludere il vincolo di non distribuibilità degli utili
attraverso il ricorso a forme indirette di distribuzione. Tuttavia la somma delle
caratteristiche espresse sembra permettere di rappresentare il miglior compromesso
tra l’esigenza di guardare con attenzione ad un nuovo universo che riveste una
Capitolo primo
20
rilevanza economica, e la necessità di non trascurare, all’interno di queste, realtà più
piccole e meno espressive ma non, per questo, meno importanti.
Il problema che affronteremo nei prossimi capitoli riguarderà la
formulazione di una teoria economica che abbia la capacità di spiegare l’esistenza
del sistema non profit. Il compito principale del capitolo successivo sarà, infatti,
quello di capire perché le organizzazioni non profit, per una certa tipologia di bene
o servizio, sia da preferire sia alle organizzazioni lucrative sia all’intervento diretto
dello Stato.