4
INTRODUZIONE
Questo elaborato nasce dalla volontà di voler esaminare i diritti del minore
musulmano in un particolare territorio: la Palestina. L’analisi dei diritti del
bambino è stata svolta distinguendo i diritti del fanciullo riconosciuti dall’Islam
da quelli riconosciuti dalla dottrina |anafita, alla quale appartengono la maggior
parte dei palestinesi. La condizione giuridica del minore palestinese, nel diritto
islamico, nel diritto |anafita e nel diritto palestinese, è stata il fulcro della mia
analisi. Con l’avvento dell’Islam una prima evoluzione, che merita la nostra
attenzione, è data dalla concezione stessa di minore il quale fu visto come
soggetto di diritto. Ciò costituisce un contributo originale che l’Islam propone
come alternativa alla consuetudine preislamica che vedeva nel bambino un mero
oggetto di diritto. Il bambino, sin dal momento in cui è nell’alvo materno, è visto
come una persona di cui si spera l’esistenza.
All’interno del primo capitolo, intitolato “Il minore nel diritto islamico secondo
la dottrina |anafita”, è stata analizzata e sottolineata l’importanza che il minore ha
per questa scuola giuridica. Per essa il minore ha diritto ad avere un buon nome,
all’educazione, all’allattamento, all’istruzione, alla cura e alla tutela. Questi diritti
sono affidati ai genitori i quali dovranno, in base ai loro ruoli, crescere e allevare
il fanciullo. L’Islam ha creato e salvaguardato i diritti del bambino, sia quelli
relativi alla persona, come il diritto all’integrità del corpo o il diritto all’istruzione,
sia quelli patrimoniali, come l’eredità. La buona educazione del bimbo è un
obbligo per i genitori, o per chi ne faccia le veci, al fine di aiutarlo a crescere e a
sviluppare una personalità; nella stessa sfera d’interessi rientrano anche l’obbligo
dell’istruzione e la salvaguardia dell’integrità fisica e psicologica dell’infante,
proteggendolo da ogni eventuale abuso.
Il secondo capitolo, intitolato “La Costituzione palestinese e lo status della
Palestina a livello internazionale”, entra nello specifico del territorio palestinese:
partendo da un’analisi storico-giuridica della Palestina giungo all’attuale
condizione della Palestina a livello internazionale. Durante i secoli di occupazione
(ottomana, britannica e israeliana) la legge palestinese ha subito numerose
modifiche e il diritto di famiglia come l’età del matrimonio furono letteralmente
5
trasformati. Un cambiamento fondamentale è rappresentato dall’entrata in vigore
della Costituzione firmata da Y…sser ‘Araf…t. La Costituzione del 2003 tiene conto
del minore: secondo l’art. 29 il fanciullo ha diritto alla protezione totale, al
benessere, al divieto di ogni forma di sfruttamento, al divieto di svolgere un
qualsiasi tipo di lavoro nocivo per la sua salute e alla protezione da ogni tipo di
trattamento crudele. I minori possono essere segregati solo nel caso in cui siano
stati accusati di un crimine penale, ma anche, in questo caso devono essere trattati
in modo appropriato e la pena deve avere il solo fine di riabilitarli. Grazie alla
stesura della Costituzione e alla Dichiarazione di Indipendenza (1988), la
Palestina rientra all’interno dell’organizzazione delle Nazioni Unite nella figura di
movimenti di liberazione nazionale ottenendo lo status di “osservatore rafforzato”.
Però non si può ancora parlare di uno Stato palestinese vero e proprio data
l’assenza della capacità di esercitare un potere autonomo e effettivo sui territori
palestinesi, ma la si può definire in statu nascendi.
Nel 2004, il presidente del comitato esecutivo e dell’ANP ha emanato “Il
diritto del fanciullo palestinese”, pubblicato all’interno della Gazzetta Ufficiale
della Palestina nel mese di gennaio 2005. Tale diritto, analizzato nel terzo capitolo
di questo elaborato intitolato “La tutela dei minori in Palestina: il q…n™n al ¥ifl al
filas¥†n†, le leggi e i trattati internazionali”, è diviso in 13 capitoli: questioni
generali, tutela del fanciullo, tutela sociale, istruzione, tutela del fanciullo
lavoratore, protezione del fanciullo, riabilitazione sociale del fanciullo disabile,
cultura del fanciullo, protezione da responsabilità penale, creazione di un
Consiglio Supremo per l’infanzia e la maternità. Secondo questa legge, per
minore si intende ogni fanciullo che non abbia ancora raggiunto il diciottesimo
anno di età. A conferma dell’interesse che la Palestina ha nei confronti dei minori,
questa ha simbolicamente firmato la Convenzione dei diritti del fanciullo e la
Convenzione contro l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le
donne (CEDAW). Sebbene i minori palestinesi siano ancora esposti a numerosi
rischi e a una continua violazione dei loro diritti, si notano dei miglioramenti,
basti pensare che, dal 1995 ad oggi, i giudici del Consiglio Supremo islamico
hanno emanato tre fat…w… inerenti il matrimonio precoce.
