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Capitolo I
LA COMMUNITY-BASED PARTICIPATORY RESEARCH
La CBPR può essere definita come un processo collaborativo di ricerca,
in cui i ricercatori e i rappresentanti della comunità lavorano insieme
nell'identificare un problema che affligge la comunità di riferimento (Agency
for Healthcare Research and Quality, Rockville, MD. 2002 ).
I tre elementi fondamentali della ricerca partecipata sono la
collaborazione, l'educazione e l'azione (Wallerstein & Duran 2006). Per
educazione si intende un processo che coinvolga tutti gli attori, il cui scopo sia
di ottenere una migliore conoscenza dell'ambiente comune incorporando, in
special modo, conoscenze locali per la comprensione di problemi sociali e la
pianificazione di interventi (Macaulay et al. 1999).
A causa delle sue caratteristiche, l'approccio CBPR tende a porre meno
enfasi sulla larga generalizzabilità e diffusione dei risultati di quanto lo siano
altri tipi di ricerca, è più incentrato, invece, sul potenziamento delle capacità di
azione degli individui, e delle comunità di cui fanno parte, attraverso il
processo di ricerca.
Grande importanza è data al coinvolgimento attivo dei partecipanti
della comunità nel processo di creazione di conoscenza e cambiamento (Israel
et al. 2001). L'importanza della partecipazione di membri della comunità nel
processo di ricerca è espressione della convinzione che i membri della
comunità siano i migliori esperti nella comprensione del contesto e delle
dinamiche in cui vivono. Tale tipo di approccio collaborativo può rivelarsi
particolarmente utile quando l'interesse è incentrato sulle diseguaglianze
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sociali, strutturali e fisico-ambientali (Israel et al. 2001).
1. L'EVOLUZIONE STORICA DELLA RICERCA
Le radici storiche della CBPR sono da ricercare in Kurt Lewin, che fu il
primo a coniare il termine ricerca azione come “una ricerca comparata sulle
condizioni e gli effetti delle varie forme di azione e di ricerca principali di un'
azione sociale” (Lewin 1946).
Il principio messo a punto da Lewin e colleghi si basava sull'idea che la ricerca
dovesse essere simultaneamente anche un metodo di intervento. La
spiegazione di questa idea deriva dalla “teoria del campo”, secondo la quale
ogni essere umano vive in un campo dinamico in cui tutti gli elementi che
entrano ed escono, nonché tutti gli eventi che vi accadono sono strutturalmente
interagenti e ne sono a loro volta influenzati (Lewin). L'entrata di un
ricercatore in questo campo, quindi, è un fattore di mutamento, e dunque un
elemento che stimola il cambiamento del soggetto.
Questo pensiero si ritrova anche nelle teorie sociologiche di Talcott
Parsons e dei suoi predecessori, che vedono il progresso sociale dato da
un'applicazione delle conoscenze scientifiche ai problemi reali del mondo, con
particolare enfasi sul rapporto di uguaglianza e cooperazione fra gli attori del
processo di ricerca (Minkler & Wallerstein 2008).
Dai primi anni del 1970, si sviluppa, da paesi dell'America latina, Asia
e Africa, una seconda tradizione di ricerca partecipata: la Southern tradition,
che, nata dall'impeto ricevuto dalla crisi strutturale del sistema sociale di
quegli anni, e dall'approccio post-Marxista (che integra dimensioni socio-
culturali di oppressione dentro le teorie del determinismo economico), cerca
nuove pratiche di educazione agli adulti e di sviluppo delle comunità,
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sopratutto fra quelle popolazioni considerate più vulnerabili.
Tale approccio, insieme ai nuovi obiettivi presi in carico dagli studiosi,
rivolti ora verso l'emancipazione, l'uguaglianza e la giustizia sociale, ha
aiutato a produrre un cambiamento nel modo di rapportarsi anche alle
minoranze etniche, viste ora in rapporto paritario e non pregiudizievole, come
accadeva invece nelle ricerche e nelle dissertazioni mediche precedenti, mirate
ad una legittimazione della superiorità razziale, e quindi del controllo, sulle
minoranze. Alcuni esempi sono gli studi sulle comunità di colore e/o di nativi
americani, che venivano descritte come “primitive”, mancanti di educazione e
conoscenze di base, di igiene, con presenza di esotici disturbi mentali e quasi
sull'orlo dell'estinzione (Bahl, 1961; Breed, 1958; Gerken, 1940; Havighurs &
Illkevitch, 1949).
