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Introduzione:
Il ruolo dell’istituzione museale è quello di acquisire, catalogare,
conservare, ordinare ed esporre beni culturali al fine di educare e
permetterne lo studio
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. Ma come fare quando lo stesso patrimonio si
ribella a uno dei principi appena esposti? Vi sono opere custodite
all’interno dei musei più prestigiosi del mondo che sono destinate a
disfarsi contrastando così uno dei precetti fondamentali che deve
rispettare un museo: conservare il proprio patrimonio.
L’arte contemporanea ci ha abituato a innumerevoli provocazioni,
inizialmente rifiutando di essere contenuta all’interno di musei e poi
sfidandone le leggi. Infatti l’utilizzo di materiali non tradizionali e
presi dal mondo di tutti i giorni ha condannato in modo più o meno
violento alcune opere ad una morte veloce. In alcuni casi questa
eventualità non era stata prevista, basti pensare alle opere di Eva
Hesse in latex che si stanno disgregando, mentre altri artisti hanno
voluto sfidare la natura utilizzando materiali deperibili. Per un’opera
la scelta del cibo come materiale è sicuramente la sua forza e la sua
più tremenda condanna; anche se si presenta come un materiale
concreto, decreta la sua transitorietà rendendola concettuale/effimera.
Nel 2004 infatti proprio per colmare questa lacuna nel Codice etico
dell’ICOM per i Musei alla definizione di museo è stato aggiunto
anche il riferimento alle opere immateriali: “I musei sono responsabili
del patrimonio naturale e culturale, materiale e immateriale, che
custodiscono” (Codice ICOM 2004).
Le stanze di importanti musei come il MoMa o il Guggheneim di
New York sono abitati da bombe ad orologeria, sfide continue per i
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Vedi articolo 101 comma 1 del Codice dei Beni Culturali e Paesaggisti. “ ‘museo’, una struttura
permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di
educazione e di studio”.
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conservatori o restauratori che hanno il compito di preservare il
patrimonio delle collezioni.
Per la vivacità del dialogo che questo tipo di opere permettono e per
le veloci risposte che in alcuni casi richiedono, si è deciso di
analizzare solo opere in cui il materiale maggioritario sia il cibo,
poiché rappresentano l’emblema della flessibilità che richiede
l’approccio all’arte contemporanea.
Verranno inoltre prese in esame solamente opere tridimensionali,
installazioni o sculture, che condividono una spinta interattiva
crescente che nell’opera di Janine Antoni si colloca a metà con la
performance. Sono state evitate riflessioni su opere pittoriche, su
opere sviluppate su supporti elettronici e sugli happening. Questa
scelta è stata determinata dal fatto che ogni genere artistico e ogni
supporto richiede interventi mirati e specifici, come ad esempio la
pulitura dei quadri o il possibile trasferimento su diversi supporti delle
opere digitali, che in questa sede non potrebbero essere analizzati in
modo accurato e puntale.
Il corpo della trattazione è occupato dai casi di studio, che mostrano
concretamente come siano state risolte alcune questioni e come ne
siano state poste altre. In ogni capitolo dopo una breve riflessione
teorica sull’opera in esame, sulla sua nascita e sul suo significato,
verranno esaminate le sue parti costituenti, i materiali utilizzati e le
ricerche che ne sono derivate.
I casi di studio che qui si affronteranno sono:
1. Strange Fruit (for David) di Zoe Leonard, conservato al
Philadelphia Museum of Art, che è una delle prime opere per
cui venne redatto un report che riportava le richieste fatte
dall’artista in merito al futuro di quest’ultima e le tecniche
utilizzate dal museo per rispettare questo volere. Dopo
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preliminari considerazioni sull’opera verranno analizzate le
problematiche scaturite nel momento in cui diventò parte della
collezione del Philadelphia Museum of Art e le soluzioni
adottate. Infine verrà presentato un recente studio che utilizza
un metodo proprio dell’industria alimentare per migliorarne la
conservazione.