6
Nel quarto capitolo di questo elaborato intitolato “Il diritto penale palestinese:
il minore e le violazioni dei diritti internazionali” analizzo le leggi penali inerenti
il minore nonché le violazioni da parte di Israele riferendomi, in particolare,
all’uso dei bambini come scudo umano, ai bambini soldato, all’arresto, detenzione
e all’aborto, il quale assume grande importanza nel diritto penale, ma non tutela
del tutto le donne. Le pene previste in caso di reato penale sono: reclusione, pena
di morte, multa, prezzo del sangue (corrispondente alla vendetta privata) e
riabilitazione. Come nella Costituzione del 2003 e nel diritto del fanciullo
palestinese, anche nelle leggi penali il minore e l’insano di mente sono passibili
della sola pena di reclusione, a patto che questa non abbia alcun fine se non quello
di riabilitarlo. Il diritto penale riconosce come reato di stupro il rapporto sessuale
con un minore al di sotto dei sedici anni, ma tale reato è spesso tradito dalla
presenza dei crimini d’onore. La pena di morte non può essere inflitta al minore,
al malato di mente o alla donna incinta data l’importanza riconosciuta al bambino
sin dal momento in cui questi si trova ancora nell’alvo materno.
Nell’ultimo capitolo intitolato “Nascita e sviluppo dei diritti umani”, esamino i
diritti umani e quelli del fanciullo nel mondo intero in generale e nei Paesi arabo-
islamici in particolare. I diritti umani, a livello internazionale, trovano spazio dalla
seconda guerra mondiale con la stesura della Dichiarazione dei diritti umani del
1948. Durante l’approvazione di tale dichiarazione, alcuni Paesi arabi reagirono in
modo diverso e tale reazione portò alla stesura di nuove carte, inerenti i diritti
umani, di matrice arabo-islamica.
D’altro canto, il minore, in quanto uomo in fieri, portatore di diritti
fondamentali, diventa soggetto di diritti e non più oggetto di tutela e protezione. I
primi strumenti giuridici si soffermano, solo, sulla protezione dei bambini da
specifiche forme di sfruttamento. A differenza dei diritti umani, il diritto del
minore è un concetto giuridico recente, che solo con la Convenzione di New York
sui diritti del fanciullo, firmata il 20 novembre del 1989, avvia un vero e proprio
mutamento a favore della tutela dei diritti del fanciullo. La Convenzione, adottata
dall’Assemblea Generale dell’ONU trent’anni dopo l’approvazione della
Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, rappresenta il trattato sui diritti
umani più ampliamente approvato dalla storia e, nel corso degli ultimi due
7
decenni, ha trasformato il modo di considerate e trattare i bambini. Il primo
documento di tutela per tali diritti da un punto di vista islamico fu la Convenzione
sui diritti del fanciullo nell’Islam, adottata dalla Conferenza islamica dei ministri
degli esteri degli Stati membri dell’OCI, a Sana'a nel giugno del 2004. In essa
manca ogni riferimento alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e non
vi è alcuna definizione di fanciullo legata all’età. Il minore è definito
semplicemente come “ogni essere umano che non ha raggiunto la maturità”. Ciò
rende difficile stabilire chi è il soggetto di tali diritti, data la presenza delle diverse
correnti di pensiero presenti nelle varie scuole giuridiche. Questa convenzione ha
una chiara impronta islamica e bisogna sottolineare che, per la prima volta, si può
notare un preciso riferimento alla Convenzione O.N.U. di New York. A tale
dichiarazione fa seguito la Dichiarazione di Rab…¥ sulla questione del bambino,
emanata sempre dagli Stati membri dell’OCI. Gli Stati riconoscono la
Convenzione come cornice di riferimento per la promozione e protezione dei
diritti del bambino.
Ma la situazione del minore palestinese è maggiormente difficile: egli vive
all’interno di un conflitto, a tratti armato a tratti pacifico, che dura da più di mezzo
secolo. Le ONG, in qualità di unico “soggetto” in grado di trasmettere
informazioni attraverso report annuali o mensili, a informarci, costantemente,
della situazione palestinese chiedono l’intervento di enti internazionali i quali,
data la non-soggettività politica internazionale della Palestina, non riescono a
intervenire come dovrebbero.
