PREFAZIONE
Ho inteso nel presente lavoro approfondire l’esame del
personaggio di Seneca, i suoi scritti, la sua complessa
personalità, i travagli, le illusioni, gli errori della vita e del
suo pensiero, e dei personaggi delle sue tragedie, in cui il
Cordovano imprime tutta la sua vis tragica, e che riveste,
nella storia della letteratura, un’importanza particolare.
Oltre a costituire l’unico esempio superstite di teatro tragico
latino, le tragedie sono state il modello imprescindibile del
teatro rinascimentale ed elisabettiano, in particolare di
quello shakespeariano.
«Le tragedie di Seneca sanno comunicarci il brivido di una
sensibilità nuova, aperta alle più tenebrose perversioni ed ai
più paurosi abissi dell’umana passionalità»(Paratore).
In queste tragedie, fosche e profondamente cupe, egli
esplora le pieghe più oscure dell’animo umano con una
sapienza psicologica fino ad allora sconosciuta.
L’azione messa in scena da Seneca è frammentata,
segmentata e raccontata da angolazioni sempre differenti,
fino ad avvolgere i protagonisti in una rete inestricabile di
crimini antichi e recenti che non potranno venire espiati che
con il sangue.
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La vera protagonista è la guerra, con il suo strascico
infinito di lutti e dolori per i vincitori non meno che per i
vinti.
Lo stoico mette in scena un universo segnato dalla perdita di
controllo delle passioni, in cui anche gli dei sono presenze
lontane ed inconsistenti da sembrare addirittura
insignificanti ed in cui l’uomo vive in una sempre maggiore
e disperata solitudine.
Seneca mette in evidenza il legame esistente tra la
violazione dell’ordine naturale e la sete di potere.
L’eroe senecano non combatte ma fiancheggia la sua
rovina.
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CAPITOLO I
SENECA NELLA CULTURA ROMANA E MODERNA
Seneca è uno degli intellettuali che più hanno influito sulla cultura
delle età successive, si può dire, fino a noi.
Certo non sempre la sua figura, le sue considerazioni di ordine
morale, il suo modo di essere intellettuale all’interno della società
romana nei confronti del potere, sono stati apprezzati adeguatamente;
anzi spesso egli è diventato idolo polemico da cui distaccarsi, ma sempre
tutti hanno dovuto fare i conti con la sua personalità.
1. Il giudizio negativo di Quintiliano
Nell’età dei Flavi egli fu oggetto di ragionati attacchi da parte di
Quintiliano che, nell’ambito di un recupero del classicismo tradizionale,
preferiva nettamente Cicerone.
Non è un caso che Quintiliano si lagni che i giovani ancora leggano
uno scrittore come Seneca, “pericoloso” per i suoi numerosi “difetti”
nello stile.
L’insegnamento di Quintiliano a Roma diventò quello di più ampia
risonanza e di maggiore prestigio; gli alunni seguirono con entusiasmo le
sue lezioni e si formarono sulla base dei suoi princìpi retorici, che si
possono così riassumere: rifiuto di Seneca e del suo stile, individuazione
di alcuni modelli a cui rifarsi tramite il canone dell’imitazione,
esaltazione sviscerata, all’interno di questi modelli, di Cicerone,
supervalutazione di un periodo “aureo” nella letteratura latina, che per
Quintiliano va dall’età di Cesare a quella di Augusto.
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Questi afferma nella sua opera il primato della retorica sulla filosofia,
e dei filosofi dà un giudizio negativo, sia perché essi non sembrano
preoccuparsi troppo dello stile sia perché non badano molto a conciliare
le proprie teorie con la vita privata, come nel caso di Seneca.
Nell’opera di restaurazione culturale che si propose di portare a
compimento, Quintiliano si rese conto di avere in Seneca un avversario
durissimo da sconfiggere.
Questi infatti gli appariva l’intellettuale tipo di una cultura che, a suo
dire, occorreva battere per ricostruirne ab imis una nuova per i giovani
del suo tempo.
Così nell’Institutio si lamenta del fatto che i giovani erano stati
soggiogati soprattutto dai difetti di Seneca, cui però riconosce innegabili
qualità:
A bella posta ho differito di parlare di Seneca, per l’opinione a torto
attribuitami, secondo cui io lo disapproverei e non lo potrei soffrire.
E questo mi accadde mentre mi sforzavo di richiamare ad un gusto più
severo lo stile corrotto e depravato da ogni genere di difetti: allora quasi
solo questo scrittore era nelle mani dei giovani (solus hic here in
manibus adolescentium fuit) ed io in realtà non tentavo di allontanarlo
del tutto dalle loro mani, ma non potevo tollerare che venisse preferito a
scrittori migliori, che egli d’altra parte non aveva mai smesso di criticare,
dato che, consapevole come era del suo diverso stile, temeva di non
riuscire gradito a quelli che amavano quegli scrittori.