2. Untiled (Public Opinion) e Untitled (Placebo) di Felix
Gonzalez-Torres, il primo conservato al Guggenheim di New
York mentre il secondo al MoMa. Sono opere che si presentano
entrambe come accumulazioni di caramelle, ma che essendo
collocate in due musei differenti hanno diversi trattamenti. Le
problematiche che scaturiscono da queste sono maggiormente
di natura teorica e pongono il problema della duplicazione e del
cambiamento di supporto.
3. Gartenzwerg-Visag e Chocolate Sea di Dieter Roth,
rispettivamente conservati al Kunstmuseum Stuttgart e al
Museu d’art contemporanei de Barcellona (Macba). Nel primo
caso l’analisi avrà come motore propulsore uno studio condotto
nel 2006 in cui vennero svolte alcune riflessioni scaturite dalla
presenza di evidenti crepe strutturali che minavano l’integrità
dell’opera; nel secondo caso, invece verrà analizzata la
possibilità di intervenire in modo non troppo invasivo per
debellare l’infestazione dell’opera da parte di alcuni parassiti.
4. Gnaw di Janine Antoni, conservato al MoMa. L’ultimo
caso si colloca a metà tra la performance e l’installazione,
facendo così cogliere al meglio la difficoltà di gestione di opere
in cui la presenza dell’artista sia sostanziale. L’attenzione sarà
posta soprattutto alla fase di allestimento e di preparazione.
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Prima però di scoprire le sfide che sono state affrontate in questi
frangenti è opportuno fare riferimento alla problematica più generale
della conservazione dell’arte contemporanea, per gettare le basi
necessarie a una comprensione corretta delle questioni che si sono
poste sul panorama internazionale a partire da metà del secolo scorso.
Per questo nel secondo capitolo verrà analizzato più nel dettaglio il
dibattito internazionale e gli sviluppi che ha consentito nella gestione
di opere d’arte contemporanea, mantenendo però sempre un focus su i
materiali deperibili e sulle implicazioni che ne sono derivate.
Il capitolo seguente servirà da breve inquadramento storico-artistico
di una pratica diffusa e di difficile catalogazione. Si vedrà come gli
artisti che utilizzano il cibo nelle loro opere non possono essere
ricondotti ad un unico movimento, ma sono legati dal fascino per un
materiale indispensabile per la nostra vita che, in alcuni casi, li spinge
verso innovative sperimentazioni.
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1. Questioni generali
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1.1 Arte e cibo
Nel momento in cui si tratta di arte e cibo in epoca contemporanea
non si può non fare riferimento alla Eat Art. In realtà vedremo che le
declinazioni di questo binomio sono molteplici e che non possono
essere racchiuse sotto un’unica etichetta. La Eat Art è un’esperienza
ben determinata nel tempo e questa denominazione non può essere
usata per indicare tutte le esperienze artistiche che hanno visto il cibo
come protagonista. Di solito, in arte contemporanea, questo termine
indica principalmente le pratiche artistiche di tipo performativo: la Eat
Art è letteralmente “l’arte che si mangia”. In queste opere è richiesto
un particolare intervento dello spettatore, che viene coinvolto in un
vero e proprio evento. I contatti tra arte e cibo non possono però
essere ridotti a questo tipo di sperimentazioni: in questo capitolo si
cercherà di analizzare, seguendo direttive di tipo generale, quelle
opere che non richiedendo obbligatoriamente un intervento diretto
dello spettatore hanno comunque portato una innovazione nel
panorama artistico internazionale. Non bisogna dimenticare che il cibo
non è stato solo materiale del fare arte, ma, prima di tutto, è stato
mezzo di incontro di grandi artisti, basti pensare ai caffè o ai luoghi di
ritrovo in cui sono nati alcuni movimenti artistici.