8
CAPITOLO PRIMO
IL FANCIULLO NEL DIRITTO ISLAMICO
SECONDO LA DOTTRINA ðANAFITA
Introduzione
Il diritto islamico è costituito dall’insieme delle regole al cui rispetto sono
tenuti tutti coloro che aderiscono all’Islam. Il diritto islamico è un sistema
peculiare e autonomo. È la parola divina, il comandamento dato da Allah, sovrano
e legislatore della comunità musulmana, attraverso il Corano e la Sunna. Quando
la Rivelazione cessò, a causa della morte del Profeta, il potere legislativo diede
spazio alla dottrina, o giurisprudenza, la quale cercò, e ancora oggi cerca, di
estrapolare, dalla legge rivelata, i tesori che vi sono racchiusi atti a risolvere le
controversie che sorgono tra i musulmani.
1
Il termine musulmano deriva dalla
parola Islam la quale letteralmente significa “sottomissione a Dio”. L’Islam è un
modo di vivere basato sulla volontà di Dio, al rispetto del quale sono tenuti tutti
quelli che hanno accettato la religione rivelata dal Profeta attraverso il Corano.
2
Il
Corano è la fonte suprema e la base storica della legge islamica al quale si unisce
la Sunna (pratica, modo abituale di agire), consuetudine del Profeta che
comprende le regole dedotte dalle sue parole e dal suo modo d’agire. A queste due
fonti, che si ricollegano alla volontà divina, si aggiunge l’iÞm…‘, consenso, della
Comunità dei credenti. “L’iÞm…‘ è fonte di diritto, in primo luogo, in quanto
garantisce l’autenticità delle altre fonti, ed è quindi fondamento della loro autorità
giuridica e storica. L’iÞm…‘ o consenso è quindi fonte di legge, al pari di un testo
formale del Corano o del |adiÅ”.
3
Il consenso deve essere unanime, cioè la società
deve essere concorde espressamente o implicitamente con una pratica o un
1
Cfr. D. Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malichita con riguardo anche al sistema
sciafiita, Istituto per l’Oriente, Roma 1926, Vol. I, p. 87.
2
Cfr. L. Milliot e F. P. Blanc, Introduction a l’étude du droit musulman, Sirey, Paris 1987, p. 1.
3
Cfr. D. Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malichita con riguardo anche al sistema
sciafiita, cit., pp. 32-33.
9
precetto determinato. Tre delle quattro fonti del diritto islamico, le principali, sono
le stesse della teologia.
4
Vi è un’ultima fonte del diritto: qiy…s, analogia. Questa
fonte dipende dal criterio fallibile dell’uomo, si tratta di un processo induttivo
disciplinato dalle regola della logica, vale a dire quando il giurista non trova nella
legge la regola da applicare al caso da dirimere dovrà ricercare per analogie: è
probabile che la regola si possa desumere o estrarre da altri casi simili. In assenza
anche di questa possibilità il giurista non potrà far altro che prendere una
decisione attraverso un ragionamento sistematico: ra’y.
5
Per le scuole giuridiche le fonti del diritto non sono solo queste. Esse, infatti, vi
annoverano anche la consuetudine.
6
La scienza del diritto, ‘ilm al-fiqh, invece, si suddivide in “radici della
giurisprudenza” e in “rami della giurisprudenza”. I rami della giurisprudenza,
sono stati a loro volta suddivisi in obblighi verso Dio o pratiche di culto e in
rapporti giuridici con gli altri uomini.
7
Una volta elencate sommariamente le fonti da cui si ricavano le regole che
compongono il diritto islamico, si può passare ad analizzare i destinatari cui esse
sono dirette. A tal fine occorre partire dal concetto di persona: l’esistenza fisica
della persona è il presupposto necessario per l’acquisizione della titolarità dei
diritti e dei doveri, sia per ciò che concerne la religione sia per ciò che concerne
l’ordine giuridico.
8
Per poter diventare titolare di diritti e di doveri bisogna
appartenere al genere umano, cioè essere uomo, raÞul. Tale titolarità viene
acquisita al momento stesso della nascita, vale a dire dopo il distacco del feto
dall’alvo materno; il feto distaccato deve essere vivo e vitale,
9
deve cioè aver
emesso un grido o un vagito.
10
Un soggetto per esercitare i diritti e i doveri di cui
è titolare dovrà acquisire la capacità d’agire. Solo il musulmano maschio, pubere,
libero e sano di mente ha piena capacità di agire.
4
Cfr. A. Cilardo, Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano. Le bozze di intesa tra la
Repubblica Italiana e le associazioni islamiche, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2002, p. 27.
5
Cfr. Ivi, pp. 35-36.
6
Cfr. Ivi, pp. 28-36.
7
Cfr. A. Cilardo, F. Mennillo, Due sistemi a confronto: la famiglia nell’islam e nel diritto
canonico, CEDAM, Padova 2009, p. 4.
8
Cfr. A. Cilardo, Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano. Le bozze di intesa tra la
Repubblica Italiana e le associazioni islamiche, cit., pp. 93-95.
