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1. Introduzione
1.1. Uso dell’habitat
Una profonda conoscenza della distribuzione delle specie è di primo interesse per la conservazione
della biodiversità e le mappe di distribuzione sono largamente usate dai biologi della conservazione
per valutare lo stato di una specie, per redigere le red list delle specie o per individuare aree di
particolare valore biologico. Identificare la distribuzione dei pipistrelli rappresenta una sfida
notevole. Campionamenti intensivi di pipistrelli sono difficili da condurre a causa delle loro
abitudini notturne, del loro ampio home range e dei problemi relativi alla loro identificazione in
volo. Relazioni specie-habitat vengono investigate al fine di costruire modelli validi nella biologia
della conservazione.
La presenza e la struttura delle specie nelle comunità di chirotteri sono influenzate da un complesso
di fattori ambientali. Di importante impatto è la disponibilità di habitat di foraggiamento sfruttabile
e del relativo foraggio, così come la presenza di rifugi. Il range di habitat usato dai chirotteri è
specie-specifico e dipende dalle caratteristiche ecologiche delle specie. Di conseguenza, l’uso del
suolo in un determinato territorio può essere strettamente legato alla presenza-assenza di specie di
chirotteri. In uno studio effettuato in Svizzera è stato rilevato che per alcune specie più del 60%
della varianza nella distribuzione sarebbe potuta essere spiegata dalla struttura del paesaggio
(Jaberg & Guisan, 2001).
E’ stato dimostrato che le foreste e gli habitat boschivi sono di fondamentale importanza per molte
specie di chirotteri. Essi influenzano positivamente l’attività di foraggiamento (Vaughan et al.,
1997) e la disponibilità di roost (Altringham, 1996). Essi infatti forniscono una moltitudine di prede
per le specie insettivore, offrendo con la loro stratificazione verticale un habitat complesso per
molte specie di insetti (Duchamp & Swihart, 2008). In più, i boschi presentano molti spazi per i
pipistelli che vanno a rifugiarsi nelle cavità dei fusti, negli spazi sotto le cortecce e in un’ampia
varietà di microhabitat. Ciò risulta di fondamentale importanza dato che i pipistrelli usano cavità
come rifugio, luogo di riproduzione e di ibernazione, passando più della metà delle loro vite
all’interno di questi ambienti (Kunz, 1982). In tal modo le foreste forniscono ai chirotteri un luogo
sicuro al riparo dai predatori e dal vento (Russ & Montgomery, 2002). Quanto detto è evidenziabile
da un lavoro effettuato nella catena della Sierra Morena, nel sud della Spagna, dove è stata
osservata una netta preferenza della specie Rhinolophus euryale per le superfici coperte da boschi di
latifoglie, incluse quelle fortemente alterate o create dall’azione dell’uomo, pur costituendo esse una
piccola porzione dell’area di studio (Russo et al., 2005). Tale studio è stato preceduto da un analisi
in Campania dove, parimenti, è stata verificata la predilezione di tale specie per i boschi di latifoglie
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(Russo et al., 2002). Anche Duchamp e Swihart (2008) hanno osservato in un paesaggio fortemente
alterato dall’uomo in Indiana (USA) una correlazione positiva fra la diversità in specie di chirotteri
e l’ammontare di superficie boscata.
Boschi di latifoglie e boschi di conifere non offrono però la stessa tipologia di habitat. Infatti i
popolamenti di conifere, spesso frutto di ripopolamenti artificiali, non offrono la varietà di
microhabitat utile a molte specie di insetti, supportandone una minore quantità (Waring, 1989). Per
tale ragione probabilmente, nel sopracitato studio nel Sud dell’Italia è stata verificata una
dipendenza negativa tra conifere e chirotteri (Russo et al., 2002). In esso si è osservato che fra le
otto tipologie di habitat esaminate, le conifere, pur essendo vicine ai rifugi individuati e quindi
facilmente raggiungibili, erano le meno frequentate dai pipistrelli. Le piantagioni di conifere sono
evitate anche da altre specie di chirotteri che foraggiano invece nei boschi di latifoglie, come
Plecotus auritus (Entwistle et al., 1996) e Myotis nattereri (Smith, 2000).
