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Capitolo 1
1.1: La Vicenda Editoriale
Il 14 ottobre del 1908, l'editore londinese Edward Arnold pubblica A
Room with a View, terzo romanzo di un giovane autore inglese, non ancora
trentenne, il quale aveva già fatto parlare di sé grazie a due libri di recente
pubblicazione intitolati Where Angels Fear to Tread (1905) e The Longest
Journey (1907), editi entrambi da un'altra casa editrice, la William Blackwood
& Sons
1
. Questi due primi romanzi avevano riscosso un successo
incoraggiante,
[...] as the critics concurred, these books represented a remarkable
fictional debut, and they established Forster as one of the liveliest, and most
amusing, but also the most morally testing, of the novelists of his Edwardian
age. (Bradbury in Forster 2000: xv)
tanto da spingere il nuovo editore Arnold a sottolineare la paternità dei suddetti
per ben due volte nel testo da lui edito: una prima volta a pagina I, con un
veloce accenno sotto il titolo dell'opera, in cui leggiamo: «Author of The
Longest Journey and Where Angels Fear to Tread» (Forster 1908: 1) l'altra,
nelle pagine finali del libro – usate dalla casa editrice come appendice
pubblicitaria per reclamizzare le ultime pubblicazioni uscite – dove troviamo,
oltre al suddetto richiamo ai suoi due primi romanzi, una breve riflessione
anonima, incastonata in una piccola casella contenente titolo e autore del
romanzo, sulla fortuna e sullo stile dell'ultima fatica dello scrittore:
A novelist's third book, when its predecessors have shown great
promise, is generally held to make or mar his reputation. There can be no
1 Nel 1905 l'editore Blackwood stampò 1050 copie di WAFTT, seguite poco dopo, per merito
soprattutto delle recensioni favorevoli, da altre 526 copie; quindi, nel 1907 «Blackwood
took the modest risk of publishing 1587 copies of TLJ», seguite anch'esse, dopo alcuni
mesi, da una modesta ristampa di 525 copie. (Gardner 1973: 4)
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question that Mr. Forster's new story will effectually establish his position.
The author's whimsical humor, and unexpected turn of satire, have attained a
still more piquant quality. He excels especially in satirizing the banalities of
ordinary conversation, and his dialogue is always delicious and amusing.
(Forster 1908: pagina non numerata)
Le previsioni della casa editrice furono quanto mai esatte nel predire la
fortuna del giovane autore, nonché la propria, considerato che dal 1908 in poi
Arnold fu l'ultimo editore dei romanzi di Forster, del quale avrebbe in futuro
pubblicato due opere quali Howards End (1910) e il “bestseller” A Passage to
India (1924):
The tendency thus far demonstrated for Forster's novels to be issued in
enlarging editions was maintained by Howards End, 2.500 copies of which
were published in October 1910. This novel so consolidated Forster's
reputation that another 7.500 copies had been printed by the end of the year.
[...] The response to A Passage to India, in England, America and India itself,
was almost overwhelmingly enthusiastic. By the end of 1924, 18.000 copies
had been published in England, and no fewer than 34.000 in America.
(Gardner 1973: 5)
Ironia della sorte, o legge del contrappasso, Arnold non poteva però
prevedere che a tanto successo iniziale dovesse poi corrispondere, in relazione
direttamente proporzionale, un silenzio narrativo che sarebbe durato quasi
mezzo secolo e avrebbe accompagnato Forster fino alla morte, avvenuta il 7
giugno del 1970.
Le ragioni di questo silenzio “inspiegabile” (nel senso che non poteva
essere divulgato) furono spesso additate alla vicenda personale dell'autore, il
quale, dopo il capolavoro del 1924, non avrebbe più potuto scrivere romanzi
senza affrontare il tema della propria omosessualità
2
, e di conseguenze senza
2 Alcuni critici, tra i quali Judith Scherer Hertz, parlano invece di un Forster
“narrativamente” in pieno controllo della propria sessualità, sottolineando l'esistenza in
alcuni racconti e romanzi, tra i quali TLJ e il nostro ARWAV , di una traccia nascosta, in
controtendenza al plot in superficie, nella quale l'autore avrebbe continuamente riaffermato,
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destabilizzare lo status quo del perbenismo circostante: «I should have been a
more famous writer if I had written or rather published more, but sex has
prevented the latter» (Forster in Bradshaw 2007: 104). Si pensi al caso
editoriale suscitato da Maurice, l'opera pubblicata postuma nel 1971: l'autore la
scrisse di getto in alcuni mesi del 1914, ma si rese conto subito che la sua
pubblicazione sarebbe stata impossibile; non ebbe mai il coraggio di darla alle
stampe in vita, e sebbene ci ritornò sopra varie volte, non la intese mai per un
pubblico di lettori che non appartenesse alla sua ristretta cerchia di amici; in
pratica, non ne diede mai una stesura che si potesse chiamare definitiva.