L'orientamento partecipativo, invece, rende centrali nel processo di
ricerca le comunità a cui si rivolge, che passano da essere considerati oggetti
di ricerca a partecipanti coinvolti nell'inchiesta (Freire 1970), con la
convinzione che loro stessi abbiano le capacità per produrre cambiamento
positivo nel loro ambiente di vita.
In questi anni si osserva come alcuni accademici provenienti dalle
università inizino a collaborare con i movimenti e le organizzazioni
community-based presenti sul territorio, creando così un'apertura
all'acquisizione diretta della conoscenza proveniente dall'esperienza di vita
della gente comune (Minkler & Wallerstein 2008). Progressivamente, poi, le
istituzioni prendono la guida del settore fino ad arrivare, nel 1976, alla
creazione del Participatory Research Group all'interno dell'International
Council for Adult Education di Toronto, ed un anno dopo (1977) si terrà il
primo simposio internazionale sulla Action Research and Scientific Analysis a
Cartagena, Colombia.
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la CBPR si è sviluppata, quindi, attorno al nucleo Lewiniano della
ricerca-azione, ma ha poi fatto sue specifiche caratteristiche tipiche delle idee
di Freire, Habermas e del pensiero femminista.
Il suo ambito di interesse, quindi, si è spostato sempre più verso le
popolazioni a rischio e le comunità emarginate, le stesse persone che sempre
sono state al centro dell'attenzione di Paulo Freire, di cui andremo ora ad
osservare più in dettaglio idee e contributi dati all'argomento centrale del
nostro lavoro, la Community-Based Participatory Research.
1.1 I contributi di Paulo Freire
La ricerca CBPR, sopratutto quando ha il suo focus sullo scoperta delle
cause di disagio o sul diretto miglioramento delle condizioni di una comunità
svantaggiata, non può non far riferimento alle teorie e alle idee del filosofo
brasiliano Paulo Freire, forse uno dei maggiori punti di riferimento della
Southern tradition e dei relativi principi di emancipazione, uguaglianza e
liberazione dalle oppressioni.
Freire inizia a lavorare con le comunità svantaggiate delle slums di
Recife, sua città natale, constatando come questa popolazione avesse insita la
convinzione di non aver nessun controllo sul proprio destino. Da qui il suo
lavoro sul processo di “conscientizzazione”, che mira ad abilitare gli oppressi
ad acquisire conoscenza e quindi potere di intervento nel sistema (Freire
1970), obiettivo della conscientizzazione sono le prassi (praxis), le azioni
concrete che possono portare alla promozione del cambiamento individuale e
sociale (Freire 1970).
Con il suo testo “La Pedagogia degli oppressi” (1970), il filosofo
brasiliano ha contribuito a trasformare la considerazione della relazione fra
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partecipanti e ricercatori all'interno del processo di ricerca. L'idea di Freire era
che la realtà non fosse un'oggettiva verità da scoprire, poiché includerebbe il
modo in cui, le persone che ne sono coinvolte la percepiscono. Secondo
l'autore la realtà concreta è la connessione tra la soggettività e l'oggettività, e
non può esistere oggettività isolata dalla soggettività.
Il suo metodo pedagogico utilizzava la partecipazione attiva e
consapevole. Egli considerava necessario un lavoro di conoscenza dei
problemi della comunità, delle differenze socio-etno-culturali, delle differenze
di genere, e quelle dei diversi contesti di vita. Cercava di dare potere al più
umile, alla gente comune, affinchè prendessero le proprie decisioni, per poter
diventare soggetti autonomi nel processo di sviluppo (Gadotti 2000).
Il “costruttivismo Freiriano” (come è definito da Gadotti) dimostrò, non
solo che tutti possono apprendere, ma che tutti sanno qualcosa e che ognuno,
attraverso la propria azione trasformativa nel mondo, è il soggetto
responsabile della costruzione di questa conoscenza (Gadotti 2000).
Freire pose, inoltre, una nuova concezione di relazione pedagogica, non
più una mera trasmissione di informazione, ma un rapporto dialogico fra
formatore e studente, perchè, secondo Freire, ogni persona, a modo suo ed
insieme agli altri, è in grado di apprendere o scoprire nuove dimensioni della
realtà della vita.