Naturalmente nell’analizzare gli ambienti popolati dai pipistrelli va tenuto in considerazione quello
a cui essi sono più comunemente attribuiti dall’immaginario comune, ossia le caverne. I luoghi
sotterranei sono infatti tipici habitat popolati dai chirotteri che vanno ivi a formare colonie di grosse
dimensioni. In un monitoraggio di 53 grotte effettuato nel Regno Unito è stato rilevato che ben il
60% di esse sostenevano popolazioni di chirotteri (Glover & Altringham, 2008). Le caverne sono
quindi una risorsa molto importante per molte specie, primariamente come luogo di riproduzione e
ibernazione.
Anche la presenza di corsi o di bacini d’acqua può essere utile a predire la presenza di popolazioni
di pipistrelli. Diversi studi hanno dimostrato che l’attività dei chirotteri, la loro densità e la
distribuzione sono collegati alla disponibilità di risorse in questo tipo di habitat. Russo e Jones
(2003) hanno riscontrato i più elevati livelli di attività per alcune specie del genere Myotis, per
Hypsugo savii, Pipistrellus pygmeus e Miniopterus schreibersii in corrispondenza di laghi e fiumi.
Simili risultati sono stati ottenuti in Inghilterra per Pipistrellus pygmeus (Vaughan et al., 1997). I
fiumi e le zone ripariali, oltre ad essere fondamentali punti di abbeverata, forniscono infatti un
importante habitat di foraggiamento per i chirotteri insettivori presentando una grande abbondanza
di insetti (Hagen & Sabo, 2011). In uno studio sull’ambiente fluviale nel nord del Giappone è stata
osservata una correlazione positiva per il 75% delle specie di chirotteri con la percentuale di suolo
coperta da boschi di latifoglie (Akasaka et al., 2010). Entrambi i tipi di habitat, quello fluviale e
quello boschivo, forniscono infatti una grande quantità di insetti, acquatici e terrestri, agendo così
sinergicamente. L’importanza della presenza di vegetazione alta e di acqua risalta inoltre in uno
studio effettuato tra Lazio e Campania dove la macchia mediterranea, essendo un tipo habitat con
scarsa presenza di questi due elementi, è risultato essere il meno importante in termini di ricchezza
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in specie di chirotteri (Russo & Jones, 2003). Le caratteristiche strutturali delle aree fluviali possono
inoltre influenzare la distribuzione dei pipistrelli insettivori. Per esempio, i fiumi forniscono una
maggiore quantità di spazi aerei aperti per il volo e per il foraggiamento rispetto ad ambienti
terrestri più disordinati. In una foresta dell’Oregon (USA) la chirotterofauna si è vista essere
concentrata in attività principalmente sopra il corso del fiume (Ober & Hayes, 2008). Ciò può
essere spiegato dal fatto che i fiumi vanno a creare dei gap nella densa vegetazione forestale che
consentono un volo libero e privo di ostacoli per i pipistrelli ecolocalizzanti.
Ambienti con una eccessiva densità vegetativa possono essere evitati durante l’attività aerea da
alcune specie di chirotteri. Essi infatti sono ricchi di ostacoli per il volo e riducono la manovrabilità
aerea degli animali. In un esperimento effettuato in Portogallo sulle capacità di foraggiamento dei
pipistrelli con diverse densità di vegetazione si parla di “disordine” della vegetazione (Rainho et al.,
2010). I ricercatori hanno osservato che tale condizione riduce l’accesso alle prede, influenzando sia
il successo di cattura che il tempo di cattura. I pipistrelli evitavano le dense boscaglie o
tentennavano prima di addentrarvisi, per poi spesso fallire i tentativi di predazione malgrado esse
fossero gli ambienti con maggior abbondanza di insetti. Che i chirotteri evitino gli ambienti con un
eccessivo disordine strutturale è stato dimostrato anche in un lavoro sugli affetti dell’abbandono
degli ambienti silvopastorali (Obrist et al., 2011). Nell’area di studio sita nelle Alpi Svizzere è stata
osservata un’attività dei pipistrelli molto maggiore nei castagneti sottoposti a gestione che in quelli
abbandonati. Le ragioni di ciò sono da riscontrare nell’invasione dei castagneti abbandonati da parte
di altre specie e nella formazione di una densa foresta mista, difficilmente accessibile per gli
animali. Per questi motivi il volo in cerca di prede risulta essere più maneggevole in corrispondenza
dei margini dei boschi piuttosto che nelle loro parti interne (Grindal & Bringham, 1999).