Quando Maurice uscì, un anno dopo la sua morte, le attese che si erano create
attorno al romanzo erano così inflazionate che delusero gran parte della critica,
la quale, purtroppo peccando di cecità prospettica, non volle contestualizzare
da una parte i difetti di un lavoro che potremmo non senza ragioni definire
“non autorizzato”, né, dall'altra, il mondo in cui essa fu concepita: un mondo
che non aveva ancora preso coscienza degli orrori delle guerre mondiali e dei
totalitarismi, ed era lontano anni luce dalla rivoluzione culturale e sessuale
degli anni che seguirono. Un mondo, insomma, lontano dalla prospettiva critica
degli anni settanta, che in quelle pagine vi aveva cercato un lavoro dissacrante,
liberalmente rivoluzionario, o anche l'ultima zampata del vecchio romanziere
che in cuor suo non aveva mai cessato di scrivere, se non addirittura lo
scioglimento del suo “misterioso silenzio”, e vi aveva invece trovato,
spregiativamente, un «fairy tale
3
» (cfr. Bellman Nerozzi 1980: 81; cfr. Booth in
Bradshaw 2007)
Una ulteriore ragione del suo silenzioso ritiro, d'altra parte, potrebbe
ascriversi ad una cinica quanto pragmatica accettazione dei propri limiti
narrativi, e alla convinzione di aver raggiunto il massimo livello stilistico e
formale possibile; in quanto
Forster non ha mai lasciato nulla al caso, non ha mai proceduto
attraverso diverse tecniche narrative, la propria omosessualità. (cfr. Herz 1985: 84-94)
3 Il sostantivo “fairy” può significare, oltre a “fata, maga”, anche,
spregiativamente,“omosessuale”.
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frettolosamente, non ha mai ricercato un rapido e superficiale successo. Ogni
suo libro è frutto d'un intima necessità […] non ha mai considerato lo scrivere
romanzi una professione, od un lavoro da compiersi per far fronte ad un
impegno. […] Dell'arte del romanzo egli ha sempre avuto un'altissima
concezione. Avendo con A Passage to India espresso quanto desiderava
raggiungendo una perfezione formale di cui i romanzi precedenti davano già
la prova, egli ha considerato inutile ripetersi. (Antonini 1954: 5)
Alle parole di Antonini fecero eco, dieci anni dopo, quelle di Agostino
Lombardo sulla rivista Il Mondo (pubblicate poi nel 1971 nella raccolta di
saggi Ritratto di Enobarbo), il quale, tirando le somme di una raffinata
panoramica sulla narrativa forsteriana, parla appunto del silenzio. L'ambizione
di Forster, dice Lombardo, a definire, a conoscere, a raggiungere la verità – o
per dirla con un'espressione cara all'autore londinese – a connettere, ha un
epilogo tragico:
La “connessione” è impossibile perché impossibile è la conoscenza; i
due mondi non si possono conciliare […] Ben ci spieghiamo, a questo punto,
perché dopo A Passage to India Forster non abbia più scritto, non abbia più
narrato. Solo il silenzio, invero […] poteva degnamente celebrare il fallimento
della ricerca in cui la sua narrativa era consistita; solo il silenzio, d'altro canto,
poteva far chiaramente sentire la musica di quegli “accordi” che egli aveva pur
sempre fatto risuonare, di quel ritmo segreto che la sua arte aveva pur sempre
saputo afferrare – anche se non era musica di vittoria, ritmo di trionfo, ma
triste, elegiaco canto di sconfitta. (Lombardo 1971: 319)
Non un mero limite formale, o paura di potersi inutilmente ripetere, ma
“tragica” presa di coscienza che un'ambizione grande quanto quella di volere
connettere mondi così distanti tra loro (non solo la Gran Bretagna e l'India o
Italia, ma anche le diverse classi sociali di Howards End e A Room with a
View) non è più realizzabile. S'infrange così la speranza di un raffinato
romanziere liberale che aveva visto nell'arte uno strumento per far leva sul
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mondo – «Arts acts as an antidote against our present troubles and also as a
support to our common humanity» (Forster in Troisi 1974: 13) – e
nell'intellettuale il suo agente: «An intellectual […] is more in touch with
humanity than is the confident scientist». (Forster in Troisi 1974: 14).