Si ritrova questa idea nel suo metodo di alfabetizzazione degli adulti,
l'approccio ascolto-dialogo-azione (Wallerstein 2008), dove i testi usati per
l'insegnamento sono scelti con la comunità ed in base alle loro problematiche,
con l'obiettivo finale, non solo, di alfabetizzare, ma di creare prassi concrete
volte alla promozione del cambiamento. Seguendo questo approccio la scelta
del vocabolario avviene ascoltando direttamente gli abitanti del luogo tramite,
ad esempio, riunioni informali con gli stessi (Gadotti 2000), dove, creando un
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dialogo strutturato, ogni partecipante è chiamato collaborare attivamente con il
formatore per la creazione di una realtà sociale condivisa. I partecipanti
inoltre, non sono coinvolti soltanto nel processo di costruzione e presa di
coscienza della realtà, ma sono attivamente spinti ad agire concretamente
verso il cambiamento sociale positivo (Freire 1970).
Negli scritti di Freire si ritrova, come nell'orientamento CBPR, una
forte fede verso l'umanità ed una spinta alla liberazione di quelli individui che
vivono in condizione di oppressione. Secondo l'autore, per essere dei buon i
ricercatori si deve avere fiducia nelle persone, nella loro capacità di creare e
cambiare le cose, si deve essere convinti del potere della comunità.
La liberazione, poi, deve essere il punto centrale dell'educazione, il
proposito dovrebbe essere quello di liberarsi da una realtà ingiusta ed
oppressiva, l'educazione mira alla trasformazione della realtà, a renderla più
umana, e assicurare che gli uomini e le donne vengono riconosciuti come
soggetti attivi della propria storia, dotati di un'ampia libertà di espressione
individuale (Freire 1971)
Freire sottolinea che il mondo in cui viviamo è esso stesso in
formazione e questo richiede la denuncia delle realtà oppressive ed ingiuste, è
dunque importante rapportarsi ad esso con un senso critico trasformativo.
Uno spunto interessante per la nostra ricerca si ritrova nell'approccio
creativo di Freire, che, per facilitare la creazione di un altro punto di vista
circa la propria realtà, e quindi sviluppare nuove vie di pensiero e di azione,
utilizzava, oltre al linguaggio, diversi codici come role playing, video e
fotografie, sottolineando così l'importanza che questi codici hanno nel
rappresentare la realtà in esame.
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1.2 Femminismo e post-colonialismo
la CBPR e le teorie femministe e post-colonialiste condividono alcuni
metodi ed obiettivi: tutte queste teorie sottolineano l'importanza della realtà
delle persone in relazione a quelle strutture che possono controllare le loro
vite, danno importanza alla forza derivata dalla collaborazione delle comunità,
e promuovono una giustizia sociale attraverso l'azione (Minkler e Wallerstein
2008).
Nello specifico possiamo intendere il post-colonialismo come una
contestazione al dominio derivato dall'eredità coloniali. I primi studi post-
coloniali appaiono negli ultimi anni Settanta, costituendo un complesso
variegato ed interdisciplinare di analisi critiche con al centro quei soggetti che,
in modi differenti, sono stati marginalizzati dal dominio culturale ed
economico dell'Occidente.
La critica post-coloniale sottopone ad una revisione le idee derivanti
dall'umanesimo e dall'illuminismo, in cui l'uomo (maschio, banco e
occidentale) era considerato sovrano e la verità una rappresentazione del suo
razionalismo. Uno degli obiettivi dell'approccio post-colonialista diventa
indebolire la tendenza della conoscenza e del potere che, cercando di
catalogare e riordinare la realtà, ha finito per dividere il mondo in centro e
periferia, progresso e sottosviluppo, “Primo” e “Terzo” mondo o,
semplicemente, Occidente e resto del mondo (Chambers, 2001).
L'orientamento post-coloniale ha una forte origine post-strutturalista.
Gli approcci post-strutturalisti hanno mostrato come le vicende delle
popolazioni oppresse possono essere raccontante solo tenendo bene a mente
che non esiste un'unica storia, ma una molteplicità di storie, a volte in conflitto
ed a volte fra loro parallele.