9
Cfr. Ivi, pp. 49-50.
10
Cfr. D. Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malichita con riguardo anche al sistema
sciafiita, cit., p. 94.
10
L’esercizio della capacità di agire risulterà limitato in tutti quei casi in cui uno
di questi requisiti mancasse o dovesse venire meno in un secondo momento.
11
Per poter acquisire la capacità di agire il soggetto deve professare la religione
islamica. L’Islam, infatti, divide l’umanità in fedeli ed infedeli. Gli infedeli sono a
loro volta poi suddivisi in due ulteriori sottocategorie: la Gente del Libro e le
Genti degli Idoli. I grandi monoteismi che trovano la loro guida e il loro
fondamento in un testo sacro sono chiamati la Gente del Libro. Gli adoratori di
idoli che seguono invece religioni politeistiche sono considerati le Genti degli
Idoli.
La posizione della donna è differente: nel Corano è accettata e dichiarata l’idea
della superiorità dell’uomo sulla donna.
12
La donna, limitata nella capacità di agire
a causa del sesso, è esclusa, non solo dal potere supremo ma anche da tutti gli
uffici pubblici. Quindi, “mentre i diritti innati allo status umano sono comuni sia
all’uomo che alla donna, quelli, invece, correlati a una funzione sono diversi per
l’uomo e la donna, in riferimento alle varie funzioni”.
13
La maggiore età è rappresentata dal raggiungimento della pubertà alla quale va
aggiunta la capacità di amministrare bene il proprio matrimonio. La vita
dell’uomo si divide, quindi, in due periodi ben precisi e distinti tra di loro:
1) impubertà: rappresenta il primo periodo della vita che comincia con la nascita
e finisce con il raggiungimento della pubertà; esso si divide a sua volta in altri
due periodi: il primo va dalla nascita al settimo anno, solo per i šafi ʻiti fino al
nono, il secondo va dal settimo anno fino alla pubertà. Fino al settimo anno
l’impubere è incapace di contrarre civilmente alcunché, perché privo di
discernimento, e non può rispondere ad accuse penali, perché privo di
ragione. Compiuto il settimo anno si presume dotato di discernimento ed ha
pertanto l’obbligo di compiere i suoi doveri religiosi e dal decimo anno in poi
vi può anche essere costretto con punizioni disciplinari dal padre o dal
tutore;
14
11
Cfr. Ivi, p. 95.
12
Cfr. J. Schacht, Introduzione al diritto musulmano, Edizioni della Fondazione Giovanni
Agnelli, Torino 1995, pp. 132-133.
13
Cfr. A. Cilardo, Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano. Le bozze di intesa tra la
Repubblica italiana e le associazioni islamiche italiane, cit., p. 50.
14
Cfr. Ivi, p. 104.
11
2) pubertà: rappresenta il periodo che ha inizio dal momento in cui cessa
l’impubertà. Questo momento viene riconosciuto in base a due condizioni:
a) il raggiungimento della pubertà: questa si desume tanto per i maschi che
per le femmine dall’habitus corporis vale a dire dall’emissione spermatica
per i maschi e dalla comparsa delle mestruazioni o dalla gravidanza
per le femmine. La teoria dell’habitus corporis varia però a seconda delle
scuole giuridiche;
b) l’attitudine del pupillo a bene amministrare i suoi affari. Il fanciullo di
sesso maschile una volta ottenuti questi due requisiti è considerato
emancipato dall’autorità paterna. Se invece si trova sottoposto all’autorità
di un tutore testamentario si richiede una emancipazione formale data dal
tutore o dal giudice.
Per l’emancipazione della fanciulla si richiede, oltre alla pubertà e all’attitudine
ad amministrare i propri beni, il matrimonio consumato; un’emancipazione
formale data dal padre o dal tutore anche prima del matrimonio; o che ella sia
giunta ad un’età tale per cui non possa più sperare di trovare marito.
15
La maggiore età è fissata, dunque, nella maggior parte dei casi al momento del
raggiungimento del settimo, o nono, anno di età. Se la maturità fisica non si
manifesta con l’habitus corporis allora è raggiunta all’età di quindici anni per tutte
le scuole giuridiche, tranne che per i m…likiti per i quali è raggiunta all’età di nove
anni.
16
Tra i soggetti cui il diritto islamico attribuisce la capacità di agire manca lo
schiavo, non essendo egli in possesso del requisito della libertà. Lo schiavo,
infatti, “è considerato una merce quindi oggetto di diritto [...] La schiavitù può
estinguersi in seguito all’affrancamento, anche post mortem, per un atto di ultima
volontà, mediante emancipazione per contratto, o in alcuni casi previsti dal diritto
islamico, come il caso della schiava messa incinta dal padrone o che ha avuto un
figlio da lui, la quale diventa libera alla morte del padrone”.