I giovani, poi, lo amavano, più che imitarlo realmente, e tanto
degeneravano da lui, quanto egli si era allontanato dagli antichi.
Sarebbe stato preferibile, del resto, che essi riuscissero pari o almeno
vicini a quello scrittore.
Ma egli piaceva per i soli suoi difetti e ciascuno si applicava ad imitarne
quelli che poteva; e quando il giovane si vantava di esprimersi nello
stesso stile, finiva per screditare Seneca.
Del resto egli ebbe molti e grandi pregi: prontezza, ingegno agile e
fecondo, moltissimo studio, ampia erudizione.
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Tuttavia la polemica di Quintiliano contro Seneca si manifesta nelle
prese di posizione teoriche, nelle asserzioni di principio, più che nel
concreto della composizione delle opere, perché se si analizza a fondo il
suo stile, ci si accorge che esso molto risente dell’asimmetria e delle
ellissi proprie dello stile senecano.
La polemica contro Seneca perde parte della sua credibilità, quando,
analizzando lo stile dell’autore si scorge chiaramente proprio l’influsso
di Seneca, pervicacemente rifiutato sul piano della enunciazione di
principio.
Non mancano infatti ellissi verbali e nominali, grecismi, figure
retoriche come la metafora, insomma gli strumenti tipici della variatio e
della asimmetria senecane.
Anche a voler essere tutti costi antisenecani, si finiva poi col
riprodurre lo stile del filosofo di Cordova.
Più tardi, Frontone, che lo giudicava troppo moderno e lo accusava di
essere copiosus sententiis et redundans homo, e Gellio, alfieri di un
ritorno alla cultura arcaica, se ne fecero il bersaglio preferito.
La fortuna di Seneca subì una notevole inversione di rotta con
l’affermarsi del Cristianesimo, in quanto si cominciò a vedere in lui una
specie di anticipatore di certi valori cristiani, e durò senza interruzione
per tutto il Medioevo.
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2. Modello per il teatro italiano del ‘500 e per il teatro
Elisabettiano
Il vero e proprio successo di Seneca si ebbe in tutta Europa nel tardo
rinascimento.
Infatti sul finire del ’500 egli fu preso a modello da quanti composero
tragedie: così in Italia Gian Battista Giraldi Cinzio (1504 - 1573) con
l’Orbecche (1541), Sperone Speroni (1500 - 1588) con la Canace, in cui
all’imitazione dei greci si sostituì quella di Seneca, il che diede loro il
carattere “orroroso” e lugubre che esse hanno, e più ancora in Inghilterra
gli scrittori dell’età Elisabettiana, compreso il grande Shakespeare (1564
- 1616) (la sua amicizia con il Conte di Southampton, deve avergli dato
accesso alla grande libreria del Conte, dove potrebbe aver letto autori
come Seneca), si ispirarono dichiaratamente a lui, componendo tragedie
“orrorose” piene di elementi atroci.
Tra i classici, le più importanti furono le traduzioni di Seneca, come
Homer (1610) di George Chapman (1559 - 1634), ma soprattutto le
traduzioni di Lives (1579) di Plutarco di Thomas North da una versione
francese, che costituirono la fonte dei Drammi Romani di Shakespeare.
In Chapman, il “senechiano” Clermont D’Ambois, spinto a vendicare
suo fratello dal fantasma adirato di Bussy, si sforza di trovare un modo
onorevole per raggiungere il suo scopo, ma, alla fine si scopre incapace
di continuare a vivere come the slave of power tra all the horrors of the
vicious time e decide di uccidersi.
L’ambivalenza delle opere di Chapman è, fino ad un certo punto,
riflessa in quelle di John Marston (1576 - 1634); egli riprende lo
stoicismo e la magniloquenza di Seneca, ma vi aggiunge il proprio
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personale sconforto e un linguaggio cacofonico, scotendo il pubblico con
un frasario tortuoso, con accumuli di parole e neologismi astrusi.
Le Università inglesi, unitamente alle tante scuole che le rifornivano
di studenti già abituati a leggere i classici, dividevano col resto d’Europa
la passione per il recupero e la messinscena delle opere greche e latine e
per i nuovi tipi d’intrattenimento, atti a dimostrare la grande
preparazione culturale di tutti gli autori e attori coinvolti.
Le compagnie dei fanciulli, soprattutto la Chapel Royal a Londra,
furono un tratto distintivo nello sviluppo del teatro Elisabettiano, anche
se doveva essere il risveglio dell’ interesse per la tragedia classica a
rivelarsi decisivo nell’evoluzione del gusto nazionale.
La tragedia inglese mostrò, al suo nascere, la cupa influenza di
Seneca e del suo teatro sanguinario e sensazionalistico.
L’influenza di Seneca, che modellò le sue opere sul vecchio dramma
greco modificato dalla sua filosofia stoica, sulla tragedia
1
, fu certamente
molto penetrante.