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Il post-strutturalismo, e con esso il femminismo, ha criticato le grandi
narrazioni storico-filosofiche dell'Occidente che si sono poste come verità
universalmente valide per tutti i soggetti del mondo.
Post-colonialismo è quindi un concetto che si può semplificare
generalizzandolo come un processo di liberazione dalle molteplici forme della
sindrome coloniale, rappresenta, quindi, una possibilità per tutte quelle
comunità che, con diverse modalità, sono state segnate dall'insieme dei
fenomeni coloniali.
L'ideologia femminista è molto vicina a quella post-colonialista, anche
questa si è concentrata sulla modifica delle “verità assolute” provenienti
dall'illuminismo, con una forte attenzione alle comunità che, da queste verità,
sono state oppresse o svantaggiate, il punto focale delle teorie femministe è
però la condizione delle donne nei diversi contesti.
Negli ultimi quarant'anni il femminismo è passato da uno studio
centrato sul ruolo della donna, ad un costrutto che cerca di spiegare il concetto
di genere culturalmente e storicamente inteso. il genere è visto centrale nelle
relazioni di potere, in quanto causa di vari meccanismi che possono portare a
censurare, intimidire o emarginare le donne (Maguire 2006)
Il legame fra gli approcci post-coloniale e femminista avviene, in
particolare, attraverso le donne afroamericane. Queste ultime, evidenziano la
necessità di concentrare l'analisi su una comunità sia femminile che
colonizzata, ponendo così il problema della razza e dell'etnia accanto al
genere.
Spivak afferma che, se nel contesto della storia coloniale, il subalterno
(colonizzato) non ha storia e non può parlare, la subalterna in quanto donna è
ancora più profondamente in ombra, la “donna di colore” è oppressa sia dai
colonizzatori che dai colonizzati (Spivak 1988)
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Le teorie femministe, quindi, hanno sempre posto in risalto la necessità
di ascoltare direttamente dalle donne le loro storie ed i loro punti di vista,
saltando il passaggio dall'uomo o dall'oppressore che le rappresenta spesso in
modo distorto.
Riassumendo la CBPR come la conosciamo adesso, è nata da un
insieme di contributi ricevuti da vari studiosi ed approcci del secolo scorso,
siamo partiti nella nostra disamina dalle idee di Kurt Lewin, che è stato il
primo ad introdurre il concetto di ricerca azione, cioè il primo a considerare la
ricerca come un metodo di intervento, in cui il ricercatore, intervenendo nel
“campo dinamico” ricopre un ruolo attivo nel processo di cambiamento.
Susseguentemente una grande spinta alla diversa considerazione dei
partecipanti è stato dato, invece, dalle rivoluzioni del pensiero socio-politico
avvenute negli anni 60-70, grazie, per esempio, ad alcuni autori come Paulo
Freire, che hanno iniziato a considerare le comunità svantaggiate come target
delle loro ricerche-intervento, ed i membri delle stesse non più come vittime
passive del sistema, ma come soggetti in grado in prima persona di trovare
pratiche e “prassi”, per usare la terminologia freiriana, in grado di produrre
cambiamento sociale.
I membri delle comunità iniziano a partecpare attivamente alla
descrizione ed alla costruzione della realtà relativa al contesto di vita, con
l'idea ferma che nessuno meglio di quest'ultimi può conoscere nei dettagli i
problemi reali che, la vita giornalmente gli sottopone. Si fa largo la
convinzione che per comprendere una realtà che non conosciamo direttamente
è fondamentale ascoltare i membri della comunità di riferimento, tenendo
presente che non esiste una verità assoluta da scoprire, ma una molteplicità di
storie da comprendere.
Si evidenzia in questi anni, grazie anche ai contributi femministi e post-
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colonialisti una grande fiducia di base nell'umanità, sopratutto verso quelle
popolazioni che fino a pochi anni prima venivano considerate primitive, ed a
cui ora si vuole riconsegnare il potere di modificare il proprio destino.
Femminismo e post-colonialismo hanno, inoltre, sempre mirato ad una
giustizia sociale ed ad un pareggiare gli squilibri nelle relazioni di potere che
anni di dominio culturale ed economico occidentale hanno causato.