17
Lo schiavo quindi
15
Cfr. Ivi, pp. 105-107.
16
Cfr. A. Giladi, “Concepts of Childhood and Attitudes towards Children in Medieval Islam: A
Preliminary Study with Special Reference to Reaction to Infant and Child Mortality”, in Journal of
the Economic and Social History of the Orient, 32,2 (1989), pp. 121-152.
17
Cfr. A. Cilardo, Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano. Le bozze di intesa tra la
Repubblica italiana e le associazioni islamiche italiane, cit., p. 52.
12
non è ritenuto pienamente responsabile delle sue azioni in quanto limitato dalla
presenza di un padrone che ne è pertanto responsabile.
18
La capacità di agire è
limitata anche a quei pregiudicati accusati di aver commesso gravi reati in quanto
sprovvisti di piena libertà.
La perdita della capacità di agire può essere dovuta a un comportamento
riprovevole nei confronti della religione o ad infermità. Quest’ultima, fisica e
morale, può diventare infine, anche causa di limitazione della capacità di agire: in
caso di malattia mortale, il musulmano è impedito a causa del suo stato mentale e
fisico. Si considera mortale la malattia che ha un esito letale. Solo se l’infermità è
fisica il limite è temporaneo.
19
Sono limitati nell’agire anche la donna prossima al
parto, il soldato che si trova in battaglia tra le file dei combattenti, il condannato a
morte o a una mutilazione che implica il rischio di morte. A questi individui è
concesso concludere atti a titolo oneroso ma non atti gratuiti.
20
Una parziale limitazione della capacità di agire può essere dovuta a uno stato di
insolvenza dei propri debiti
21
o ad ubriachezza, la quale è vista come causa di
turbamento, più o meno profondo, di tutte le facoltà, in primis della ragione e del
discernimento, ed è quindi un ostacolo all’esercizio della capacità di agire.
22
Una volta acquisita la capacità di agire, le cause di perdita possono essere: la
morte e l’assenza, ai quali va aggiunto quello che, per i musulmani, è il reato più
grave: l’apostasia.
23
La ridda è considerata, dal punto di vista religioso, con
maggior sfavore della miscredenza, e nel campo del diritto il murtadd, l’apostata,
è considerato privo di capacità giuridica e passibile di applicazione di una delle
pene |add.
24
A differenza di altri sistemi giuridici, quello islamico non presenta alcuna
distinzione fra persona giuridica e persona fisica: il soggetto dei diritti è sempre la
persona umana.
25
18
Cfr. J. Schacht, Introduzione al diritto musulmano, cit., pp. 133-139.
19
Cfr. Ivi, p. 102.
20
Cfr. D. Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malichita con riguardo anche al sistema
sciafiita, cit., p. 102.
21
Cfr. Ivi, pp. 20-25.
22
Cfr. Ivi, p. 104.
23
Cfr. Infra, Cap. I, p. 46.
24
Cfr. A. Cilardo, Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano. Le bozze di intesa tra la
Repubblica italiana e le associazioni islamiche italiane, cit., p. 52.
25
Cfr. Ibidem.
13
1.1 La concezione del fanciullo nell’Islam
L’Islam ha conferito una grande importanza all’essere umano in tutte le fasi
della sua vita, dal momento in cui viene concepito fino alla morte; in questa
cornice, i diritti del bambino rappresentano un capitolo molto importante.
Il minore inteso come soggetto di diritto costituisce un contributo originale che
l’Islam propone come alternativa alla consuetudine preislamica che vedeva nel
bambino un mero oggetto di diritto. Infatti, prima dell’avvento dell’Islam l’infante
era considerato proprietà del padre che ne poteva disporre a proprio piacimento,
basti pensare alla sepoltura delle neonate o al sacrificio dei figli per soddisfare una
divinità idolatrata, quest’ultima era vista come una pratica estrema ma tollerata ed
è riportata anche nel Corano.
26
L’Islam ha condannato l’infanticidio: “e quando s’annuncia a un di loro una
figlia se ne sta corrucciato nel volto, rabbioso. E s’apparta dalla sua gente
vergognoso della disgrazia annunciata, e rimugina fra sé e sé ignominiosamente
tenersela, o seppellirla viva nella terra! Malvagio giudizio il loro!”.
27
Con
l’avvento dell’Islam le bambine, alla nascita, non venivano più sepolte vive in
quanto non erano più oggetto di alcuna vergogna e il sacrificio dei bambini fu
abolito. L’infanticidio si riferisce al neonato, sia maschio che femmina, ma
quest’ultima è menzionata specificamente ben due volte nel Corano,
28
è perciò
possibile immaginare che, nel periodo preislamico, l’infanticidio delle neonate
fosse molto più comune di quella dei neonati.