Le caratteristiche senecane possono essere riassunte come segue:
- divisione dell’opera in cinque atti;
- sticomitia;
- tema di vendetta;
- trama sanguinaria;
- scene di sangue;
- atmosfera di orrore;
- presenza di fantasmi;
- declamazione tragica;
1
Il termine tragedia viene dal greco tragedìa = tràgos = capra, e odé = canzone. Esso
significa «una canzone cantata durante il sacrificio di una capra» o una canzone sacrificale;
da qui una rappresentazione sanguinaria e tragica.
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- lunghi monologhi.
Tra il 1559 e il 1561, Jasper Heywood (1535 - 1598), il figlio più
giovane dell’autore di The playe called the fare PP, pubblicò le
traduzioni inglesi delle Troades, del Tieste e del Hercules furens di
Seneca.
Una simile operazione venne ripetuta intorno al 1565 da un gruppo di
giovani laureati che pubblicarono versioni artigianali di altre quattro
tragedie, allo scopo di dimostrare che l’arte del pagano Seneca poteva
dare all’Inghilterra cristiana una lezione di rigore morale oltre che un
salutare ed altrettanto importante esempio di decorum drammatico.
Le opere di Seneca erano viste come modelli formali, capaci di
mostrare il sereno operato della giustizia divina e gli effetti della
vendetta umana; descrivevano le vicissitudini della sorte terrena e le
tragiche cadute di uomini di alto lignaggio; soprattutto, esprimevano
forti sentimenti morali in uno stile grandiosamente retorico.
Quando Sir Philip Sidney scrisse (in Defence of Poesie ) che
Gorboduc (the first English tragedy strictly based on Seneca) di Thomas
Norton (1532 – 1584) e Thomas Sackville (1536 – 1608) era «full of
stately speeches and well sounding Phrases, clyming to the height of
Seneca his stile, and as full of notable moralitie»
2
bene di tributare loro il
massimo elogio possibile, almeno secondo i canoni contemporanei.
Gorboduc, noto talvolta anche come The Tragedie of Ferrex and
Porrex (La tragedia di Ferrex e Porrex) (1561), è il testo teatrale più
innovativo e sconvolgente tra quelli ideati nei primi anni di regno della
regina Elisabetta.
2
Trad. ns: «ricco di discorsi solenni ed espressioni forti e chiare, con uno stile all’altezza di
Seneca e altrettanto ricco di nobile moralità».
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L’opera è qualcosa di più di un semplice adattamento di Seneca ad
uso e consumo del pubblico inglese: è il tentativo di sfruttare l’ enorme
potenziale della storia e del mito nazionale in termini drammatici, al fine
di contribuire allo sviluppo di un discorso politico di ampio respiro.
Fu un’opera di vendetta imperniata su un tema politico, piena di
spargimenti di sangue e assassini dovuti a rivalità familiari e anarchia.
Negli anni che vanno dal 1582 al 1590 si ebbe la composizione di tre
drammi, la Spanish Tragedy (1588)
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di Thomas Kyd (1558 - 1594)
(un’opera di vendetta sanguinaria, molto popolare, in cui gli ingredienti
senecani come assassini, fantasmi e orrori vari furono intrecciati con
quelli machiavellici, come villani, intrighi e corruzione), The
Misfortunes of Arthur di Hughes, il Titus Andronicus (1587, pubblicato
nel 1594), alla cui stesura partecipò largamente Shakespeare: «tre
drammi che segnano il definitivo consolidamento del “tipo senechiano”
nelle scene» (Pagnini).
Il teatro elisabettiano fu il prodotto di una perfetta fusione di elementi
tradizionali e classici, il fondersi dei quali diede i risultati seguenti:
- nonostante il classico Seneca, non ci fu osservanza delle tre
unità (tempo, spazio e azione)
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, dovuto all’influenza di opere
medievali,dove esse non erano rispettate;
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La trama, presa da Geoffrey di Monmouth e resa complessa dalla presenza di molti
caratteri, può essere riassunta come segue: costretto ad agire da solo per la natura corrotta
della corte di giustizia, Hieronimo finge di essere folle allo scopo di trovare gli assassini di
suo figlio, che egli alla fine uccide durante la messa in scena di una rappresentazione recitata
dalla stessa gente coinvolta nell’assassinio. Egli infine si suicida dopo essersi morsicato la
lingua. E’ interessante notare che la follia simulata del protagonista e l’episodio dell’opera –
dentro – un – opera ricorrono, più tardi, anche in Shakespeare.
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Le tre unità, o unità aristoteliche,furono fondate su una interpretazione del Rinascimento di
alcuni passaggi del Poetics di Aristotele. Questo implicava che:
- gli eventi dell’opera accadessero entro le 24 ore;
- lo scenario non fosse mai cambiato;
- ci fosse solo una trama senza nessuna sottotrama.
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