Per evitare di perdere il filo conduttore nel grande mondo del cibo è
opportuno fare alcune necessarie restrizioni di campo. Anche se
trattare della storia dei luoghi di incontro degli artisti sarebbe molto
interessante, in questa sede non verranno presi in considerazione, a
parte quelli che sono stati progettati e in alcuni casi gestiti
direttamente da famosi artisti. È opportuno, inoltre, tralasciare le
manifestazioni artistiche contemporanee in cui il cibo è solo
rappresentato e tutte quelle opere che non lo hanno utilizzato
direttamente, rinunciando alla sua “concretezza”, per concentrarsi
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sulle opere in cui il cibo è realmente presente. Non verranno, quindi,
menzionate correnti artistiche come la Pop Art, che soprattutto
attraverso Oldenburg ha presentato cibo finto, oppure nature morte in
cui vi sia solo una presentazione del materiale e non una sua evidenza
reale. Per questo motivo, le successive analisi si concentreranno
principalmente sulle installazioni/sculture deperibili e gli
happening/performance nei quali il cibo è materiale primario. Questo
secondo aspetto sarà analizzato meno poiché, come è già stato
sottolineato, comporta problematiche conservative/restaurative
accomunabili a quelle di tutte le altre performance o happening. Le
opere di alcuni artisti però, si trovano al confine tra scultura e
performance, per questo motivo è opportuno fare riferimento a questo
tipo di attività artistica, che è stata molto sviluppata anche negli ultimi
anni.
L’analisi sarà condotta in ordine cronologico, per quanto possibile,
focalizzando l’attenzione su quegli artisti o sui movimenti che hanno
portato un contributo importante alla costruzione della storia dell’arte
del cibo. Si è ritenuto opportuno dare particolare rilevanza all’opera di
Daniel Spoerri poiché egli è uno dei primi sperimentatori, o comunque
uno dei più prolifici, che ha consentito alle successive generazioni di
sviluppare maggiormente le sue sollecitazioni. Intorno al suo
ristorante e alla sua galleria, inoltre, gravitano alcuni dei più
importanti artisti del periodo che si relazionano con il cibo. Tra di essi
Dieter Roth e Joseph Beuys.
1.1.1 Cibo futurista
L’arte contemporanea ha decretato la fine della rappresentazione a
favore di un ingresso concreto dell’arte nel mondo, o meglio del
mondo nell’arte. Infatti sono i materiali presi dalla realtà circostante a
essere oggetto di opere d’arte. Le avanguardie storiche sono state le
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pioniere di questo procedimento, proponendo moltissime
sollecitazioni che sono state riprese e ampliate dai movimenti
successivi.
Le loro posizioni provocatorie sconvolsero il mondo dei primi del
Novecento, ancora abituato a fruire un’arte “tradizionale”. Elevarono
a materia artistica qualsiasi oggetto reale turbando la società
dell’epoca.
Il movimento che sicuramente si occupò in maniera più sistematica
del rapporto con il cibo fu il Futurismo. Quello che questi artisti
raggiunsero non fu l’utilizzo del cibo come materia artistica, ma la
comprensione dell’importanza del cibo nella vita dell’uomo. Per
questo nel 1931 fu pubblicato il “Manifesto della cucina futurista”
con precise indicazioni riguardanti gli alimenti da utilizzare per
preparare le pietanze e quelli da evitare completamente, adducendo
motivazioni ideologiche:
L'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana. Forse
gioveranno agli inglesi lo stoccafisso, il roast-beef e il budino, agli olandesi la
carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauerkraut, il lardone affumicato e il
cotechino; ma agli italiani la pastasciutta non giova. Per esempio, contrasta
collo spirito vivace e coll'anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani.
Questi sono stati combattenti eroici, artisti ispirati,oratori travolgenti, avvocati
arguti, agricoltori tenaci a dispetto della voluminosa pastasciutta quotidiana.
Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che
tronca spesso il loro entusiasmo. (Marinetti 1931)
Al cibo viene quindi riconosciuta la capacità di modificare l’indole
e lo spirito delle persone: una corretta alimentazione aiuta la creatività
e favorisce il progresso.
Pur riconoscendo che uomini nutriti male o grossolanamente hanno realizzato
cose grandi nel passato, noi affermiamo questa verità: si pensa si sogna e si
agisce secondo quel che si beve e si mangia (ib.).