29
Le neonate erano discriminate
dalla nascita non solo nel periodo preislamico ma anche durante il medioevo
musulmano. Nella società musulmana, le neonate erano vittime del potere della
cultura che vedeva nel maschio il sesso “superiore”. Oltre all’infanticidio,
26
“Ed è così che i loro dei hanno reso accettabile a molti politeisti l'assassinio dei loro figli, per
farli perdere e per confondere la loro religione”. Il Corano, Introduzione, traduzione e commento
di A. Bausani, BUR, Milano 1978. Cor VI,137.
27
Cor XVI,58-59.
28
Cor LXXXI,8 “E quando verrà chiesto alla neonata sepolta viva” e Cor XVI,58-59 “Quando
si annuncia ad uno di loro la nascita di una figlia, il suo volto si adombra e soffoca in sé la sua ira.
Sfugge alla gente, per via della disgrazia che gli è stata annunciata: deve tenerla nonostante la
vergogna o seppellirla nella polvere? Quanto è orribile il loro modo di giudicare”.
29
Cfr. A. Giladi, “Some Observations on Infanticide in Medieval Muslim Society”, in
International Journal of Middle East Studies, 22,2 (1990), pp. 185-188.
14
nell’ideale costruzione della tradizione islamica, e nelle sue implicanze normative
vi sono poi altre due questioni collegate a tematiche di pertinenza giuridica che
toccano l’infanzia, vale a dire la proibizione introdotta dall’Islam – rispetto alla
prassi e tradizione pre-islamica- del baliatico e dell’adozione.
30
Questi ultimi due
casi richiamano il mondo dell’infanzia per regolare il diritto soprattutto degli
adulti e per definire, in senso islamico, la parentela e i diritti e doveri che ne
conseguono.
31
I concetti di infanzia e gli atteggiamenti verso i bambini nella
società medievale musulmana erano, senza alcun dubbio, inequivocabili. “Da un
lato, l’amore dei genitori e la loro reazione in caso di morte dei propri figli non
erano insolite, dall’altro, i bambini erano spesso vittime di punizioni severe e
abusi”.
32
Ancora più critica era la situazione del nascituro al quale non era
riconosciuta alcuna tutela, cosa che con l’avvento dell’Islam cambiò.
Altra caratteristica è la suddivisione della vita del fanciullo in tante parti quante
sono le fasi principali della vita umana:
la fase prenatale
la fase dell’infanzia
la fase della maturità.
L’Islam ha creato e salvaguardato i diritti del bambino, sia quelli relativi alla
persona, come il diritto all’integrità del corpo o il diritto all’istruzione, sia quelli
patrimoniali, come l’eredità. Un bambino non ancora nato potrà ereditare ed
essere destinatario di una disposizione di ultima volontà, mentre se è schiavo, può
essere affrancato o lasciato in eredità, ma non venduto.
33
La religione ha istituito questi diritti e ne ha imposto il rispetto. Uno di questi
diritti è l’educazione, attraverso cui veicolare un modello di vita fondato sui buoni
costumi e comportamenti esemplari; un altro è la giustizia, tesa a garantire il
rispetto dei diritti.
34
30
Cfr. Infra, Cap. I, p. 47.
31
Cfr. R. Tottoli, “Infanzia e bambini nella tradizione islamica”, in A. Cilardo (a cura di), La
tutela del minori di cultura islamica nell’area mediterranea. Aspetti sociali, giuridici e medici,
E.S.I., Napoli 2011, pp. 266-267.
32
Cfr. Ibidem.
33
Cfr. A. Cilardo, Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano. Le bozze di intesa tra la
Repubblica italiana e le associazioni islamiche italiane, cit., pp. 29-30.
34
Cfr. Abdel Rahim Omran, Family Planning in the Legacy of Islam, Routledge, London &
New York 1992, pp. 30-32.
15
I riferimenti al mondo dell’infanzia ci giungono anche dai detti e
comportamenti del Profeta il quale è sempre stato descritto come una persona con
grande comprensione verso bambini. “La tradizione ci ha raccontato di un Profeta
comprensivo e affettuoso con i bambini [...]”.
35
In tale cornice rientra la commozione e il rimpianto per la perdita dei figli.
Molti giureconsulti musulmani supportano l’idea che se un bambino muore deve
essere trattato come se a morire fosse stato un adulto. La morte di un figlio
secondo Giladi “is one of the most difficult ordeals the muslim is expected to
endure in order to prove his belief and submission to the divine decree”.
36
Il bambino ha diritto a un’educazione che possa fare di lui un uomo in grado di
assumersi le proprie responsabilità nella società; ha diritto all’allattamento,
quando la salute della madre e le contingenze lo consentano, considerato il ruolo
importante che il latte materno ha per la sua stabilità fisica.
Ibn ³ald™n,
37
considera l’educazione un mestiere e definisce coloro che la
praticano degli artigiani.