Ritorniamo ai primi del secolo. L'editore Arnold era entusiasta del
lavoro che il giovane scrittore stava svolgendo, come ci conferma ironicamente
lo stesso Forster in una lettera inviata al suo amico e ripetitore di materie
classiche, Nathaniel Wedd, datata 25 giugno 1908:
I don't at all know about it. It is slight, unambitious, and uninteresting,
but – in rather an external way – the characters seem more alive to me than
any others that I have put together. The publisher is so much pleased – which
is all to the bad, I admit – and I have got good terms. Have tried to get it taken,
but that was no go. “Not sufficiently compelling for a transatlantic audience.”
Which, I admit, is all to the good. The thing comes out in October, and will
probably gratify the home circle, but not those whose opinion I value most.
(Forster 1977/a: xiv)
Già un anno prima, un'altra lettera (datata 11 giugno 1907) scritta
all'amico R.C. Trevelyan, descriveva lo stato d'insicurezza nei confronti di un
lavoro «chiaro e vivace e ben costruito ma così gracile»:
I have been looking at the 'Lucy' novel. I don't know. It's bright and
merry and I like the story. Yet I wouldn't and couldn't finish it in the same
style. I'm rather depressed. The question is akin to morality. (Forster 1977/a:
xiii)
Forster sapeva, come riconoscerà poi a posteriori in un articolo ormai
celebre, intitolato A View without a Room – comparso sul periodico britannico
The Observer per il cinquantesimo anniversario della pubblicazione del suo
terzo romanzo e ora in appendice nella maggior parte delle edizioni in
commercio – che la comedy of manners che l'Italia gli aveva ispirato non fosse
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la sua opera migliore:
A Room with a View was published in 1908. Here we are in 1958 and
it occurs to me to wonder what the characters have been doing during the
interval. They were created even earlier than 1908. The Italian half of the
novel was almost the first piece of fiction I attempted. I laid it aside to write
and publish two other novels, and then returned to it and added the English
half. It is not my preferred novel - The Longest Journey is that - but it may
fairly be called the nicest. (Forster 1958)
“The nicest”, la più simpatica. E la più tortuosa. A Room with a View ha
una gestazione piuttosto lunga e altalenante, circa sette anni (il primato per la
più lunga spetta a A Passage to India). I primi spunti risalgono all'autunno del
1901, quando Forster, al tempo ventunenne e da poco laureato – aveva appena
concluso i non brillanti studi, durati quattro anni, al King's College di
Cambridge – decise di intraprendere con la madre Alice Clare (“Lily”) un
“educational tour” oltre la Manica, diretti verso l'Italia e la Grecia, passando
per la Francia, la Svizzera e la Germania (Bradbury in Forster 2000: ix). Una
viaggio che molti predecessori illustri prima di lui avevano compiuto in quanto
rito di iniziazione all'arte e alla natura: da Sterne a Smollett, a Byron, Shelley e
Keats, passando per i coniugi Robert ed Elizabeth Browning, fino a Trollope e
Ruskin, nel diciottesimo e ancor di più nel diciannovesimo secolo il Grand
Tour – un tempo chiamato separatamente Giro per l'Italia e Grand Tour per la
Francia (cfr. Del Buono 1987: 24) – veniva considerato una tappa
fondamentale della formazione culturale di un gentiluomo: un viaggio per
affinare la sensibilità e ampliare gli orizzonti della cultura insulare, ma anche
un'avventura
4
dal sapore Romantico; l'Italia del diciannovesimo secolo era un
subbuglio di moti e rivoluzioni risorgimentali ai quali molti intellettuali inglesi
4 Si pensi all'esperienza dello studioso e scrittore scozzese Joseph Forsyth, il primo «martire
del turismo», catturato dall'esercito Napoleonico il 25 Maggio del 1803 a Torino mentre, a
Giro d'Italia ormai concluso, faceva ritorno in patria: venne rilasciato solo nel marzo del
1814, e il lungo esilio, avendone in quegli undici anni deperito il fisico, ne causò la morte
nel settembre del 1815 (Artom Treves 1953: 2).