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Sia ciò che viene cucinato che il modo in cui viene fatto acquistano
una particolare importanza. Per primi i futuristi compresero quanto
contasse l’attenzione a ciò che si metteva nel piatto: la loro arte totale
invase anche le cucine e i ristornati tanto che Depero nel 1930
progettò la ristrutturazione di due ristornati newyorkesi, iniziando
quella che sarà poi una pratica diffusa: il “ristorante d’artista”.
1.1.2 Joseph Beuys in cucina
Dopo l’esperienza futurista e in particolare l’esperienza
avanguardista e la liberalizzazione delle materie artistiche, il cibo è
divenuto materiale effettivo dell’arte. Uno dei più grandi artisti che ne
ha sfruttato le potenzialità metamorfiche è stato Joseph Beuys.
L’esperienza di Beuys con materiali alimentari è quasi contemporanea
a quella di Dieter Roth, artista svizzero ma di origine islandese. Anche
quest’ultimo seppe sfruttare al meglio la capacità del cibo di
trasformarsi nel tempo. La sua opera verrà analizzata più
accuratamente nei casi di studio: per questo motivo in questo capitolo
si tratterà l’esperienza di Joseph Beuys.
Nato nel 1921 inizia la sua carriera come pilota fino a quando la sua
vita subisce una brusca svolta dovuta ad un tragico incidente avvenuto
durante la guerra di Crimea nel 1943. Precipitato con l’aereo venne
salvato da un gruppo di nomadi tartiani che lo curarono attraverso la
loro medicina.
If it had been for the tartars, I wouldn’t be alive today… I remember voices
saying “voda” (water), then the felt of their tents, and the dense pungent smell of
cheese, fat and milk. They covered my body in fat to help it regenerate warmth,
and wrapped it in felt as an insulator to keep the warmth in
2
.
2
“Se non fosse stato per i tartari oggi non sarei vivo.. Ricordo delle voci che dicevano “voda”
(acqua), poi il feltro delle loro tende, e il denso e pungente odore del formaggio, del grasso e del
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Questa esperienza, per quanto intrisa di mito, ebbe importanti
conseguenza sul suo percorso creativo, tanto che egli si avvicinò
sempre di più ad un approccio diretto con la natura. Questo suo forte
contatto con essa ha portato molti critici ad identificarlo come uno
“sciamano”. La natura di Beuys è, però, una natura che cambia, che si
trasforma e molto spesso è messa in relazione con apparecchi
tecnologici, avvicinando così le esperienze artistiche di Beuys a quelle
della Process Art. La natura diventa trasmettitrice di elettricità e
evidenza del cambiamento.
Lui stesso pone l’attenzione su questi punti
My objects are to be seen as stimulants of the transformation of the idea of
sculpture, or of art in general. They should provoke thoughts about what
sculpture can be and how the concept of sculpting can be extended to the
invisible materials used by everyone. (…) That is why the nature of my
[artworks] is not fixed and finished. Processes continue in most of them:
chemical reactions, fermentations, colour changes, decay, drying up.
Everything is in a state of change
3
.
E ancora:
Is the transformation of substance that is my concern in art, rather than the
traditional aesthetic understanding of beautiful appearances. If creativity
relates to the transformation, the change and the development of substance,
then it can be applied to everything in the world. It is no longer restricted to
art. (…) then fat lies inside the tub, like the moulding or sculpting hand that
lies behind everything in the world. This is creativity in the anthropological
sense, not restricted to artist. The relationship is with realities rather than
artefacts
4
.
latte. Mi ricoprirono il corpo di grasso per aiutarlo a rigenerarsi e lo avvolsero nel feltro per
isolarlo e mantenerlo caldo” (De Domizio Durini 1999, pp. 116-117).
3
“I miei oggetti devono essere visti come stimoli per la trasformazione dell’arte in generale.
Devono provocare riflessioni. Il concetto di scultura non è mai fissa né finita. Il processo naturale
continua: reazioni chimiche, fermentazioni, cambi di colore, essiccamento e decomposizione.
Tutto è in una stato di cambiamento” (Beuys, Volker 1986, p. 9).
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“È la trasformazione della sostanza il mio interesse in arte, piuttosto che la comprensione estetica
tradizionale di belle presenze. Se la creatività riguarda la trasformazione, il cambiamento e lo