38
Al-‹az…l†
39
dichiara che il fanciullo, al momento della
35
Cfr. A. Giladi, “The Child Was Small Not So the Grief for Him”, in Poetics Today, 14,2
(1993), pp. 367-386.
36
Cfr. Id., “Concepts of Childhood and Attitudes towards Children in Medieval Islam: A
Preliminary Study with Special Reference to Reaction to Infant and Child Mortality”, cit., pp. 121-
152.
37
Ibn ³ald™n (Tunis 1332 - Cairo 1406) ricoprì molti ruoli importanti, da ministro a
insegnante. Era discendente di una famiglia aristocratica. Il padre e il nonno erano famosi
intellettuali. I suoi primi studi riguardavano la legge, il Corano, la poesia araba e la grammatica. In
seguito si concentrò sullo studio del misticismo arabo. A soli vent’anni cominciò la sua carriera
governativa. Una vita piena di vicissitudini lo condusse in numerosi corti minori tra l’Africa
settentrionale e Granada, prima di terminare i propri giorni al Cario dove ricoprì più volte la carica
di giudice superiore ma dove finì, a più riprese, in carcere. Decise di ritirarsi a vita privata per ben
otto anni, durante gli ultimi tre anni scrisse Kit…b al- ʻibar, la sua storia del mondo. Nel novembre
del 1377 la sua Muqaddima fu terminata. Tale opera lo ha reso famoso fino ai giorni nostri. In essa
analizza tutti i rami delle scienze. In realtà, l’opera consiste della Prefazione e del Primo Volume
del suo Kit…b al- ʻibar. Fu il primo tentativo realizzato da uno storico per capire i fattori che
giocano un ruolo chiave nell’organizzazione politica e sociale dell’uomo. Nella sua opera, Ibn
Ḫald ūn, sostiene che gli Stati sono destinati a un naturale declino a causa dell’allentamento dello
“spirito di corpo” e a causa del fatto che i re e i sovrani non si comportano più con giustizia e
diventano tiranni. Era consapevole dell’impossibilità di realizzare tanto uno Stato islamico quanto
un modello islamico di Stato. Per lui l’uomo è un animale politico obbligato per natura a vivere in
società di cui non può fare a meno. L’uomo necessita di un’autorità regale che domini i suoi simili
e gestisca il loro potere e la loro autorità poiché la gente non può persistere in uno stato di
anarchia. Il califfato è dunque la forma perfetta di autorità regale attraverso la quale la legge
religiosa persiste. Le sue tesi gli hanno conferito la fama di primo sociologo. Cfr. F. Rosenthal, Ibn
Khald ūn. The Muqaddimah, An Introduction to History, N. J. Dawood, Princeton 1969, pp. 3-33;
Cfr. M. Campanini, Ideologia e politica nell’Islam, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 97-107.
38
Cfr. A. Giladi, Children of Islam. Concepts of Childhood in Medieval Muslim Society, St.
Martin’s Press, New York 1992, pp. 42-48.
16
nascita, è come una tabula rasa sulla quale saranno i genitori a “scrivere” un
linguaggio, una tradizione e una religione.
40
Nella sua opera, I|y…’ al-‘ul™m ad-
d†n, dedica un capitolo intero all’educazione del bambino la quale, secondo
l’autore, è obbligatoria sia in casa sia a scuola.
41
La responsabilità dell’educazione del fanciullo ricade tutta sui suoi genitori i
quali devono averne cura e allontanarlo dal male; i genitori sono perciò i primi
responsabili di tutte le azioni che il bambino compie e compirà. Questa
responsabilità sarà condivisa, una volta avvenuta una prima crescita del fanciullo,
tra la sua famiglia e i suoi maestri. Crescere in modo adeguato un fanciullo vuol
dire dargli un buon carattere.
42
L’educazione coinvolge tutti gli aspetti della personalità del fanciullo, da
quello intellettuale a quello religioso, da quello morale a quello fisico.
Questi precetti e queste prescrizioni sono tutti orientatati verso la salvaguardia
degli interessi dell’infante.
43
39
Ab ū H āmid Al- Ġazal ī (Tus 1058- Ğamada 1111). Studiò legge a Baghdad, città che sotto i
Selgiuchidi perse il suo significato politico, ma rimase un centro culturale di grande attrattiva e
fascino. Il visir selgiuchide, Niz ām al-Mulk (1018-1092) vi fondò un’Università giuridico-
teologica secondo il modello iranico. Il primo professore che vi nominò fu il celebre teologo Al-
Ġazal ī.