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presero parte, se non sempre fisicamente, almeno ideologicamente. Non è
quindi un caso che un personaggio del nostro romanzo, il reverendo Arthur
Beebe, informando gli abitanti di Windy Corner dell'imminente partenza verso
la penisola Greca delle due “little old ladies” della Pensione Bertolini, le
sorelle Teresa e Catharine Alan, citi indirettamente alcuni versi di Ode to a
Nightingale (1819) di John Keats:
“A really comfortable pension at Constantinople!” So they call it out
of decency, but in their hearts they want a pension with magic windows
opening on the foam of perilous seas in fairylands forlorn! No ordinary view
will content the Miss Alans. They want pension Keats. (Forster 2000: 166)
E non è un caso, d'altra parte, che un altro personaggio del romanzo, il
dandy e snob Cecil Vyse
5
, intraprenda questo viaggio, come fece Forster, in
compagnia della madre, piuttosto che con un tutor o un “bear-leader”, come si
soleva fare al tempo. Agli inizi del ventesimo secolo, bisogna ricordarlo, il
Grand Tour aveva ormai perso il fascino del viaggio come ricerca: «The
Tourist had tourned into the tourist» (cfr. Bradbury in Fortser 2000: x).
Di come fosse cambiata la tipologia del turista a partire dagli ultimi
anni dell'Ottocento ne ragiona anche Alberto Arbasino nel libriccino intitolato
Due Orfanelle (1968), una raccolta di pensieri affilati e ironici dedicati a
Venezia e Firenze, le “due perle cariate” e alluvionate, culle della civiltà che
avevano saputo mantenere il loro stato di grazia cittadina per cinquecento anni.
Arbasino ricorda di come a Firenze, dopo l'Unità e la breve permanenza dei
piemontesi “buzzurri” che la elessero per breve periodo “capitale involontaria”,
in città fosse mutato il tessuto urbano e di conseguenza la fauna turistica:
Improvvisamente, la vecchia città indifesa viene colpita da una
5 La battuta d'esordio di Cecil Vyse al capitolo viii (Forster 2000: 81), pronunciata
nell'annunciare alla famiglia Honeychurch il buon esito del tanto agognato fidanzamento
con la loro figlia Lucy, è «I Promessi Sposi» (pronunciata in italiano); questa crea una serie
di rapporti intertestuali speculari con l'indiretta citazione di Keats fatta da Mr Beebe al
capitolo xviii: Keats-Manzoni, Romanticismo inglese-Romanticismo italiano, nubilato-
matrimonio, movimento-stasi.
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disordinata “malattia della struttura,” con sintomi diacronici gravissimi che
sono tipici “disturbi da crescita.” Tre successivi foruncoli: proprio come una
adolescente. (Arbasino 1968: 57)
La città venne drasticamente riformata: furono abbattute casette e
viuzze del centro antico per lasciar spazio “ad un parcheggio” (Arbasino si
riferisce al “triste risanamento” di Piazza della Repubblica, avvenuto tra il
1885 e il 1895, che eliminò il Mercato Vecchio e le costruzioni a esso attigue);
gran parte delle mura del Trecento vennero demolite, così come per altre
casette e villini, per far posto ai “boulevard”; nacquero le periferie. A seguito di
tale smembramento architettonico – da Arbasino definito un “bubbone”, il
primo dei tre che hanno intaccato la compattezza della città (gli altri due
colpevoli sono l'Ermetismo degli anni Trenta e l'autostrada) – la città si
risvegliò «allargata, svuotata: perfino un po' divaricata e raschiata; e di nuovo
attonita» (Arbasino 1968: 58).