Azione, partecipazione, fiducia nelle comunità, ricerca della giustizia
sociale sono tutti concetti cardine dell'orientamento CBPR attuale. I principali
studi dei giorni nostri si rivolgono infatti a quelle popolazioni che da sempre
sono vittime di discriminazione, possiamo riportare come esempio: CBPR, an
approach to intervention research with a native american community (Holkup,
Tripp-Reimer, Salois, Weinert 2004), CBPR with Cambodian girls in Long
Beach (Cheatham-Rojas, Shen 1997), CBPR to Improve Depression Care for
African-American Domestic Violence Survivors (Nicolaidis 2008), Promoting
Environmental Health Policy Through Community Based Participatory
Research: A Case Study from Harlem, New York (Minkler,
Breckwich Vásquez, Shepard 2006).
L'attualità di questo orientamento è evidente quando intorno a noi
vediamo popolazioni di immigrati vittime continue di razzismo e
discriminazione, comunità Rom che vivono emarginate in zone degradate
delle nostre città, ma anche senzatetto, nuovi poveri, anziani e malati mentali e
non. Tutte comunità con cui condividiamo lo stesso spazio vitale ma
assolutamente non la stessa realtà. Soltanto dando voce, potere d cambiamento
e controllo sulle proprie vite a queste comunità, così come implicito
nell'approccio CBPR, si può sperare di arrivare ad una vera giustizia sociale.
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2. I PRINCIPI CHIAVE DELL'ORIENTAMENTO CBPR
Negli ultimi anni la ricerca CBPR ha ottenuto un sempre maggiore
successo, sopratutto negli Stati Uniti, allo stesso tempo si è assistito alla
nascita di numerose varianti nella terminologia che riflettono piccole
differenze nell'approccio, action research (largamente usato in UK, Australia e
Nuova Zelanda), community-based research (preferito in Canada),
participatory action research o participatory research (usata maggiormente nei
paesi in via di sviluppo) (Minkler e Wallerstein 2008).
Il dibattito fra quali dei termini sia più adatto a cogliere il significato e
l'ideologia alla base di questo approccio teorico è ancora aperto, possiamo
però dire che, sebbene ci possano essere alcune variazioni di terminologia, di
teorie e di obiettivi, tutti questi condividono uno stesso set di concetti cardine:
la partecipazione, l'uso della conoscenza e le relazioni di potere. Ed è partendo
da questi termini chiave, che si è arrivati nel corso degli anni ad una
definizione di nove principi alla base della CBPR (Israel et al. 1998):
a) Riconoscere la comunità come unità dell'identità
b)Si fonda sui punti di forza e le risorse interne della comunità
c) Facilita un approccio collaborativo in tutte le fasi della ricerca
d) È un processo di apprendimento dialogico
e) Integra la conoscenza e l'azione per il reciproco vantaggio di tutti i partner
f) Pone l'enfasi sui problemi di rilevanza locale in una prospettiva ecologica
g) Comporta un processo ciclico e iterativo
h) Diffonde i risultati e le conoscenze acquisite a tutti i partner
i) Richiede un impegno a lungo termine
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Iniziamo, però, descrivendo quelli che, come suddetto, sono
storicamente i concetti chiave di CBPR: partecipazione, uso della conoscenza
e relazioni di potere.
2.1 I concetti di partecipazione, conoscenza e rapporti di potere
La Partecipazione
Quando parliamo di partecipazione nell'orientamento CBPR, ci
riferiamo essenzialmente alla relazione fra i ricercatori e i membri della
comunità.
Habermas e la sua teoria dell'agire comunicativo, ci offrono un quadro
di rifermento in cui muoverci per spiegare queste relazioni. Secondo
Habermas, l’agire strumentale e l’agire comunicativo definiscono due sfere
diverse ma tra loro complementari della società in cui ci troviamo a vivere: la
società come “sistema” e la società come “mondo della vita” (Lebenswelt). Il
sistema, come suggerisce il suo nome, è qualcosa di rigidamente disciplinato
dall’agire tecnico, strumentale e strategico: esso trova i suoi elementi
caratterizzanti nel denaro (sfera economica) e nel potere (sfera politica,
burocratica, statale). Contrapposto al “sistema” è quello che Habermas
definisce “mondo della vita”, il “mondo della vita” è caratterizzato dalle
relazioni, da valori condivisi, da spontaneità, da tradizioni; esso fa, per così
dire, da sfondo e da orizzonte dell’agire comunicativo, rendendolo possibile.