Questi sono gli anni in cui iniziò la sua attività letteraria. Dopo una crisi spirituale si distaccò
dalla filosofia e dalla teologia di tipo razionalistico e abbandonò la posizione di docente
universitario per ritirarsi a vita privata per ben 11 anni. Il lungo ritiro gli consentì di progettare e
comporre la sua I|y…’ al-‘ul™m ad-d†n, la rinascita delle scienze religiose, opera monumentale,
somma di tutte le questioni teologiche, vera e propria enciclopedia del sapere teologico nell’Isl ām
medievale. L’attenzione e la devozione di questo autore si concentrarono su Dio, Unico e Eterno,
Creatore di tutto ciò che esiste. Ebbe una fede indiscussa nel Profeta. Fu un convinto sostenitore di
tutte le cose che Dio ha detto circa questo mondo e l’aldilà quali, ad esempio, l’esistenza dei due
angeli della morte, la bilancia e il ponte, figure che rientrano nell’escatologia musulmana. Gli
effetti della sua opera, Tah…fut al-fal…sifa, l’incoerenza dei filosofi, furono negativi per la filosofia
islamica: i suoi violenti attacchi contro tutti i filosofi, greci e musulmani, tacciati di empietà o di
eresia, furono per la filosofia stessa un colpo mortale e segnò la fine di quella filosofia islamica
che aveva avuto rappresentanti validi. Egli negava la teoria dell’eternità del mondo e denunciava
l’incapacità dei filosofi di provare l’esistenza di Dio e la sua unità. Di ritorno da questo “esilio”
riprese a insegnare a Naisabur. La conoscenza delle sue opere giunte sino a noi è però incompleta.
al-Ghazali, La perla preziosa. La vita dopo la morte, a cura di. Villani T. e Dalla Vigna P.,
Mimesis, Milano 2005, pp. 7-15.
40
Cfr. A. Giladi, Children of Islam. Concepts of Childhood in Medieval Muslim Society, cit.,
pp. 47-48.
41
Cfr. Id., “Islamic Educational Theories in the Middle Ages: Some Methodological Notes
with Special Reference to al-Ghazali”, in British Society for Middle Eastern Studies, 14,1 (1987),
pp. 3-10.
42
Cfr. Id., Children of Islam. Concepts of Childhood in Medieval Muslim Society, cit., pp. 42-
48.
43
Cfr. Adel Abu al-'ela, I diritti dell’infanzia nell’Isl…m, Direttore del Dipartimento di Studi
Islamici dell’Università Re Abdulaziz di Geddah, www.arabia-saudita.it, p. 4.
17
Risulta chiaro che all’interno dell’Islam non vi è distinzione fra maschi e
femmine, per ciò che riguarda la crescita e lo sviluppo. Entrambi hanno la
possibilità di acquisire informazioni, studiare e diventare maturi in modo da
potere essere in grado di assumersi le proprie responsabilità. Il rapporto dei
genitori con i figli è fondato sull’indulgenza e sulla responsabilità dei primi verso
i secondi.
44
Da questa analisi risulta che “il mondo islamico ha lasciato testimonianza di
un’attenzione per l’infanzia non indifferente, e certo originale, rispetto a altre
tradizioni religiose prima dell’età moderna e contemporanea”.
45
1.2 I diritti del fanciullo nella šar†‘a
Il complesso dei doveri che grava sul musulmano è detto šar†‘a. Questo
vocabolo etimologicamente significa “via che conduce all’abbeveratoio” e
metaforicamente “via diritta rivelata da Dio”. Da questo significato si è giunti al
significato di legge religiosa di origine divina in quanto via diritta rivelata da Dio
per regolare e valutare la condotta umana, limitandone la libertà d’azione. La
šar†‘a regola le azioni umane solitamente di natura religiosa ma vi sono alcuni
precetti di rilevanza giuridica.
46
La šar†‘a organizza la vita individuale e collettiva dell’intera umma, comunità
islamica. Rappresenta l’ideale di vita del musulmano che si basa sulla perfetta
volontà divina: “è l’unica via da seguire per rimanere fedeli all’Islam e, perciò, la
legge religiosa deve prevalere su qualsiasi concezione politica o legge umana”.
47
In essa si trovano i precetti giuridici che regolano la vita della società e che
controllano tutti gli aspetti della vita, sia religiosi sia civili.
48
Per gli ortodossi è il
metro atto a comprendere se un’azione è buona o cattiva. Da ciò si evince che il
musulmano, pubere e sano di mente, deve basare la propria vita secondo
44
Cfr. F. Castro, Corso elementare di istituzioni di diritto musulmano, Università degli Studi di
Venezia, Venezia 1984, p. 4.
45
Cfr. R. Tottoli, “Infanzia e bambini nella tradizione islamica”, cit., p. 271.
46
Cfr. A. D’Emilia, Scritti di diritto islamico, cit., p. 45.
47
Cfr. A. Cilardo, Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano. Le bozze di intesa tra la
Repubblica italiana e le associazioni islamiche italiane, cit., pp. 36-37.
48
Cfr. Ivi. p. 37.