Fu quindi il tempo di una «infiammazione benigna, inglese»: il nobile
giovanotto inglese che fra le varie tappe del suo Grand Tour veniva in Italia per
studiarne (in teoria) l'arte e la storia, cedeva ora il passo a «colonnelli in
pensione, zitelle econome e famigliuole stralunate», i quali, provvisti di rendite
modeste ma sufficienti per godere delle gioie artistiche ma soprattutto
enogastronomiche e climatiche della Toscana, gettavano per la prima volta la
basi di un nuovo ponte (non solo allitterante) tra «il Chianti e il Kent.» Ai bei
palazzi e le vecchie ville dove gli abitanti d'Albione erano soliti alloggiare si
affiancavano ora le prime pensioncine economiche a conduzione familiare (cfr.
Arbasino 1968: 58-59). Le élites nobiliari ed intellettuali certo non
scomparvero affatto dalla città (dai cui aspetti più popolari si erano mantenute
sempre distanti), ma si ritirarono sulle alture circostanti, come per sfuggire
all'ennesima alluvione dell'Arno, lasciando fluire, anzi erompere a valle (la
comunità inglese fiorentina nel 1914, secondo Ian Greenlees, direttore del
British Institute di Firenze dal 1958 al 1981, arrivò a vantare 25 mila residenti)
un turismo nuovo, di estrazione “middle-class” (proprio come la nostra eroina
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Lucy Honeychurch), fatto di meno pretese e meno spese (cfr. Artom Treves
1971: 12).
Così, nell'arco di pochi anni, per il viaggiatore che si recava in Italia «to
study the tactile values of Giotto, or the corruption of the Papacy» (Forster
2000: 35), tutto era già stato irrimediabilmente provato, collaudato e annotato
nelle varie guide Baedeker o Murray (Bradbury in Forster 2000: xi), se non
organizzato dalla agenzia di viaggi di Thomas Cook (la prima ad offrire un
moderno servizio turistico “all-inclusive” su scala planetaria), ed infine
rielaborato letterariamente da numerosi scrittori, molti dei quali residenti
stabilmente in Italia:
Scrivevano tutti […] Se spronati dal desiderio di guadagno e di fama;
se mossi soltanto da nostalgia degli amici lontani: lettere, diari, memorie, in
seguito dagli autori stessi o dai loro deferenti eredi raccolti e dati alle stampe.
Questi scritti sono di mole imponente, ma per lo più di valore scarso e di
interesse sorpassato, e forse per l'abbondanza stessa han finito per essere
trascurati e dispersi o per lo meno negletti e sconosciuti come se fossero
sepolti in quegli archivi, che hanno invece poche insignificanti annotazioni su
questi tranquilli forestieri venuti in toscana a cercarvi il quieto vivere...
(Artom Treves 1982: viii)
Esperienze «predigerite nell'Altrove recintato che è l'Italia» (Falzon
1991: 10). Nelle maggiori città nostrane non mancavano pensioni, quotidiani,
negozi, centri sportivi, sartorie, farmacie, banche, chiese, cimiteri e perfino
forni inglesi. Una vera invasione, tale da influenzare anche la lingua parlata dei
fiorentini di allora: il termine “inglese” non definisce più soltanto un cittadino
di Sua Maestà, bensì diventa per antonomasia sinonimo di “turista”,
“straniero”, “forestiero”:
[…] «sono arrivati degli inglesi» diceva un facchino d'albergo al
padrone «ma non ho capito se son russi o tedeschi» (Artom Treves 1953: 9).
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Non stupisce, quindi, che nelle prime battute del romanzo la giovane
Lucy Honeychurch – la quale si era recata in Italia per “la diversità”, ma
soprattutto per cercare «i modelli originali di una cultura da “Grand Tour”»
(cfr. De Zordo 1992: 117) – dica con tono stizzito «it might be London»,
commentando con delusione l'ambiente troppo britannico della pensione
Bertolini, il suo alloggo fiorentino, gestita da una «unreliable Signora» dal
pronunciato accento “cockney” che tenta vanamente di riprodurre nel proprio
albergo «the grace and the geniality of the South» (Forster 2000: 7). E non
stupisce, infine, se Forster stesso scriverà nel suo taccuino, sentendosi alquanto
deluso dal Bel Paese, che «The truth is I have got it up so well that nothing
comes as a surprise» (Forster in Furbank 1977: 82).