Le zone ecotonali al confine tra boschi e spazi aperti sono utili ai pipistrelli inoltre come corridoi di
viaggio (Krusic et al., 1996). I margini forestali, infatti, oltre ad essere abbondanti di insetti (Grindal
& Bringham, 1999) possono essere utili all’orientamento dei chirotteri in volo, andando a costituire
degli elementi lineari da essi distinguibili. Gli elementi lineari del paesaggio forniscono infatti ai
pipistrelli delle rotte fra i luoghi di foraggiamento al riparo dai predatori e dalle avversità climatiche
(Limpens & Kapteyn, 1991; Verboom & Spoelstra, 1999). In effetti, all’interno dei paesaggi
agricoli, elementi lineari come siepi e file di alberi forniscono un habitat di valore per molte specie.
Essi migliorano l’eterogeneità strutturale, la connettività spaziale e la diversità botanica, fornendo
inoltre una fonte di cibo per molte specie di animali. A supporto di questa tesi, in uno studio
effettuato nel Regno Unito è stato osservato un frequente uso di siepi e file di alberi da parte di
Pipistrellus pipistrellus e Pipistrellus pygmaeus all’interno di un’area rurale (Boughey et al., 2011).
L’importanza di questi elementi del paesaggio è correlata alla forte omogeneità strutturale che si
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riscontra di frequente negli ambienti agricoli, specie se sottoposti ad agricoltura intensiva. Russo e
Jones (2003) hanno osservato che le aree coltivate possono essere usate per l’attività di
foraggiamento solo da poche specie “opportuniste”, meglio adattate agli ambienti antropizzati. In
uno studio nel sud dell’Australia è stata riscontrata un’attività dei pipistrelli significativamente più
bassa nelle zone coltivate rispetto alle aree boscate limitrofe (Lumsden & Bennett, 2005). Qui i
ricercatori hanno evidenziato un netta diminuzione di presenza al decrescere della densità arborea
dei siti di campionamento. Tuttavia è stato fatto risaltare come anche la presenza di singoli alberi
isolati, sparsi su ampie superfici agricole possa risultare di giovamento per le popolazioni. Essi
infatti rappresentano residui di vegetazione naturale in grado di fornire alimento e rifugio per
animali volatili come i pipistrelli in grado di esplorare più porzioni di habitat usandoli come
appoggio.
Dunque la connettività spaziale fornita dalla vegetazione, sia essa in forma di boschi, elementi
lineari o alberi isolati, è di fondamentale importanza per i chirotteri, come per altre specie animali.
Essa amplia le superfici sfruttabili e evita il fenomeno della formazione di piccole popolazioni,
causa di imbreeding e di soggezione a stocasticità ambientale. In uno studio sulle aree umide
effettuato negli USA è emerso che esse risultano essere dei buoni predittori della presenza in specie
di chirotteri, quanto più esse risultano interconnesse a formare una rete di habitat (Lookingbill et al.,
2010). Se non interconnesse fra loro, porzioni di habitat potenzialmente utili a delle specie sono
quindi paragonabili a delle isole. Proprio ciò che accade ai pipistrelli quando delle vere isole sono
troppo piccole e distanti fra loro è stato indagato nel Golfo della California (Frick et al. 2008). Qui
si è visto che isole più piccole di 100 ha non erano in grado di sostenere alcuna popolazione di
chirotteri insettivori, a meno di una distanza di isolamento minima. Dinamiche simili possono
essere riscontrate parallelamente sulla terraferma.