Per usare le parole di Habermas, il mondo della vita è “il luogo trascendentale
nel quale parlante ed ascoltatore si incontrano, nel quale possono avanzare
reciprocamente la pretesa che le loro espressioni si armonizzino con il mondo
(quello oggettivo, sociale e soggettivo) e nel quale essi possono criticare e
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confermare queste pretese di validità, esternare il proprio dissenso e
raggiungere l’intesa” (Teoria dell’agire comunicativo, vol. II, 1997). Allo
stesso tempo, il mondo della vita è il grande contenitore in cui si conservano e
si trasmettono i risultati delle interpretazioni delle generazioni precedenti. Non
bisogna però pensare al mondo della vita come a un qualcosa di vitale e, per
ciò stesso, privo di razionalità: al contrario, il mondo della vita è pervaso dalla
razionalità, ma non da quella strategica, bensì da quella comunicativa. Tra il
“sistema” e il “mondo della vita” vige un rapporto conflittuale.
Habermas è convinto che il “sistema”, in particolare lo Stato coi suoi
apparati di potere e il suo ordinamento economico, si sia reso autonomo
rispetto al mondo della vita, entrando poi in conflitto con esso: cercando di
intromettersi nel mondo della vita, il sistema ne minaccia l’esistenza. Infatti, il
potere e il denaro (che caratterizzano il sistema) sono per loro natura non solo
un qualcosa che non comunica, ma anche un qualcosa che tende ad azzerare la
comunicazione, creando sudditanza e passività. Alla luce di questa
considerazione, occorre combattere strenuamente per difendere il mondo della
vita dai reiterati tentativi di colonizzazione violentemente esercitati dal
sistema (Habermas 1997).
In questo contesto le persone definiscono sé stesse in base ai ruoli che
ricoprono nel sistema, diventano oggetti, clienti e consumatori, non membri di
una società civile e democratica. Il risultato di tutto ciò è visibile nel
sentimento di impotenza e nel complessivo declino della fede nelle persone
che una partecipazione nella vita sociale possa effettivamente produrre un
cambiamento (evidenziato, per esempio, dal decremento degli affluenti alle
urne nelle varie votazioni politiche e d amministrative) (Minkler e Wallerstein
2008).
In questo equilibrio di rapporti, possiamo inquadrare anche le relazioni
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fra ricercatore e comunità nella CBPR, sebbene l'orientamento partecipato
promuova una relazione dialogica e paritaria, nel rapporto di partnership
intervengono vari fattori che possono renderlo non completamente egualitario,
le differenze di potere manifeste nell'accesso alle risorse, nella conoscenza
scientifica e nell'assistenza ricevuta da università e organizzazioni, sono
esempi di questi fattori (Chataway 1997).
Per rendere la relazione trasparente è necessario riconoscere questi
elementi durante il processo di ricerca, Wallerstein & Duran (2008) indicano
che una mancata identificazione delle differenze di potere esistenti fra membri
delle comunità e ricercatori può inibire la collaborazione fra le parti.
Molto importante per creare un buon rapporto collaborativo è lo studio
di problemi veramente utili alla comunità, il ricercatore deve sempre avere in
mente che i primi a trarre vantaggio dalla ricerca devono essere i membri della
comunità, i loro interessi devono assumere una posizione centrale nel processo
di strutturazione della ricerca, un mancato riconoscimento delle problematiche
storiche e socio-culturali della comunità in esame, può portare facilmente a
manifestazioni di scetticismo e resistenza alla collaborazione da parte dei suoi
membri ( Wallerstein & Duran 2008).
La stesse differenze esistenti, come le conoscenze accademiche o il
supporto delle istituzioni, possono essere anche fattori chiave nell'esito
positivo della relazione, è necessario che il ricercatore trasmetta i suoi saperi
relativi alla problematica in esame (pratiche di promozione della salute ad
esempio), è che usi il suo rapporto con il mondo accademico e delle istituzioni
per far emergere in superficie le realtà spesso sommerse relative a certe
comunità svantaggiate. Il nucleo centrale nelle dinamiche partecipative deve
essere sempre la comunità.
Altro aspetto interessante è il ruolo di chi rappresenta le comunità.