1.2: The Lucy Novel
Per nostra fortuna, nonostante la noia iniziale, Forster continuò a
redigere diligentemente il proprio diario di viaggio
6
, nel quale annotò tutto: gli
spostamenti, le pensioni, la persone, gli incontri, i volti e le vicende. Ed è
proprio da alcune di queste prime annotazioni – alcune delle quali sono state
confermate da una dedica scritta su una copia del romanzo regalata al pittore
americano Paul Cadmus, nonché da una lettera datata 30 ottobre 1901 al
mentore E. J. Dent (cfr. Lago & Furbank 1983: 48) – che possiamo vedere
come nasca e scaturisca la materia del romanzo: il desiderio della madre Lily di
avere una vista sull'Arno e di abitare in un luogo esposto a mezzogiorno;
l'insoddisfacente Albergo Bonciani in via de' Panzani e la successiva
sistemazione alla Pensione Simi, al numero civico 2 di Lungarno delle Grazie;
la signora dall'accento “cockney”, la quale «scatters her H's like morsels and
calls me “the young gentleman”»; la distrazione del giovane Forster nel
6 «Forster's very first notes for the novel that was eventually to become ARWAV occur in a
pocket-size notebook that he carried on his travels in 1901-02». (Stallybrass in Forster
1977/b: 3)
15
perdere qualsiasi oggetto di valore in sua custodia come borselli, dizionari,
penne o Baedeker; le frequentazioni con gli storici dell'arte stranieri che
disprezzano i turisti (probabile riferimento allo statunitense Bernard Berenson,
che nel romanzo assumerà le fattezze del rigido reverendo Eager); le zitelle
dell'hotel di Perugia che cercano «blood and adventure» e attendono nel
frattempo l'ispirazione per un romanzo (una di queste è la scrittrice Emily
Spender
7
, dalla quale sarà ricavata la figura dell'ipocrita imbrattacarte Miss
Lavish). Questi e altri elementi fornirono all'autore un sostrato di esperienze
vivaci, ironiche, utili per una “social comedy” pungente e piacevole ambientata
in Italia (ma rivolta esclusivamente alla madrepatria) che nei primissimi anni
del regno di Edoardo VII andava sotto il titolo provvisorio di The Lucy Novel.
I manoscritti completi di ciò che sarebbe poi divenuto ARWAV sono
oggi custoditi presso il King's College di Cambridge e dal 1977 sono stati
raccolti in un volume curato da Oliver Stallybrass (il 3a, intitolato The Lucy
Novels: early sketches for ARWAV) della ricca edizione critica delle opere di
Forster, la Abinger Edition. Ripercorrendo l'evoluzione cronologica degli scritti
italiani, si può notare come dalla registrazione degli avvenimenti giornalieri si
passi man mano alla scrittura creativa: appunti, testimonianze e osservazioni
personali del Forster viaggiatore provetto – ad esempio quelli che descrivono il
tramonto a Firenze e a Roma, o la visita ai musei napoletani nella primavera
del 1902 – si affiancano a stralci di discorsi diretti, presumibilmente
pronunciati da amici o conoscenti della pensione se non inventati di sana pianta
dall'autore, fino a confondersi con piccoli paragrafi romanzati in cui fanno
capolino i primi proto-personaggi del nostro romanzo, come Lucy “Beringer” e
Miss Bartlett.
7 «A proposito di quel romanzo famoso, qui posso rivelare che anch'io ho un posto nella
fantasia di Forster. Infatti, in Camera con vista, c'è un personaggio femminile, Miss Lavish,
il cui nome ha lo stesso significato del mio, Spender: entrambi significano “spendaccione”.
Fu lo stesso Forster, tanti anni fa, a spiegarmi il mistero di quel nome: mi disse infatti che
per la figura di Miss Lavish si era ispirato a una mia zia, Emily Spender. Così scoprii che
quel personaggio un po' ingombrante, che ci accompagna pagina dopo pagina, era una mia
parente. Sì, io me la ricordo la zia Emily: avevo circa otto anni, quando lei venne a farci
visita nella nostra casa inglese. Non era sola, insieme a lei c'era un bersagliere che
m'impressionò per il suo strano aspetto.» Stephen Spender, Corriere della Sera, 16 Aprile
1994.