A disturbare e interrompere la connettività spaziale entra in gioco poi l’urbanizzazione. Fra le molte
attività umane che causano perdita di habitat, lo sviluppo urbano produce alcuni tra i più alti tassi di
estinzioni a livello locale e frequentemente elimina la maggioranza delle specie native. In uno
studio effettuato a Panama si è osservato che la ricchezza in specie di chirotteri era più alta nella
foresta, decrescendo all’interfaccia foresta-urbano e raggiungendo un minimo nella città (Jung &
Kalko, 2011). Anche Russo et al. (2002) hanno rilevato in Sud Italia che la specie Rhinolophus
euryale tende ad evitare i siti urbani. Il già citato lavoro svolto in Indiana evidenzia poi che
crescenti livelli di sviluppo urbano impattano negativamente sulla diversità di chirotteri anche nelle
aree circostanti (Duchamp & Swihart, 2008). Il mantenimento di parte della vegetazione nativa e di
zone alberate nelle aree residenziali può risultare utile a migliorare la sostenibilità delle città
(Basham et al., 2011) e una densità bassa del tessuto urbano può supportare una elevata diversità di
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pipistrelli (Hourigan et al., 2010). Similmente, strade alberate nei paesaggi urbani possono essere
considerate dei corridoi vegetazionali che connettono i parchi urbani (Fernández-Juricic, 2000) e i
parchi stessi sono importanti per il mantenimento della chirotterofauna (Oprea et al., 2009).
Tuttavia, alcune specie sono capaci di adattarsi alle condizioni urbane trovando rifugio nelle
strutture fatte dall’uomo. Ad esempio, alcune specie di chirotteri insettivori si avvantaggiano dei
paesaggi modificati antropicamente usando spazi nelle case come roost (Gaisler et al., 1998) e
catturando insetti attorno alle luci stradali (Rydell, 1992). Inoltre, alcuni pipistrelli sono molto
mobili e possono essere più tolleranti alla frammentazione rispetto agli animali terrestri e in alcuni
casi le aree urbane possono essere addirittura considerate come isole di habitat in ampi paesaggi
dominati dall’agricoltura intensiva (Gehrt & Chelsvig, 2004). Anche essendo quindi da relazionare
al contesto ambientale e alle specie d’interesse, l’urbanizzazione risulta ad ogni modo in una perdita
di habitat e di biodiversità se connessa al valore dei boschi per specie non generaliste come quelle
adattabili ai contesti antropizzati. Inoltre, l’urbanizzazione è più duratura rispetto ad altre tipologie
di perdita di habitat. Essa cambia i paesaggi e la composizione delle specie, ed è quindi
genericamente considerata di effetto negativo per i processi degli ecosistemi, trasformando aree
naturali continue in frammenti disgiunti e dispersi in un paesaggio dominato dall’uomo.
1.2. Obiettivi della tesi
I chirotteri sono predatori apicali insettivori selettivi sia per la tipologia degli habitat di
foraggiamento, sia per le prede catturate, sia per i rifugi selezionati. Esistono evidenze in letteratura
del loro ruolo di bioindicatori poiché alterazioni ambientali più o meno significative si riflettono
sulla composizione in specie delle comunità, l’abbondanza relativa delle diverse specie e i livelli di
attività registrati (Wickramasinghe et al., 2003; Jones et al., 2009).
Inoltre, essendo mammiferi minacciati dalle trasformazioni antropogeniche degli habitat naturali,
una corretta comprensione dei meccanismi e delle relazioni che intervengono nei pattern di uso
dell’habitat su scala di comunità costituisce un elemento conoscitivo irrinunciabile ai fini della
formulazione di efficaci strategie di conservazione.
La presente tesi costituisce il primo lavoro scientifico condotto in Italia che esplora la relazione su
diverse scale spaziali tra uso del suolo e ricchezza e diversità della chirotterofauna.
L’obiettivo del mio studio è stato duplice:
1. identificare gli habitat prioritari per sostenere elevati livelli di biodiversità della
chirotterofauna;